Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, 16 giugno 2008, n. 24350 - Lavori in quota e nessun dispositivo di ancoraggio. Infortunio mortale durante i lavori di bonifica di un tetto in eternit. Responsabilità di datori di lavoro e capocantiere


 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere -
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
N.B., n. il (OMISSIS), difeso dall'Avv.to Omissis di fiducia;
A.R., n. il (OMISSIS), Difeso dall'Avv.to Omissis di fiducia;
C.F., n. il (OMISSIS), difeso dall'Avv.to S.L. di fiducia;
avverso sentenza resa da di in esito all'udienza del ...;
letti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza dal Consigliere Dott. Gaetanino Zecca;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gialanella Antonio, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.


Fatto



La Corte di Appello di Venezia all'esito dell'udienza del 24/10/2005 in parziale modifica delle sentenze rese in primo grado il 13/5/2003 dal Tribunale Monocratico di Cittadella nei confronti di N.B. e dallo stesso Tribunale in data 8/5/2004 nei confronti di A. R. e C.F. riduceva le pene irrogate a tutti e tre gli imputati riconosciuta anche al C. la prevalenza delle attenuanti generiche e graduata la pena dell' A. in funzione della sua posizione di minor responsabilità legata alla sua subalternità a scelte organizzative altrui. La Corte confermava le altre statuizioni di primo grado in punto di condanna alle spese processuali, sospensione di pena e non menzione.

Contro così fatto provvedimento proponevano ricorso per Cassazione le parti ricorrenti in epigrafe individuate, le quali, attraverso distinti percorsi impugnatori, concludevano per l'annullamento del provvedimento di appello.

All'udienza pubblica del 13/7/2007 la Corte, con il compimento degli incombenti prescritti dal codice di rito, decideva il ricorso proposto.

Diritto



Con tre distinti ricorsi i tre imputati censurano con diversi percorsi argomentativi la sentenza della Corte di Appello di Venezia.

A.R. censura la sentenza per:

1) nullità della sentenza per inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 113 c.p.) o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale, ex art. 606 c.p.p., lett. b), e per mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

La Corte di appello di Venezia aveva individuato una assunzione di fatto di posizione di garanzia, negando valenza giuridica alla mancanza di una nomina dell' A. a preposto e ignorando che era mancata in giudizio la prova che la lettera indirizzata all'organismo di sicurezza con la indicazione dei compiti a lui assegnati fosse stata portata anche a sua conoscenza. La Corte con la condanna dell' A., secondo il ricorso, contraddiceva le sue stesse affermazioni in base alle quali non vi era in cantiere un soggetto interno capace di cogliere le necessità organizzative e discrezionali, con il compito di allertare e il potere di impedire la prosecuzione dei lavori. Mancando l' A. di siffatti poteri e di una delega certa, definita, esplicita ed accettata a lui nulla poteva essere addebitato.

La cooperazione colposa contestata non poteva essere affermata dalla Corte di Appello in difetto di indagine e di prova circa la reciproca consapevolezza degli imputati di contribuire ad una omissione complessiva che avrebbe portato alla produzione dell'evento non voluto. L' A. non aveva una volontà di concorrere nella violazione di norme cautelari limitandosi ad attuare le direttive ricevute dal datore di lavoro senza che potesse essere usata contro di lui una mera preminenza in cantiere derivata da competenza, anzianità o doti di carattere mai formalizzata nella gerarchia aziendale da un formale atto di preposizione.

2. nullità della sentenza per mancata valutazione di prova decisiva ex art. 606 c.p.p., lett. e).

