Categoria: Cassazione penale
Visite: 14208

 

Cassazione Penale, Sez. 3, 07 settembre 2016, n. 37165 - Contatto di un ponteggio con i cavi dell'alta tensione e morte per folgorazione di un lavoratore irregolare. Attività fraudolente poste in essere per assicurarsi l'impunità


 

 

 

 

 

Presidente: AMORESANO SILVIO Relatore: DI NICOLA VITO Data Udienza: 18/05/2016

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. P.D. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Palermo - decidendo su rinvio della Corte di Cassazione, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trapani, sezione distaccata di Alcamo - ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine alle contravvenzioni allo stesso contestate, essendo i reati estinti per prescrizione, ed ha ridotto la pena inflitta ad anni due e mesi sei di reclusione, eliminando la pena accessoria applicata e revocando le statuizioni civili.
Al ricorrente è contestato il reato di cui agli artt. 113 e 589, comma 2, cod. pen. perché - cooperando con F.C., quest'ultimo nella qualità di committente dei lavori di ristrutturazione del tetto dell'abitazione di sua proprietà ed il P.D. di genero del primo nonché di titolare di numerose ditte esercenti attività edile (ed in particolare dell'omonima s.r.l.) e, in tale veste, di esecutore di tali lavori - cagionava, unitamente al F.C., con colpa, il decesso del lavoratore F.G.P., dipendente non regolarmente assunto in servizio alle dipendenze del P.D., decesso sopravvenuto per arresto cardiocircolatorio indotto da elettrocuzione determinata dalla folgorazione prodotta nel lavoratore dal contatto di un ponteggio di accesso sul tetto, sul quale si trovava ad operare, con i cavi dell'alta tensione correnti sopra l'edificio; fatto commesso con negligenza, imprudenza ed imperizia per aver omesso di chiedere la temporanea disattivazione all'Enel S.p.A. dalla rete elettrica nonché con violazione delle norme vigenti in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro in particolare delle disposizioni: a) di cui all'art. 11 d.P.R 164 del 1956 per avere omesso di osservare, nell'istallazione del ponteggio, la distanza minima prescritta in cinque metri dalla rete elettrica ed inoltre per aver omesso di assicurare ull'adeguata protezione atta ad evitare contatti o pericolosi avvicinamenti ai conduttori di linee elettriche; b) di cui agli artt. 21 e 22 D.L.vo 626 del 1994 per aver omesso di formare e di informare il citato lavoratore in ordine ai rischi e pericoli cui si esponeva ed alle cautele ed alle regole di prevenzione da osservare per evitare infortuni sul lavoro; fatto commesso in Alcamo Marina il 17 ottobre 2006; nonché di una serie di contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro; fatti commessi in Alcamo fino alla data sopra indicata.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, il ricorrente, tramite il difensore, articola i cinque seguenti motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell'articolo 173 disposizione di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 606, comma 1, lettere c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 63, comma 2, 191, 192 e 197 stesso codice, sul rilievo che la sentenza impugnata sarebbe manifestamente illogica in relazione alla ritenuta insussistenza dei presupposti legittimanti l'applicazione del regime di inutilizzabilità assoluta alle dichiarazioni testimoniali rese da S. Castrenze, ai sensi dell'art. 63, comma 2, cod. proc. pen.
Assume il ricorrente che, alla sua individuazione, si giunse, secondo le sentenze di merito, a seguito del rinvenimento, nel cantiere teatro dell'evento, delle attrezzature a lui riconducibili, nonché a seguito di un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta che aveva eseguito il trasporto di materiale edile nel predetto cantiere, i cui documenti di trasporto sarebbero risultati originariamente emessi per conto della P.D. s.r.l., con la conseguenza che, nell'economia del giudizio, che ha condotto la Corte territoriale alla conferma della sentenza di primo grado, avrebbero assunto rilievo decisivo le dichiarazioni testimoniali rese dal S., dichiarazioni, queste ultime, oggetto di censura di inutilizzabilità in sede di gravame in appello.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto che le dichiarazioni del S., da sole, non erano sufficienti a scalfire l'efficacia privilegiata del verbale redatto dalla polizia giudiziaria dal quale non emergeva l'esistenza di indizi di reità nei confronti del dichiarante.
