Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA
XVII LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

Seduta n. 35, martedì 16 febbraio 2016

SCHEMA DI RELAZIONE INTERMEDIA SULL’ATTIVITÀ SVOLTA


Sommario
INCHIESTE SU SPECIFICHE VICENDE ATTIVATE E CONCLUSE DALLA COMMISSIONE
Premessa
Alcune riflessioni sugli strumenti utilizzabili dalle Commissioni d'inchiesta e sul principio del cd. doppio binario
Inchieste concluse
1 Inchiesta, attivata ai sensi del combinato disposto dell'articolo 4, comma 1, della delibera istitutiva del 4 dicembre 2013 e dell'articolo 11, comma 2, del Regolamento interno, in ordine ai profili di sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro connessi al recente incendio sviluppatosi all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino.
2 Inchiesta, attivata ai sensi del combinato disposto dell'articolo 4, comma 1, della delibera istitutiva del 4 dicembre 2013 e dell'articolo 11, comma 2, del Regolamento interno, in merito alla morte della bracciante agricola, signora Paola Clemente, avvenuta il 13 luglio 2015 ad Andria.
I SOPRALLUOGHI DELLA COMMISSIONE
Sopralluogo a Milano.
Sopralluogo ad Alessandria e Casale Monferrato.
Sopralluogo a Taranto.
L'Assemblea Nazionale sull'Amianto.
Programma delle attività di valutazione delle politiche pubbliche nei settori di competenza della Commissione
ALLEGATO: AUDIZIONI EFFETTUATE DALLA COMMISSIONE

INCHIESTE SU SPECIFICHE VICENDE ATTIVATE E CONCLUSE DALLA COMMISSIONE

Premessa

La Commissione infortuni ha deliberato in quattro casi l'attivazione di inchieste: in data 3 giugno 2015 l'attivazione di una specifica inchiesta in merito ai profili di sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro connessi al recente incendio sviluppatosi all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino; in data 8 settembre 2015 l'attivazione di una specifica inchiesta in merito alla morte di una bracciante agricola, Paola Clemente, il 13 luglio 2015 ad Andria mentre lavorava all'acinellatura dell'uva; in data 27 luglio 2015 l'attivazione di una specifica in chiesta in merito all'incidente verificatosi il 24 luglio 2015 presso la fabbrica di fuochi d'artificio "Bruscella Fireworks" a Modugno; in data 28 ottobre 2015 infine è stata approvata l'attivazione di una specifica inchiesta sul tema della sicurezza sul lavoro negli impianti di estrazione di idrocarburi, in particolare nella zona dell'Adriatico, la predetta inchiesta è stata ampliata in data 19 gennaio 2016 estendendola anche alle restanti attività estrattive (cave, miniere, eccetera).

Alcune riflessioni sugli strumenti utilizzabili dalle Commissioni d'inchiesta e sul principio del cd. doppio binario

In due casi, quindi, la Commissione di inchiesta ha deciso di avvalersi della possibilità di attivare gli strumenti processual-penalistici (ossia sull'incendio di Fiumicino e sul caporalato)
Va precisato, sul piano generale, che nella prassi delle Commissioni di inchiesta si può riscontrare come in alcuni casi esse rinunzino ad utilizzare i poteri spettanti all’autorità giudiziaria, preferendo avvalersi di poteri informali e non coercitivi nei confronti delle persone coinvolte. Si tratta di un’autolimitazione dei poteri della Commissione rispetto a quanto previsto all’art. 82 Cost., che è ispirato al principio del parallelismo dell’inchiesta parlamentare con quella giudiziaria (sia pure nella consapevolezza delle diversità di scopi tra tali due ambiti, come ha sottolineato anche la Corte costituzionale, nella sentenza n. 231 del 1975) e che prevede pertanto una sorta di rinvio "recettizio" alla normativa processual-penalistica vigente.
La questione dei confini entro cui le Commissioni possano modulare i propri poteri di inchiesta, attraverso la potestà regolamentare interna, sembra comunque rilevante, atteso che se da un lato l’accrescimento dei poteri oltre la soglia codicistica impatterebbe con l’esigenza di garanzia dei terzi interessati, dall’altro l’autolimitazione dei poteri stessi potrebbe creare risvolti problematici rispetto alle garanzie delle forze politiche di opposizione, suscettibili di essere inficiate da un’inchiesta parlamentare con poteri inquisitori eccessivamente compressi.
Va preliminarmente evidenziato che il minimo comun denominatore di tutte le tipologie di inchieste pubbliche (giudiziarie, parlamentari e amministrative) può essere individuato essenzialmente in due elementi di fondo, il primo dei quali è costituito dalla sussistenza di un apparato conoscitivo tecnicamente neutrale, mentre il secondo dalla attuazione coattiva del processo conoscitivo, sia pure con una gradazione diversa della coercitività stessa, per quel che concerne specificamente l’inchiesta amministrativa).
Nell’ordinamento italiano, il modello di cui all’articolo 82 Cost., che sancisce il parallelismo tra i poteri delle Commissioni d’inchiesta e quelli dell’Autorità giudiziaria, riveste un carattere vincolante non solo per le Commissioni istituite con semplice deliberazione, ma anche per quelle di origine legislativa, attesa la funzione di garanzia di tale disciplina sia per i diritti dei singoli che per quelli dell’opposizione.
In altri termini, il principio del parallelismo espleta la propria efficacia vincolante nei confronti del legislatore per quel che concerne l’estensione massima dei poteri della Commissione con rilevanza esterna, lasciando, invece, libero il Parlamento di scegliere, nel concreto espletamento di tali funzioni, le forme più congrue per l’inchiesta stessa.
La Corte Costituzionale ha sancito al riguardo il principio del "doppio binario". Nella storica sentenza n. 231 del 1975, partendo dalla diversa connotazione teleologica del potere di inchiesta del Parlamento rispetto a quello spettante all’autorità giudiziaria, è stata invero riconosciuta alla Commissione di inchiesta la facoltà di prescegliere modi di azione "esenti dai formalismi giuridici" (ai quali è, invece, soggetta l’autorità giudiziaria).
Il riconoscimento della possibilità per la Commissione di scegliere anche moduli informali ha legittimato l’uso del potere regolamentare interno da parte delle Commissioni di inchiesta, appunto per pianificare e regolare la "libertà delle forme" e quindi per connotare eventualmente in senso diminutivo i poteri, rispetto al maximum consentito (appunto i poteri dell’autorità giudiziaria).
Nella sentenza n. 231 del 1975, la Corte delinea il diverso profilo teleologico che caratterizza l’inchiesta parlamentare rispetto a quella condotta dall’autorità giudiziaria, evidenziando che il compito delle Commissioni parlamentari di inchiesta non è quello di "giudicare", ma solo di raccogliere elementi e informazioni utili all’esercizio delle funzioni delle Camere. Le relazioni conclusive, approvate dalla Commissione di inchiesta, non producono alcuna modificazione giuridica, come avviene, invece, per gli atti giurisdizionali. In altri termini, l’articolo 82 Cost. ha attribuito alla Commissione di inchiesta solo gli stessi poteri istruttori dell’autorità giudiziaria e non, quindi, i poteri inerenti all’attività giudicatrice della stessa.
In tal prospettiva, la diversa configurazione del profilo teleologico si riflette sulla possibile diversità dei mezzi di cui possono avvalersi le Commissioni di inchiesta, rispetto a quelli utilizzati dall’autorità giudiziaria. Chiarisce la Corte costituzionale che la previsione, di cui all’articolo 82 Cost. (stessi poteri e stessi limiti), è volta a consentire alle Commissioni di inchiesta di superare, all’occorrenza anche coercitivamente, gli ostacoli nei quali le stesse potrebbero imbattersi nell’esercizio delle proprie funzioni. Tale connotazione coercitiva dei poteri inerenti all’inchiesta parlamentare non esclude la facoltà per le Commissioni di scegliere modalità di azione più duttili ed esenti da formalismi giuridici.
I regolamenti interni delle Commissioni d’inchiesta recepiscono il principio della libertà delle forme, disponendo che esse possano procedere all’acquisizione di documenti, notizie ed informazioni nei modi che ritengano più opportuni, anche mediante indagini conoscitive e libere audizioni. In particolare, viene previsto che l’escussione dei testi possa avvenire, a seconda dei casi, mediante libere audizioni o mediante testimonianze formali.
In effetti, apparirebbe illegittima l’ipotetica esclusione della possibilità di utilizzare, per l’esame dei testimoni, le modalità formali previste dalle norme processualistiche, in alternativa alle modalità informali della libera audizione, con la conseguenza che i testimoni potrebbero rifiutarsi di deporre, senza che la Commissione sia in grado di disporre l’esame formale dei testi e, in caso di persistente rifiuto, di ordinarne l’accompagnamento coattivo.
In tal caso (meramente ipotetico), la preclusione della possibilità di escutere formalmente i testi inciderebbe negativamente sull’efficienza dell’inchiesta, intesa come attitudine della stessa ad accertare oggettivamente determinati fatti. Non a caso, nessun regolamento interno delle Commissioni di inchiesta esclude la possibilità per la Commissione di decidere (in alternativa alle modalità della libera audizione) l’escussione di un teste secondo le modalità processualistiche.
Il regolamento della Commissione d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro precisa inoltre che i magistrati incaricati di procedimenti relativi agli stessi fatti che formano oggetto dell’inchiesta sono sempre sentiti nella forma della "libera audizione". Per quanto possa sembrare scontato che tra l’esercizio della funzione giurisdizionale e l’esercizio dell’inchiesta non vi siano rapporti, tale affermazione è contraddetta dall’esame accurato delle situazioni concrete. Possono, infatti, verificarsi circostanze nelle quali il Parlamento, nell’esercizio dei propri poteri di inchiesta, si trovi ad avere rapporti con magistrati, al fine ad esempio di acquisire dagli stessi notizie in loro possesso. Il principio di divisione dei poteri e l’indipendenza della magistratura sancita dall’art. 104 Cost. si pongono in tal caso come un argine ai poteri istruttori della Commissione di inchiesta, nel senso che la stessa non può convocare un magistrato come teste per i fatti appresi nell’esercizio delle proprie funzioni e non può, conseguentemente, disporne l’accompagnamento coattivo, nel caso in cui questi si rifiuti di deporre. In particolare, in un caso è stato audito dalla Commissione il dottor Cantelmo, in merito ai profili di tutela della salute e sicurezza sul lavoro connessi all'amianto, inerenti all'ex Isochimica di Avellino.
Per quanto riguarda, invece, l’utilizzo, da parte della Commissione di inchiesta, dello strumento degli accertamenti tecnici irripetibili (ex art. 360 c.c.p.), si evidenzia che, nella maggior parte dei casi, i regolamenti interni delle Commissioni stesse non disciplinano espressamente tale attività, a differenza di quanto avviene, invece, per l’esame dei testi.
Relativamente a tali accertamenti, è stato sollevato un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato - volto a lamentare una presunta interferenza della Commissione stessa nelle attività dell’autorità giudiziaria - sul quale la Corte Costituzionale si è pronunciata con sentenza n. 26 del 2008. In particolare, nel caso di specie, la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare di "inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin", relativamente ad una decisione assunta dalla predetta Commissione, volta a procedere autonomamente ad accertamenti tecnici sulla vettura sulla quale viaggiava Ilaria Alpi al momento della sua uccisione, con esclusione della possibilità di analogo intervento da parte dell’autorità giudiziaria.
La Procura lamentava che la predetta decisione della Commissione di inchiesta è suscettibile di impedire all’autorità giudiziaria l’esercizio dell’attività di indagine, volta a "raccogliere tutti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale", con violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, sancito dall’articolo 112 Cost., oltre che di quelli di indipendenza ed autonomia della magistratura (ex artt. 101, 104, e 107 Cost.). Il conflitto di attribuzione in questione ruotava intorno alla valutazione se quegli accertamenti, effettuati sulla vettura sopracitata, "dovessero essere sottoposti ad uno svolgimento almeno congiunto", come richiesto dalla Procura di Roma.
A fronte di tali argomentazioni la Camera dei deputati ha rilevato che gli atti compiuti da una Commissione di inchiesta sono "perfettamente utilizzabili dall’autorità giudiziaria", e ciò in conseguenza del pieno "parallelismo tra i poteri e le limitazioni" che entrambe incontrano nell’esercizio delle rispettive funzioni. Osserva, inoltre, che nel caso di specie la Commissione "non solo non ha opposto ostacoli" alla trasmissione alla Procura delle risultanze dell’indagine peritale espletata, "ma ha messo a disposizione della ricorrente la stessa vettura sulla quale gli accertamenti erano stati eseguiti".
Contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura, la Camera dei deputati esclude che il principio di leale collaborazione potesse essere osservato solo con la rinuncia della Commissione a procedere autonomamente, ben potendo essere seguite altre strade, esse pure capaci di salvaguardare le prerogative di entrambi i poteri a confronto.
La Corte costituzionale nella predetta sentenza ha chiarito che la Commissione di inchiesta - "certamente legittimata a disporre lo svolgimento di accertamenti tecnici non ripetibili, potendo nell’espletamento delle indagini e degli esami ad essa demandati esercitare gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria"- avrebbe dovuto, però, "salvaguardare le prerogative della ricorrente autorità giudiziaria, anch’essa titolare di un parallelo potere d’investigazione, costituzionalmente rilevante". La Corte sottolinea la diversità degli scopi dei poteri d’indagine spettanti, rispettivamente, alle Commissioni parlamentari d’inchiesta ed agli organi della magistratura requirente, "che impone di ritenere che l’esercizio degli uni non possa mai avvenire a danno degli altri (e viceversa)", evidenziando che "il normale corso della giustizia non può essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari, potendo e dovendo arrestarsi unicamente nel momento in cui l’esercizio di questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente ed oggettivamente ad essa sottratti e in ordine ai quali sia stata ritenuta la competenza degli organi parlamentari". La Corte conclude, evidenziando la necessità di uno svolgimento congiunto dell’accertamento tecnico irripetibile in questione.
Al di là del caso degli accertamenti tecnici irripetibili, la Commissione infortuni ha operato sempre ispirandosi al principio di leale collaborazione col potere giudiziario, sancito dalla Consulta.
Nel concreto espletamento dei poteri inquisitori, un’altra questione che si pone è quella inerente all’utilizzo della polizia giudiziaria (per lo svolgimento, ad esempio, di ispezioni, perquisizioni o sequestri), la quale, per espressa previsione costituzionale, è assoggettata funzionalmente alla disponibilità diretta dell’autorità giudiziaria (articolo 109 Cost.).
La dottrina si è interrogata sul rapporto intercorrente tra il richiamo per relationem ai poteri dell’autorità giudiziaria, di cui all’articolo 82 Cost. e la disposizione contenuta all’articolo 109 Cost.
Secondo alcuni, l’articolo 109 Cost. si connoterebbe come un limite del potere di inchiesta delle Camere, attesa la valenza inalienabile di tale potere, riconosciuto alla magistratura.. Di conseguenza, seguendo tale impostazione dottrinaria, qualora la Commissione di inchiesta intenda procedere ad un’ispezione, ad una perquisizione o ad un sequestro, dovrebbe rivolgersi all’autorià giudiziaria, chiedendo alla stessa di dare disposizioni volte a consentire l’utilizzo della polizia giudiziaria.
Secondo altra dottrina, il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria, riconosciuto alla magistratura dall’articolo 109 Cost., rientra tra i poteri attribuiti per relationem (ex articolo 82 Cost.) alla Commissione di inchiesta, ravvisandosi un rapporto di integrazione tra le due norme costituzionali in questione.
In realtà, la dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dalla magistratura non può trasmettersi, ex art. 82 Cost., alla Commissione di inchiesta, atteso anche il carattere di "lex specialis" dell’art. 109 rispetto all’art. 82 Cost. Tuttavia, va anche rilevato che a fronte di una richiesta della Commissione di inchiesta, rivolta all’autorità giudiziaria, finalizzata ad ottenere la disponibilità della polizia giudiziaria per l’espletamento di una determinata attività, la Procura non potrebbe rigettare l’istanza senza giustificato motivo, atteso il principio di leale collaborazione tra i poteri, richiamato dalla Corte Costituzionale in relazione allo specifico rapporto tra inchiesta giudiziaria e inchiesta parlamentare.
Nel caso della Commissione infortuni il nodo problematico in questione è stato superato all'origine, in quanto la Commissione dispone attualmente della collaborazione di due ufficiali di polizia giudiziaria, dei quali può avvalersi per l'espletamento dei propri compiti.

Inchieste concluse.