Il teste Ca. ha affermato che il D. è precipitato per aver calcato direttamente le lastre di eternit e al corso frequentato era stato insegnato che sull'eternit non si deve mai camminare. L'uso di una pompa per lanciare la colla di fissaggio delle fibre fino a 6 o 7 metri dal lavoratore addetto rendeva inutile lo sporgersi sull'eternit abbandonando la sicurezza della trave. La valutazione di simile prova basterebbe per togliere validità alla motivazione della Corte in punto di negazione della imprevedibilità e arbitrarietà della condotta del lavoratore infortunato che di fatto non era caduto per rottura di zona perimetrale della lastra di eternit ma per rottura centrale della stessa lastra. La Corte viceversa avrebbe omesso ogni valutazione di tale deposizione favorevole alle tesi della difesa e dunque avrebbe costruito una motivazione nulla ex art. 546 c.p.p., lett. d (requisiti della sentenza lett. d le conclusioni delle parti).

C.F.:

Il ricorrente C. fonda le sue censure su tre presupposti che tutte le sostengono: 1) la determinante incidenza causale delle condotte della stessa vittima e del capocantiere A.; 2) la validità del piano di lavoro predisposto dalle imprese del subappalto 3) la sostanziale unitarietà della compagine sociale formalmente ripartita in due società tale da rendere superfluo ogni coordinamento di ciò che è unitario;

1) Con un primo motivo ampiamente modulato il ricorrente C. denunzia nullità delle sentenza impugnata per mancanza e illogicità della motivazione in ordine alla personale responsabilità dell'imputato per il reato di omicidio colposo (606 c.p.p., lett. e);

nullità della sentenza ex art. 606 lett. b per erronea applicazione dell'art. 589 c.p..

La sentenza non considera adeguatamente le conseguenze che in tema di responsabilità derivano per il C. dalle pur accertate circostanze che l'infortunato, ebbe a omettere di allacciare la cintura di sicurezza e ebbe ad accedere sul luogo di lavoro da punto non consentito senza alcun impedimento ad opera del preposto A. dipendente di altra società (Pulitecnica s.r.l. rappresentata da N.B.). Se l'evento morte è conseguenza di una o più violazioni del piano di lavoro addebitabili al lavoratore e al preposto, viene a mancare ogni causalità e ogni addebitabilità al datore di lavoro che quel piano di lavoro correttamente predispose. La motivazione che coglie ad un tempo efficienza causale delle violazioni del piano di lavoro e della inadeguatezza di quel piano conterrebbe una contraddizione insanabile. La motivazione della sentenza impugnata non si è avveduta secondo il ricorrente, del fatto che nessuno degli addebiti colposi contenuti nel capo di imputazione è casualmente riferibile alla morte del D..

In particolare il ricorrente evidenzia:

a) Nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. b per erronea applicazione degli artt. 589 e 40 c.p. contestandosi all'imputato C. condotte antidoverose non casualmente legate all'evento.

La mancata cura che il D. operasse in condizioni di sicurezza non risultando agganciato a nessun dispositivo di sicurezza è contraddetta dall'accertamento che il D. al momento del sinistro era personalmente munito dell'imbracatura necessaria all'allacciamento ma, non l'aveva utilizzata. Se il D. si fosse agganciato non sarebbe precipitato sicchè la volontaria violazione del lavoratore elideva il vincolo di causalità tra morte a mancata cura addebitata al C..

b) Ulteriore assenza di rilievo causale della condotta ascritta al C. è identificata nella incolpazione di aver consentito l'utilizzo di un punto di accesso in quota con cesta autosollevante senza prima predisporre idonei sistemi di ancoraggio per le imbracature di sicurezza.

Quell'accesso era vietato dal piano di lavoro, nulla era per quell'accesso addebitabile al C.. La caduta in zona a misure predisposte e non utilizzate, riprova la erroneità degli argomenti utilizzati dalla sentenza impugnata attraverso lo scambio dei concetti di colpa e di causalità di volta in volta operato.

c) Ulteriore assenza di rilievo causale è identificata nell'incolpazione di non aver predisposto sistemi di ancoraggio per gli spostamenti trasversali rispetto alle travi.

Nessuna prova si è avuta di spostamenti trasversali dell'infortunato e dunque il fatto addebitato in nessun rapporto causale provato si pone con l'avvenuta morte.