Siffatta decisione, pur non apparendo congruamente motivata, veniva confermata dalla sentenza impugnata.
La Corte di cassazione con sentenza del 26 settembre 2013, decidendo il primo ricorso dell'Imputato, aveva annullato la sentenza di appello del 9 giugno 2011, evidenziando come spettasse al giudice di merito il potere di verificare in termini sostanziali e, quindi, al di là del riscontro di indici formali, se l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato attribuisse allo stesso la qualità di indagato, rilevando ai fini della sussistenza dell'obbligo di cui all'art. 63 cod. proc. pen. - nel caso di soggetto che avrebbe dovuto essere sentito sin dall'inizio come persona indagata - solo la concreta situazione conoscibile ed apprezzabile al momento in cui le dichiarazioni erano state rese.
In buona sostanza, l'antecedente logico utilizzato dalla sentenza per escludere la condizione di indiziato fin dall'Inizio del teste sarebbe costituita dalla ritenuta insufficienza degli elementi iniziali per indirizzare le indagini nei confronti del P.D. e del S..
Ed in effetti, la sentenza impugnata ha affermato che le indagini si indirizzarono nei confronti del ricorrente solo a seguito dell'acquisizione delle fatture allo stesso intestate dalla ditta PU., effettuata in data 16 febbraio 2007, mentre il S. rese le dichiarazioni ai Carabinieri, solo il 7 marzo 2007, momento in cui risultava già individuato il responsabile del cantiere nella persona del ricorrente.
Il quale sostiene, quindi, che il ragionamento della Corte territoriale sia fondato esclusivamente sul fatto che allorquando il S. fu escusso a sommarie informazioni (7 marzo 2007) il P.D. già era indiziato del delitto de quo grazie alle fatture al medesimo intestate.
Ma, a ben vedere, la circostanza della sussistenza degli indizi al momento dell'audizione del S. da parte dei Carabinieri non rimarrebbe esclusa dalla circostanza che il P.D., a quel tempo, fosse già indiziato, ben potendo il S. essere comunque ritenuto corresponsabile del reato, unitamente al ricorrente.
Infatti, nel caso di specie, al di là degli indizi a carico del P.D., il teste S. al momento della sua audizione da parte dei Carabinieri appariva fortemente coindiziato del medesimo delitto ascritto al ricorrente, situazione questa che fu apprezzata non solo dai verbalizzanti che contestarono al S. le proprie responsabilità ma finanche da quest'ultimo, che decise di parlare solo a seguito della contestazione.
Sul punto, la sentenza impugnata avrebbe del tutto omesso ogni argomentazione in ordine alla precisa doglianza mossa con i motivi di appello, alle pagine 3 e 4.
In altre parole, l'anzidetta testimonianza sarebbe, nell'economia del giudizio, decisiva perché utilizzata per dimostrare la riconducibilità del cantiere all'Imputato ed il governo del cantiere stesso da parte di quest'ultimo.
Conclude pertanto il ricorrente che, siccome dal tenore letterale e dalla ratio del capoverso dell'art. 63 cod. proc. pen., come dal suo necessario coordinamento con gli artt. 62 e 350 stesso codice, si desume che la preclusione all'utilizzabilità dibattimentale delle dichiarazioni rese senza assistenza difensiva alla polizia giudiziaria ha carattere assoluto, deriverebbe da tutto ciò l'annullamento della sentenza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli arti 192 e 533 cod. proc. pen.
La sentenza impugnata sarebbe, secondo il ricorrente, manifestamente illogica in ordine al giudizio di colpevolezza formulato nei confronti dell'imputato per il reato ascrittogli.
