Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 02 marzo 2016, n. 8592 - Lavori in quota e caduta dall'alto. Responsabilità del legale rappresentante della società appaltante nonchè direttore tecnico di cantiere e responsabile di cantiere


 

 

L'imputato (G.L.) rivestiva non solo la qualifica di legale rappresentante della società appaltante, ma anche quella di direttore tecnico di cantiere e responsabile di cantiere...
Coerentemente, dunque, la Corte milanese ha ritenuto che l'onere di verificare la corretta adozione di ponteggi adeguati, in relazione al rischio di caduta dall'alto, gravasse in prima luogo nei suoi confronti, nella sua duplice veste di datore di lavoro e responsabile di cantiere, in conformità alla legge ed al Piano di sicurezza e coordinamento, che era stato predisposto il 14 marzo 2008, con specifico riferimento ai lavori di carpenteria.
Corretta, peraltro, è l'affermazione che si rinviene nella sentenza impugnata per cui lo svolgimento di fatto delle funzioni di responsabile di cantiere da parte del geometra GI., al di là della idoneità della prova sul pulito, in ogni caso non potesse valere ad escludere la responsabilità concorrente del datore di lavoro, direttore tecnico ed a sua volta responsabile, in base ad una specifico conferimento di poteri e funzioni.

"Se è vero che la posizione di garanzia si estende ai preposti senza necessità di un'apposita delega da parte del datore di lavoro, è altrettanto vero che, in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione".
"In questa prospettiva, è stato condivisibilmente ritenuto dai giudici di appello che le contestazioni sul conferimento di delega da parte del datore di lavoro all'imputato, al di là dell'ampiezza e del tenore della stessa, non valessero a scalfire l'impianto accusatorio fondato sull'inquadramento di G.L. come legale rappresentante della società appaltatrice dei lavori in corso e direttore tecnico di cantiere e come tale destinatario iure proprio, dell'osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di fatto al geometra GI..
I giudici del gravame del merito ricordano i contenuti dell'art. 97 D.lvo 81/2008 e ne deducono la responsabilità dell'imputato, evidenziando, peraltro, come l'incidente non fosse derivato dall'inadeguato funzionamento di una attrezzatura in origine correttamente installata, bensì dalla carenza originaria di una struttura fondamentale, quale doveva essere considerata l'impalcatura per i lavori in quota."

 