Altre modulazioni del primo motivo per il profilo di difetto di rapporto causale tra contestazioni ed evento morte del lavoratore, sono sviluppati a proposito del non aver effettuato una costante e precisa sovrintendenza dei lavori. Quanto all'addebito di non aver consentito una efficace presenza in cantiere dell' A. parte ricorrente denuncia la illogicità di una motivazione che non coglie come proprio la mattina dell'infortunio l' A. era ben presente in cantiere sicchè l'addebito della sua scarsa presenza è casualmente in conferente.

Ancora inconferente sarebbe l'addebito di non aver individuato un preposto alla sicurezza con poteri di modifica del piano di lavoro posto che la morte fu causata dalla violazione delle cautele di quel piano e per essere presenti in cantiere secondo legge, figure tecniche in grado di trasmettere i flussi di informazioni sulla sicurezza, di informare la ASL delle inadempienze non sanate, di fermare i lavori in caso di pericolo grave e imminente.

Ancora erroneo sarebbe l'addebito di non aver utilizzato un preposto con il solo compito di controllare l'osservanza delle misure di sicurezza.

In particolare parte ricorrente individua nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione degli artt. 589 e 43 c.p. in relazione al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70 e al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, art. 5, comma 5, lett. b) ed f) e art. 7, comma 2, lett. b) contestandosi all'imputato condotte non in contrasto con alcuna norma precauzionale e una non provata inadeguatezza (originaria o sopravvenuta) del piano di lavoro.

Il ricorso in questa sua parte evidenzia una contraddittorietà della sentenza di appello che per un verso si richiama alla sentenza di primo grado ma poi se ne differenzia a proposito della praticabilità (ritenuta dal Tribunale e negata dalla Corte di Appello) degli accessi in quota fissati nel piano di sicurezza. La Corte avrebbe erroneamente ignorato la approvazione del piano di lavoro operata dall'organo di vigilanza SPISAL, la accertata violazione delle prescrizioni ad iniziativa dei lavoratori, la conferma della validità del piano intervenuta con la prescrizione di adibire un addetto al controllo del lavoro in quota senza nulla aggiungere alle misure del piano di sicurezza.

2. Con un secondo motivo parte ricorrente, censura la nullità della sentenza per l'eccessività della pena comminata, per la mancata applicazione del minimo della pena detentiva e della relativa sostituzione con la sanzione pecuniaria ai sensi e per gli effetti della L. n. 689 del 1981, art. 53 e ss. modificata da L. n. 134 del 2003.

N.B.:

Censura la sentenza impugnata per quattro motivi:

1) col primo motivo denunzia: mancanza per taluni aspetti e manifesta illogicità per talaltri, della motivazione risultanti dal testo della sentenza impugnata; erronea applicazione degli artt. 40, 41 e 589 c.p..

Dal mancato accertamento della dinamica dell'infortunio derivano conseguenze logiche inevitabili circa la rilevanza causale dei comportamenti addebitati. La certezza di sentenza è che vicino al punto di caduta c'è una corda di ancoraggio e che il D. non ha ancorato ad essa l'imbracatura di cui pure è fornito. Le cause dichiarate frammiste poi a motivazioni psicologiche di spinta a violare le regole cautelari non costituiscono motivazione logica. Ma anche tali motivazioni psicologiche sarebbero determinate dalla condotta del capocantiere che porta il lavoratore in quota da un accesso non consentito e con ciò indica un secondo profilo di illogicità della motivazione che ignora la causalità esclusiva della scelta del lavoratore infortunato, ignora la causalità della manovra violativi del capocantiere, e configura senza più ragione una causalità attribuibile ad omissioni del N..

Illogica sarebbe la motivazione in punto di attribuzione della causalità della morte del lavoratore alle carenze organizzative descritte in sentenza posto che la morte si verifico in zona protetta a causa del mancato utilizzo della cintura e del mancato ordine del capocantiere di indossare la cintura. Anche il N. rileva che l'addebito della omissione dell'aggiornamento del piano di lavoro in una all'addebito della violazione del piano di lavoro (che se deve essere rispettato non ha bisogno di aggiornamenti) introduce una contraddizione insanabile e un difetto di correlazione tra accuse contestate e decisione adottata.

