Regione Piemonte
Deliberazione della Giunta Regionale 14 luglio 2003, n. 36-9944
Approvazione di atto di indirizzo per lo svolgimento da parte del Dipartimento di Prevenzione delle ASL delle attività di informazione, formazione, assistenza e consulenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro
B.U.R. 21 agosto 2003, n. 34

(omissis)
LA GIUNTA REGIONALE
a voti unanimi
delibera

- di approvare l’allegato atto di indirizzo per lo svolgimento da parte del Dipartimento di Prevenzione delle ASL delle attività di informazione, formazione, assistenza e consulenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.
L’allegato atto di indirizzo costituisce parte integrante e sostanziale della presente deliberazione.
La presente deliberazione verrà pubblicata sul B.U. della Regione Piemonte, ai sensi dell’art. 65 dello Statuto e dell’art. 14 del DPGR n. 8/R/2002.

(omissis)

Allegato

ATTO DI INDIRIZZO PER LO SVOLGIMENTO DA PARTE DEL DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE DELLE ASL DELLE ATTIVITÀ DI INFORMAZIONE, FORMAZIONE, ASSISTENZA E CONSULENZA IN MATERIA DI SICUREZZA E SALUTE NEI LUOGHI DI LAVORO.

NORMATIVA GENERALE

In considerazione della notevole richiesta proveniente dal territorio per svolgere attività di informazione, formazione e assistenza da parte del personale dei Servizi al di fuori dell’orario d’ufficio, occorre richiamare alcuni elementi sostanziali della normativa in materia di autorizzazione degli incarichi esterni, al fine di una sua puntuale applicazione.
Il T.U. sugli impiegati civili dello Stato, DPR n. 3/1957 (art. 60 e segg.) e il Dlgs. 165/01 stabiliscono, in linea generale, il divieto del doppio lavoro e disciplinano i casi di incompatibilità con lo status di pubblico dipendente; tali principi sono anche richiamati dalla legge 23 dicembre 1996, n. 662.
In particolare, le citate norme dispongono che, al di fuori dei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, al dipendente pubblico è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo, tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano esplicita autorizzazione rilasciata dall’Amministrazione di appartenenza e fermo restando la valutazione in concreto dell’inesistenza di conflitto d’interesse.
Si rileva che la deroga al divieto riguarda i dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale la cui prestazione lavorativa non superi il 50% di quella a tempo pieno. In tale fattispecie, fatto salvo quanto indicato nei commi 57, 58 e 59 dell’art. 1 della legge 662/96, è consentito al dipendente pubblico la possibilità di svolgere il doppio lavoro. Ne consegue rafforzato il principio generale che per i dipendenti a tempo pieno è vietato costituire altri rapporti di lavoro.
È evidente che la regola enunciata mira a garantire l’osservanza del dovere di esclusività ovvero del dovere principale che il dipendente di una Pubblica Amministrazione ha di dedicare in modo esclusivo all’ufficio la propria attività lavorativa, senza distrarre le proprie energie con lo svolgimento di attività estranee a quelle inerenti il pubblico impiego, senza arrecare pregiudizio alle attività di servizio e senza creare incompatibilità con le attività di istituto.
Il D.lgs. 165/01, all’art. 53, comma 10, dispone che l’autorizzazione all’esercizio del doppio lavoro deve essere richiesta all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l’incarico, o dal dipendente interessato.
Con riferimento alle attività del Dipartimento di Prevenzione, si ritiene che la predetta richiesta di autorizzazione debba essere presentata al Direttore Generale dell’ASL il quale, sentito il Responsabile del Servizio di appartenenza che esprimerà motivato parere, valuta il rilascio di tale autorizzazione.

