• Cantiere Temporaneo e Mobile
  • Datore di Lavoro
  • Infortunio sul Lavoro

Responsabilità per infortunio occorso a lavoratore M. intento nei lavori di copertura di un tetto spiovente nel villino di proprietà di V..
L'operaio vi provvedeva utilizzando i materiali edili (tegole, calce, acqua etc.) e l'attrezzatura presenti sul cantiere.
Nel corso dei lavori l'operaio, nell'utilizzare un'asta di alluminio di circa 4 metri di lunghezza per allineare le tegole, urtava con essa una linea elettrica aerea ad alta tensione, distante pochi metri dal tetto ove si trovava e rimaneva folgorato, con conseguente decesso - Sussiste.
 
La Corte afferma che:
 
"Dato certo, pacificamente acquisito agli atti, è la dinamica del sinistro, come descritta nella parte narrativa, ed altro dato altrettanto certo è la causa della morte del M.G. ricollegabile all'inosservanza della norma specifica prevista dal  D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, ed al mancato apprestamento di adeguati sistemi di protezione, essendo, per altro, rimasto provato che gli operai non erano neanche stati avvertiti della presenza e del rischio connesso ai fili dell'alta tensione."
 
Il Collegio affronta per prima la censura posta dal ricorrente "circa la natura del rapporto intercorso tra V. e M. nel momento in cui il primo ha commissionato al secondo la realizzazione dell'opera di cui trattasi, dipendendo dalla soluzione adottata l'individuazione del soggetto in capo al quale fare risalire la posizione di garanzia".
 
La Corte afferma che i giudici di merito fanno risalire la natura del rapporto giuridico di lavoro subordinato dai seguenti elementi:
"a) il M. ed il C. non erano titolari di un'impresa edile ma vennero direttamente contattati ed assunti dal V. come manovali per l'esecuzione di uno specifico lavoro;
b) fu pattuito un compenso complessivo di L. 1000.000;
c) i due operai, a parte gli attrezzi di uso strettamente personale (la cazzuola ed il metro) utilizzarono materiale ed attrezzature messe a loro disposizione dal V..
Aggiungono i giudici del gravame che non vale, comunque, ad escludere la natura di rapporto subordinato la circostanza che il V. - come dichiarato dal C. - non abbia fornito alcuna indicazione circa il modo di eseguire i lavori.
Sul punto, nel richiamare principi giurisprudenziali affermati da questa Corte, si evidenzia che colui che da in concreto l'ordine di effettuare un lavoro, anche se non impartisce delle direttive in ordine alle modalità di esecuzione dello stesso, assume di fatto la mansione di dirigente, con il conseguente dovere di accettarsi che il lavoro venga compiuto nel rispetto delle norme antinfortunistiche."
 
"Orbene - come è noto - elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione intesa questa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria - secondo l'orientamento, ormai consolidato almeno nelle linee essenziali, della giurisprudenza di questa Corte Sezioni Civili (ex plurimis Cass. S.U. n. 379/99; Cass. n. 9623/02) - altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e coordinamento con l'attività imprenditoriale, assenza di rischio per il lavoratore, forma della retribuzione), che - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione giuridica del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto."
 
In conclusione la Corte afferma che, una volta individuato il soggetto garante nella persona dell'imputato, appaiono non conferenti gli altri rilievi posti a base del ricorso.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOPINO Silvana - Presidente -
Dott. LICARI Carlo - Consigliere -
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
V.D. n. il (OMISSIS);
Avverso la SENTENZA del 11.12.2003 della CORTE D'APPELLO DI PALERMO;
Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Claudio D'Isa.
Udito il Procuratore Generale, nella persona del Dott. Francesco
Salzano, ha chiesto rigettarsi il ricorso.
Udito il difensore, avv. Fiorello Lillo, che conclude in via
principale per l'accoglimento del ricorso, ed in via subordinata per
l'annullamento senza rinvio per prescrizione.