Al rilevato difetto di elementi oggettivi del reato contestato, parte ricorrente aggiunge la denunzia di omessa motivazione in punto di colpa del N. e la denunzia di errori logici in ordine al ruolo del preposto alla sicurezza A..

La presenza di costui al momento del fatto renderebbe errati tutti gli argomenti relativi alla molte mansioni a lui affidate e alla sua applicazione a diversi cantieri e la sua colpa omissiva, considerata la sua valenza alternativa alla colpa dell'imprenditore, si porrebbe come causa concorrente con le omissioni del lavoratore entrambe idonee a escludere ogni omissione del datore di lavoro. Predisposti dal N. tutti i presidi antinfortunistici, il piano di lavoro e la nomina di un sovrintendente ai lavori nella persona dell' A. esperto e competente, nessuno addebito poteva essere a lui mosso.

Illogica e inutile sarebbe l'argomentazione relativa alla necessità della presenza in cantiere di un addetto capace di cogliere il mutare delle esigenze organizzative posto che la manovra di conduzione in quota resterebbe estranea alla catena causale che determinò l'evento mortale. Riteneva il ricorrente di rammentare sul piano sostanziale l'intervento risarcitorio avvenuto ad opera dell'assicurazione (quella INAIL o altra?) prima della sentenza di primo grado.

2) col secondo motivo il N. denunzia erronea applicazione del combinato disposto di cui all'art. 589 c.p. e D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70 per aver addebitato l'inosservanza di una norma che nulla ha a che vedere con i lavori di demolizione;

3) col terzo motivo parte ricorrente denunzia erronea applicazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, comma 2, lett. b), art. 589 c.p. e ulteriore vizio di motivazione posto che l'obbligo di coordinamento di cui al citato D.Lgs., art. 7, comma 2 verrebbe meno in relazione ai rischi specifici delle lavorazioni assunte in singolo appalto. Il difetto di coordinamento sarebbe per errore di logica addebitato a due società che la sentenza allo stesso tempo ritiene compagine organizzativa ed economica unitaria.

4) Col quarto motivo il ricorrente denuncia l'eccessività della pena a fronte dell'avvenuto risarcimento del danno e della incensuratezza del N. che avrebbero imposto la commisurazione della pena al minimo e la sostituzione della pena detentiva con sanzione pecuniaria ai sensi e per gli effetti di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 53 e ss., mod. da L. n. 134 del 2003.

I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

La contestazione a fronte della quale i tre imputati sono stati condannati nei due gradi di merito addebita il reato di cui all'art. 589 cpv. c.p., per avere, per colpa, negligenza, imprudenza ed imperizia, inosservanza di norme sulla prevenzione infortuni (D.P.R. n. 164 del 1956, art. 70; D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. b e f, art. 7, comma 2, lett. b) C.F. quale rappresentante della ditta Amit srl Ambiente Italia, subappaltatrice dei lavori di esecuzione delle opere di rimozione dei materiali contenenti amianto (lastre di cemento amianto di copertura) e bonifica della zona presso il magazzino della Cartiere Cariolaro s.p.a., lavori eseguiti unitamente alla Politecnica srl con legale rappresentante N.B. .... A.R. tecnico della Pulitecnica srl direttore di cantiere per la fase di rimozione copertura, non curando che il dipendente di Amit srl D.N. operasse in condizioni di sicurezza, non risultando agganciato a nessun dispositivo di sicurezza, consentendo l'utilizzo di un punto di accesso in quota a mezzo di cesta autosollevante, senza predisporre prima idonei sistemi di ancoraggio per le imbracature di sicurezza, non predisponendo sistemi di ancoraggio per gli spostamenti trasversali rispetto ai travi per evitare il rischio di caduta, non curando il rispetto delle indicazioni riportate sul piano di lavoro per evitare i rischi di caduta dall'alto, non effettuando una costante e precisa sovrintendenza dei lavori al fine di garantire che i lavoratori potessero operare in condizioni di sicurezza, così cagionato la morte di D.N., dipendente della Amit srl, il quale, non agganciato ad alcun dispositivo di ancoraggio mentre effettuava lavori di applicazione di prodotto incapsulante sopra le coperture del capannone della spa Cartiere Cariolaro, cadeva all'interno del fabbricato riportando lesioni gravissime che ne causavano il decesso.