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 10/02/2016

Fatto


1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente G.L., con sentenza del 11.6.2015, confermava la sentenza del Tribunale di Monza, emessa in data 8.7.2014, con condanna al pagamento delle spese processuali e rifusione delle spese di difesa alla parte civile.
Il G.M. del Tribunale di Monza, aveva dichiarato G.L. responsabile del seguente reato:
a) del reato di cui agli artt. 113 e 590 commi 1, 2 e 3 c.p., in relazione agli artt. 97 co. 1 D.Lvo 81/08 (per G.L. in relazione al quale si è proceduto separatamente) e 122 D.Lvo 81/08 per A., per avere, G.L. nella sua qualità di legale rappresentante della s.r.l. Impresa Costruzioni Edili G.L. (in relazione al quale si è proceduto separatamente) ed A.F. in qualità di amministratore unico, della srl ditta Mir Industrielle (impresa sub appaltatrice), cagionato al lavoratore S.Q. lesioni personali consistite in " trauma cranico commotivo ed anacusia sinistra in esiti di trauma cranico commotivo", per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro sopramenzionate, perché omettevano di adottare le misure necessarie per la sicurezza dei lavoratori. In particolare, presso il cantiere edile sito in Cavenago Brianza, Omissis, G.L. ometteva di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati alla Mir Industrielle con particolare riferimento ai pericoli di caduta di persone nella realizzazione di lavori di carpenteria per la realizzazione dei solaio degli edifici residenziale ed A. ometteva di predisporre idonee opere provvisionali e precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta dall'alto durante i lavori di carpenteria per la predisposizione di solai, cosicché, mentre il predetto S.Q. era intento ad eseguire opere di carpenteria, perdeva l'equilibrio e precipitava da un'altezza di circa 3 metri, procurandosi conseguentemente le gravissime lesioni personali, sopra meglio specificate. Con le circostanze aggravanti della lesione gravissima della perdita del senso dell'udito nonché della Violazione della norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Cavenago Brianza in data 2.9.2008.
L'imputato veniva condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, alla pena di mesi 3 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con condanna al risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in separata sede, riconoscendo una provvisionale immediatamente esecutiva di € 80.000,00, con condanna alla rifusione delle spese processuali di parte civile, con il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato al pagamento della provvisionale entro il termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza. 
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei propri difensori di fiducia, G.L., che impugnava specificamente sia la sentenza che l'ordinanza della corte di appello del 11.6.2015, deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione del combinato disposto degli art. 157, comma 8 bis e 161 c.p.p. nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto perfezionata la notifica nei confronti dell'imputato a norma dell'art. 157, comma 8 bis, nonostante l'elezione di domicilio a norma dell'art. 161 c.p.p. (motivo unico di ricorso per la cassazione dell'ordinanza).
Ci si duole che la corte di appello, all'udienza del 11.6.2015, abbia dichiarato la contumacia dell'imputato assente, che non avrebbe ricevuto alcuna notificazione presso il domicilio dichiarato, ritenendo sufficiente la notifica al difensore sul presupposto dell'art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., ritendo la notifica efficace anche nei confronti dell'imputato. Il ricorrente deduce, pertanto, la nullità della notificazione che non sarebbe mai stata sanata stante l'assenza del G.L. e, trattandosi di nullità d'ordine generale a regime intermedio, sarebbe rilevabile sino alla deliberazione della sentenza di cassazione a norma dell'art. 180 cod. proc. pen.
b. Manifesta illogicità della motivazione riuscente dal testo del provvedimento impugnato e inosservanza delle norme di cui agli artt. 2 e 97 del d.p.r. nr. 81 del 2008, nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto la responsabilità di G.L.. per l'inosservanza dei doveri derivanti dalla posizione di garanzia propria del datore di lavoro, nonostante egli non fosse, come dalla corte d'appello medesima accertato, il datore di lavoro dell'infortunato, ma il titolare dell'impresa subcommittente (motivo unico di ricorso per la cassazione della sentenza).
La corte di appello avrebbe indebitamente sovrapposto i piani e i doveri derivanti dalle rispettive posizioni di garanzia del datore di lavoro e del titolare dell'impresa subcommittente, nel cui cantiere operi l'imprenditore subappaltatore.
Nello specifico, il G.L., riconosciuto titolare dell'impresa subcommittente, verrebbe condannato ritenendo la violazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro.
Il ricorrente riporta la motivazione della sentenza impugnata, nella quale risulta accertata la qualifica del G.L. di titolare dell'impresa costruttrice, nel cui cantiere lavorava la parte lesa alle dipendenze di altra società.