Fatto

Il Tribunale di Palermo, con sentenza in data 17.01.2001, ha ritenuto V.D. colpevole del delitto di cui all'art. 589 c.p. in danno di M.G. accertato il (OMISSIS), e con la concessione delle attenuanti generiche, equivalenti alla contestata aggravante, è stato condannato alla pena di mesi nove di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale di primo grado, il fatto è stato così ricostruito: l'imputato aveva commissionato agli operai M.G. e C.A. lavori di copertura con tegole di un tetto spiovente sul villino di sua proprietà.
Costoro vi provvedevano utilizzando i materiali edili (tegole, calce, acqua etc.) e l'attrezzatura presenti sul cantiere
.
Nel corso dei lavori il M., nell'utilizzare un'asta di alluminio di circa 4 metri di lunghezza per allineare le tegole, urtava con essa una linea elettrica aerea ad alta tensione, distante pochi metri dal tetto ove si trovava e rimaneva folgorato, con conseguente decesso.
Il Tribunale riteneva fondata l'impostazione accusatoria e riconduceva la condotta colposa del V. ad imprudenza e negligenza e, comunque, al fatto di avere commissionato al M. la realizzazione dell'opera di cui trattasi ad una distanza dalle linee elettriche inferiore a quella stabilita dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11.
L'imputato proponeva appello alla Corte Territoriale che, in data 11.12.2003, confermava la sentenza del Tribunale.
Con ricorso depositato il 5 marzo 2003 l'imputato, a mezzo dell'avv. Lillo Fiorello, propone ricorso per Cassazione deducendo, sostanzialmente, le stesse censure mosse in appello alla sentenza di primo grado.
In particolare, si denuncia la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all'art. 589 c.p. e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11, con riguardo alla errata interpretazione data a quest'ultima norma che non prevede un divieto assoluto di realizzare opere ad una distanza inferiore ai cinque metri; ma piuttosto pone l'obbligo di adottare idonee misure di cautela e protezione, previa comunicazione all'esercente le linee elettriche, qualora debbano eseguirsi lavori a distanza inferiore a quella prevista dalla legge, e tale obbligo è posto a carico non del committente ma di chi dirige i lavori.
Ed a proposito della natura del rapporto intercorso tra l'imputato e gli operai M. e C. si contesta che esso possa essere inquadrato nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, bensì in quello nascente dal contratto di prestazione d'opera disciplinato dall'art. 2222 cod. civ..
Si afferma che il V. non ha svolto alcuna attività di impresa, ha affidato unicamente l'esecuzione di un'opera su di un bene proprio.
Nessuna direttiva circa l'esecuzione dei lavori ha impartito ai muratori, i quali a loro volta non esercitavano essi stessi attività di impresa, e, quindi, neanche è configurabile il contratto di appalto. Nè si configura un'ipotesi di appalto di mere prestazioni lavorative, posto che di tali ipotesi mancano le condizioni minime costituite da un rapporto tra un imprenditore committente ed un'impresa appaltatrice che fornisce soltanto manodopera.
E' stato previsto un compenso complessivo ad ultimazione dell'opera secondo le modalità tipiche del contratto d'opera manuale, tant'è che il materiale per l'esecuzione dell'opera è stata messa a disposizione dal V. ed i muratori hanno portato con sè gli strumenti necessari per eseguire il lavoro.
Conseguentemente, inquadrato il rapporto intercorso tra il V. ed il M. come autonomo, l'obbligo previsto dall'art. 11 richiamato incombeva su chi ha diretto i lavori, nè vi era per il V. l'obbligo di rendere edotti gli operai dell'esistenza di linee elettriche.
Erano costoro che avevano l'onere di adottare le cautele del caso, una volta data comunicazione all'esercente le linee elettriche.
Si censura, altresì, la parte della motivazione che ritiene responsabile il V. per la prevedibilità della condotta tenuta dalla p.o. con riferimento al tipo di lavoro da eseguire ed agli strumenti da utilizzare.
Si evidenzia, sul punto, che l'utilizzo del regolo, quale attrezzo di lavoro e le modalità di esecuzione con cui è stato adoperato non erano in alcun modo prevedibili, posto che si è trattato di una esclusiva determinazione del M. senza che vi fosse stata, per l'incombenza, nessuna indicazione in ordine al prelievo di quello strumento, nè era prevedibile che lo stesso fosse utile per l'esecuzione di quel lavoro. Utilizzo che, per altro, non è richiesto dalle leges artis proprie dell'attività lavorativa di cui trattasi.


Diritto

Il ricorso va rigettato.
Dato certo, pacificamente acquisito agli atti, è la dinamica del sinistro, come descritta nella parte narrativa, ed altro dato altrettanto certo è la causa della morte del M.G. ricollegabile all'inosservanza della norma specifica prevista dal D.P.R. n. 164 del 1956, art. 11 ed al mancato apprestamento di adeguati sistemi di protezione, essendo, per altro, rimasto provato che gli operai non erano neanche stati avvertiti della presenza e del rischio connesso ai fili dell'alta tensione.