La sentenza impugnata accerta le responsabilità della morte del lavoratore D.N., caduto da una altezza di dodici metri mentre tentava di iniziare un lavoro di fissaggio, mediante copertura con apposito prodotto, delle fibre di amianto su lastre di copertura di un tetto posto all'altezza di dodici metri, lastre che sarebbero poi state smontate. Secondo la sentenza il lavoratore caduto operava senza imbracature, cintura di sicurezza, passerelle, e ancoraggi, tutti astrattamente disponibili ma in concreto non attivati, ed era stato portato in quota e in zona teoricamente non consentita, a mezzo di gru-piattaforma condotta dal lavoratore A., tecnico di una delle due società del subappalto finale con l'incarico di direttore di cantiere per la fase di rimozione della copertura. Il lavoratore aveva utilizzato non gli accessi del piano di sicurezza in realtà neppure attingibili, ma un accesso che lo portava sulle lastre al di fuori dei cavi di tenuta, dei travi di possibile calpestio, dei punti di aggancio della cintura e senza disponibilità alcuna di passerelle o altre vie di sicuro appoggio.

Il lavoro era stato appaltato dalla s.p.a. Cartiere alla EDILCO s.p.a. che li aveva subappaltati alla s.r.l. ECOCOPERTURE che li aveva ulteriormente appaltati alla AMIT s.r.l. (di cui risultava essere dipendente l'infortunato in passato già dipendente di Pulitecnica) e alla PULITECNICA srl (di cui era dipendente l' A. capocantiere di fatto oltre che lavoratore onerato di mansioni lavorative comuni).

La Corte di appello menzionava le doglianze dell' A. espressamente rammentando la tesi dell'imputato secondo la quale egli sarebbe stato scelto quale capro espiatorio a fronte del caos organizzativo tra le due società (AMIT e Pulitecnica) e pure rammentando l'altra tesi della irrilevanza della inosservanza del piano di sicurezza redatto con palese superficialità da un tecnico nominato dalla Cartiera Cariolaro s.p.a. committente, tecnico che non aveva neppure visitato i luoghi di lavoro e aveva indicato due accessi per i lavori invece impraticabili per la peculiare conformazione dei luoghi di lavoro. La Corte di Appello di Venezia conferma la violazione di obbligazioni di garanzia rivenienti per l' A. non tanto da un incarico di responsabile per la prevenzione che non lo rendeva in ogni caso destinatario di autonome obbligazioni di adempimento, quanto piuttosto per l'assunzione di fatto di responsabilità connesse alla sicurezza del lavoro nel cantiere ove operavano contemporaneamente le società rappresentate da N.B. e da C.. Per questi ultimi due, ciascuno legale rappresentante di società, variamente tra loro collegate, e impegnate a diverso titolo nel subappalto per la rimozione di materiali contenenti amianto e per la bonifica della Cartiera Cariolario s.p.a., la sentenza della Corte di Appello accertava la violazione di obbligazioni di garanzia consumata attraverso il mantenimento di una condizione strutturale di confusione organizzativa (la sentenza impugnata ne elenca i casi più evidenti ma a pg. 15 della motivazione ne evidenzia e descrive l'assetto programmato) di per sè foriera di infortuni, dalla mancanza di controllo della osservanza delle regole antinfortunistiche, al contrasto tra rappresentazione cartolare della organizzazione di sicurezza e condizioni obbiettive di installazione e di operatività del cantiere, dall'omissione di interventi di adeguamento e modificazione secondo la realtà dell'organizzazione nonostante i richiami restati senza risposta del coordinatore O. P. e nonostante la difformità del piano di sicurezza dalla effettiva struttura di cantiere sicchè quel piano era vistosamente estraneo fin dalla sua formulazione ai problemi posti dallo stato reale della organizzazione complessiva. Afferendo la colpa addebitata ai due, all'aspetto organizzativo dei mezzi e dei modi di produzione delle loro società, non poteva trovare utile richiamo a loro scusante alcun principio di affidamento nella corretta attività di altri. In particolare poi, la sentenza afferma che l'evento mortale non si sarebbe verificato se l' A. fosse stato esentato da mansioni lavorative reali e molteplici, diverse da quella di responsabile del servizio prevenzione così coinvolgendo anche nella verifica controfattuale sia la posizione del lavoratore garante di fatto, che la posizione dei due titolari di posizione di garanzia.