1 Inchiesta, attivata ai sensi del combinato disposto dell'articolo 4, comma 1, della delibera istitutiva del 4 dicembre 2013 e dell'articolo 11, comma 2, del Regolamento interno, in ordine ai profili di sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro connessi al recente incendio sviluppatosi all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino.
In data 3 giugno 2015 la Presidente ha sottoposto alla Commissione la proposta di deliberare, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 11, comma 2 e dell'articolo 15, comma 1 del Regolamento interno della Commissione, l'attivazione di una specifica inchiesta, in merito ai profili di sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro connessi al recente incendio sviluppatosi all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino.
In merito al predetto evento la Commissione potrà avvalersi, oltre che degli strumenti "parlamentari" (previsti dal combinato disposto dell'articolo 16, comma 1 del Regolamento interno della Commissione, e dell'articolo 48 del Regolamento del Senato) anche dei poteri dell'autorità giudiziaria, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, nonché dell'articolo 4, comma 1, della delibera istitutiva del 4 dicembre 2013.
Di volta in volta la Presidente potrà valutare i moduli procedurali più efficaci per l'accertamento dei fatti, adottando l'atto che apparirà più appropriato per le finalità investigative (ad esempio, ispezione, perquisizione, sequestro, assunzione di informazioni ai sensi dell'articolo 362 del codice di procedura penale, eccetera) e avvalendosi quindi, se del caso, anche dei mezzi previsti dal codice di procedura penale (taluni dei quali sono richiamati anche dal regolamento interno della Commissione agli articoli 15, comma 1 secondo periodo, 16, comma 2, 17 e 18). Ha avvertito, quindi, che dopo il dibattito avrebbe posto ai voti, ai sensi dell'articolo 11, comma 2 del Regolamento interno della Commissione, la proposta di attivare una specifica inchiesta in merito ai profili di sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro connessi al recente incendio sviluppatosi all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, nei termini sin qui illustrati, e di dare altresì mandato alla Presidente di adottare di volta in volta l'atto che apparirà più appropriato per le finalità investigative (ad esempio ispezione, perquisizione, sequestro, assunzione di informazioni ai sensi dell'articolo 362 del codice di procedura penale, eccetera).Ha fatto infine presente che l'audizione dei rappresentanti di Aeroporti di Roma S.p.A., effettuata il 19 maggio 2015, non è risultata soddisfacente per le risposte fornite dagli auditi, che su taluni profili hanno assunto un atteggiamento evasivo. Peraltro, non si comprende come in pochi minuti si sia potuto sviluppare un incendio di così ampie dimensioni. Tali circostanze saranno oggetto di verifica da parte della Commissione.
Ha fatto poi presente che nella giornata del 4 giugno 2015 una delegazione della Commissione, composta dalla Presidente e dai senatori Borioli e Pelino, avrebbe effettuato un sopralluogo a Fiumicino, sopralluogo poi avvenuto in data......
La Presidente quindi, previa verifica del numero legale, ha posto ai voti, ai sensi dell'articolo 11, comma 2 del Regolamento interno della Commissione, la proposta di attivare una specifica inchiesta in merito ai profili di sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro connessi al recente incendio sviluppatosi all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino, nei termini sin qui illustrati, e di dare altresì mandato alla Presidente di adottare di volta in volta l'atto che apparirà più appropriato per le finalità investigative (ad esempio ispezione, perquisizione, sequestro, assunzione di informazioni ai sensi dell'articolo 362 del codice di procedura penale, eccetera). La Commissione ha approvato all'unanimità l'attivazione dell'inchiesta.

In data 19 gennaio 2016 la Commissione ha approvato, con modificazioni, all'unanimità la proposta di relazione conclusiva dell'inchiesta - presentata nella seduta del 12 gennaio 2016 - in merito ai profili di sicurezza e salubrità degli ambienti di lavoro connessi al recente incendio sviluppatosi all'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino.

Relazione definitiva circa l’inchiesta in merito all’incendio verificatosi presso l’aeroporto di Fiumicino il 6-7 maggio 2015.

Onorevoli Colleghi,
La presente relazione integra quella intermedia approvata dalla Commissione in data 27 luglio 2015 circa l'accertamento dei fatti, delle cause, delle conseguenze per la salute dei lavoratori e dei profili di sicurezza del lavoro emersi a seguito dell’incendio verificatosi presso il terminal T3 dell’aeroporto di Roma Fiumicino Leonardo Da Vinci nella notte tra il 6 e 7 maggio 2015.

1. Gli atti dell’inchiesta
La Commissione ha proceduto alle audizioni dei rappresentanti della società ADR (concessionaria del sistema aeroportuale della Capitale), dei rappresentanti della ATI Gruppo ECF Spa - NA.GEST Global Service (appaltatrice della manutenzione dell'impianto di condizionamento presso l’aeroporto), dei rappresentanti sindacali di CGIL, CISL, UIL, CUB trasporti, USB, della dr.ssa Musmeci (responsabile del dipartimento ambiente dell'Istituto Superiore di Sanità), del dr. Vito Riggio (presidente ENAC), del Sindaco di Fiumicino Esterino Montino, del Comandante provinciale dei VV.FF. Ing. Marco Ghimenti, del responsabile distaccamento dei VV.F di Fiumicino Ing. Antonio Perazzolo, della dr.ssa Proietti e del dr. Chinni dell'ASL Roma D, nonché ad effettuare un sopralluogo presso lo stesso aeroporto in data 4 giugno 2015.
Si è proceduto ad acquisire una serie di atti e documenti dalle società ADR, ADR Engineering, ADR Security, dall'ASL Roma D, dai VV.FF., dall’I.S.S., dall'ATI Gruppo ECF Spa - NA.GEST Global Service nonché dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia. Dal Presidente dell’Enac è stata prodotta anche la Relazione informativa per il consiglio di amministrazione dell'ENAC depositata in esito all'audizione del 7 luglio 2015. Sono stati inoltre acquisiti documenti comunemente reperibili presso siti internet della società ADR e di altri enti privati e pubblici interessati o banche dati pubbliche (ad es. visure camerali).

2. La dinamica dei fatti
In esito dell'audizione dei funzionari dei VV.FF. e dei dirigenti dell'ASL Roma D la Commissione aveva ritenuto esaustiva la ricostruzione dei fatti (fedelmente ai propri compiti istituzionali e comunque riservando all'Autorità Giudiziaria procedente l'accertamento delle singole responsabilità penali) che qui viene sostanzialmente riproposta, ampliata e precisata per le considerazioni finali riassuntive.
All’aeroporto di Roma Fiumicino Leonardo Da Vinci, all’interno del piccolo vano tecnico E09, di circa 2,50 mq., contenente impianti elettronici (rack di trasmissione dati e telefonia) presso il terminal T3 al piano -1, dalla A.T.I. (ECF-Na.Gest.) - appaltatrice dei lavori di manutenzione degli impianti - mediante ricorso ad un subappalto alla Johnson Control era stato collocato un condizionatore mobile per il raffreddamento dell’aria in sostituzione di altro sistema permanente (fan-coil) disattivato in ragione dei lavori eseguiti in locali adiacenti. Il vano - cui si accedeva soltanto su autorizzazione di ADR o della Polizia di Frontiera - era senza ricambio di aria e dotato di una sonda di rilevamento della temperatura ambientale volto a segnalare al centro di controllo ADR il superamento della temperatura (26°-27,5°).
In particolare il 23 gennaio 2015 la Direzione infrastrutture Property e Aree commerciali di ADR, richiedeva ai diversi appaltatori urgentemente di "scollegare/sezionare gli impianti meccanici di condizionamento e di estrazione aria" nel Terminal 3; veniva quindi scollegato il fan-coil (v. comunicazione del 27 gennaio 2015).
Nei mesi successivi (13 aprile e 15 aprile 2015) v'erano segnalazioni di preallarme per temperature superiori alla norma (26°) rilevate anche all'interno del locale E09; successivamente (18 aprile, 21 aprile e 22 aprile 2015) vi erano varie segnalazioni di allarme per temperature superiori (da 27,5° a 30,1°). Seguivano interventi di verifica seguiti dall'installazione di un condizionatore portatile denominato "pinguino".
Si è trattata di una scelta incauta richiesta da ADR, atteso che anche dopo tale istallazione si sono verificati nuovi preallarmi, a dimostrazione della scarsa attenzione anche tecnica con cui si era adottato un rimedio all'interruzione del fan-coil.
L'azienda preposta alla manutenzione si limitava a ripristinare il condizionatore mobile e quindi a reiterare le condizioni che già avevano portato non al raffreddamento ma addirittura al surriscaldamento del locale. Infatti ciò portava a un circuito chiuso di aria fredda-calda sempre all’interno dello stesso locale. Ancora poche ore prima dell'incendio veniva segnalato dai tecnici operativi della manutenzione di ADR con mail del 6 maggio 2015 alle ore 21.11 (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) che il "pinguino... spesso si ferma per allarme. La temperatura media è di 28°-30° necessita condizionare il locale", e si evidenzia "che molti tecnici della ditta Ciotola non sono abilitati per accedere ai locali tecnici necessita sollecitare chi di competenza".
Tale chiara segnalazione è indicativa della piena consapevolezza da parte di ADR (quale committente) e dell'A.T.I. ECF-NA.GEST (quale appaltatrice) del rischio di surriscaldamento e dell'inutilità o addirittura pericolosità diretta dell'installazione del "pinguino".
Non segue nelle ore successive alcun intervento nel locale tecnico E09. Ciò dimostra l'incapacità di gestire il rischio (ormai diventato pericolo e imminente danno) con operatività preventiva tra committente e appaltatore. Dalla ricostruzione dei VV.FF. emerge che il condizionatore, surriscaldando ulteriormente la temperatura nel locale, chiuso da una porta, innescava la fiamma che trovava rapido sviluppo.
Infatti intorno alla mezzanotte tra il 6 e 7 maggio 2015, dal collegamento tra il condizionatore e la rete elettrica si sviluppava una fiamma con conseguente fuoriuscita di fumo che veniva registrata dalla telecamera di sorveglianza installata all'interno del locale e avvertita dall’esterno del vano da operatori dei vicini esercizi commerciali.
Alle ore 23.59 il fumo invadeva il locale E09 e lo saturava in pochissimi secondi. Nel bar Gustavo adiacente al locale E09 veniva notato denso fumo nero fuoriuscire da una griglia dell'impianto di aerazione situata dietro un frigorifero, che di lì a poco esplodeva.
Un primo intervento di contrasto con estintori avveniva da parte di due agenti della Polizia di Stato i cui uffici erano a breve distanza dal luogo delle prime fiamme. Si tratta di un primo intervento urgente, particolarmente coraggioso ma improvvisato e avulso da qualsiasi procedura sistematica di emergenza antincendio.
La segnalazione dell’incendio, quindi, giungeva dalla Polizia di Frontiera alla sala operativa dei VV.FF. alle ore 00.05 del 7 maggio 2015, ed era attivata la procedura prevista dal "manuale verde" alle ore 00.07. Il primo intervento dei VV.FF. avveniva alle ore 00.12.
Si è trattato di ben sette minuti dalla segnalazione della Polizia, e non dalla diffusione di fumo che era stato avvertito evidentemente prima; minuti di certo rilevanti per lo sviluppo dell’incendio, quando un intervento diretto e immediato di addetti alla lotta antincendio avrebbe potuto impedire che la fiamma si propagasse.
Non sono emerse al riguardo misure o procedure di inibizione dello sviluppo di fiamma.
Si badi che le tecniche di ingegneria antincendio attribuiscono pacificamente alla prima segnalazione di surriscaldamento e/o di fumo il valore non soltanto di allarme ma soprattutto una determinante efficacia preventiva dell’ulteriore propagazione e sviluppo del calore in fiamma e, quindi, in fuoco e incendio, atteso che i rilevatori antincendio consentono di allarmare e quindi di intervenire per soffocare qualsiasi fiamma prima che si propaghi.
Alle ore 00.02 del 7 maggio 2015 infatti divampavano le fiamme nel locale e le prime squadre dei VV.FF. intervenivano sul posto alle 00.12.
L'accesso dei VV.FF. inizialmente avveniva lato landside (dove entrano i passeggeri). Verificato tuttavia che l'area dove si era sviluppato l'incendio verteva lato airside (area sterile oltrefrontiera) e, data la difficoltà di individuare e raggiungere il punto di origine dell'incendio, le operazioni di spegnimento iniziavano con un ritardo di circa 35-40 minuti.
La prima squadra dei VV.FF. tentava inutilmente da più accessi di penetrare verso la zona da cui originava il fumo (ballatoio, area transiti, corridoio retrostante i negozi) e quindi doveva adottare una strategia di intervento alternativa sostanzialmente per l’impossibilità di accesso alle scale esterne lato airside. Soltanto alle ore 00.40 le squadre accedevano iniziando lo spegnimento dell'incendio.
Tali operazioni sono state ulteriormente ostacolate dal ritardo nello spegnimento dell'impianto di condizionamento, che ha consentito che l'ossigeno continuasse ad alimentare il rogo.
Quindi riguardo la prevenzione e protezione antincendio è possibile evidenziare due segmenti temporali e logistici che hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo dell’incendio:
1) il primo di almeno sette minuti intercorrente tra lo sviluppo della fiamma e l’intervento della squadra dei VV.FF. durante i quali soltanto i due agenti della Polizia di Stato tentavano invano di fronteggiare il fuoco con gli estintori disponibili e di far evacuare i lavoratori e i passeggeri presenti.
2) il secondo di altri 33 minuti dalla richiesta di intervento (circa 40 dall’inizio della fiamma) in cui i VV.FF. non riuscivano ad iniziare l’opera di spegnimento perché non potevano entrare e avvicinarsi al luogo teatro dell’incendio.
Si deve notare che per quasi 40 minuti la veloce propagazione dell’incendio per centinaia di metri (il fuoco procedeva alla velocità di dieci metri a minuto) coinvolgeva buona parte del terminal T3, non trovava nessun ostacolo e nessuna forma di efficace contrasto per la sostanziale inesistenza di misure effettive, idonee e proporzionate al volume di fuoco e per l’impossibilità di accesso da parte delle squadre dei VV.FF.
Alle ore 4.40 veniva sospeso il servizio Leonardo Express che collega la stazione Termini a Fiumicino, dove altresì arrivavano treni vuoti per l'evacuazione dello scalo aeroportuale.
Alle 5.36 la Polizia Stradale chiudeva le principali strade verso l'aeroporto di Fiumicino per isolare lo scalo e farvi accedere soltanto i mezzi di soccorso (si tratta della Roma-Fiumicino, in direzione aeroporto, e dello svincolo G.R.A. Roma-Civitavecchia).
Nonostante l’intervento di numerose squadre di VV.FF. da diversi distaccamenti, il fronte delle fiamme veniva fermato alle ore 5.50 e l’incendio veniva posto sotto controllo alle ore 6.30. Quindi quasi sei ore che divoravano la struttura aeroportuale del Terminal T3.
Il completo spegnimento di ogni focolaio avveniva alle ore 10.00 circa del 7 maggio. Alle ore 10.10 l'Anas riapriva le principali vie di comunicazione da e per l'aeroporto, ma il traffico restava congestionato.
Si noti che durante e subito dopo l'evento incendiario si imponeva la chiusura delle autostrade serventi l’aeroporto e la sospensione del traffico aereo fino alle ore 14 del 7 maggio 2015 che nelle settimane successive subirà una drastica riduzione del 40-50 %.
Nella giornata del 7 maggio la società ADR, che gestisce in concessione l'aeroporto di Fiumicino, incaricava la multinazionale Belfor, specializzata in recovery disaster, della messa in sicurezza e della bonifica del Terminal 3.