Si lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto che spettasse al G.L., in veste di legale rappresentante della ditta appaltatrice, di direttore tecnico e responsabile di cantiere, verificare la corretta adozione di ponteggi adeguati in relazione al rischio di caduta dall'alto.
La sentenza disattenderebbe secondo la tesi prospettata in ricorso il gravame dell'Imputato fondato, sull'avvenuta predisposizione all'interno del cantiere delle dotazioni necessarie per i ponteggi, disattendendo l'osservanza degli artt. 2 e 97 del D.Lgs. 81/2008. Dette norme prevedono che, nel caso le opere vengano affidate ad una pluralità di imprese, vi è l'obbligo di verificare la congruenza dei piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici rispetto al proprio prima della trasmissione dei suddetti piani operativi di sicurezza al coordinatore per l'esecuzione.
Si sostiene che tale obbligo venne certamente osservato e si evidenzia che la stessa corte di appello riconoscerebbe la mancata osservanza del piano da parte dell'impresa subappaltatrice
La responsabilità rimarrebbe, dunque, in capo al datore di lavoro subappaltatore, mentre l'appaltatore rimaneva titolare unicamente dei poteri direttivi generali.
Nel caso in questione sarebbe stato accertato che l'infortunio avvenne per l'inosservanza della disciplina dettata in materia di prevenzione nel compimento di opere di carpenteria. Tale circostanza sarebbe accertata, così come quella relativa al fatto che i lavori di carpenteria fossero stati affidati in subappalto.
Il G.L. sarebbe stato tenuto soltanto a verificare che i lavori potessero svolgersi in condizioni di sicurezza, per essere il cantiere dotato di quanto necessario per la realizzazione di impalcature e parapetti, ma non può essere tenuto ad accertarsi che gli impalcati fossero effettivamente realizzati, in quanto ciò non atterrebbe alla verifica delle condizioni di sicurezza delle lavorazioni, ma alla concreta modalità del loro compimento.
Nell'esercizio dei poteri direttivi generali rientrerebbe la verifica delle condizioni del cantiere, in modo che sia consentita la sicurezza delle lavorazioni, ma non corrisponderebbe all'esercizio di poteri direttivi generali il controllo delle concrete modalità di esecuzione dei lavori subappaltati.
Nel caso di specie sarebbe stato accertato che all'Interno del cantiere sussistessero i mezzi per poter lavorare i sicurezza. La sentenza impugnata avrebbe ascritto al G.L. una responsabilità gravante unicamente sul datore di lavoro subappaltatore.
Inoltre, l'impugnata sentenza, oltre ad essere gravata da vizio di legge, sarebbe anche illogicamente motivata, in quanto dopo avere ravvisato la responsabilità del G.L. nella violazione dell'art. 97 D.Lgs. 81/2008 nella qualità di titolare dell'impresa subcommittente, descriverebbe poi, condotte che rilevano unicamente in riferimento a colui che rivesta la qualifica di datore di lavoro. 
La sentenza impugnata darebbe rilievo, ai fini della responsabilità del G.L., alle modalità con cui quali avvenne l'incidente, su cui nessun rimprovero può muoversi al subcommittente. Spetta, infatti, al datore di lavoro la vigilanza sulle modalità delle lavorazioni, non sarebbe il subcomittente a doversi ingerire nella concreta esecuzione delle lavorazioni subappaltate.
La giurisprudenza di legittimità  si evidenzia riconosce una responsabilità del subcommittente solo allorquando si verifichi una concreta ingerenza nella lavorazioni subalpppaltate.
Nel caso concreto non vi sarebbe stata, tuttavia, alcuna ingerenza nei lavori di carpenteria, in relazioni ai quali si rimproverebbe l'assenza dell'imputato.
Pertanto, l'impugnata sentenza risulterebbe illogica, in quanto, proprio per effetto della circostanza che le opere di carpenteria fossero state totalmente subappaltate, la responsabilità dell'omesso utilizzo delle necessarie strutture di sicurezza non potrebbe mai ricadere su altri rispetto al datore di lavoro. Inoltre, la sentenza sarebbe illogica perché ravvisa la responsabilità dell'imputato nella duplice veste di datore di lavoro e responsabile di cantiere, dopo aver riconosciuto che lo stesso rivestiva la qualità di legale rappresentante della società appaltante, di direttore tecnico e di responsabile di cantiere.
Il ricorrente rileva, infatti che l'imputato non era datore di lavoro della parte lesa, né assumerebbe rilevanza la qualifica di responsabile del cantiere avendo subappaltato le opere di carpenteria. Inoltre, se anche dovesse ritenersi ravvisabile una responsabilità come responsabile di cantiere, la stessa sarebbe cessata perché, essendo assente, la stessa spettava al G.GI., che assunse la funzione di responsabile del cantiere.
Il ricorrente riporta integralmente il motivo di gravame fondato sulla presenza, al momento dell'infortunio, di G.GI. come responsabile di cantiere e sulle responsabilità gravanti su diversi soggetti. Su detto motivo nulla avrebbe rilevato la corte di appello.
Inoltre anche il giudice di primo grado avrebbe riconosciuto in capo al GI. la qualità di responsabile di cantiere, mentre la corte di appello afferma la responsabilità del G.L. in qualità di responsabile del cantiere.
Sarebbe evidente, quindi, l'illogicità della sentenza che ravvisa la responsabilità come responsabile di cantiere al G.L., assente al momento del sinistro.
Chiede, pertanto, la cassazione della ordinanza e della sentenza impugnate con i provvedimenti conseguenti secondo legge.