Da ultimo la condotta del lavoratore infortunato non valeva a interrompere il nesso causale tra evento e titolari delle varie posizioni di garanzia posto che la condotta del lavoratore costituiva uno solo degli elementi, gli altri essendo risultati forniti di efficacia causale anche maggiore, che avevano concorso nel loro insieme, alla determinazione dell'evento mortale.

In linea generale si deve rilevare che i tre ricorsi procedono attraverso un metodo di frammentazione dei dicta della motivazione impugnata così scomponendo il discorso dimostrativo per far emergere vizi logici che quel discorso nella sua compiuta coerenza e completezza ricostruttiva non soffre. La motivazione impugnata non a caso riporta una tesi sostenuta in appello dal capocantiere A., secondo la quale (tesi) il piano di sicurezza era stato redatto da un tecnico nominato dalla Cartiera committente che non aveva neppure visitato i luoghi di lavoro e imponeva due accessi per i lavori in quota in realtà non praticabili per la conformazione dei luoghi di lavoro. Ancora non a caso la sentenza impugnata ha evidenziato una altra tesi dello stesso imputato che si sofferma sul caos organizzativo dei lavori assunti dalle due società Amit e Pulitecnica i legali rappresentanti della quali erano pure imputati nel processo.

La dinamica dell'evento è attentamente ricostruita dalla sentenza impugnata che accerta motivatamente che il lavoratore utilizzò invece degli accessi previsti ma non raggiungibili, un accesso che lo portava sulle lastre di eternit al di fuori dei cavi di tenuta, dei travi di possibile calpestio, dei punti di aggancio della cintura e senza disponibilità alcuna di passerelle o di altre vie di sicuro appoggio.

Il ricorso dell' A. è infondato.

Il primo motivo non coglie nel segno laddove censura la affermazione della assunzione di fatto, per sua parte, di una posizione di garanzia. La preminenza in cantiere dell' A. rispetto a qualsiasi direttiva circa il concreto svolgimento del lavoro, il tempo e il metodo di tale svolgimento, è ben evidenziata dall'intera ricostruzione in fatto delle due sentenze di merito e dunque non richiede dimostrazione alcuna della consapevolezza dello svolgimento di compiti, assicurato entro il progetto complessivo dell'organizzazione del lavoro realmente adottata. Infatti secondo l'intera tessitura motivazionale della sentenza impugnata tali compiti proprio per il loro compimento sistematico sono voluti e consapevolmente assunti. La lettera di conferimento inviata all'organismo di sicurezza, sia o no provata la consegna anche all' A., è assunta come sintomo confermativo della bilateralità del conferimento e della accettazione per atti concludenti di quei compiti e della conseguente posizione di garanzia. La censura di omessa valutazione di prova decisiva è infondata perchè richiede una rottura della ricostruzione in fatto coerente e completa operata in sentenza con la evidenziazione delle carenze programmate, volute o tollerate di un sistema organizzato nel quale la fornitura di presidi personali ha - secondo motivata dimostrazione di sentenza - funzione virtuale e non effettiva, e il senso della organizzazione opera e determina effetti di pericolo e di danno a prescindere dagli insegnamenti dei corsi di sicurezza e dalla concreta lunghezza del lancio delle pompe a colla che comunque sono portate sul culmine delle tettoie nelle condizioni di totale assenza di protezione accertate in sentenza.