3. L’ambiente di lavoro dopo l’incendio
La società ADR subito dopo l'evento incaricava – oltre la società Belfor specializzata in gravi emergenze - la società HSI Consulting per i rilievi ambientali sulla qualità dell’aria.
La società ADR si assumeva il coordinamento delle operazioni di recupero e bonifica della vasta area coinvolta dall’incendio. Nel corso dell’audizione del dr. Mangano, quale responsabile delle risorse umane di ADR, emerge che tale coordinamento sarebbe stato assunto volontariamente da ADR senza alcuna norma che ne imponesse il relativo obbligo. Si tratta di una considerazione errata atteso che ADR prima e dopo l’incendio avrebbe dovuto coordinare tutti i datori di lavoro presenti e non soltanto ai fini dell’emergenza e del post-emergenza in una struttura che ospita 42 milioni di utenti all’anno, circa 40.000 lavoratori a turno, con oltre 130 datori di lavoro compresenti.
La principale questione che ha impedito il pieno ripristino dell’attività aeroportuale nelle settimane successive è stata costituita non tanto dalla ricostruzione del terminal T3 – che a seguito dei gravi danni necessitava di interventi strutturali da realizzare nel tempo – ma soprattutto dalle condizioni di salubrità dell’aria nelle zone contigue tra cui il molo D a seguito della combustione dei materiali.
Al riguardo dalle audizioni e dalla lettura del corposo carteggio tra i vari enti coinvolti (ARPA, ISS, ASL, ENAC, ADR) emerge un’uniformità dei dati rilevati nel monitoraggio dalla società HSI Consulting, dall’ARPA e dall’ISS ma con una diversa considerazione circa i valori di tollerabilità in un ambiente di lavoro per molte sostanze nocive per la salute (ad es. toluene, diossina etc) prodottesi a causa dell’incendio.
Da un lato, emergeva una diversa valutazione dei risultati delle analisi ambientali dell'aria circa la considerazione dei limiti di esposizione professionale (sostenuti da ENAC e ADR) ritenuti "inappropriati per ambienti indoor professionali non industriali, ai quali sono ascrivibili gli ambienti di lavoro aeroportuali" (così nella comunicazione dell'ASL Roma D del 20 giugno 2015). Il tema su cui si è dibattuto - attorno ai provvedimenti cautelari reali - verte sul parametro di riferimento per garantire la salute dei lavoratori e di tutte le persone presenti sul luogo di lavoro, sul contesto di riferimento (ambiente industriale o ambiente indoor professionale) e sull’autorità sanitaria cui attingere (OMS o ACGHI).
Al riguardo si legga l'Accordo tra Ministero della Salute e le Regioni del 27 settembre 2001 (Linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati), la Conferenza Permanente approva il documento sulla qualità dell'aria.
Al punto 1) si prevede che per ambiente indoor si devono intendere tutti i luoghi confinati "di vita e di lavoro non industriali...ed in particolare quelli adibiti a dimora, svago, lavoro e trasporto" e comprende tra gli altri "le strutture comunitarie...ed infine i mezzi di trasporto pubblici e/o privati (auto, treno, aereo, nave etc)". Di talché non vi possono essere dubbi che l'aeroporto sia da qualificare quale ambiente indoor con la conseguente considerazione di valori più restrittivi. Ciò anche perché "i livelli di concentrazione che gli inquinanti raggiungono all'interno degli edifici generalmente sono uguali o superiori a quelli dell'aria esterna e soprattutto le esposizioni indoor sono maggiori di quelle outdoor, principalmente perché la quantità di tempo trascorso dalle persone all'interno degli edifici, rispetto a quello trascorso all'esterno, è di un ordine di grandezza maggiore" (V. Accordo cit. punto 2).
Sul punto si evidenzi comunque che in qualsiasi ambiente di lavoro non è il parametro di riferimento a rendere lecita un’attività ma "l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico" e "la sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso"(art. 15.1 lett c) e f) d.lgs 81/08).
Sulla base dei dati raccolti prima dall’ARPA e poi elaborati dall’ISS, quindi, l’Autorità Giudiziaria di Civitavecchia procedeva al sequestro del Molo D interessato dalla presenza di sostanze nocive e occupato da attività lavorative. Una volta rientrati i valori entro i limiti indicati dall’ISS, il Molo D è stato dissequestrato.

4. Le cause dell’incendio
Dagli elementi acquisiti durante l’inchiesta emergono una serie di cause tecniche, procedurali e organizzative dell’incendio, una serie di comportamenti attivi e omissivi che hanno contribuito eziologicamente all’evento nonché l’inesistenza e/o l’inefficienza delle misure di prevenzione e protezione antincendio.
Tra le cause tecniche si possono determinare:
1) Il collocamento dell’impianto manuale di raffreddamento all’interno di un vano chiuso, non aerato, che portava a un ricircolo interno, a un surriscaldamento e alla fiamma lungo il contatto elettrico.
2) La scelta di tale collocamento in sostituzione di altro sistema disattivato per via dei lavori edili in corso in modo improvvisato o sprovveduto senza alcuna verifica tecnica.
3) L’omessa valutazione del rischio incendio in relazione all’impianto improvvisato e al contesto di collocamento (vedi i materiali presenti, le condizioni dei controsoffitti, il contiguo esercizio commerciale di bar dove v’erano altre fonti di rischio o possibili concause, ad es. frigoriferi alimentati a gas).
4) Il mancato spegnimento dell’impianto di condizionamento che continuava ad emanare aria quando invece le procedure antincendio impongono di soffocare e non di alimentare l’areazione.
5) L’inutilità del rilevamento antincendio se non seguito da un intervento operativo di verifica. Sorprende al riguardo che le procedure non prevedessero un intervento al primo ma soltanto ai successivi allarmi.
Tra le cause procedurali e/o organizzative si possono determinare:
1) L’omessa valutazione del rischio incendio effettiva, completa, esauriente, organica, sistematica e soprattutto concreta in relazione alla complessità della struttura.
Si noti innanzi tutto che tale valutazione per un luogo di lavoro con circa 40.000 lavoratori per turno, facenti capo a circa 130 diversi datori di lavoro, in presenza di 42 milioni all’anno di passeggeri, non è soltanto una ricognizione dell’entità del rischio, delle misure preventive e protettive adottate e da adottare ma anche "l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri" (art. 28.2 lett. d) d.lgs 81/08).
Quindi in relazione alla complessità della struttura e a tutte le persone presenti, a tutta l’attività svolta in quel luogo, una concreta ed esauriente valutazione del rischio non poteva essere la mera sommatoria delle valutazioni del rischio di oltre 130 diversi luoghi di lavoro ma doveva prevedere e attuare un’unica procedura di sicurezza, per l’intera struttura, promossa e coordinata dal datore di lavoro che ospita gli altri datori.
Nel caso specifico, ADR spa avrebbe dovuto adottare una politica aziendale sulla sicurezza comprensiva di tutti gli aspetti e le interferenze riguardanti anche le attività lavorative esercitate dagli altri datori di lavoro, sia quale committente (ex art. 26 d.lgs. 81/08 o per i cantieri, qual è considerata l'attività affidata in appalto all'A.T.I. ECF-Na.Gest. ex artt. 88 ss d.lgs. 81/08), sia quale soggetto tenuto a garantire "la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o pubblici uffici" ex art. 18.3 d.lgs. 81/08 (in aeroporto sono presenti diversi uffici pubblici: forze di polizie, agenzia delle dogane, servizi sanitari etc), sia infine quale concedente in uso dei locali in cui si svolgono attività commerciali o servizi vari ex art. 23 d.lgs 81/08.
2) L'assenza e insufficienza del coordinamento e della cooperazione previsti dal titolo IV del d.lgs. 81/08.
Atteso che l'appalto affidato all'A.T.I. (ECF-Na.Gest.) rientra nel campo di applicazione del titolo IV del d.lgs. 81/08 in materia di cantieri temporanei e mobili (così ha previsto anche ADR), a prescindere dalla considerazione se l'installazione del "pinguino" rientrasse o meno nell'oggetto dell'appalto, si noti che l'adozione di tale apparecchiatura (da diverse settimane durante cui c'erano stati diversi preallarmi, allarmi e richieste di interventi) non era stata prevista dal POS (piano operativo di sicurezza) o dal PSC (Piano di sicurezza e di coordinamento) e soprattutto non è stata oggetto di alcun intervento da parte del Coordinatore per la sicurezza e progettazione (CSP) e dal Coordinatore per l'esecuzione (CSE) .
Quest'ultimo soggetto nominato dal committente ADR in base all'art. 92 d.lgs. 81/08 avrebbe dovuto:
a) verificare "con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione da parte delle imprese esecutrici...delle disposizioni loro pertinenti...e la corretta applicazione delle procedure" (lett. a);
b) verificare "l'idoneità del piano operativo di sicurezza..." e adeguare tale piano "in relazione all'evoluzione di lavori ed alle eventuali modifiche intervenute" (lett. b);
c) soprattutto contestare all'impresa esecutrice le violazioni in materia di sicurezza segnalandole al committente ADR e proponendo l'allontanamento dell'impresa, la sospensione dei lavori o infine la risoluzione del contratto di appalto.
Nulla di tutto questo risulta osservato. E si ricordi che in base all'art. 93.2 d.lgs. 81/08 "la designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi" di cui ...(anche) all'art. 92 d.lgs.81/08.
ADR era ben a conoscenza del pericolo di incendio (come dimostrano le mail e le richieste di intervento inviate fino a poche ore prima dell'incendio) ma non risulta che abbia rilevato alcunché sull'operato del CSE.
Non risulta condivisibile in proposito la tesi consegnata a questa Commissione nella nota inviata dall'A.T.I. ECF-Na.Gest. laddove si esclude la necessità che il pericolo indotto dall'uso del condizionatore mobile dovesse essere oggetto della valutazione dei rischi interferenziali (c.d. DUVRI).
Invero si consideri che laddove si applica il titolo IV d.lgs. 81/08 (norma speciale) in base al principio di specialità (ribadito dall'art. 298 d.lgs. 81/08) non si applica l'art. 26 stesso decreto (norma generale): non perché l'interferenza dei rischi non rileva ma perché viene valutata specificamente nell'ambito del POS e del PSC, con relative responsabilità da parte di committente, responsabile dei lavori, coordinatori, imprese esecutrici e affidatarie. Si leggano gli artt. 96.2 (PSC e POS "costituiscono adempimento" agli artt. 17, 26 e 29) e 89 lett. h) d.lgs. 81/08.
A nulla rileva a cosa fosse adibito il locale tecnico e se fosse ad accesso riservato perché comunque apparteneva al luogo di lavoro e comportava un rischio per le persone, l'attività, le strutture (come i fatti purtroppo hanno dimostrato).
3) Il documento di valutazione del rischio di ADR spa e delle altre società collegate ADR Engineering e ADR Security, almeno sotto il profilo antincendio, presenta una visione riduttiva, parcellizzata, astratta.
Tale documento si limita sostanzialmente a descrivere un assetto normativo e a rinviare la soluzione di un evento incendiario all’attivazione di un allarme verso la centrale operativa, non tenendo conto di aspetti formativi, informativi, organizzativi, logistici, emergenziali, sanitari, psicologici, ergonomici tipici di una struttura complessa in cui quotidianamente sono presenti oltre 120.000 lavoratori e almeno altrettanti passeggeri o utenti.
Ciò a dispetto dell’art. 18 lett. t) d.lgs. 81/08 che per le misure antincendio da adottare impone l’adeguatezza "alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda …e al numero delle persone presenti". Si badi: non lavoratori o dipendenti ma "persone presenti", quindi anche i lavoratori di altri datori e i passeggeri.
La medesima disposizione rinvia all’art. 43 d.lgs 81/08 laddove alla lett. e) impone al datore di lavoro di adottare provvedimenti "necessari affinché qualsiasi lavoratore [quindi anche quello non proprio dipendente], in casi di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza o per quella di altre persone [ad es. i passeggeri] e nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo…".
4) L’assenza di squadre antincendio, di soggetti addetti all’emergenza/evacuazione effettivamente operativi sul luogo dell’incendio e quindi l’assenza di monitoraggio su tale personale nei primi momenti dell’evento.
Si noti che per i primi 40 minuti circa – un tempo lunghissimo che favoriva la propagazione delle fiamme - il contrasto antincendio era autogestito da due agenti di polizia maneggiando gli estintori disponibili e l’evacuazione era improvvisata poiché affidata all’istinto di fuga dei presenti. Da nessuna audizione o documento è emerso l’intervento di lavoratori addetti alla lotta antincendio, all’evacuazione in caso di pericolo, al salvataggio, alla gestione dell’emergenza ai sensi degli artt. 43 lett b) e 18 lett. b) d.lgs 81/08.
Invero anche i VV.FF. nelle prescrizioni ex d.lgs 758/94 dispongono di "organizzare squadre dedicate di addetti antincendio, in possesso di attestato di idoneità tecnica …che devono poter svolgere attività di sorveglianza e controllo dell’efficienza dei presidi e sistemi di protezione attivi e passivi" (punto 3 della comunicazione del Comando provinciale VV.FF. di Roma inviata ad ADR in data 11 giugno 2015, in cui si riassumono le prescrizioni).
5) L’assenza di una regia unica del primo intervento e dell'evacuazione.
Come osservato nel corso del sopralluogo eseguito dalla Commissione, nel lungo tratto interessato dall’incendio erano normalmente presenti decine di esercizi commerciali, con relativi addetti, nonché passeggeri in proporzione elevatissima rispetto ai dipendenti ADR. Sicché lo studio, la predisposizione, l’addestramento e l’esecuzione del primo intervento antincendio non poteva essere affidata all’iniziativa autogestita, autonoma di ciascun datore di lavoro esercente l’attività nel luogo concessogli ma doveva essere curata dalla regia di ADR quale ente gestore di tutto l’aeroporto.
6) L’impossibilità di accesso immediato da parte dei VV.FF. al luogo dell’incendio.
I VV.FF. impiegavano circa 40 minuti dalla chiamata all’inizio dello spegnimento nonostante fossero sul luogo dopo pochi minuti. Sono tempi di intervento incompatibili con la più grande struttura aeroportuale italiana che stabilmente ha al suo interno una quota di VV.FF. : è di tutta evidenza la mancata organizzazione dei "necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza" come preteso dall’art. 43 lett. a) d.lgs 81/08.
7) L’assenza di valutazione dell’interferenza dell’emergenza con i servizi pubblici, le vie di comunicazione autostradali e ferroviarie funzionali all’aeroporto.
L’entità dell’incendio comportava ingentissimi danni sia nelle prime ore (la chiusura dell’aeroporto, delle autostrade, dei collegamenti ferroviari, il dirottamento del traffico aereo su altri scali) sia nelle settimane successive (la sospensione del traffico aereo nella misura del 40-50%, in parte annullato e/o dirottato su Ciampino, che a sua volta rimaneva congestionato) .
Si tratta di un ulteriore gravissimo danno che ha concretizzato il pericolo ("proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni", art. 2.1 lett. r) d.lgs 81/08) e il rischio ("proprietà di raggiungimento del livello potenziale di danno…", art. 2.1 lett. s) d.lgs.81/08) che avrebbe dovuto costituire oggetto della valutazione del rischio, delle misure di protezione attuate e delle procedure di sicurezza da adottare ai sensi dell’art. 28.2 lett. b) e d) d.lgs. 81/08.

5. L’organizzazione della sicurezza all’interno dell’aeroporto Leonardo Da Vinci
Le peculiarità dell’aeroporto di Fiumicino avrebbero dovuto comportare una diversa organizzazione in materia di sicurezza.
In particolare si consideri che:
a) Trattasi del più grande aeroporto italiano con oltre 100 compagnie aeree, decine di milioni di passeggeri all’anno, decine di migliaia di lavoratori per ogni turno di lavoro; quindi il più grande luogo di lavoro del Lazio.
b) L’aeroporto di Fiumicino costituisce un obiettivo sensibile per atti dolosi, non dimentichi degli episodi che lo videro teatro di due gravissimi attentati terroristici di matrice araba; di conseguenza i piani di emergenza devono essere commisurati alle caratteristiche del luogo a prescindere dalle ipotetiche cause.
c) All’interno dell’aeroporto è presente un numero altissimo di lavoratori pubblici e privati, facenti capo ad oltre 130 diversi datori di lavoro che non hanno di regola nessun rapporto tra loro, ma che operano nello stesso luogo e devono condividere le medesime procedure di sicurezza sia per la prevenzione sia per la protezione.
d) Vi sono esercitate stabilmente centinaia di attività, eterogenee, pubbliche e private, commerciali e non, di servizio (sanità, logistica, trasporti ferroviari e su gomma) etc che rendono l’aeroporto un luogo vastissimo e complesso in cui sono presenti le maggiori sinergie di rischio.
Pertanto in una struttura così complessa sia la prevenzione (si pensi alla formazione-informazione-addestramento sull’emergenza di tutti i lavoratori) sia la protezione (adozione e attuazione di un piano di emergenza e di evacuazione, il sistema antincendio, il collegamento con i servizi pubblici) non potevano gestirsi con criteri di mera osservanza burocratica della normativa di sicurezza.
È fondamentale per chi gestisce un aeroporto il governo reale della sicurezza di tutto il luogo attraverso un effettivo coordinamento e cooperazione tra tutti i datori di lavoro compresenti. Ciò in primo luogo per i lavori in appalto o comunque concessi a ditte esterne ex art. 26 d.lgs 81/08 o in base agli artt. 88 ss d.lgs 81/08 (se trattasi di cantiere temporaneo o mobile, come nel caso concreto).
Al riguardo la A.T.I. (mandataria Gruppo EFC Spa e mandante Na.Gest. Global Service Srl) è titolare di un contratto stipulato il 14 febbraio 2014 per la manutenzione, gestione, conduzione di "tutti gli impianti di condizionamento" (capitolato speciale d'appalto, all. A1) ma dall'oggetto contrattuale sono esclusi gli "impianti e quadri elettrici di centrale o di piano, a monte del quadro a bordo macchina/attrezzatura" (art. 4).
Di talché il collocamento dell'impianto mobile di raffreddamento rappresenta una decisione che doveva assumersi in esito ad una valutazione del rischio interferenziale (nel PSC e nel POS), con un'opera di coordinamento (dell'appaltatore e del subappaltatore) da parte di ADR spa nonché dopo la verifica anche da parte della citata A.T.I. della sicurezza dell'apparecchiatura installata (che si rivelerà alla base dell'incipit dell'incendio).
Inoltre, ma ancor prima delle singole disposizioni statali, non si poteva trascurare il principio generale - presente in tutte le direttive comunitarie poste a base della normativa in materia di sicurezza del lavoro - che affida indefettibilmente al dominus di un’organizzazione complessa la regia responsabile di tutti gli altri datori di lavoro.

