Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 27 gennaio 2016, n. 3545 - Violazione dei sigilli ai macchinari sotto sequestro


 

Presidente: AMORESANO SILVIO Relatore: DI NICOLA VITO Data Udienza: 13/01/2016

 

Fatto


1. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Nola ricorre per cassazione impugnando l'ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Nola, in composizione monocratica, adito per la convalida dell'arresto di DZ. e il contestuale giudizio direttissimo, non ha convalidato l'arresto in flagranza, ordinando l'immediata liberazione dell'imputato, tratto a giudizio direttissimo per rispondere del reato previsto dall'articolo 349, comma 2, codice penale perché, in qualità di custode dei macchinari posti sotto sequestro in data 26 gennaio 2015 dai militari della stazione dei carabinieri di San Giuseppe vesuviano all'interno del proprio opificio, né violava i sigilli, utilizzando le cose in sequestro nuovamente per l'attività di sartoria.
Nel pervenire a tale conclusione, il tribunale ha osservato come, da un lato, mancasse il presupposto della flagranza, atteso che all'atto dell'intervento della polizia giudiziaria l'arrestato era intento allo svolgimento di attività lavorativa all'interno dell'immobile in sequestro ma non era stato colto dell'atto di violare i sigilli in quanto il reato ex articolo 349 del codice penale è istantaneo e si perfeziona con il solo fatto della rimozione dei sigilli, sicché ogni evento ulteriore diventa irrilevante potendo solo dare luogo ad altro reato ovvero costituire effetto valutabile per la determinazione della gravità del reato stesso; dall'altro, il tribunale ha osservato che, vertendosi in un caso di arresto facoltativo in flagranza, la polizia giudiziaria non avrebbe tenuto conto dell'incensuratezza dell'imputato e della sua personalità, non avendo egli opposto alcuna forma di resistenza all'attività delle forze dell'ordine.
2. Per la cassazione dell'impugnata ordinanza, il ricorrente articola i due seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l'inosservanza od erronea applicazione dell'articolo 381 del codice di procedura penale (articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale).
Assume che l'imputato è stato sorpreso dalla polizia giudiziaria nel momento in cui era intento a lavorare facendo uso proprio di quei macchinari posti sotto sequestro appena otto giorni prima dagli stessi militari e a lui affidati in custodia, rilevando che il reato di violazione dei sigilli è configurabile anche nel caso in cui i sigilli stessi siano stati apposti esclusivamente per impedire l'uso illegittimo della cosa, con la conseguenza che lo stato di flagranza in relazione al predetto delitto non deve essere valutato dal giudice della convalida al momento della materiale rottura dei sigilli ma al tempo della arbitraria disposizione "in atto" della res al momento dell'intervento della polizia giudiziaria.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la manifesta illogicità della motivazione su un punto decisivo per il giudizio (articolo 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale).
Sostiene che il sequestro dei macchinari è stato eseguito a causa della violazione da parte dell'imputato della normativa dettata dal decreto legislativo n. 81 del 2008 a tutela della salute della sicurezza nei luoghi di lavoro. Sennonché l'imputato, incurante del vincolo di disponibilità posto sui beni appena otto giorni prima, li ha utilizzati per la propria attività di produzione sartoriale, mettendo così nuovamente a rischio di infortunio la propria e l'altrui persona. Da ciò si desume, ad avviso del ricorrente, sia la gravità del fatto che la pericolosità dell'imputato, elementi che, tra l'altro, non devono entrambi sussistere per legittimare l'arresto facoltativo. Peraltro, in sede di convalida, il giudice è tenuto unicamente a valutare la sussistenza degli elementi che legittimano l'adozione della misura con una verifica "ex ante", dovendo tenere conto cioè della situazione conosciuta dalla polizia giudiziaria o conoscibile con l'ordinaria diligenza al momento dell'arresto o del fermo.