Anche il ricorso del C. è infondato e deve essere rigettato.

In diritto deve essere ribadito il principio costantemente affermato da questa Corte in forza del quale talune funzioni imprenditoriali possono essere delegate senza che possa mai essere delegata la responsabilità penale connessa alla posizione datoriale di garanzia dell'altrui diritto alla salute, come è reso ben evidente dalla tecnica adoperata nella legislazione antinfortunistica che fin dal 1955 individua i diversi piani di responsabili personale del datore di lavoro, del dirigente, del preposto, del dipendente.

La sentenza impugnata ben accuratamente motiva sul rapporto tra dotazione preventiva e non uso reale di presidi antinfortunistici personali, determinato dalla concreta organizzazione del lavoro che a partire dalla praticabilità dei punti di accesso ai tetti e a finire con la concreta assenza di protezione dei percorsi in altezza, evidenzia come il mancato aggancio della cintura e l'accesso da punti e su percorsi non previsti costituiscano il frutto di precise scelte organizzative delle lavorazioni, addebitabile all'impresa e al gestore delle scelte di impresa.

Il complesso percorso ricostruttivo della organizzazione del lavoro seguito dalla sentenza non è minimamente posto in crisi dalla considerazione di singoli comportamenti a loro volta illeciti del lavoratore , posto che tali comportamenti sono dalla sentenza stessa iscritti in una realtà complessiva plasmata dal datore di lavoro o dall'altro imprenditore coinvolto nei lavori e dunque senza contraddizione sono collegati egualmente alla finale responsabilità di costoro. E' vanamente congetturale la tesi di ricorso secondo la quale se il lavoratore fosse stato agganciato alla cintura di sicurezza la morte sarebbe stata evitata, a fronte di una sentenza che ha accertato una concreta condizione lavorativa nella quale mancavano i punti di aggancio ai quali assicurare validamente la cintura di sicurezza in tutte le fasi necessarie della lavorazione.

Ed è egualmente infondata la censura relativa alla non considerata colpevole inosservanza dei divieti fissati nel piano di sicurezza dopo la affermazione di sentenza che quel piano era inattuato e che i divieti erano oltrepassati da reali condizioni di cantiere nelle quali l'accesso in quota era disposto secondo la responsabilità dell'intera catena gerarchica di impresa, non dagli accessi virtualmente individuati nel piano di sicurezza ma mediante trasporto con cesta autosollevante. Congetturali e infondate sono tutte le considerazioni che si affidano al dover essere del piano di sicurezza accertatamente disatteso dalla concreta organizzazione generale e particolare del lavoro. Nulla ha a che vedere con la realtà indagata e accertata la rappresentazione cartolare della sicurezza che la sentenza dice restata senza seguito pratico, così come la approvazione dello stesso piano di sicurezza ad opera degli organismi deputati, nulla ha a che vedere con la realtà di cantiere attentamente e compiutamente accertata dalla sentenza impugnata come alternativa effettiva al piano. Le valutazioni che hanno portato alla determinazione della pena sono motivate e la censura di eccessività resta generica e degna di rigetto. In punto di richiesta di applicazione di sanzione sostitutiva si rileva che "la richiesta di sanzione sostitutiva, dedotta nei motivi di ricorso, costituisce domanda di una diversa qualità della pena sicchè una statuizione ad essa relativa, esula dal compito istituzionale della Corte di legittimità" (Cass. Sez. 4, 28/9/1984 n. 7748).