6. La responsabilità dell’ente (d.lgs 231/01)
Tale principio trova fondamento nella nostra legislazione nell’applicazione della responsabilità degli enti per i reati di lesioni gravi o gravissime e di omicidio colposo secondo il d.lgs. 231/01.
Con la legge 123/07 e poi con il d.lgs. 81/08 si chiede agli organi apicali degli enti che vogliono evitare tale responsabilità di attuare efficacemente un modello di organizzazione e di gestione espressione di "una politica aziendale per la salute e sicurezza" (art. 2.1 lett. dd) d.lgs. 81/08).
Al riguardo possono porsi alcune considerazioni:
1) La prima, in concreto, riguarda la lettura del modello adottato da ADR spa per l’aeroporto di Fiumicino laddove v’è una mera descrizione di misure astratte se non la ripetizione di dati normativi (pag.9 e parte speciale C), senza evidenziare quali siano gli interventi effettivi per la gestione di un sistema di messa in sicurezza in caso di incendio o altra emergenza al fine di impedire i reati di lesioni o omicidio.
2) ADR spa è concessionaria dall’ENAC fino al 30 giugno 2044 della gestione dell’intero "sistema aeroportuale della Capitale" (Fiumicino e Ciampino) ai sensi della legge 755/73 e dell’art. 17, comma 34 bis d.l. 78/09 conv. in l. 102/09 e del DPCM 21.12.2012, ed ha come scopo sociale anche la gestione unitaria di tale sistema aeroportuale nonché la progettazione e costruzione delle infrastrutture, le opere di ammodernamento, le manutenzioni, innovazioni, completamenti ed ampliamenti di tale sistema e la gestione dei servizi aeroportuali anche mediante appalti o subconcessioni.
3) ADR spa è controllata da Atlantia spa che esercita su ADR poteri di direzione e di coordinamento ex artt. 2497 e ss c.c.; ADR a sua volta controlla ed esercita i medesimi poteri su altre società (come ad es. ADR security srl, Airport Cleaning srl etc).
4) ADR spa ha adottato il Codice etico del gruppo Atlantia SpA.
5) Il modello di organizzazione e di gestione ruota attorno anche al sistema di deleghe e procure (richiamato a pag 13 del M.O.G.).
Di talché si può osservare che il modello di organizzazione e gestione dell’aeroporto di Fiumicino, almeno sotto il profilo della sicurezza, nell’ambito di tutto il gruppo Atlantia, non soltanto per ADR spa, avrebbe potuto avere un’effettiva idoneità a prevenire reati contro la persona in materia di sicurezza del lavoro, se le generiche disposizioni avessero avuto un’efficace attuazione. E’ compito dell’Autorità Giudiziaria procedente accertare se vi sono gli estremi di tale responsabilità di ADR spa e della capogruppo controllante Atlantia spa in ordine ai reati di lesioni almeno gravi cagionate ai lavoratori.
Sul piano normativo si deve rilevare, però, che la responsabilità degli enti è prevista in materia di sicurezza del lavoro soltanto per i reati di lesioni (gravi o gravissime) e di omicidio e non per altri reati quali ad es. l’incendio, il disastro innominato, l’omissione di cautele antinfortunistiche etc.
Nel caso degli eventi oggetto dell’inchiesta, quindi, la responsabilità de qua si potrà applicare per i reati di lesioni che saranno accertati ma paradossalmente non per il reato di incendio che invece – come insegna il caso di Fiumicino - appare direttamente riconducibile a fattori organizzativi e gestionali della sicurezza.
Si tratta di una lacuna normativa che dovrà essere colmata dal legislatore anche al fine di evitare un’irragionevole e quindi incostituzionale disparità di trattamento tra reati meno gravi (che danno luogo alla responsabilità dell’ente) e reati più gravi (che invece non danno luogo a tale responsabilità).

7. La normativa antincendio per gli aeroporti
In ordine agli eventi de quibus occorre soffermarsi sull’applicabilità agli aeroporti della normativa antincendio sulla base del DPR 151/2011 i cui termini di adeguamento sono stati prorogati da ultimo dal DL 192/2014 conv con L. 11/2015, al 7 ottobre 2016. Si tratta di termini imminenti, se si considerano gli adempienti necessari, e già oggetto di proroghe.
Il D.M. 17 luglio 2014 prevede la normativa tecnica di prevenzione incendi per le aerostazioni con superficie aperta al pubblico superiore a 5000 mq, come appunto l’aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino.
In proposito si deve evidenziare che in data 11 settembre 2014 ADR spa presentava istanza di valutazione del progetto relativo al terminal T3 ottenendo "parere favorevole ma con prescrizioni" da parte del Comando provinciale VV.FF. di Roma.
Si noti che dopo l’incendio i VV.FF. in data 11 maggio 2015 rilevano che "lo stato dei luoghi rappresentato nella documentazione tecnica allegata all’istanza non corrisponde fedelmente a quello in essere al momento dell’evento, trattandosi di un progetto di ristrutturazione ed adeguamento".

8. I VV.FF. quale organo di vigilanza
Di certo a seguito dell’incendio e specificamente del sopralluogo del 7 maggio 2015 del Comando provinciale dei VV.FF. di Roma emerge che "l’attuale sistemazione dell’attività non è integralmente conforme alle norme applicabili di prevenzione incendi", tant’è che "per le suddette difformità alle norme di sicurezza, relative anche al D.LVo 81/08, sono state adottate le procedure di legge in vigore elevando verbali ai sensi del D.Lvo 758/94 ai contravventori individuati".
Si tratta in effetti di prescrizioni che evidenziano numerose violazioni alla normativa di sicurezza antincendio (con conseguente fissazione di perentorie nuove condizioni di esercizio) che se fosse stata osservata avrebbe potuto evitare lo sviluppo devastante dell’incendio: sala di controllo con sistema di video sorveglianza, in grado di fornire un collegamento video con la zona da cui perviene la segnalazione, squadre di addetti antincendio con capacità di intervento e assistenza in caso di emergenza, separazione compartimentazione delle zone in disuso, sistema automatico di rilevazione incendi anche nei vani nascosti, efficienza e illuminazione dell’impianto di sicurezza, rimozione dei materiali combustibili anche nelle controsoffittature, delocalizzazione e razionalizzazione dei locali tecnici, piano di emergenza e evacuazione etc.
La lettura di tali prescrizioni suggerisce alcune considerazioni sui controlli effettuati prima dell’incendio da parte dei VV.FF.
Infatti le violazioni riscontrate dai VV.FF. in materia antincendio dopo l’evento del 6-7 maggio 2015, attengono a requisiti di sicurezza che avrebbero potuto essere rilevati anche prima e che attenevano alla stessa struttura e organizzazione dell’aeroporto. Se "lo stato dei luoghi rappresentato nella documentazione tecnica allegata all’istanza non corrisponde fedelmente a quello in essere al momento dell’evento, trattandosi di un progetto di ristrutturazione ed adeguamento" e se "l’attuale sistemazione dell’attività non è integralmente conforme alle norme applicabili di prevenzione incendi", è legittimo interrogarsi se e quali siano stati i controlli da parte dei VV.FF. competenti territorialmente su Fiumicino. Tale interrogativo pretende una risposta sulla diligenza, attenzione, frequenza con cui è stato esercitato il potere-dovere di vigilanza antincendio.
Occorre in proposito porre due considerazioni:
1) Innanzi tutto si deve evidenziare che nelle more del termine di adeguamento previsto dalla normativa speciale antincendio per gli aeroporti vigono le norme generali in subiecta materia previste dal testo unico sicurezza del lavoro e specificamente dagli artt. 43 ss. Di talché – lungi dal legittimare un atteggiamento attendista – le proroghe della normativa speciale non intendono eludere ma anzi presuppongono l’immediata operatività della normativa ordinaria, altrimenti si dovrebbe giungere alla conclusione paradossale che proprio in strutture così complesse non si avrebbe alcuna prevenzione antincendio. Non v’è quindi un vuoto normativo.
2) L’attenzione della Commissione dovrebbe volgersi quindi su quali siano state le misure alternative equivalenti effettivamente applicate all’interno degli altri aeroporti italiani e specificamente quali siano stati i controlli effettuati dai VV.FF. su tali siti. Infatti la complessità degli interventi da eseguire sul piano strutturale non esclude – anzi impone – l’adozione di misure alternative sul piano logistico, organizzativo, procedurale, formativo, informativo etc., purché equivalenti per la tutela delle persone, dei beni e dell’ambiente.

9. Gli interventi strutturali e il ruolo dell’ENAC
Atteso che alcune misure in materia antincendio da adottare entro i prossimi mesi, o quelle che avrebbero già dovuto essere adottate, possono richiedere anche interventi sulle strutture aeroportuali, è bene evidenziare che l’ENAC si pone quale ente concedente rispetto alla società ADR e alle altre società gerenti aeroporti, le quali a loro volta da concessionari diventano subconcedenti o committenti (nel caso di appalti) rispetto a luoghi, spazi, attività, servizi svolti nell’area aeroportuale.
Il rapporto di concessione in uso è considerato dalla normativa antinfortunistica (già dall’art. 6 d.lgs. 626/94 e ora) dall’art. 23 d.lgs. 81/08 che sanziona penalmente la concessione in uso di impianti non corrispondenti alle "norme ordinarie e regolamentari in materia di salute e sicurezza del lavoro". Di talché si consente a qualsiasi concedente il trasferimento di un impianto – quale deve essere considerato di certo una struttura organizzata complessa – soltanto se a norma.
Tale disposizione pone in questa sede il tema del mancato esonero di responsabilità per ENAC quale concedente e ADR Spa quale subconcedente.
Non si trascuri peraltro che un contratto avente per oggetto una concessione di un impianto non a norma, sarebbe comunque contrario a norme imperative, con conseguenze sul piano della validità contrattuale.

10. Gli interventi dell’ASL Roma D
Dopo l’evento incendiario sono state emesse una serie di prescrizioni dall’ASL Roma D nell’ambito di propria competenza.
La lettura di tali atti di polizia giudiziaria, acquisiti dalla Commissione il 22 luglio 2015, deve raffrontarsi con una serie di altri documenti anche prodotti dalle società ed enti operanti nello scalo (documento di valutazione del rischio con le varie integrazioni successive all’incendio, piano di emergenza, modello di organizzazione e gestione ai sensi del D.lvo 231/01, ordini di servizio, provvedimenti del medico competente, la formazione e informazione di lavoratori presenti, il sistema di deleghe da parte dei datori di lavoro, il sistema della sicurezza negli appalti edili e non edili nel cui ambito si è verificato l’incendio con relativa redazione del DUVRI o nomina del CSE etc).
Sembrano opportune una serie di riflessioni su quali siano stati i controlli e la prevenzione in materia antincendio precedentemente ai fatti del 7 maggio 2015.
Per quanto concerne l’operato dell’organo di vigilanza successivo al 7 maggio 2015 si deve rilevare che sorprende la tardività dell’intervento dell’ASL.
Non si può non registrare con allarme che al riguardo la dr.ssa Proietti, responsabile del servizio di vigilanza sui luoghi di lavoro, è stata colpita da un provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio per due mesi cui ha fatto seguito il pensionamento su domanda della stessa.
Ferma restando l’autonomia del giudizio disciplinare, è evidente che anche per il personale dell’ASL Roma D – addirittura anche dopo l’evento – v’è stata una grave sottovalutazione del tema della sicurezza di un luogo di lavoro qual è l’aeroporto di Fiumicino.
A ciò si aggiunga l’episodio per cui il dr. Chinni, direttore dell’U.O.C. RMQS, partecipava alla riunione del 17 maggio 2015 tenutasi presso ADR in cui egli manifestava impropriamente una sorta di parere favorevole alla riapertura del molo D, atto per il quale egli risulta indagato dalla Procura della Repubblica di Civitavecchia per il reato ex art. 323 c.p.

Conclusioni
In breve la vicenda dell’incendio di Fiumicino, sul piano della sicurezza del lavoro indica che:
1) Anche una minima superficialità – quale può essere il collocamento improvvido di un impianto mobile di refrigerazione – può causare danni ingentissimi a persone, cose, aziende e all’intero Paese, enormi costi economici per il sistema pubblico, gravi disagi per la popolazione, perdita di immagine (nelle settimane in cui l’Italia guadagnava una visibilità mondiale per l’apertura di Expo 2015 di alcuni giorni prima), danni per i passeggeri, e non ultimo il danno per la salute di centinaia di lavoratori. Superficialità che dagli elementi emersi nell'inchiesta pare essere stata in più di un passaggio evidenziata dai diversi soggetti, in primis ADR ed ENAC, ma anche da VVFF e ASL, preposti per competenza a prevenire il verificarsi di eventi quale quello accaduto oppure, nell'eventualità del loro accadimento, a contenere gli effetti negativi.
2) Le grandi strutture o le organizzazioni complesse che coinvolgono più datori di lavoro e utenti non lavoratori devono avere una regia responsabile di promozione e coordinamento in capo a chi ha la gestione della stessa ed è auspicabile in questo senso che gli strumenti normativi e regolamentari, specifici del settore aeroportuale, disciplinino meglio ed esplicitamente questa condizione.
3) La normativa antincendio specifica - per ora prorogata - presuppone l’operatività attuale delle norme antincendio generali.
4) La responsabilità degli enti ex d.lgs 231/01 non si applica all’incendio e ad altri reati tipici dell’ambiente di lavoro costituendo un vuoto normativo che deve essere colmato dal legislatore, eliminando ogni possibile divergenza interpretativa delle norme, che può ingenerare, come in questo caso pare essere avvenuto, confusioni, ritardi e inadeguatezze nelle fasi successive al verificarsi dell'evento.
5) Sussiste la necessità di monitorare quanto l'evento abbia determinato conseguenze in tema di mantenimento dei livelli occupazionali nonché della salute e della sicurezza di tutti i soggetti coinvolti, in particolare di quanti sono stati presumibilmente esposti alle intossicazioni nel periodo successivo all'incendio.

2 Inchiesta, attivata ai sensi del combinato disposto dell'articolo 4, comma 1, della delibera istitutiva del 4 dicembre 2013 e dell'articolo 11, comma 2, del Regolamento interno, in merito alla morte della bracciante agricola, signora Paola Clemente, avvenuta il 13 luglio 2015 ad Andria.

In data 8 settembre 2015, la Presidente ha sottoposto alla Commissione la proposta di deliberare, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 11, comma 2 e dell'articolo 15, comma 1 del Regolamento interno della Commissione, l'attivazione di una specifica inchiesta, in merito alla morte di una bracciante agricola, Paola Clemente, il 13 luglio 2015 ad Andria mentre lavorava all'acinellatura dell'uva.
In merito al predetto evento la Commissione potrà avvalersi, oltre che degli strumenti "parlamentari" (previsti dal combinato disposto dell'articolo 16, comma 1 del Regolamento interno della Commissione, e dell'articolo 48 del Regolamento del Senato) anche dei poteri dell'autorità giudiziaria, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, nonché dell'articolo 4, comma 1, della delibera istitutiva del 4 dicembre 2013.
Di volta in volta la Presidente potrà valutare i moduli procedurali più efficaci per l'accertamento dei fatti, adottando l'atto che apparirà più appropriato per le finalità investigative (ad esempio, ispezione, perquisizione, sequestro, assunzione di informazioni ai sensi dell'articolo 362 del codice di procedura penale, eccetera) e avvalendosi quindi, se del caso, anche dei mezzi previsti dal codice di procedura penale (taluni dei quali sono richiamati anche dal regolamento interno della Commissione agli articoli 15, comma 1 secondo periodo, 16, comma 2, 17 e 18) e comunicando le opzioni scelte di volta in volta alla Commissione, per le opportune valutazioni.
Ha posto quindi ai voti, ai sensi dell'articolo 11, comma 2 del regolamento interno della Commissione, la proposta di attivazione di una specifica inchiesta in merito alla morte di una bracciante agricola, Paola Clemente, il 13 luglio 2015 ad Andria, nei termini sin qui illustrati.
La Commissione ha approvato all'unanimità la predetta proposta.