VIOLAZIONE DELLE NORME SULL’ INCOMPATIBILITÀ E CONSEGUENZE GIURIDICHE

Il D.lgs. 165/01 all’art. 53, comma 7, prevede che in caso di inosservanza del divieto il compenso dovuto per le prestazioni svolte, deve essere versato all’amministrazione di appartenenza del dipendente, fatte salve le più gravi sanzioni e ferme restando le responsabilità disciplinari. A tale proposito l’art. 1, comma 61, della legge n 662/1996 dispone che la violazione del divieto di cui al comma 60, nonché le comunicazioni risultate non veritiere, anche a seguito di accertamenti ispettivi dell’Amministrazione, costituiscono giusta causa di recesso per i rapporti di lavoro disciplinati dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro.
La legge n. 662/96 ha previsto l’istituzione presso ogni Pubblica Amministrazione di servizi ispettivi per verifiche a campione finalizzate all’accertamento dell’osservanza delle disposizioni sopra citate.
In questo contesto, la medesima legge ha stabilito il termine del 1° marzo 1997 per la cessazione di tutte le attività incompatibili.
In altri termini, tutte le attività che costituiscono doppio lavoro nel significato che si è sin qui illustrato e non quelle già autorizzate o autorizzabili in base alla legge o altra fonte normativa, devono inderogabilmente cessare.
Si ritiene, quindi, opportuno affermare i seguenti principi:
1) nel rispetto dei limiti indicati dalla legge 662/96 e dal D.lgs. 165/01, al dipendente pubblico è consentito, assumere incarichi conferiti da altre amministrazioni pubbliche o da privati, a condizione che siano autorizzati dall’Ente di appartenenza, fermo restando la valutazione in concreto dell’inesistenza di conflitto d’interesse rispetto alle funzioni esercitate, senza arrecare pregiudizio alle attività di servizio e nell’osservanza dell’orario di lavoro;
2) lo svolgimento dell’incarico deve avvenire fuori dall’orario di servizio o mediante impegno a recuperare le ore non lavorate;
3) gli incarichi devono essere autorizzati nel rispetto di limiti numerici e di valori stabiliti dalle singole Aziende e comunque per un importo non superiore ad 1/3 dei compensi percepiti dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato.
Le ore da dedicare a tali attività non ricomprese in quelle d’ufficio non devono superare il 20% dell’ammontare annuo del normale orario di lavoro.

NORMATIVE SPECIFICHE PER IL SERVIZIO SANITARIO.

Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27/03/2000 “Atto di indirizzo e coordinamento concernente l’attività libero-professionale intramuraria del personale della dirigenza sanitaria del SSN” disciplina, all’articolo 11, l’attività libero-professionale dei dirigenti sanitari del Dipartimento di Prevenzione.
In particolare il primo comma stabilisce che “le attività libero-professionali dei dirigenti sanitari del dipartimento di prevenzione costituiscono uno specifico insieme di prestazioni, non erogate in via istituzionale dal Servizio sanitario nazionale, che concorrono ad aumentare la disponibilità e a migliorare la qualità complessiva delle azioni di sanità pubblica compresa quella veterinaria, integrando l’attività istituzionale”.
Il comma 4 dello stesso articolo 11 precisa che “non è consentito, comunque, l’esercizio di attività libero-professionale individuale in favore di soggetti pubblici e privati da parte dei medici e veterinari che svolgono nei confronti degli stessi soggetti funzioni di vigilanza o di controllo o funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria”.
Tale principio trova ulteriore supporto nell’articolo 24 del D.Lgs. 626/94 laddove afferma che l’attività di consulenza non può essere prestata dai soggetti che svolgono attività di controllo e vigilanza.
Dalla lettura del combinato disposto degli articoli di cui sopra, emerge chiaramente la possibilità per gli operatori del Dipartimento di svolgere attività libero professionale e di consulenza con il preciso limite di non poterla effettuare nei confronti di quei soggetti verso i quali sono esercitate funzioni di vigilanza e controllo o funzioni di UPG.
Ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 24 del D.Lgs. 626/94 prevede che le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano, il Ministero dell’interno tramite le strutture del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza sul lavoro, anche mediante i propri dipartimenti periferici, il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per mezzo degli Ispettorati del lavoro, il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, per il settore estrattivo, tramite gli uffici della direzione generale delle miniere, l’Istituto italiano di medicina sociale, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e gli enti di patronato, svolgono attività di informazione, consulenza e assistenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, in particolare nei confronti delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese delle rispettive associazioni dei datori di lavoro.
Giova ricordare che l’emanazione dei Dlgs. 502/92 e 517/93 introducendo innovazioni al Servizio sanitario nazionale istituito dalla legge 833/78 hanno meglio definito da un lato il ruolo delle ASL, in particolare l’articolazione organizzativa delle attività e delle prestazioni sanitarie, dall’altro quello delle Regioni che, avvalendosi delle stesse, hanno assunto in modo pieno i compiti in materia sanitaria loro assegnati dalla Costituzione.
Al fine di definire più compiutamente le attività di cui sopra e di precisare i diversi ruoli della Regione e dell’ASL, è utile riferirsi, per quanto attiene l’attività di formazione, informazione, alle linee guida assunte dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e per quanto attiene le attività di assistenza e consulenza al documento di indirizzo elaborato nell’anno 2000 dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale: “Verso una nuova cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro”.
Con riferimento all’art. 24 del D.lgs. 626/94, le linee guida assunte dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni, richiamando l’enunciato di carattere generale per cui “è necessario muoversi nella logica di offrire alle imprese e alle loro associazioni l’opportunità di una collaborazione possibile ad ogni livello........” descrivono più nel dettaglio le funzioni che le Regioni possono svolgere, di seguito trattati:

1) FORMAZIONE - INFORMAZIONE
a) orientamento, attraverso la produzione di documenti interpretativi, la definizione di linee guida, la promozione di iniziative di discussione;
b) coordinamento, soprattutto delle attività di formazione che vedono coinvolte le ASL per evitare il proliferare di esperienze improvvisate e frammentarie;
c) accreditamento, attraverso l’individuazione di criteri e standard di qualità sulla base dei quali giungere alla definizione di una sorta di marchio di qualità regionale da attribuire ai diversi percorsi formativi messi in atto dai diversi soggetti istituzionali e sociali;
d) finanziamento totale o parziale di iniziative formative ritenute prioritarie e strategiche;
e) progettazione di percorsi formativi che possono costituire un modello per iniziative di altri;
f) produzione di pacchetti e materiali didattici;
g) organizzazione diretta di iniziative formative innanzitutto per gli operatori delle ASL.
Il citato documento di indirizzo specifica altresì, le funzioni che i Servizi di Prevenzione e Vigilanza delle ASL possono svolgere:
a) istituzione nei Dipartimenti di Prevenzione di pool di formatori esperti sui vari temi;
b) verifica di qualità di progetti ed attività formative;
c) collaborazione alla stesura di progetti formativi;
d) produzione di materiali a supporto di iniziative formative;
e) predisposizione ed offerta di pacchetti formativi.
Si precisa che la formazione e l’informazione rientrano tra le attività che ciascun servizio può svolgere e che pertanto, di norma, devono essere programmate ed effettuate in orario di lavoro.

2) ASSISTENZA
Secondo la definizione contenuta nella citata pubblicazione dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale, l’assistenza è l’attività finalizzata a fornire indicazioni e supporto su:
a) gli standard e gli interventi di formazione idonei all’attuazione della normativa prevenzionistica;
b) gli indirizzi generali e specifici per la valutazione del rischio, la sorveglianza sanitaria, l’adozione di misure preventive anche mediante l’ausilio di specifiche banche dati.
In riferimento alle innovazioni introdotte dai citati D.lgs. 502/92 e 517/93 e dall’art. 24 del D.lgs. 626/94, la Regione svolge le attività di assistenza avvalendosi delle ASL per rispondere alle esigenze del territorio in modo capillare.
È evidente, inoltre, che il sistema di prevenzione previsto dal D.Lgs. 626/94 si basa sull’interazione dei soggetti aziendali, ovvero Datore di Lavoro, Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, Medico Competente, Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, ciascuno con propri compiti, da svolgere mediante uno scambio di informazioni sistematico e trasparente.
Questo modello finalizzato a perseguire l’obiettivo di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, attraverso un sistema efficace di prevenzione, necessita di poter colloquiare apertamente con la Regione per disporre di ogni utile elemento che consenta di svolgere al meglio il proprio ruolo.
Compito della Regione, per il tramite delle ASL, non è quello di sostituirsi ai soggetti aziendali della prevenzione, ma di fornire loro tutti i necessari supporti in termini di informazione, formazione e di indirizzo, assumendo, altresì, ogni altra utile iniziativa per perseguire la massima efficacia del sistema di prevenzione, a partire dalle attività concretamente svolte.
È di tutta evidenza che il personale dei Servizi di Prevenzione, nell’espletamento delle attività di formazione, informazione e di assistenza, opererà con l’obiettivo prioritario di prevenire situazioni che possono configurare ipotesi di violazione di norme.
Le attività di informazione, formazione e assistenza non possono svolgersi se non nella reciproca fiducia tra le parti e in assenza del timore di subire azioni repressive che impediscono ogni possibilità di collaborazione, né possono in alcun modo costituire una autodenuncia.
In conclusione, si precisa che l’assistenza rientra, a pieno titolo, tra le attività proprie di ciascun servizio e, pertanto, deve essere inserita nella ordinaria programmazione degli SPreSAL ed effettuata in orario di lavoro, senza alcun corrispettivo diretto al personale che la svolge.