Il ricorso del N. deve egualmente essere rigettato.

La prima censura presenta come indagine psicologistica una specifica ricostruzione dell'organizzazione del lavoro e delle inefficienze che da essa derivano in punto di utile osservanza di talune regole (peraltro quelle limitate all'uso di presidi antinfortunistici personali).

La censura è infondata perchè la individuazione motivata di uno scostamento tra rappresentazione della sicurezza quale risulterebbe da un piano di sicurezza e realtà della organizzazione del lavoro che va nella direzione di un elevato rischio di infortunio, nulla ha di psicologistico ed è invece radicata nella realtà (compiutamente scandagliate nella sua interezza oggettiva) che produsse la morte del lavoratore per caduta. Egualmente infondata è la censura di omessa od erronea motivazione per mancata rilevazione della interruzione del nesso di causalità verificatasi in forza delle illecite condotte della vittima e del capocantiere dal momento che la sentenza impugnata si è ben soffermata sul punto affermando la contemporanea rilevanza delle condotte degli altri imputati e anzi sottolineando la maggiore efficienza causale delle condotte (omissioni) addebitate agli altri imputati. La allegazione della accertata vicinanza al punto di caduta di un punto di ancoraggio per le cinture di sicurezza è irrilevante perchè la motivazione censurata non disponeva di elementi utili a dare certezza che quella vicinanza corrispondesse a possibilità reale di ancoraggio prima della caduta mentre disponeva di elementi utili ad accertare che i punti di ancoraggio in genere mancavano. L'accertato scostamento tra piano di sicurezza e realtà operativa di cantiere esclude che l'addebito della omissione di aggiornamento del piano di cantiere abbia costituito addebito non rilevante rispetto alla determinazione della morte del lavoratore ed anzi evidenzia il punto di massima rilevanza della omissione dei datori di lavoro o responsabili della organizzazione di cantiere.

Ancora la specifica motivazione in ordine al ruolo causalmente assunto dalle omissioni di ciascuno impone il rigetto della doglianza espressa in punto di mancata rilevazione della non addebitabilità al N. di fatti cagionati da omissioni o condotte illecite esclusivamente riferibili ad altri. E' in errore il ricorrente quando attribuisce alla sentenza impugnata di aver ritenuto interna alla catena causale della morte l'operazione dell' A. di portare il lavoratore in quota a mezzo di cesto sollevatore, perchè la motivazione di appello ha attribuito a tale condotta dell' A. la sola funzione di dimostrare la esistenza di una organizzazione concreta del lavoro totalmente difforme dal piano di sicurezza e di porre a carico dei datori di lavoro e del capocantiere tutte le omissioni rese evidenti da tale conservata difformità. E' errata in diritto la denunzia di inapplicabilità ai lavori di bonifica di un tetto in eternit del D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 70 perchè il lavoro nel quale trovò la morte il lavoratore D. è correttamente definito da accertamento di sentenza come lavoro su lucernari, tetti coperture, la lavorazione in concreto attuata era quella di fissaggio delle particene di asbesto non stabilmente legate alle lastre di copertura dei capannoni regolarmente in sede e dunque la legge applicabile al tempo del fatto era certamente quella specificamente prevista dal citato D.P.R., art. 70 ora richiamato che disciplina lavorazioni tipiche delle costruzioni edilizie finchè non subentrano i lavori di demolizione veri e propri, peraltro disciplinati dal citato D.P.R., art. 71 e ss. Egualmente errata in diritto è la censura rivolta alla applicazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 7, comma 2, lett. b, perchè la motivazione impugnata ha dato conto della contemporanea operatività nel cantiere di dipendenti delle due società l' A. risultando dipendente di Pulitecnica s.r.l. e il D. di Amit s.r.l., e della interferenza di due organizzazioni, facenti capo a soggetti giuridici ben diversificati e distinti, con sovrapposizioni di poteri e di direttive nelle stesse lavorazioni.

I tre ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento.


P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2007.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2008