In data 16 dicembre 2015 la Commissione ha approvato, con modificazioni, la proposta di relazione conclusiva dell'inchiesta - presentata nella seduta del 15 dicembre 2015 - in merito alla morte di una bracciante agricola, Paola Clemente, il 13 luglio 2015 ad Andria..

Relazione relativa all'indagine, attivata l'8 settembre 2015 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali del Senato, in merito al decesso della sig.ra Paola Clemente, il 13.07.2015 in Andria (BA).

Il decesso di Paola Clemente

A seguito delle notizie di cronaca riguardante il decesso della sig.ra Paola Clemente nel corso dell'attività lavorativa presso un'azienda agricola in Andria, in circostanze collegate allo svolgimento della prestazione di lavoratrice in somministrazione, emerse alcune settimane dopo il decesso per l'interessamento del sig. Giuseppe Deleonardis (sindacalista Flai-Cgil), questa Commissione in data 8 settembre 2015 deliberava di avviare un'inchiesta.
Sono stati acquisiti vari documenti e auditi: il segretario generale della Flai Cgil di Puglia, Giuseppe Deleonardis; il rappresentante legale della società Grassi Viaggi, indagato per omicidio colposo e omissione di soccorso, Ciro Grassi; il dipendente dell'azienda Grassi e autista del pullman su cui viaggiava la sig.ra Clemente il giorno del decesso, indagato per omicidio colposo e omissione di soccorso, Salvatore Filippo Zurlo; il proprietario della azienda Ortofrutta Meridionale Srl di Corato, Luigi Terrone; il vicepresidente dell'agenzia del lavoro Quanta Italia S.p.a., presso cui la sig.ra Clemente aveva precedentemente lavorato, Vincenzo Mattina; i rappresentati della agenzia del lavoro Inforgroup S.p.a. presso cui era dipendente la sig.ra Clemente al momento della morte, ovvero la dott.ssa Francesca Migliavacca (consigliere della società con delega per la gestione delle risorse umane) e dott. Michele Malerba (dipendente della società con mandato per la gestione delle relazioni istituzionali); il direttore della agenzia della Inforgroup S.p.a. di Noicattaro, dott. Pietro Bello.
La sig.ra Clemente, bracciante agricola da circa 30 anni, al momento del decesso era impiegata nella attività di acinellatura presso l'Azienda Agricola Terrone Srl presso contrada Zagaria, comune di Andria, per mezzo di un contratto di somministrazione di lavoro firmato con l'agenzia del lavoro Inforgroup, che provvedeva anche alla sua retribuzione. L'azienda Agricola ha riferito, nel corso delle audizioni, che era la prima volta che sottoscriveva un contratto di somministrazione con una agenzia per il lavoro.
Per quanto riguarda proprio il tema della remunerazione, hanno destato l'attenzione mediatica e attivato la conseguente polemica pubblica proprio le buste paga della stessa sig.ra Clemente, in particolare riferibili al periodo in cui si era affidata alla agenzia del lavoro Quanta S.p.a, a causa dell'importo netto eccessivamente basso come remunerazione del suo impegno bracciantile, prassi consolidata. Dal punto di vista contrattuale non può essere omesso che i contratti nel settore vengono regolati a livello provinciale, più conosciuta come 'paga di piazza': fattore, questo, che spiega lo svilupparsi di una sorta di 'pendolarismo' della manodopera e che merita attenzione poichè rende ancora più pesanti le condizioni dei lavoratori.
Dalla ricostruzione avanzata alla stampa dal marito, sig. Arcuri Stefano, e dalle audizioni svolte presso la stessa Commissione, si individua nelle 3.10 circa del mattino l'orario in cui la sig.ra Clemente veniva prelevata da San Giorgio Jonico, insieme ad altre colleghe, per essere accompagnata sul posto di lavoro con il pullman di proprietà del Sig. Grassi Ciro, indicato nella querela presentata dal marito della sig.ra Clemente alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trani come "colui che coordinava il viaggio ad Andria e che la moglie conosceva", come riferisce in una intervista l'avvocato della famiglia Clemente, Vito Miccolis.
La sig.ra Clemente dunque raggiungeva il posto di lavoro intorno alle ore 5.30, come affermato dal marito e dagli auditi, dopo aver percorso un viaggio di circa 150 km. Quella stessa mattina - come ricostruiscono alcune colleghe della signora e conferma anche il sig. Salvatore Filippo Zurlo, che guidava il pullman su cui viaggiavano le lavoratrici - la sig.ra Clemente comincia a presentare, durante il viaggio da San Giorgio ad Andria, una abbondantissima e anomala sudorazione. Sebbene l'Autorità Giudiziaria accerterà i profili medico-legali del decesso, tenuto anche conto che la denuncia è stata presentata dopo varie settimane dalla tumulazione, allo stato degli atti in possesso di questa Commissione, come afferma il marito della sig.ra Clemente nella sua denuncia, la stessa sembra non soffrisse di alcuna patologia né quella mattina sembra abbia accennato ad alcuna forma di disturbo. Sempre il marito sostiene di non aver mai ricevuto né un referto né un documento relativo al soccorso prestato alla moglie, mentre l'autopsia del corpo, riesumata la salma, viene effettuata soltanto in agosto, ad oltre un mese di distanza dal decesso e dopo la presentazione della querela presso l'autorità giudiziaria.
Dalla considerazione che il procedimento penale sia stato avviato su denuncia del marito si deve evidenziare che nonostante il decesso avvenuto sul luogo di lavoro sembra non vi sia stato referto medico all'Autorità Giudiziaria rilevante ex art. 365 c.p.
Peraltro non si deve trascurare quanto riferisce il sindacalista Deleonardis circa le resistenze e i timori della stessa famiglia della vittima a denunciarne la morte: indice di un clima di assoggettamento, di paura, di bisogno che travalica la legittima domanda di giustizia e di ricerca della verità.
Dalle audizioni - anche di soggetti che riferiscono de relato - si desume che durante il viaggio e dopo l'arrivo del pullman presso l'azienda agricola Ortofrutta Meridionale, la sig.ra Clemente avverte dei disturbi, ma viene avviata comunque sul campo di lavoro per l'acinellatura dei grappoli di uva. Verso le ore 7.30 circa avverte un malore che costringe i presenti ad un primo intervento, improvvisato da una collega che aveva qualche piccola competenza in materia di soccorso, ma di certo non incaricata dall'azienda di occuparsi del primo soccorso. Viene chiamato il servizio pubblico di soccorso e viene intercettata una pattuglia dei carabinieri di cui uno prova ad effettuare un massaggio cardiaco, senza esito positivo. All'arrivo di una prima ambulanza si constata l'insufficienza delle attrezzature e si attende l'arrivo di una seconda ambulanza. Sicché si constaterà il decesso. Casualmente sul posto si trovava anche il sig. Grassi che -riferisce lui stesso "casualmente"- avvertito del malore della sig.ra Clemente, ancora prima di avvisare i suoi familiari, chiamava il sig. Bello, direttore della agenzia Inforgroup S.p.a. di Noicattaro, precedentemente impiegato presso la Quanta S.p.a e conoscente della sig.ra Clemente.
È evidente l'assenza (o peggio, l'improvvisazione) di qualsiasi misura di primo soccorso, di collegamento con il pronto intervento, di misure di protezione da attivare per il pericolo grave di vita che si profilava per il malore della lavoratrice.
Sempre il marito racconta alla stampa, come confermato anche nel corso delle audizioni, di aver ricevuto una telefonata da parte del sig. Grassi in cui gli veniva comunicato che la moglie si era sentita male e stava arrivando a soccorrerla il 118. Lo stesso marito, saputa la notizia, si mette subito in viaggio per Andria insieme ai figli, avendo intuito la gravità della situazione.
Le notizie però sulla dinamica dei soccorsi e sulla condizione della moglie gli risultano molto frammentarie: al marito della donna viene riferita la presenza della moglie presso l'ospedale di Barletta, poi di Andria. Arrivato presso Andria, il marito, come raccontato alla stampa, riferisce di aver cercato la moglie dai reparti alla camera mortuaria, avendo ormai compreso il verificarsi della morte della stessa. Soltanto dopo l'ennesima telefonata al numero dal quale era stato contatto, ovvero quello dal quale era stato chiamato dal sig. Grassi, gli viene fornita la notizia che la moglie si trovava presso la camera mortuaria del cimitero di Andria.
La dinamica dei fatti è caratterizzata quindi dalle condizioni di lavoro in cui la lavoratrice, dopo un viaggio di circa due ore, in capo alla ditta Grassi, organizzato nell'ambito del rapporto di somministrazione tra la Inforgroup, l'azienda Ortofrutta Meridionale, e decine di lavoratrici tra cui la sig.ra Clemente, sulla base di una sorveglianza sanitaria espressa probabilmente nel possesso di un certificato medico per la visita preventiva. Non emerge alcuna vera formazione, informazione, addestramento delle lavoratrici né una reale presenza di misure di protezione e di primo soccorso.

Intermediazione e Sicurezza del lavoro

La vicenda di cui è stata vittima la sig.ra Paola Clemente è paradigmatica di un nuovo e diverso atteggiarsi di intermediazione illecita nel rapporto di lavoro.
Si possono delineare due distinti piani:
1) il primo costituito dal tradizionale "caporalato" in cui la figura centrale del mediatore di lavoro approfitta del bisogno (occasione, trasporto, paga) lucrando tra domanda e offerta di lavoro bracciantile o comunque di manodopera, in un contesto di assoluta irregolarità e quindi di totale assenza di sicurezza.
2) il secondo invece ha caratteristiche nuove, non meno allarmanti, si insinua tra le pieghe del contratto di somministrazione determinandone l'uso distorsivo o di altri più recenti tipi contrattuali, genera dalla presenza sul territorio di personaggi che hanno facilità se non addirittura esclusività di contatti con i lavoratori in cerca di lavori occasionali, precari, stagionali.

Il caporalato tradizionale

Per "caporalato" si intende un'espressione criminale, spesso collegata ad organizzazioni, diretta allo sfruttamento della manodopera con metodi illegali, di tradizione ottocentesca.
Questa pratica sorge dall'incontro illegale tra le esigenze del committente, che riceve un servizio a costi più bassi, e quelle del caporale, che trae profitto dall'attività di intermediazione e dalla complessiva irregolarità.
L'agricoltura, dove v'è necessità di far fronte alla stagionalità delle colture che richiedono la concentrazione di operai per periodi brevi, e l'edilizia sono i settori più recettivi.
I caporali quasi sempre reclutano la manodopera in punti di raccolta predeterminati e si occupano dell'accompagnamento presso i luoghi di lavoro; il pagamento di regola si limita alla giornata, sottraendo da quanto corrisposto dal committente una quota. Ciò genera un rapporto di forza e una soggezione del lavoratore che è ben consapevole dell'obbedienza e silenzio che deve al caporale salvo perdere a fine giornata l'occasione di lavoro. Non di rado si offrono anche soluzioni abitative e vitto.
Le vittime di tale sistema sono i prestatori d'opera che accettano per bisogno: vale a dire gli extracomunitari, soprattutto se privi di permesso di soggiorno (appare improbabile che uno straniero clandestino denunci la propria condizione), giovani in cerca di piccoli arrotondamenti e le donne, preferite alla manodopera maschile in base a talune lavorazioni. La cronaca non fa mancare notizie legate anche ad abusi sessuali.
Le aziende che fanno ricorso ai lavoratori stagionali, esterni all'azienda e necessari solo per alcuni giorni, sono diffuse in tutte le regioni, sia nelle province ad alta vocazione agricola sia nelle periferie metropolitane per l'edilizia o per i trasporti, il facchinaggio, i lavori di manutenzione, tanto da poter definire un vero e proprio "caporalato urbano". Con tale reclutamento si realizza un abbattimento dei costi e quindi una scorretta concorrenza tra le imprese.
Il rapporto con i caporali per gli imprenditori è risolutivo di gran parte dei problemi: reclutamento dei braccianti, anche in poche ore, nessun adempimento burocratico, rapporto di lavoro non dichiarato, costi della manodopera che risultano dimezzati, nessun sindacato e soprattutto nessun costo e onere per la sicurezza.
Del resto spesso i lavoratori così arruolati vengono portati in luoghi di lavoro in cui devono operare senza conoscere chi sia il vero titolare dell'attività, avendo rapporti soltanto con i soggetti preposti a sovraintendere all'attività lavorativa.
I meccanismi di monitoraggio e controllo previsti dall'ordinamento risultano poco efficaci in quanto necessitano di massivi interventi sul territorio con una visione complessiva di vari fattori criminogeni: immigrazione, sicurezza del lavoro, ordine pubblico, territorio, crimine organizzato etc. I soggetti incaricati dell’attività di vigilanza sono diversi (Ministero del lavoro, Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia di Stato) e risulta pertanto necessaria un’attività di coordinamento.

Strumenti di contrasto

L’art. 12 del d.d.l. n. 138 del 13 agosto 2011 ha introdotto l’art. 603 bis c.p. il quale prevede il delitto di "intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro", punito con la reclusione da cinque a otto anni e con una multa da 1000 a 2000 euro "per ciascun lavoratore reclutato".
L'art. 603-bis c.p., salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce "chiunque svolga una attività organizzata di intermediazione reclutando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori."
Si incrimina quindi una attività organizzata di intermediazione caratterizzata dallo sfruttamento dei lavoratori mediante violenza, minaccia o intimidazione; non basta un isolato episodio di sfruttamento posto in essere senza un minimo di organizzazione. Problematica appare l’individuazione della nozione di intermediazione che si realizza "reclutando manodopera" o "organizzandone l'attività lavorativa".
Questa disposizione finisce così con il punire solo l’intermediario e non l’imprenditore utilizzatore della manodopera. Viene infatti circoscritto l’ambito soggettivo di applicazione della nuova incriminazione a colui che non può essere identificato con l’utilizzatore finale del lavoro e cioè alla sola figura del "caporale", salvo ipotesi concorsuali.
Si tratta di elementi strutturali che non hanno esplicato alcun effetto deterrente del caporalato tradizionale, come dimostra lo scarsissimo numero di processi che si sono sin qui celebrati.
In breve: difficoltà nell'accertamento processuale del reato, scarse investigazioni, assenza di coordinamento tra le forze dell'ordine in territori spesso controllati da una criminalità comunque strutturata nel tessuto economico, mancata collaborazione dei lavoratori, in presenza del dilagare delittuoso, costituiscono elementi che depongono a favore di una revisione del quadro normativo per contrastare il caporalato.

Gli interventi normativi

In tal senso rilevano gli interventi normativi in itinere.
Il primo ordine di interventi è collocato nella revisione del codice antimafia laddove vengono introdotte tre diverse misure:
1) La confisca obbligatoria delle cose pertinenti al reato, del profitto, prezzo, prodotto del reato di cui all'art. art. 603 bis c.p., oppure confisca per equivalente.
2) La confisca del patrimonio ai sensi dell'art. 12 sexies d.l. 306/92, conv. dalla l. 356/92.
3) La responsabilità amministrativa degli enti da reato anche per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis c.p.
A tali ipotesi si accompagnano le modifiche proposte dal d.d.l. governativo che - oltre le novità ora citate - intende introdurre anche:
1) Una circostanza attenuante per i collaboratori di giustizia.
2) L'arresto obbligatorio in flagranza.
3) Modiche al fondo per le misure antitratta.
4) Modifiche in tema di rete del lavoro agricolo di qualità (dl 91/2014 conv. dalla l. 116/2014).
5) Accoglienza per i lavoratori agricoli stagionali.
In verità si possono ipotizzare una serie di altre misure dissuasive che rendano meno appetibile per il datore di lavoro avvalersi del mercato nero dei lavoratori e incentivino l'assunzione di manodopera regolare: ad esempio, accanto alla pena dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti e sovvenzioni pubbliche, appare opportuna la previsione della revoca delle somme eventualmente percepite nelle more dello svolgimento dell’attività delittuosa; parimenti efficace potrebbe essere la previsione della possibilità di recedere unilateralmente per la pubblica amministrazione dai contratti stipulati con soggetti condannati in via definitiva per il delitto di caporalato.
Appare appropriato ampliare il numero delle pene accessorie stabilite, prevedendo la sanzione della decadenza dall’ufficio ricoperto presso la persona giuridica o l’impresa e la pubblicazione della sentenza penale di condanna.