Diritto


1. Il ricorso è fondato.
2. Quanto al primo motivo, osserva il Collegio che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 349 cod. pen., non occorre che i sigilli siano stati materialmente apposti, né tanto meno che gli stessi siano stati oggetto di rottura o di rimozione, essendo sufficiente l'esistenza di qualche atto attraverso il quale sia stata resa manifesta la volontà dello Stato di garantire la cosa sequestrata contro ogni condotta di disposizione o manomissione da parte di persone non autorizzate, poiché oggetto specifico della tutela penale è l'interesse pubblico a garantire il rispetto dovuto al particolare stato di custodia imposto, per disposizione di legge o per ordine dell'autorità, ad una determinata cosa mobile o immobile, al fine di assicurarne la conservazione, l'identità e la consistenza oggettiva (Sez. 3, n. 24684 del 18/02/2015, Di Gennaro, Rv. 263882).
Da ciò consegue che, nel delitto di violazione di sigilli aggravata, lo stato di flagranza non deve essere valutato dal giudice della convalida al momento della materiale rottura dei sigilli, ma a quello in cui l'indagato, introducendosi nell'immobile abusivo e facendone uso, ha violato il vincolo di indisponibilità mediante l'arbitraria disposizione "in atto" al momento dell'intervento della polizia giudiziaria (Sez. 3, n. 34151 del 05/07/2007, Ascolese, Rv. 237370).
Infatti, è pacifico che la condotta costitutiva del delitto di cui all'art. 349 cod. pen., non è solo quella, materiale, consistente nella rottura o manomissione del sigillo, ma anche quella diretta a disporre del bene in contrasto con il vincolo di indisponibilità di cui il sigillo è il segno visibile, sicché la fattispecie incriminatrice può realizzarsi anche senza la materiale effrazione del sigillo.
Inoltre, come lo stesso tribunale ha esattamente osservato non traendo però da ciò le logiche conclusioni, è possibile che, dopo la materiale violazione del sigillo, si verifichino altri atti di disposizione del bene indisponibile, i quali perciò si sostanzieranno in altri, autonomi reati eventualmente legati al primo dal vincolo della continuazione.
Questa Sezione ha più volte rimarcato che nel delitto in questione oggetto della tutela penale non è solo la cosa assicurata dai sigilli ma anche il mezzo giuridico che ne sancisce l'assoluta indisponibilità; ciò perché la ratio dell'incriminazione risiede nella necessità di presidiare con la sanzione penale il mancato rispetto dello stato di custodia, nel quale vengano a trovarsi determinate cose, mobili o immobili, per effetto della manifestazione di volontà della P.A. espressa nell'apposizione dei sigilli. Quindi, la finalità di assicurare la conservazione della cosa sigillata, alla quale fa riferimento l'art. 349 cod. pen., viene frustrata anche mediante il semplice uso di essa, perché il concetto di conservazione comprende non solo la categoria dell'indisponibilità, ma anche quella dell'interdizione dell'uso. Esattamente, quindi, il P.M. ricorrente ha osservato che il requisito della flagranza nel caso in esame andava verificato con riguardo non al momento della materiale rottura dei sigilli, ma al momento in cui l'indagato, introducendosi nel bene e facendone uso, ha violato o nuovamente violato il vincolo di indisponibilità del bene mediante appunto l'arbitraria disposizione in atto al momento dell'intervento degli operanti.
E' esatto ciò che afferma il tribunale ossia che il reato di violazione di sigilli ha natura istantanea ma il delitto si perfeziona sia con la materiale violazione dei sigilli e sia con ogni condotta idonea a frustrare il vincolo di immodificabilità imposto sul bene per disposizione di legge o per ordine dell'autorità; di conseguenza, compiuta la prima infrazione, il reato si reitera ogni qual volta si realizza una condotta contraria al precetto, in ulteriore violazione del persistente vincolo sulla "res" (Sez. 3, n. 13147 del 02/02/2005, Savarese, Rv. 231218; Sez. 3, n. 37398 del 07/07/2004, Priolo, Rv. 230043).
Perciò il primo motivo è ampiamente fondato.