Diritto


1. I motivi sopra illustrati sono tutti infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Infondato è l'error in procedendo dedotto sub a.
Pur consapevole dell'esistenza di qualche pronuncia di segno contrario ((vedasi sez. 6, n. 8150 del 29.2.2012, Romero, rv. 262925) il Collegio ritiene di aderire a quell'orientamento di questa Corte di legittimità che ha avuto occasione, anche di recente, di precisare che la notificazione all'imputato del decreto di citazione in appello, eseguita ai sensi dell'art. 157, comma ottavo bis, cod. proc. pen. presso il difensore (che in quel caso era di ufficio, mentre in quello che ci occupa era di fiducia) determina, se l'interessato non "rappresenta" con elementi idonei la mancata conoscenza dell'atto, una nullità a regime intermedio che è sanata se non tempestivamente eccepita nel corso del giudizio d'appello (così sez. 6, n. 9723 del 17.1.2013, Serafino, rv. 254693, fattispecie in cui la Corte ha escluso "deficit" di conoscenza dell'atto da parte dell'Imputato per avere il difensore d'ufficio dapprima svolto la sua attività nel corso di tutto il giudizio d'appello senza mai eccepire alcunché e poi proposto ricorso per cassazione limitandosi a rilevare l'irrituale notificazione senza, tuttavia, lamentare l'ignoranza del suo assistito). E, ancora, più di recente, è stato ribadito che la nullità conseguente alla notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato è di ordine generale a regime intermedio in quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell'atto da parte dell'imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore (sez. 4, n. 40066 del 17.9.2015, Bellucci, rv. 264505).
Peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte, già nel 2004, ebbero modo di precisare che la notificazione della citazione dell'imputato non effettuata presso il domicilio eletto e nemmeno a mani proprie, non integrasse necessariamente una ipotesi di "omissione" della notificazione ex art. 179 cod. proc. pen., ma desse luogo, di regola, ad una nullità di ordine generale a norma dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen., soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184 comma primo, alle sanatorie generali di cui all'art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all'art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art. 180 stesso codice, sempre che non apparisse in astratto o risultasse in concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte del destinatario, nel qual caso integra, invece, la nullità assoluta ed insanabile di cui all'art. 179 comma primo cod. proc. pen., rilevabile dal giudice di ufficio in ogni stato e grado del processo (cosi Sez. Un. n. 119 del 27.10.2004 dep. il 7.1.2005, Palumbo, rv. 229540).
Le stesse SSUU Palumbo ebbero a precisare che l'imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice.
Nel caso in esame, il 24.5.2015, come risulta dagli atti cui questa Corte ha ritenuto di accedere in ragione del tipo di doglianza proposta il decreto di citazione per il giudizio di appello venne notificato a mezzo posta elettronica certificata all'Avv. Omissis sia in proprio che, ai sensi dell'art. 157 co.8 bis, per l'imputato, che pure effettivamente aveva dichiarato altro domicilio.
Tuttavia all'udienza dell'11.6.2015 in grado di appello era presente l'avv. Omissis, difensore va ribadito di fiducia, che ha svolto le proprie difese ed ha concluso, senza nulla eccepire sul punto.
3. Infondati sono anche gli altri motivi di ricorso, con i quali, pur rubricandoli come vizio motivazionale o, alternativamente, come violazione di legge, il ricorrente sollecita, di fatto, a questa Corte una rivalutazione del compendio probatorio evidentemente non consentitale.
L'analisi del percorso motivazionale del provvedimento impugnato mostra come la Corte milanese si sia confrontata in maniera congrua ed argomentata con i motivi di gravame sottopostile senza incorrere, come si avrà modo di evidenziare, in alcuna violazione di legge, ma anzi facendo buon governo dei principi di diritto più volte affermati da questa Corte di legittimità.