Contratto di somministrazione e sicurezza del lavoro

Sotto il secondo profilo riguardante, invece, nuove forme di approfittamento nell'intermediazione di manodopera, rileva l'uso del contratto di somministrazione.
Fino a non molti anni addietro esisteva un sostanziale monopolio pubblico sul mercato del lavoro, cui conseguiva il divieto di ogni forma di intermediazione e di somministrazione di manodopera (c.d. "pseudo-appalto" di manodopera), la cui violazione integrava i reati previsti dapprima dall’art. 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264 e successivamente dagli artt. 1 e 2 della legge 23 ottobre 1960, n. 1369.
A partire dalla seconda metà degli anni novanta tale assetto è stato progressivamente modificato dall’introduzione del lavoro somministrato ad opera della legge n. 196 del 1997 e, successivamente, dal più generale riordino della disciplina del mercato del lavoro da parte del d. lgs. 276 del 10 settembre 2003 (c.d. "legge Biagi") che, in particolare, ha superato il monopolio pubblico consentendo tra l’altro l’intermediazione nella prestazione di lavoro e la somministrazione di manodopera, seppure nell’ambito di regole ben definite.
Gli artt. 1 e 2 della legge 1369/60 che già vietavano e punivano l'intermediazione di manodopera, sono stati abrogati e sostituiti dal decreto legislativo 276/2003 (c.d. "legge Biagi") che - come riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza - si pone in linea di continuità normativa con la disciplina previgente.
La giurisprudenza di legittimità, con orientamento oramai ampiamente consolidato, ha chiarito che l’abrogazione delle norme incriminatici contenute nelle leggi n. 264 del 1949 e n. 1369 del 1960 non ha comportato l’abolizione dei reati posti a tutela del mercato del lavoro ivi previsti, atteso che le rispettive fattispecie devono ritenersi rivivere nelle disposizioni dell’art. 18 del d.lgs. n. 276 del 2003, quantomeno nei limiti in cui le condotte di intermediazione e somministrazione sono considerate illecite da quest’ultimo (cfr. Sez. 3, n. 2583 del 11 novembre 2003, dep. 26 gennaio 2004, e Sez. 4, n. 40499 del 20 ottobre 2010, dep. 16 novembre 2010).
Infatti con l'art. 18 del d.lgs 276/03 si continua a sanzionare penalmente la condotta di chi senza essere autorizzato o oltre i limiti dell'autorizzazione effettua condotte di intermediazione.
In particolare l'art. 18 cit. - dopo le modifiche apportate dal d.lgs. 251/04 e soprattutto dal d.lgs. 81/15 (c.d. "Jobs act") - sanziona con l'ammenda di 50 euro al giorno per ogni lavoratore somministrato chiunque eserciti senza autorizzazione l'attività di agenzia di somministrazione nonché l'utilizzatore, inoltre punisce con l'arresto e l'ammenda chi esercita un'agenzia di intermediazione, e con l'ammenda chi esercita un'agenzia di ricerca del personale o di supporto alla ricollocazione professionale, senza autorizzazione.
Alla condanna per tali reati segue la confisca del mezzo di trasporto adoperato per l'esercizio di tali attività.
Al riguardo la costante previsione di mere fattispecie contravvenzionali si è rivelata insufficiente ad arginare le forme più gravi e sistematiche di sfruttamento del lavoro, le quali hanno peraltro conosciuto negli ultimi anni un forte sviluppo a causa dell’intensificarsi dell’immigrazione irregolare e della ridotta disponibilità di posti di lavoro.

Lo schema di decreto legislativo per la depenalizzazione.

Su tale quadro normativo interviene ora lo schema di decreto legislativo di depenalizzazione approvato dal Consiglio dei ministri in data 13 novembre 2015 (a norma dell'art. 2, comma 2, della l. 28 aprile 2014, n. 67) e attualmente sottoposto al Parlamento per i pareri, che sostituisce la pena dell'ammenda con la sanzione amministrativa di euro 5.000 fino a euro 50.000.
Tale provvedimento legislativo in itinere trasforma in una più efficiente sanzione amministrativa l'oggettiva debole ammenda di appena euro 50 a lavoratore, pro die, con un maggiore effetto deterrente: una sanzione pecuniaria amministrativa nel minimo ben 100 volte e nel massimo ben 1.000 volte superiore alla sanzione attualmente in vigore.

Le modifiche apportate dal d.lgs. 81/15 (c.d. "Jobs Act")

Il quadro normativo di recente si è ulteriormente rafforzato sotto il profilo specifico della tutela della sicurezza del lavoro somministrato con il d.lgs. 81/15 (c.d. "Jobs Act") intervenendo direttamente da un lato sul d.lgs. 81/08 (c.d. Testo unico sicurezza lavoro) e dall'altro sugli effetti contrattuali della violazione della normativa a tutela della sicurezza e salute.
Sotto il primo profilo l'art. 35 comma 4 d.lgs. 81/15, salvo diversa previsione contrattuale, attribuisce al somministratore l'obbligo di formare, informare, addestrare il lavoratore, e all'utilizzatore impone tutti gli altri obblighi di sicurezza egualmente nei confronti dei lavoratori somministrati e dipendenti.
Sotto il secondo profilo l'art. 14 vieta il lavoro intermittente per i datori che non effettuino la valutazione dei rischi; l'art. 20 stabilisce la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato nel caso in cui il datore di lavoro non abbia effettuato la valutazione del rischio.
Ma soprattutto per il contratto di somministrazione gli artt. 32 comma 1 lett. d) e 33 comma 1 lett. c) impongono al datore di lavoro la valutazione del rischio e l'indicazione nella forma scritta dei "rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate".
Di talché alla violazione di tali precetti segue - in forza dell'art. 38 comma 2 - il diritto del lavoratore di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore con effetto dall'inizio della somministrazione, la condanna del datore al risarcimento del danno con un'indennità onnicomprensiva pari a un massimo di 12 mensilità.
In breve dal nuovo assetto normativo la tutela della sicurezza e salute del lavoratore somministrato viene specificata e rafforzata, prima e durante il rapporto di lavoro, dalla formazione e informazione fino alle conseguenze risarcitorie.

La sorveglianza sanitaria per i lavoratori agricoli stagionali o occasionali

Si tratta di un quadro normativo dalle maglie strette che però presenta un deficit sul piano dell'efficienza della sorveglianza sanitaria.
In punto di diritto, l'art. 3 comma 13 d.lgs. 81/08 consente un decreto interministeriale per la semplificazione degli "adempimenti relativi all'informazione, formazione e sorveglianza sanitaria" dei lavoratori stagionali o occasionali soltanto presso le piccole e medie imprese agricole.
Tale decreto è intervenuto in data 27 marzo 2013 stabilendo per tutte le imprese (quindi discostandosi dal dettato normativo) che "gli adempimenti in materia di controllo sanitario si considerano assolti, su scelta dei datori di lavoro... mediante visita medica preventiva, da effettuarsi dal medico competente ovvero dal dipartimento di prevenzione della ASL...(che) ha validità biennale e consente al lavoratore idoneo di prestare, senza la necessità di ulteriori accertamenti medici, la propria attività di carattere stagionale".
E inoltre gli obblighi di formazione e informazione "si considerano assolti" con la consegna di "appositi documenti".
In breve è sufficiente un certificato medico per effettuare per due anni un lavoro stagionale o occasionale agricolo avendo in mano alcune carte sul rischio, senza un effettivo accertamento delle condizioni di salute in funzione delle mansioni, da svolgere nei singoli lavori, luoghi, tempi, procedure produttive, organizzazione aziendale, avendo ricevuta non una vera efficace cultura della sicurezza ma solo "documenti".
Si tratta di un decreto che semplifica per i somministratori e utilizzatori ma svuota e vanifica gli obblighi preventivi in materia di sicurezza riducendoli a mero adempimento burocratico.
La semplificazione non significa banalizzazione del rischio e formalismo documentale, ma snellimento senza derogare o allentare la tutela costituzionale della salute e sicurezza del lavoro.

Il procacciamento dei contratti di somministrazione

In punto di fatto, dall'inchiesta in oggetto emerge che il sistema normativo delineato ha trovato un deficit di legalità nel funzionamento concreto dei contratti di somministrazione e nel procacciamento degli stessi per poter acquisire la disponibilità di lavoratori e utilizzatori nell'ambito di un territorio ad alta vocazione agricola.
Invero gli interessi delle agenzie necessitano di soggetti noti quali fornitori di occasioni lavorative, presenti sul territorio, facilmente contattabili dai lavoratori e imprese, organizzatori del trasporto dei lavoratori, conoscitori delle esigenze logistiche e produttive stagionali con ramificazioni in vari territori anche di diverse regioni etc, diventando così i nuovi caporali che si annidano tra le pieghe della somministrazione.
Non si può trascurare che nel caso della morte della sig.ra Paola Clemente, nell'ambito della diffusione dei numerosi contratti di somministrazione nello stesso territorio, un soggetto ha avuto la capacità di trasferire in poco tempo oltre 6.000 lavoratori dall'agenzia Quanta all'agenzia Inforgroup, dimostrando così di essere il vero artefice dei contratti di lavoro.
Oggi, quindi, il caporalato ha indossato le vesti della somministrazione usata, o meglio abusata, per dare una formale apparenza a una serie di imprescindibili contatti che possono essere curati soltanto da chi conosce ed è in grado di spostare anche repentinamente vere e proprie truppe di lavoratori rassegnati a condizioni di lavoro prive di assoluta organizzazione della sicurezza.
Si badi che nel caso della sig.ra Clemente non è emersa alcuna prevenzione effettiva (valutazione del rischio sull'attività svolta al sole, rischio ipotermia, movimentazione manuale di carichi per una donna, rischio chimico per l'esposizione a prodotti diserbanti o anticrittogamici etc), culturale (formazione, informazione, addestramento), sanitaria (una vera sorveglianza sanitaria preventiva in relazione alle mansioni da svolgere in concreto) né alcuna misura di protezione (primo soccorso, intervento e collegamento con il servizio pubblico). Tant'è che dalle varie audizioni è emersa l'improvvisazione del soccorso da prestare alla dolorante lavoratrice e la chiamata tardiva dell'ambulanza.
Una regolare gestione dell'emergenza impone ai datori di lavoro anche di organizzare "i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di primo soccorso" (art. 18 lett. t) e art. 43 d.lgs. 81/08).
In definitiva, si possono riassumere alcuni punti critici su cui si richiama l'attenzione della Commissione, del Parlamento e degli altri organi competenti:
1) Le distorsioni dell'uso del contratto di somministrazione.
2) Il controllo e la vigilanza sulle agenzie di somministrazione autorizzate dal Ministero del lavoro che può procedere anche alla revoca dell'autorizzazione stessa.
3) Il controllo e la vigilanza da parte delle Regioni che accreditano le agenzie e che possono anche revocare tale riconoscimento.
4) L'acquisizione dei dati statistici del Ministero del lavoro sui controlli eseguiti sulle agenzie e con quale esito in ordine alle autorizzazioni e all'accreditamento.
5) Il ruolo attivo che dovrà esercitare il neo istituito Ispettorato nazionale del lavoro, che si avvale opportunamente anche degli ispettori provenienti dall'Inail e dall'Inps.
6) La revisione del decreto interministeriale del 27 marzo 2013 sulla semplificazione della sorveglianza sanitaria in materia di lavori stagionali o occasionali in agricoltura.
7) La previsione di analogo decreto per gli altri comparti lavorativi dove si ricorre alla somministrazione (ad es. edilizia).
8) La revisione dei meccanismi di articolazione provinciale dei contratti ('paghe di piazza') al fine di evitare situazioni di sottosalario e, anche, contrastare il 'pendolarismo'
9) Il rafforzamento dei meccanismi di monitoraggio e controllo previsti dall'ordinamento nonché una attività di coordinamento di tutte le forze preposte.

I SOPRALLUOGHI DELLA COMMISSIONE*

Nel corso dell'ultimo anno la Commissione ha effettuato tre sopralluoghi dei quali si darà ora conto.

Sopralluogo a Milano

Il 16 e 17 marzo 2015 una delegazione della Commissione ha effettuato un sopralluogo a Milano allo scopo di esaminare le tematiche connesse alla salubrità e sicurezza sul lavoro nei cantieri di Expo 2015. La delegazione era composta dalla Presidente Fabbri, dal Vice Presidente Serafini, dalle senatrici Segretarie della Commissione Favero e Fucksia e dai Commissari Borioli e D'Adda. Sono stati auditi presso la Prefettura di Milano:
1) Il Prefetto di Milano, dott. Francesco Tronca: sulla situazione generale dei temi della sicurezza e specificamente sui vari "tavoli" e protocolli con gli Enti, imprese, parti sociali, Expo 2015;
2) Ing. Molaioni (direttore pianificazione strategica): sulla gestione generale della sicurezza, sulle normative speciali per Expo e sui rapporti con i singoli committenti/esecutori/affidatari dei lavori;
3) Dr.ssa Corvino (comune di Milano) (Accompagnata dal dottor Walter Cavalieri, Direttore Centrale);
4) Francesco Bianchi (cisl); Enrico Vizza (uil); Gabriele Rocchi (cgil): sindacalisti;
5) Massimo Bottelli, Direttore del Settore "Lavoro, welfare e capitale umano" di Assolombarda, e Mariarosaria Spagnuolo, Responsabile dell’Area "Salute e Sicurezza sul lavoro" di Assolombarda;
6) Dr.ssa Domenighini (direttrice generale Assimpredil) (accompagnata dal dott. Dario Firsech, Presidente di CPT Edilizia Milano);
7) Dr.ssa Marina Della Foglia (ASL Milano 1) e dr.ssa Susanna Cantoni (ASL Milano): sul coordinamento delle ispezioni, sul numero di infortuni e contravvenzioni rilevate all’interno dei cantieri Expo 2015.

Il giorno 17 marzo 2015 è stato inoltre effettuato un sopralluogo presso i cantieri di Expo 2015.

Sopralluogo ad Alessandria e Casale Monferrato

L'8 e 9 giugno 2015 una delegazione della Commissione ha effettuato un sopralluogo ad Alessandria allo scopo di esaminare le patologie da amianto correlate alla vicenda ETERNIT. La delegazione era composta dalla Presidente Fabbri, dalle senatrici Segretarie della Commissione Favero e Fucksia e dai Commissari Borioli, D'Adda e Munerato. Sono stati auditi presso la Prefettura di Alessandria:
1) Sindaco di Casale M.to - Concetta (Titti) Palazzetti, anche come sindaco del Comune capofila del SIN (sito di interesse nazionale);
2) Associazione Comuni del Monferrato - Claudio Saletta, sindaco di Sala Monferrato;
3) Assessore all'ambiente Regione Piemonte - Alberto Valmaggia per un quadro generale della situazione piemontese, che presenta altri casi analoghi a Eternit;
4) Direzione Regionale INAIL Alessandria - dottor Enrico Tommasi, Direttore territoriale e dottor Maurizio Carnassale, Dirigente medico;
5) Direttore Centro Regionale Amianto - Massimo D'Angelo;
6) Direttore ARPA Piemonte - Angelo Robotto;
7) Responsabili Unità Funzionale Interaziendale Mesotelioma (UFIM) - Federica Grosso e Daniela Degiovanni. La Dottoressa Degiovanni è anche Direttrice dell'Hospice "Zaccheo" di Casale M.to.;
8) CGIL - CISL - UIL - Antonino Paparatto (segretario provinciale CGIL), Luciano Bortolotto (CISL Casale Monferrato), Tonio Anselmo (CISL Alessandria), Aldo Gregori (segretario provinciale UIL) e Luigi Ferrando (UIL Casale Monferrato);
9) Associazione familiari e vittime amianto (AFeVA) - Bruno Pesce e Romana Blasotti Pavese;
10) Associazione italiana esposti amianto Piemonte - Armando Vanotto;
11) Fondo nazionale vittime amianto - Nicola Pondrano.

Il giorno 9 giugno 2015 è stato inoltre effettuato un sopralluogo all'Hospice "Zaccheo" di Casale Monferrato.