3) CONSULENZA
Ai sensi dell’art.24 del D.lgs. 626/94 l’attività di consulenza non può essere prestata dai soggetti che svolgono attività di controllo e di vigilanza. Tale principio trova ulteriore esplicazione nell’art. 11 del DPCM 27/03/2002, in base al quale non è consentito l’esercizio dell’attività libero-professionale individuale in favore di soggetti pubblici e privati da parte del personale sanitario del Dipartimento di Prevenzione che svolgono nei confronti degli stessi soggetti funzioni di vigilanza e controllo o funzioni di UPG.
Al fine di definire anche le attività di cui sopra, è utile fare ulteriore riferimento alla pubblicazione del citato Istituto Italiano di Medicina Sociale, in base alla quale “la consulenza è l’attività finalizzata allo svolgimento di prestazioni, anche di natura strumentale, sia sanitaria che tecnica, su incarico e per conto del datore di lavoro o di altri soggetti interessati, in tema di valutazione del rischio, di sorveglianza sanitaria, di attrezzature di lavoro, di progettazione di ambienti e di misure di bonifica, e di impianti, documentata da apposita relazione”
Risulta evidente, che l’attività di consulenza in materia di igiene e sicurezza sul lavoro è quella finalizzata a consentire il pieno assolvimento degli obblighi posti a carico del sistema aziendale di prevenzione e delle ulteriori figure previste dalla normativa vigente.
In particolare possono considerarsi attività di consulenza quelle svolte a favore di singole imprese che prevedono:
- la valutazione dei rischi e successiva elaborazione, anche parziale, del documento di valutazione;
- lo svolgimento dei compiti del Servizio Prevenzione e Protezione o parti di esso, ad eccezione delle attività di cui al comma 1 lettera d) dell’articolo 9 del D.Lgs 626/94 relativi all’informazione e formazione dei lavoratori;
- lo svolgimento dei compiti di Medico Competente, ivi compresi gli esami clinici e biologici e le indagini diagnostiche.
Pertanto, ad una attenta disamina delle norme menzionate, è possibile affermare che le attività di consulenza da parte del personale SPreSAL possono essere effettuate solo a favore dei soggetti pubblici e privati che non sono sottoposti a vigilanza da parte del Servizio stesso.
A riguardo, è opportuno richiamare l’interpretazione accolta nel citato documento dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale, per la quale l’espresso divieto di esercitare l’attività di consulenza, rivolto ai soggetti che svolgono attività di controllo e vigilanza, opera solo per i territori di competenza direttamente controllati.
Giova ricordare che l’attribuzione della qualifica di UPG viene effettuata dal Prefetto su proposta del Presidente della Giunta Regionale e che la stessa giunta regionale, con DGR n. 22-26944 del 26/03/1999 ha fornito “Orientamenti e indicazioni procedurali per l’attribuzione della qualifica di UPG nell’ambito dell’attività di prevenzione dei Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, dei Servizi di Igiene e Sanità Pubblica e dei Servizi di Igiene degli Alimenti e Nutrizione delle Aziende Sanitarie Locali”.
Tale documento precisa che la competenza territoriale di vigilanza e controllo è quella dell’ambito proprio del servizio di appartenenza.
Il personale che per motivi contingenti e comunque per ragioni di ufficio, si trovi a svolgere funzioni di vigilanza su esplicita richiesta di altra Autorità (regione, magistratura), fuori dal territorio di propria competenza deve disporre di apposito provvedimento autorizzativo dell’amministrazione di appartenenza.
È importante ribadire che tali attività devono essere autorizzate dall’ASL di appartenenza e valutate con la massima attenzione, così da garantire la correttezza e la legalità delle prestazioni fornite, attraverso una preventiva valutazione di eventuali conflitti di interesse nonché di compatibilità con le attività d’ufficio e senza pregiudizio per i compiti d’istituto e l’orario di servizio.
Pertanto il dipendente è tenuto a verificare preventivamente che non ricorrano situazioni di conflitto o incompatibilità di cui sopra; qualora lo stesso dipendente rilevasse l’insorgere di tali situazioni, anche successivamente alla richiesta di autorizzazione, ha il dovere di riferire la circostanza al responsabile del servizio che adotterà le necessarie azioni a tutela dell’Amministrazione.
Per quanto disposto dalla citata Deliberazione della giunta regionale e già sopra richiamato, sono soggetti ad autorizzazione tutti gli incarichi che esulino dalla normale attività di ufficio, comprese le consulenze peritali o altre prestazioni richieste dall’Autorità Giudiziaria.
In attuazione di quanto previsto dai commi 11 e seguenti dell’art. 53 del D.lgs. 165/01 e al fine di disporre dei necessari elementi conoscitivi sulle attività svolte dai dipendenti del Dipartimento di Prevenzione, che consentono di assolvere ai compiti di vigilanza propri dell’Amministrazione regionale, si richiede ai Direttori Generali delle ASL di trasmettere alla Direzione Sanità Pubblica tutte le informazioni contenute nell’anagrafe delle prestazioni relative all’anno 2002 nei termini stabiliti dal citato Decreto ovvero entro il 30 giugno 2003.
Si richiede, altresì, di trasmettere alla stessa Direzione regionale i dati di cui sopra, relativamente agli anni 2000 e 2001 entro 30 gg. dal ricevimento della presente.
Resta inteso che tali adempimenti dovranno essere espletati con ricorrenza annuale anche per gli anni successivi.

4) VIGILANZA
E’ del tutto ovvio, che nel corso di attività di vigilanza siano esse svolte su iniziativa propria dei Servizi o su progettualità regionale o su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, ricorre per il personale in possesso della qualifica di UPG o in qualità di pubblico ufficiale l’obbligo di riferire la notizia del reato, previsto dagli artt. 331 e 347 c.p.p., al pubblico ministero.