Quanto ai dedotti vizi motivazionali, va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009 n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (sez. 2, n. 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica "rispetto a sé stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.
4. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di Milano alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, confutato le argomentazioni, oggi riproposte, secondo cui nel caso che ci occupa il ruolo di garante sarebbe stato rivestito esclusivamente dal geometra GI., espressamente delegato dall'odierno ricorrente, dovendosi attribuirsi prevalente rilevanza alla situazione di fatto.
L'assunto è stato ritenuto privo di fondamento, sul rilievo, in primis, che, dalla documentazione in atti, tra cui i verbali di riunione del coordinamento della sicurezza del 27 agosto 2009, risulta in termini inequivocabili che all'interno del cantiere erano presenti tre imprese: 1. L'impresa Costruzioni Edili G.L. s.r.l. (società appaltatrice); la MB cantieri B. (subappaltatrice) e la MIR Industrielle s.r.l. (subappaltatrice per i lavori di carpenteria). La committente dell'opera generale era la Edil Bloque s.r.l..
G.L. rivestiva non solo la qualifica di legale rappresentante della società appaltante, ma anche quella di direttore tecnico di cantiere e responsabile di cantiere (come i giudici del gravame del merito ricordano desumersi anche dal verbale di coordinamento sicurezza del 27 agosto 2008 (agli atti).
Coerentemente, dunque, la Corte milanese ha ritenuto che l'onere di verificare la corretta adozione di ponteggi adeguati, in relazione al rischio di caduta dall'alto, gravasse in prima luogo nei confronti del G.L., nella sua duplice veste di datore di lavoro e responsabile di cantiere, in conformità alla legge ed al Piano di sicurezza e coordinamento, che era stato predisposto il 14 marzo 2008, con specifico riferimento ai lavori di carpenteria.
Corretta, peraltro, è l'affermazione che si rinviene nella sentenza impugnata per cui lo svolgimento di fatto delle funzioni di responsabile di cantiere da parte del geometra GI., al di là della idoneità della prova sul pulito, in ogni caso non potesse valere ad escludere la responsabilità concorrente del datore di lavoro, direttore tecnico ed a sua volta responsabile, in base ad una specifico conferimento di poteri e funzioni.
5. Il provvedimento impugnato fa buon governo del richiamato principio affermato da questa Corte secondo cui, se è vero che la posizione di garanzia si estende ai preposti senza necessità di un'apposita delega da parte del datore di lavoro, è altrettanto vero che, in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (così questa sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253850, in una fattispecie, analoga a quella che ci occupa, in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata dedotta l'esistenza di un preposto di fatto).
In questa prospettiva, è stato condivisibilmente ritenuto dai giudici di appello che le contestazioni sul conferimento di delega da parte del datore di lavoro all'imputato, al di là dell'ampiezza e del tenore della stessa, non valessero a scalfire l'impianto accusatorio fondato sull'inquadramento di G.L. come legale rappresentante della società appaltatrice dei lavori in corso e direttore tecnico di cantiere e come tale destinatario iure proprio, dell'osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di fatto al geometra GI..
I giudici del gravame del merito ricordano i contenuti dell'art. 97 D.lvo 81/2008 e ne deducono la responsabilità dell'imputato, evidenziando, peraltro, come l'incidente non fosse derivato dall'inadeguato funzionamento di una attrezzatura in origine correttamente installata, bensì dalla carenza originaria di una struttura fondamentale, quale doveva essere considerata l'impalcatura per i lavori in quota.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.
6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 febbraio 2016