In ordine alle censure mosse, dunque, ritiene il Collegio di affrontare per prima la questione circa la natura del rapporto intercorso tra il V. ed il M. nel momento in cui il primo ha commissionato al secondo la realizzazione dell'opera di cui trattasi, dipendendo dalla soluzione adottata l'individuazione del soggetto in capo al quale fare risalire la posizione di garanzia, su cui ricade l'obbligo giuridico di osservanza delle specifiche norme poste a prevenire gli infortuni sul lavoro o di quelle generali di prudenza, diligenza e perizia.
Prima il Tribunale e poi la Corte d'Appello, partendo da altro dato di fatto, indiscutibilmente acquisito, secondo cui i due operai M. e C., due prestatori d'opera privi di alcuna specializzazione, erano stati contattati, alcuni giorni prima, nella piazza (OMISSIS) dal V.D. e che erano stati assunti dopo aver ricevuto delle indicazioni sommarie sull'incarico da svolgersi relativo al posizionamento delle tegole sul tetto, hanno ritenuto trattarsi di lavoro subordinato, con la conseguenza che hanno fatto ricadere sull'imputato l'obbligo giuridico di assicurare ai suoi dipendenti le condizioni di lavoro conformi agli standard minimi di sicurezza.
In particolare, gli elementi di fatto da cui i giudici di merito fanno risalire la natura del rapporto giuridico di lavoro subordinato sono:
a) il M. ed il C. non erano titolari di un'impresa edile ma vennero direttamente contattati ed assunti dal V. come manovali per l'esecuzione di uno specifico lavoro;
b) fu pattuito un compenso complessivo di L. 1000.000;
c) i due operai, a parte gli attrezzi di uso strettamente personale (la cazzuola ed il metro) utilizzarono materiale ed attrezzature messe a loro disposizione dal V..
Aggiungono i giudici del gravame che non vale, comunque, ad escludere la natura di rapporto subordinato la circostanza che il V. - come dichiarato dal C. - non abbia fornito alcuna indicazione circa il modo di eseguire i lavori.
Sul punto, nel richiamare principi giurisprudenziali affermati da questa Corte, si evidenzia che colui che da in concreto l'ordine di effettuare un lavoro, anche se non impartisce delle direttive in ordine alle modalità di esecuzione dello stesso, assume di fatto la mansione di dirigente, con il conseguente dovere di accettarsi che il lavoro venga compiuto nel rispetto delle norme antinfortunistiche.
La Difesa, come già riportato nella parte narrativa, sostiene che il rapporto intercorso tra il V. ed il M. è da inquadrarsi nel contratto di prestazione d'opera disciplinato dall'art. 2222 cod. civ..
Orbene - come è noto - elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato - e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo - è la subordinazione intesa questa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria - secondo l'orientamento, ormai consolidato almeno nelle linee essenziali, della giurisprudenza di questa Corte Sezioni Civili (ex plurimis Cass. S.U. n. 379/99; Cass. n. 9623/02) - altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, collaborazione, osservanza di un determinato orario, continuità della prestazione lavorativa, inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e coordinamento con l'attività imprenditoriale, assenza di rischio per il lavoratore, forma della retribuzione), che - lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione giuridica del rapporto - possono, tuttavia, essere valutati globalmente come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto.
Per il caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui affronta la questione dell'individuazione della natura del rapporto intercorso tra l'imputato e la persona offesa, è esente da vizi logici in ragione del fatto che i riferimenti fattuali, come elencati, sebbene sussidiari, conferiscono un contributo significativamente logico alla soluzione adottata.
Ciò posto, una volta individuato il soggetto garante nella persona dell'imputato, appaiono non conferenti gli altri rilievi posti a base del ricorso, ivi compreso quello relativo alla non prevedibilità dell'uso da parte del M. del regolo per allineare le file di tegole apposte sul tetto spiovente del villino del V..
Invero, a parte le argomentazioni puntuali e corrette della Corte d'Appello sul punto, con riferimento alla giurisprudenza di questa Corte consolidata (secondo cui: le norme antinfortunistiche hanno la funzione di evitare il verificarsi di eventi lesivi dell'incolumità fisica, connaturate intrinsecamente all'esecuzione di alcune attività lavorativa, anche nel caso in cui tali rischi siano conseguenti ad eventuali imprudenze e disattenzioni degli operai subordinati, tranne nel caso in cui il comportamento del dipendente sia eccezionale ed imprevedibile e tale, quindi, da non essere preventivamente immaginabile, V. fra le molte Cass., 17 aprile 2004, n. 7328) non si può non partire da un dato di fatto non contestato, il regolo era stato usato dal M. per eseguire il lavoro, affidatogli e lo strumento rispondeva alla finalità concreta per cui era stato utilizzato: allineamento delle file di tegole apposte sul tetto; sotto tale profilo non si vede come possa essere considerato abnorme, eccezionale il comportamento della parte offesa tale da elidere il nesso causale, come configurato.
Pare, invece, del tutto apodittica l'affermazione della Difesa secondo cui l'utilizzo di quello strumento non era richiesto dalle leges artis proprie dell'attività lavorativa posta in essere.
Pertanto, come correttamente rilevano i giudici di merito, le situazioni di rischio, esistenti nel luogo ove veniva eseguito il lavoro di cui trattasi, erano talmente macroscopiche ed evidenti che non potevano essere ignorate dall'imputato, il quale non ha neanche, quale minimo comportamento improntato a prudenza, avvertito gli operai della presenza a meno di tre metri dal tetto dei fili dell'alta tensione.
All'esito della discussione orale il Difensore dell'imputato ha chiesto dichiararsi l'estinzione del delitto contestato per prescrizione.
La richiesta va disattesa atteso che, il termine prescrizionale da prendere in considerazione è quello previsto dal combinato disposto dell'art. 157 c.p., n. 3 e art. 160 c.p., u.p., nell'antecedente formulazione all'entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251, esso non risulta perento.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese processuali.



P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 8 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2008