3. Anche il secondo motivo ha giuridico fondamento.
Va precisato che la facoltà della polizia giudiziaria di procedere all'arresto in flagranza non è libera, cioè finalisticamente sganciata da qualsiasi parametro di legalità, ma il potere di sostituirsi all'autorità giudiziaria, in casi eccezionali di necessità ed urgenza che trovano copertura costituzionale (art. 13, comma 3 Cost.), assume, nell'arresto facoltativo, i caratteri della discrezionalità ma si tratta pur sempre di una discrezionalità "guidata" e dunque vincolata nel senso cioè che, una volta ravvisata la sussistenza dei parametri di legalità processuale, gli organi di polizia hanno l'obbligo di procedere all'arresto, che è facoltativo solo nel senso che la sussumibilità di un fatto storico in una fattispecie incriminatrice che, per nome iuris o per limiti edittali, consente l'arresto e la sola flagranza di reato non sono sufficienti per sostenere l'atto precautelare limitativo, sia pure in via provvisoria, della libertà personale del cittadino, occorrendo un quid pluris, che la legge processuale fissa nel quarto comma dell'articolo 381 cod. proc. pen. richiedendo che "si procede all'arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità od alle circostanze del fatto". Pertanto, in presenza di tutti i requisiti di legge, l'arresto definito facoltativo diventa atto dovuto allorché consti, alternativamente, la gravità del fatto ovvero la pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanza del fatto. Questi parametri vengono indicati come alternativi: dunque, è sufficiente che ne ricorra uno di essi perché l'arresto sia giustificato (Sez. 1, n. 17332 del 30/03/2006, Solimeno, Rv. 234259).
Ed è di tutta evidenza che la "gravità del fatto", tanto che del tutto logicamente è stato evitato il riferimento alla gravità del reato, deve essere stimata con riguardo non già alla fattispecie astratta, posto che tale valutazione è già stata operata dal legislatore con l'inserimento del reato nel novero di quelli per cui è consentito l'arresto, bensì in relazione alle concrete modalità che ne hanno rivelato la consumazione.
Peraltro, dalla previsione dell'art. 381, comma 4, cod. proc. pen. non si ricava l'esistenza a carico della polizia giudiziaria di un vero e proprio obbligo motivazionale, la cui pretesa contrasterebbe con la natura non di provvedimento ma di atto materiale che contrassegna l'operato della polizia giudiziaria.
Ne deriva che, nel caso di arresto facoltativo in flagranza di reato, la polizia giudiziaria - che non è affatto affrancata dall'obbligo di rendere conto dei motivi per i quali ha esercitato la "facoltà" sostituendosi all'autorità giudiziaria - è tenuta invece ad indicare le ragioni che l'hanno indotta ad esercitare il proprio potere di privare della libertà in relazione alla gravità del fatto o alla pericolosità del l'arrestato, ma tale indicazione non deve necessariamente concretarsi nella redazione di una apposita motivazione del provvedimento precautelare, essendo sufficiente che tali ragioni emergano dal contesto descrittivo del verbale d'arresto o dagli atti complementari ad esso allegati (annotazioni, informative, relazioni di servizio), in modo da consentire al giudice della convalida di  prenderne conoscenza e di sindacarle (Sez. 6, n. 31281 del 06/05/2009, Spennati, Rv. 244680).
4. Dal verbale d'arresto, come sottolinea il pubblico ministero ricorrente, era evincibile che l'arrestato aveva ripreso le attività lavorative nell'immobile sequestrato, frustando il vincolo d'indisponibilità impresso al bene e ripristinando per sé e per gli altri lavoratori le situazioni di pericolo per la salute degli occupanti, noncurante del precedente sequestro e dei vincoli imposti, a dimostrazione della indubbia gravità del fatto desumibile anche dalla disubbidienza manifestata rispetto ad un vincolo imposto, per altro, pochi giorni prima.
Del resto, si tratta di circostanze che neppure il tribunale ha completamente ignorato ritenendole tuttavia insufficienti e pretendendo, in contrasto con il dato normativo, una motivazione su una fattispecie (la pericolosità), alternativa alla gravità, come se la polizia giudiziaria avesse dovuto motivare adottando gli stessi parametri a disposizione del giudice quando è chiamato ad emettere una misura cautelare personale.
5. L'ordinanza va pertanto annullata ma con la formula "senza rinvio" giacché l’esistenza delle condizioni che avrebbero giustificato la convalida risulta già accertata in sede di legittimità, posto che il giudizio di rinvio, avendo ad oggetto la rivisitazione di una fase ormai definitivamente esaurita, sarebbe limitato esclusivamente a statuire la correttezza dell'operato della polizia giudiziaria, già oggetto di positiva verifica ad opera del giudice dell'impugnazione (Sez. 6, n. 21330 del 05/05/2015, Quaid, Rv. 263539), che si trova, nel caso in esame, nelle condizioni di poter affermare, senza la necessità che siano compiuti accertamenti fattuali preclusi nel giudizio di legittimità, che l'arresto fu legittimamente eseguito.

P.Q.M.


Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata perché l'arresto è stato eseguito legittimamente.
Così deciso il 13/01/2016