Sopralluogo a Taranto

Il 24 e 25 settembre 2015 una delegazione della Commissione ha effettuato un sopralluogo a Taranto allo scopo di verificare le condizioni di salubrità e sicurezza sul lavoro dell'ILVA di Taranto. La delegazione era composta dalla Presidente Fabbri e dai Commissari Barozzino, Borioli e Pelino. Sono stati auditi presso la Prefettura di Taranto:
1) Dott. Umberto Guidato – Prefetto di Taranto;
2) Dott. Ippazio Stefàno – Sindaco di Taranto;
3) Dott. Francesco Sebastio - Procuratore Capo della Repubblica di Taranto;
4) Commissari straordinari Stabilimento ILVA: Dott. Piero Gnudi, Prof. Enrico Laghi, Avv. Corrado Carrubba, Dott. Nicola Nicoletti;
5) Sig. Cosimo Semeraro, residente Associazione "12 giugno" e referente Associazione "Contramianto";
6) Organizzazioni sindacali: Luigi Lamusta, Segreteria CGIL Taranto, Daniela Fumarola, Segretario Generale CISL Taranto, Cosimo Panarelli, Segretario Generale FIM Taranto, Roberto Basile, Segreteria UIL Taranto, Immacolato Bilotta, Segreteria UIL Taranto,Giuseppe Carenza, Segretario reggente UGL Taranto, Francesco Vitanza, Segreteria UGL Taranto,Francesco Rizzo, Coordinatore USB Taranto.

Il giorno 25 settembre 2015 è stato inoltre effettuato un sopralluogo allo stabilimento ILVA di Taranto.

L'Assemblea Nazionale sull'Amianto

In data 30 novembre 2015, la Commissione ha promosso l'Assemblea Nazionale sull'Amianto presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. L'obiettivo che l'Assemblea si è posta è stato quello di sintetizzare gli elementi e i dati più importanti su un fenomeno complesso, che chiama in causa molteplici aspetti e responsabilità. I lavori svolti fino ad oggi dalla Commissione, infatti, hanno evidenziato un quadro intricato di questioni istituzionali, ambientali, sociali, economiche e giudiziarie rispetto al quale è indispensabile un confronto fra tutti i soggetti istituzionali, anche al fine di coordinare le diverse iniziative e misure che il nostro Paese sta approntando e dovrà approntare, in particolare alla luce del 2020 quando, ragionevolmente, il fenomeno avrà raggiunto il suo apice di sviluppo. Lo sforzo comune richiesto a tutte le Istituzioni, infatti, è teso alla costruzione di un Testo Unico quale elemento imprescindibile di chiarezza, trasparenza e giustizia sociale. Di seguito l'intervento della Presidente in occasione dell'evento:
"La Commissione di inchiesta del Senato sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali ha voluto promuovere questa Assemblea Nazionale sull'Amianto per riunire tutti i soggetti che istituzionalmente hanno competenze in materia. L'amianto, infatti, si articola in una rosa di questioni che sono istituzionali, ambientali, sanitarie, sociali, occupazionali, economiche e giudiziarie. Una rosa rispetto alla quale è indispensabile un confronto fra tutti i soggetti istituzionali, anche al fine di coordinare le diverse iniziative e misure che il nostro Paese sta mettendo e dovrà mettere in campo nei prossimi anni.
L'amianto dunque, come richiama il titolo scelto per la nostra Assemblea, rappresenta una sfida ancora aperta e la rappresenta sotto molteplici punti di vista: Riforme, giustizia, sviluppo, come indica il sottotitolo riassuntivo. Una sfida ancora aperta, oltretutto, come confermano i dati scientifici, i quali ci portano a prevedere per il 2020, visto i tempi di incubazione, il picco massimo di manifestazione delle malattie asbesto correlate.
Proprio per questo l'amianto, con le sue questioni ancora aperte, può e deve rappresentare non solo una battaglia sociale-ambientale-etica da vincere, grazie all'indispensabile apporto di tutte le Istituzioni, ma anche un'opportunità di sviluppo economico, perché debellarne effettivamente le conseguenze comporterà una diminuzione del costo sociale rappresentato dalle malattie e dai decessi derivanti dalla fibra killer e perché, attraverso smaltimento e bonifica e riconversione produttiva, si potrà offrire una oggettiva e reale prospettiva di sviluppo, oltre che determinare un ristoro ambientale.
Non possiamo infatti tacere quanto il tema amianto interessi il mondo del lavoro e i suoi diritti, ma anche quello dell'ambiente. Pensiamo alla declinazione che esso può assumere, per esempio, nel caso dell'ex produzione industriale dell'acciaio, che ha prodotto conseguenze sulla vita dei lavoratori e sull'ambiente (mi riferisco ai cosiddetti SIN).
Come Commissione d'inchiesta sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, con particolare riguardo al sistema della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, non potevamo dunque non affrontare, nel corso del nostro impegno, il tema dell'amianto.
La Commissione, come stabilisce l'art. 3 della delibera istitutiva, ha facoltà infatti anche di accertare, procedendo con gli stessi poteri e limitazioni dell'autorità giudiziaria, la dimensione del fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, con particolare riguardo al numero delle morti, alle malattie, alle invalidità e all'assistenza alle famiglie delle vittime, individuando altresì le aree in cui il fenomeno è maggiormente diffuso, oltre ad indicare quali nuovi strumenti legislativi e amministrativi siano da proporre al fine della prevenzione e della repressione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali. Si tratta di un organo istituzionale che mi onoro di presiedere e che molto deve, lo voglio ricordare, alla determinazione e alla sensibilità del presidente del Senato Pietro Grasso cui, mesi fa, per primo, prospettai l'idea di dar vita a questa Assemblea, che egli ha dunque apprezzato e sostenuto fin dall'inizio. Per questo ci tengo a ringrazialo. Così come altrettanto sentito è il mio ringraziamento verso tutte e tutti i partecipanti a questo appuntamento, il cui apporto sarà prezioso per vincere la sfida; i funzionari, i dirigenti e i collaboratori della nostra Commissione. Infine, non per importanza naturalmente, un ringraziamento alle colleghe e ai colleghi commissari che, quotidianamente, sono impegnati nelle attività della Commissione, animandola e sollecitandola con il loro contributo insostituibile in termini anche di sensibilità verso materie così delicate, anche eticamente, come quelle di cui ci occupiamo.
Un discorso, quello relativo alla grandezza del fenomeno dell'amianto - di cui ci occupiamo con l’obiettivo istituzionale di promuovere la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro- che viene supportato dai dati della relazione annuale 2014 dell'Inail che, riguardo appunto le patologie asbesto-correlate, offre un quadro chiaro seppure probabilmente sottostimato rispetto alla realtà, poiché non tutte le lavoratrici e i lavoratori, come sappiamo, presentano una posizione assicurativa presso l'Istituto. Sono 1.736 le malattie professionali riconosciute, di cui 414 con esito mortale. La gestione Industria e Servizi conta il maggior numero di casi 1.708 (di cui 408 mortali), a seguire l’Agricoltura (8, di cui 1 mortale) e per conto dello Stato (20, di cui 5 mortali). Tra i lavoratori, i più colpiti sono gli italiani: 1.725 (1.647 maschi e 78 femmine), di cui 411 casi mortali (rispettivamente 391 e 20) e, tra le aree geografiche, il nord, in particolare Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte. Sul totale dei casi di malattia professionale riconosciuta con esito mortale (1.488), se ne contano 490 per silicosi e asbestosi. Anche i numeri più strettamente legali alla salute ci indicano dunque la dimensione e l'importanza di questo problema che rischia nel 2020 di vedere il suo apice negativo.
A questo proposito, ricordiamo l’importanza dell’Inail nella redazione del piano amianto e nell’attività di ricerca scientifica su questo importante tema.
L'Assemblea di oggi - che prende le mosse dal Piano Nazionale Amianto adottato a marzo 2013, dopo la II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate, che si è tenuta a Venezia nel 2012- si propone:
a) la verifica dello stato di applicazione delle iniziative legislative e amministrative che ne sono seguite, a livello statale e regionale;
b) l'analisi dei temi emersi nelle esperienze giudiziarie;
c) il confronto tra i soggetti secondo le aree di rispettiva competenza;
d) una panoramica degli strumenti normativi e la verifica dei presupposti per un testo unico in materia di amianto.
Nel 1992 la legge 257, bandisce l'amianto. Testualmente la norma, vieta "l'estrazione, l'importazione, la lavorazione, l'utilizzazione, la commercializzazione, il trattamento e lo smaltimento, nel territorio nazionale, nonché l'esportazione dell'amianto e dei prodotti che lo contengono e detta norme per la dismissione dalla produzione e dal commercio, per la cessazione dell'estrazione, dell'importazione, dell'esportazione e dell'utilizzazione dell'amianto e dei prodotti che lo contengono, per la realizzazione di misure di decontaminazione e di bonifica delle aree interessate dall'inquinamento da amianto, per la ricerca finalizzata alla individuazione di materiali sostitutivi e alla riconversione produttiva e per il controllo sull'inquinamento da amianto". Nei 23 anni di applicazione della stessa, si sono delineate una serie di aree tematiche non prive di criticità normative, istituzionali, amministrative, economiche, ambientali che impongono una riflessione organica e sistematica sul tema dell'amianto e che, come vedremo, rendono indispensabile la formulazione di un Testo Unico in materia che offra e imponga maggiore organicità garantendo dunque anche una maggiore efficacia all'intervento del legislatore oltre che all'azione amministrativa.

RUOLO DELLE REGIONI E DEGLI EE.LL.

Nella attuale geografia costituzionale le autonomie regionali e locali sono impegnate per i piani di protezione, decontaminazione, smaltimento, bonifica che presuppongono una completa e capillare mappatura dei siti. Attività quest’ultima che purtroppo non è stata espletata in alcune regioni e addirittura in una regione, il Molise, non si è ancora adottato il piano regionale sull’amianto. Comunque per quanto riguarda la mappatura, questa non ha avuto uniformità e omogeneità di criteri e parametri di individuazione, con alcune regioni virtuose, altre imprecise, altre ancora totalmente inadempienti. Cosicché a distanza di oltre 20 anni non abbiamo ancora una fotografia nitida della presenza di amianto nel nostro Paese. Per questo è imprescindibile l’impegno per una vera, precisa, completa mappatura dei siti.
Al riguardo è importante una riflessione sulle competenze regionali anche alla luce della recente riforma costituzionale che risponde ad uno sforzo riformatore in direzione di un sistema più moderno ed efficiente. Ebbene proprio questa riforma, attualmente in quarta lettura alla Camera dei Deputati, dopo un importante lavoro di confronto e approfondimento, revisionando l’art. 117, positivamente riconduce allo Stato la competenza in materia di sicurezza del lavoro, per esempio. Altrettanto indispensabile, per la stessa ragione, una riflessione specificatamente rivolta ai siti di interesse nazionale di competenza regionale, alle iniziative amministrative, al ruolo dei comuni, alle competenze delle ex Province. I comuni, in particolare, sono al contempo parte attiva della tutela della salute della collettività ed espressione di una comunità che subisce l’eredità di realtà industriali del passato.
Come abbiamo detto, dunque, il Testo unico si rende indispensabile nel quadro intricato di norme (sono infatti 400 tra regionali e statali e, spesso, addirittura in contraddizione) con finalità ricognitiva, ma anche costitutiva, cioè il nostro obiettivo è quello di revisionarle, qualora fosse opportuno, e di inserire anche nuove proposte. Un lavoro comunque non eludibile, vista la riforma costituzionale cui abbiamo accennato adesso, che agisce sulle competenze in materia di sicurezza del lavoro. Dunque esiste una esigenza di coerenza costituzionale ad indirizzare e motivare questo obiettivo del Testo unico.

ECONOMIA-AMBIENTE- SVILUPPO ECONOMICO

L'amianto nel nostro Paese è stato utilizzato per decenni nei più svariati campi e oggi costituisce il principale problema ereditato da una politica industriale - dal dopoguerra agli anni '90 - che non conosceva alcuna sensibilità ambientale.
L’amianto è stato massicciamente usato in Italia in ogni campo produttivo fin dagli anni ’60, quindi in concomitanza con il boom economico e fino al 1992, anno in cui fu bandito. In greco, il suo significato è incorruttibile. Asbesto, invece, significa ‘che non si spegne mai’. Nomen omen. Si tratta infatti di un materiale altamente resistente, soprattutto termicamente, di un ottimo isolante elettrico, oltre ad essere vantaggioso anche dal punto di vista economico, perché a basso costo produttivo. Fattori che spiegano l’origine di un così diffuso impiego, che lo ha visto determinante per la produzione di oltre 3mila tipologie di prodotti. Durante la missione della Commissione d’inchiesta a Casale Monferrato, ci colpì drammaticamente la scoperta, forse più la consapevolezza definitiva che la fibra killer, allora non scoperta come tale, fosse stata impiegata anche per la fabbricazione di giocatoli. Una fibra killer che, in dimensioni minimali, ne basta spesso una sola, per compromettere inesorabilmente la salute, posizionandosi silenziosamente nella pleura.
Questo quadro, evidentemente, pone un problema di giustizia sostanziale per i danni umani, ambientali, sanitari, economici creatisi e ci proietta verso un orizzonte purtroppo ancora lungo per intravedere il tramonto del dramma per molte famiglie italiane.
Oggi per perimetrare il tema dell'amianto occorre definire una politica economica, ambientale, strutturale, e soprattutto di sicurezza del lavoro per tutti coloro che continueranno a morire d'amianto con una curva purtroppo crescente fino almeno al 2020.
L'amianto quindi non è soltanto un conto consuntivo per l'esposizione pregressa ma soprattutto un conto aperto per il presente e per il futuro.
Innanzitutto necessita una soluzione sui siti di interesse nazionale che tenga conto delle attività industriali ancora presenti, delle esigenze occupazionali, in una prospettiva di responsabilità sociale e di sostenibilità ambientale.
Per molti versi sulla legge 257/92 si sono persi 20 anni. Per altri profili lo sviluppo tecnologico, la scienza, la medicina, lo sviluppo economico, ripropongono vecchi problemi irrisolti in una chiave nuova: ad esempio, gli incentivi per la bonifica, l'esportazione dell'amianto per smaltimento, i costi delle bonifiche e dello smaltimento, l'importazione dell'amianto da paesi produttori, l'amianto negli edifici scolastici e ospedalieri pubblici e privati, la prevenzione e riduzione dell'inquinamento ambientale, la tracciabilità e il traffico di rifiuti, l'inquinamento indoor.
Sono tutti temi che esigono una soluzione sistematica e organica.
Si consideri ad esempio i siti di interesse nazionale e le grandi aree di crisi ambientale.
Il numero dei SIN per l'entità e la vastità della contaminazione di amianto, il caso Ilva, la c.d. terra dei fuochi (d.l. 10 dicembre 2013 n.136) dimostrano come la presenza dell'amianto riguarda il 2% del territorio nazionale e costituisce una vera emergenza sociale.
Accanto a questa problematica conosciuta, che riguarda i siti di interesse nazionale ad alta contaminazione di amianto, si affiancano, nel nostro Paese, meno note realtà altrettanto preoccupanti e drammatiche, che meritano non solo attenzione ma anche giustizia, declinata come bonifica, ristoro ambientale, riconoscimento di responsabilità e, nel caso accertato, indennizzo alle sue vittime e alle comunità colpite. Penso, per esempio, all’ex Isochimica di Avellino, di cui abbiamo avuto percezione, anche sconvolgente emotivamente, nel corso dell’ultima audizione da parte della nostra Commissione, quando il Procuratore di Avellino, dottor Rosario Cantelmo, ha ricostruito con puntualità una storia che oggi è all’attenzione del suo impegno giudiziario. In questa azienda, dove dal 1982 fino al 1988 sono state scoibentate dall'amianto le carrozze ferroviarie di Fs, è stato interrato senza cautele materiale composto dalla fibra killer. La Procura, dopo 22 anni da quella attività, ha chiesto il rinvio a giudizio per 29 indagati in riferimento a 231 lavoratori, di cui 6 già deceduti. Stiamo parlando di oltre due milioni di kg di amianto scoibentato e, in maggior parte, interrato presso la ex Isochimica, oppure impastato con cemento incubi che, per 22 anni, sono stati esposti ai più diversi agenti atmosferici. Un sito che sorge a ridosso di un campo di calcio, perché inserito nel pieno centro abitato, e che ad agosto ha visto un intervento urgente di sistemazione. Urgente, dopo 22 anni dalla fine della sua attività, e dopo una lunga vicenda fatta di complicati e contorti passaggi istituzionali. Nell’ascoltare questa vicenda, la domanda sorta spontanea e pressante è stata - ed è tutt’ora: quante isochimica di Avellino esistono nel nostro Paese, magari dimenticate dalla cronaca e dall’opinione pubblica o addirittura a questa ignote?
Pertanto oggi la rimozione dell'amianto è motivo di responsabilità sociale e atto di giustizia nei confronti delle future generazioni; la bonifica totale del nostro Paese è una necessità di sanità pubblica ma anche una risorsa per le imprese specializzate, per le competenze scientifiche, per i lavori pubblici e privati, per la ricerca.
Un tema di tale vastità sociale non può essere affrontato senza il coinvolgimento di tutte le istituzioni pubbliche e private, anche produttive. Non casualmente, nei mesi scorsi ho presentato, in quanto componente della Commissione Industria, un ddl per favorire la riconversione di aree artigianali dismesse o parzialmente dismesse, volto a promuovere sviluppo economico e tutela ambientale. Ex opifici che potrebbero essere riconvertiti in siti produttivi ma anche abitativi e turistico-commerciali, con alcune clausole come l'obbligo di prevedere edilizia residenziale sociale e il 20% di servizi pubblici. Durante le audizioni in Commissione è emerso il potenziale economico di questa operazione: Confindustria, nel suo rapporto sul tema, stima un valore complessivo delle bonifiche pari a 30 miliardi di euro, con 415 mila potenziali posti di lavoro in tutto il paese. Si comprende come questo ddl e le misure da esso proposta si inseriscano in questo quadro delineato anche da Confindustria, promuovendo riconversione, occupazione, sviluppo, tutela ambientale con bonifiche e senza consumo di suolo. Il ddl prevede un fondo di rotazione presso il Mise di 150 milioni di euro e il meccanismo è quello di cofinanziamento con le Regioni che, sentiti i comuni interessati, individuano aree e progetti. L'auspicio è che il fondo possa accrescersi e che si crei un meccanismo virtuoso anche con l'interazione di soggetti privati. Terminato il ciclo di audizioni, sarebbe un segnale importante se il provvedimento arrivasse in Aula per essere approvato nei tempi più celeri.
Altrettanto importante, a mio avviso, sarebbe l'approvazione da parte della Camera dei Deputati (non essendo stato possibile al Senato) dell'emendamento da me presentato alle Legge di Stabilità per consentire gli interventi di sostituzione di coperture in amianto sugli edifici di proprietà degli enti locali attraverso l’istituzione di un fondo, nello stato di previsione del Mit, con dotazione pari a 10 milioni di euro per l'anno 2016, a 30 milioni di euro per il 2017 e a 20 milioni di euro per il 2018.
Sempre la manovra finanziaria, che dovrebbe liberare i comuni dal 'giogo' del patto di stabilità favorendo appunto la liberazione di fondi per gli investimenti, potrebbe aprire la strada alle amministrazioni locali per interventi di rimozione e bonifica dell'amianto. Un'operazione responsabile e importante, questa, che le comunità -tutte le comunità, visto l'alta diffusione del materiale composto dalla fibra killer sull'intero territorio nazionale nei decenni passati- sono sicura accoglierebbero con favore.

SALUTE

Il piano nazionale amianto (PNA) approvato dal CdM il 21 marzo 2013, dopo la II Conferenza governativa sulle patologie asbesto-correlate, che si è tenuta a Venezia nel 2012, è stato bloccato dal MEF già dal 10 aprile 2013 che, seppur riesaminando il piano fino all'11 agosto 2015, ha posto rilievi sull'assenza di una puntuale quantificazione degli oneri per la finanza pubblica anche in relazione allo sviluppo temporale delle azioni.
Il profilo della salute pubblica non può riassumersi nel rilievo dell'amianto nel SSN e negli impegni della ricerca per le malattie asbesto-derivate ma concerne la tutela della popolazione per esposizione ambientale.
La Commissione nazionale amianto, al riguardo, è da anni assente. Si tratta di un organismo che, istituito con la legge 257 del 1992, avrebbe potuto rivestire un ruolo e un compito centrali.
Per questo, ci rammarichiamo, oggi, dell’assenza del ministero della Salute, ma siamo sicuri dell’alto impegno istituzionali attribuito a tale ministero senza il quale qualsiasi politica sull’amianto non sarebbe possibile, come del resto conferma il convegno del 12 novembre promosso dall’Iss.

GIUSTIZIA

Il coacervo normativo, la giustizia del lavoro e la giustizia penale.
Da quando il nostro Stato ha recepito la direttiva 83/477 CEE circa la dismissione dell'uso dell'amianto con il d.lgs 277/91 e poi con la legge 257/92 sono intervenuti centinaia di provvedimenti normativi settoriali o frammentari, statali e regionali, privi di coordinamento con la legislazione di settore, distribuiti su diversi ambiti: dai rifiuti alla salute, dalla prevenzione e repressione nel campo della sicurezza del lavoro agli incentivi, dal disastro ambientale alla bonifica.
Il tema dell'amianto riguarda non soltanto l'ambiente, il lavoro, la salute ma innanzi tutto la coerenza di un assetto normativo unitario, sistematico, un vero e proprio testo unico, senza il quale non si può dare una risposta di giustizia, in grado di assicurare l'effettività delle decisioni giudiziarie, e la tutela di un insieme di beni comuni e di diritti costituzionali.
Si pensi innanzi tutto ai processi del lavoro per gli ex esposti e alle disarmonie dei benefici previdenziali.
In base all'art. 13 comma 8 l. 257/92 per i lavoratori esposti per almeno 10 anni v'è una moltiplicazione di 1,25 dell'intero periodo lavorativo ai fini della prestazione pensionistica. L'imprecisione normativa ha prodotto un'enorme mole di contenzioso davanti ai giudici del lavoro, nei tre gradi di giudizio, per determinare esattamente il concetto di lavoratore "esposto". Un intervento chiarificatore darebbe immediata certezza dei diritti dei lavoratori ed eliminerebbe il contenzioso.
Le difficoltà probatorie, i tempi, la mole dei processi penali in materia di malattie professionali per esposizione ad amianto, che insorgono a distanza di decenni, innanzi tutto gravano economicamente e umanamente sulle famiglie delle vittime, costrette a sostenere a proprie spese lunghi dibattimenti nei confronti di imputati particolarmente anziani o comunque privi di patrimoni sufficienti a soddisfare le pretese risarcitorie.
Pertanto al fine di alleviare il sacrificio delle famiglie si deve apprezzare il DdL e l'ordine del giorno del Senato, volto all'estensione alle vittime dell'amianto del beneficio del patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dal reddito personale e familiare, di cui sono prima firmataria.
Altro punto che può contribuire a una accelerazione dei processi penali è la semplificazione probatoria per uno sviluppo efficace dell'azione penale senza sfociare in una presumptio iuris e senza far venire meno garanzie e diritto di difesa per gli imputati e per le parti civili.
Onde evitare la reiterazione in tutti i processi delle medesime questioni scientifiche, con perizie-fotocopie, e al fine di scongiurare i disorientamenti della giurisprudenza, la lievitazione dei costi processuali, nonché l'imprevedibilità della decisione, si deve offrire alle parti un accesso agevole alla prova del nesso causale e della colpa dei soggetti responsabili.
Per le medesime difficoltà nessuna famiglia vittima dell'amianto può adire il giudice civile: dovrebbe sostenere autonomamente il costo delle prove civili contro colossi industriali. Perciò si cerca nella costituzione di parte civile la possibilità di un ristoro e il processo penale è diventato vieppiù sede quasi innaturale per soddisfare la tutela risarcitoria effettiva delle vittime.
Ma ciò rischia di essere vanificato dall'ineffettività della decisione di condanna quando le aziende responsabili non esistono più o non hanno patrimonio sufficiente su cui eseguire la sentenza di condanna al risarcimento. In tal caso la condanna diventa meramente formale.
Sul piano della giustizia sostanziale ciò si aggrava quando le vittime non sono coperte dall'indennizzo INAIL.
Proprio per le lungaggini processuali dovute alla complessità probatoria spesso tali processi sfociano nella prescrizione e quindi in una denegata giustizia.
In proposito si noti che la recente riforma degli ecoreati ha introdotto la nuova fattispecie di disastro ambientale quale reato di evento.
Al riguardo non si deve tacere lo scollamento che ha rappresentato la sentenza della Corte di Cassazione sul caso ETERNIT rispetto alla precedente giurisprudenza sul reato di disastro innominato, ora comunque superato dalla nuova fattispecie di disastro ambientale.
Di talché si pone il problema della tutela effettiva di tutti gli eventi dannosi o pericolosi per l'ambiente, per la salute pubblica e per l'incolumità individuale che in questi decenni si sono sviluppati.
Per i reati nel campo della sicurezza del lavoro ma soprattutto in materia di amianto - sotto il profilo preventivo e repressivo - è fondamentale il coordinamento delle indagini, dei controlli amministrativi e delle ispezioni e sono maturi i tempi per un'agenzia unica con competenza su tutti gli aspetti della sicurezza del lavoro.
Il neo costituito Ispettorato nazionale del Lavoro, infatti, ha una sfera di attribuzioni limitata alla vecchia competenza della direzione del lavoro.

CONCLUSIONI

Sul tema amianto molta strada ancora è da percorre: questo dato è incontestabile ed è, del resto, la ragione che ci ha motivato a questa Assemblea. Esiste però, ed è altrettanto incontestabile, una nuova e più profonda coscienza del problema, da parte delle istituzioni e della società civile. Una consapevolezza che certamente è stata nutrita anche da quel sentimento diffuso di smarrimento e dolore provocati dal verdetto della Corte di Cassazione, che ha dichiarato la prescrizione in merito al processo Eternit, con conseguente annullamento dei risarcimenti alle vittime. Aspettiamo invece di conoscere il verdetto della Corte Costituzionale in relazione al cosiddetto Eternit Bis. Questa coscienza, ribadisco, è quella che ha portato alla recente costituzione quale parte civile della presidente del Consiglio dei Ministri nello stesso Eternit Bis, dopo la discussa sentenza della Cassazione che abbiamo or ora ricordato, e della Regione Piemonte e della Provincia di Alessandria. Ed è sempre questa coscienza che ha portato all’estensione del Fondo nazionale per le vittime dell’amianto (art. 1, comma 116 della Stabilità 2015) e all’ultimo decreto interministeriale del 4 settembre 2015 che ha fissato la misura e le modalità per l’erogazione della nuova prestazione per malati di mesotelioma che abbiano contratto la patologia o per esposizione familiare ai lavoratori impegnati nella lavorazione dell’amianto. La legge sugli eco reati e il collegato ambientale, frutto della più recente attività legislativa, offrono conferma di una nuova percezione e di nuova sensibilità verso il tema, maturate ad iniziare dal governo e dal parlamento. Ho citato soltanto qualche esempio per testimoniare i passi avanti compiuti in questi ultimi mesi, ma come detto non disconosco il cammino che ancora resta da fare e che spero, a giugno del 2016, possa vedere una prima tappa di avanzamento con la presentazione di un Testo Unico che, come detto, rappresenta una necessità di chiarezza e coerenza normativa a garanzia dell’efficacia dell’azione amministrativa. Un Testo Unico che dovrà ovviamente vedere l’adozione e il sostegno da parte del Governo, senza il cui apporto non sarà possibile raggiungere nessun traguardo. Allo stesso tempo, resta assolutamente indispensabile, per ragioni di trasparenza e efficienza, la realizzazione di una mappatura dei siti contaminati da amianto e necessitanti di bonifica, superando l’ambiguità attuale di mappature datate o inattendibili perché realizzate non correttamente, a fronte di altre Regioni – poche- virtuose. Resta forte, personalmente, la volontà di continuare il mio impegno per poter vedere approvati il ddl sulle spese legali alle vittime e familiari delle vittime di amianto, che devo sottolineare ha avuto un sostegno politico trasversale, e per la riconversione delle aree industriali dismesse. Due disegni di legge che potrebbero dare un segnale dal punto di vista etico, ma anche pratico, soprattutto perché come abbiamo più volte detto l’amianto resta una sfida aperta, una grande ferita che dobbiamo risanare sul piano della giustizia e trasformare, perché è possibile, in opportunità di sviluppo."

Programma delle attività di valutazione delle politiche pubbliche nei settori di competenza della Commissione

L'Ufficio di Presidenza, ha stabilito di condurre un’attività di valutazione delle politiche pubbliche nei settori oggetto dell'inchiesta come individuati nell'articolo 3 della Delibera istitutiva (Delibera del 4 dicembre 2013). A tal fine la Commissione ha ritenuto opportuno avvalersi della consulenza di figure esperte nel campo della valutazione delle politiche pubbliche, individuate nei ricercatori Marco Accorinti, Francesco Gagliardi ed Elena Ragazzi del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Per la determinazione di un disegno di valutazione, sulla base dei dati e degli elementi informativi già acquisiti dalla Commissione o comunque acquisibili agevolmente, il primo passaggio è costituito dalla definizione della concezione e del perimetro delle attività valutative che si intende condurre. Questa fase mira a definire, di concerto con la Commissione, gli elementi caratterizzanti l’attività valutativa da realizzarsi e ad approfondire il contesto in cui tale attività valutativa sarà inserito. Più nello specifico si determinerà l’oggetto della valutazione e del relativo inquadramento teorico di riferimento, rispetto al quale operare l’analisi valutativa. Si tratta di una fase su cui concentrare una particolare attenzione soprattutto in considerazione sia della complessità del fenomeno da accertare (infortuni sul lavoro e malattie professionali) sia all’ampiezza della legislazione di riferimento sia ancora delle attività di accertamento affidate alla Commissione che comprendono profili molto ampi riguardo tanto ai fenomeni indagati quanto ai target e alle popolazioni interessate.
Il secondo passaggio prevede di definire gli elementi caratterizzanti i tempi dell’attività valutativa da realizzarsi. La valutazione a seconda delle finalità conoscitive può difatti collocarsi in diversi momenti del ciclo di vita di una norma. Ad esempio la valutazione di una norma può riguardare:
a) la fase iniziale di definizione del provvedimento. In considerazione dei diversi interventi, strumenti e modalità attuative a cui è possibile ricorrere per il conseguimento delle finalità definite in sede politica, l’esercizio valutativo consente di identificare e stimare i potenziali effetti delle possibili opzioni di scelta adottate;
b) la fase che precede l’avvio operativo del provvedimento, così da apprezzare in via preliminare i possibili risultati che nei diversi scenari di applicazione l’adozione della politica è in grado di raggiungere (valutazione ex ante);
c) la fase di attuazione del provvedimento (valutazione in itinere) con un focus valutativo che può riguardare sia le modalità di realizzazione della politica, cioè il suo processo attuativo, sia i risultati ottenuti dalla sua implementazione misurati in termine di scostamento dagli obiettivi attesi. Grazie alla valutazione condotta in questa fase si possono acquisire quegli elementi informativi sulle modalità e sugli strumenti di realizzazione di una determinata politica sulla cui base definire possibili correttivi e cambiamenti in corso d’opera volti a migliorarne la performance attuativa sia sotto il profilo dell’efficienza sia dell’efficacia;
d) la fase finale (valutazione ex-post) volta a apprezzare l’impatto prodotto cercando di isolare gli effetti che si sarebbero comunque generati in mancanza della politica. In questo caso l’analisi valutativa, oltre a dare conto ai potenziali destinatari degli effetti diretti e indiretti conseguiti grazie alla politica adottata, contribuisce a comprendere se un provvedimento, soprattutto se temporaneo o sperimentale, debba essere reiterato, cancellato o assunto a ordinamento.
Un ulteriore imprescindibile aspetto da considerare nella definizione del disegno di valutazione è il come valutare il provvedimento. Ciò introduce questioni riguardo: l’identificazione da popolazione target su cui la politica agisce, l’approccio valutativo e i metodi d’indagine da adottare, gli indicatori da utilizzare, il tipo, l’identità e la qualità delle informazioni-dati disponibili o comunque da costruire attraverso il ricorso a indagini ad hoc. Sempre in quest’ambito di attenzione, la dimensione dell’analisi valutativa comporta la considerazione anche di diversi ambienti semantici e disciplinari come - limitandosi a citare i principali - l’efficacia reale e percepita, le ricadute in termini culturali d’apprendimento e consapevolezza, i costi e i benefici, i livelli di soddisfazione e/o di consenso.
È stato quindi avviato un percorso, ancora nel complesso preliminare che, attraverso il lavoro di riflessione sui vari aspetti sopra sinteticamente richiamati, condurrà alla redazione di un Piano di valutazione cioè di un documento che definirà, in termini puntuali, finalità, contenuto e modalità attuative, inclusa la tempistica, delle attività di valutazione che la Commissione si impegna a realizzare.
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* In allegato Relazione finale saranno pubblicati i resoconti stenografici delle audizioni effettuate nell'ambito dei sopralluoghi svolti dalla Commissione.


Fonte: senato.it