Ed invero, la Corte territoriale ha rilevato come il giudice di primo grado avesse fondato il proprio giudizio di colpevolezza sulla ritenuta dimostrazione, da una parte, dell'interesse del P.D. nella realizzazione dell'opera e, dall'altra, dalla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori. 
L'iter argomentativo seguito dai Giudici di appello, per giungere all'anzidetta conclusione, è apparso al ricorrente non coerente con le evidenze processuali, illogicamente frammentate e travisate.
Sebbene, a seguito del controllo fiscale espletato nei confronti della ditta che aveva eseguito il trasporto di materiale edile nel predetto cantiere, si accertò che i documenti di trasporto sarebbero risultati originariamente emessi per conto della P.D. s.r.l. e che il ricorrente si attivò per sostituirli, sarebbe tuttavia innegabile che la condotta ascritta al P.D., nel tentativo di procurarsi l'impunità, fosse un post factum rispetto al reato già consumato, sicché essa non poteva ritenersi dimostrativa del fatto addebitatogli, ben potendo, in astratto, giustificarsi con il tentativo di evitare che le indagini, ritenute ingiuste, lo coinvolgessero.
In sintesi, il ricorrente osserva che gli accertamenti compiuti dai verbalizzanti consentirono di rilevare come la fattura n. 300 emessa dalla ditta PU. nei confronti del F.C., fosse stata emessa in sostituzione di una precedente fattura rilasciata nei confronti della P.D. s.r.l., circostanza che naturalmente indusse a ritenere la finalità di occultamento della condotta, cui fu attribuito un particolare significato indiziario.
Pur non contestandosi la circostanza che il P.D. avesse chiesto alla ditta PU. di cambiare l'intestazione dei documenti di trasporto, il ricorrente contesta invece la ragione per la quale formulò la richiesta: secondo la sentenza il P.D. si attivò per evitare che le indagini disvelassero il suo coinvolgimento nel reato, ma detta conclusione tuttavia presuppone, a monte, la riconducibilità della prima intestazione dei documenti al ricorrente.
Difatti, ove così non fosse, ovvero che inizialmente la ditta PU. avesse lecitamente intestato alla P.D. s.r.l. i documenti di trasporto, la circostanza tesa al cambiamento della intestazione, successivamente all'evento delittuoso, sarebbe stata assolutamente legittima.
Essa, invero, realizzava il mero tentativo di correggere un errore, ascrivibile alla ditta PU., idoneo ad orientare le indagini nella direzione sbagliata, e d'altro canto proprio la circostanza afferente i documenti di trasporto ha costituito il nucleo centrale del sillogismo dei giudici di merito.
Sicché, appare evidente come l'omesso apprezzamento della dichiarazione testimoniale del titolare dell' omonima ditta PU., nella sua integralità, abbia reso del tutto irragionevole la motivazione della sentenza impugnata ove ha ritenuto l'intento fraudolento perseguito dall'imputato, intento dal quale ha fatto poi derivare il pesante significato indiziario nei confronti del ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e l'errata applicazione dell'art. 606, comma 1, lettere c) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 191, 270 cod. proc. pen. 
Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata andrebbe annullata in ordine alla ritenuta utilizzabilità del verbale di interrogatorio reso dal teste  D'A., già indagato per il reato di falsa testimonianza per le dichiarazioni rese nel procedimento de quo, nonché alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni ambientali in ordine alla conversazione intrattenuta all'interno della caserma dei Carabinieri di Alcamo tra il D'A. e la moglie della vittima.
Ed invero, la sentenza impugnata è giunta alla conclusione che il F.G.P., rimasto vittima del sinistro mortale, svolgesse la propria attività lavorativa per conto del P.D., e che fu proprio questi a mandarlo nel cantiere del suocero, F.C..
A siffatta conclusione la Corte distrettuale sarebbe pervenuta anche sulla base delle dichiarazioni rese dal D'A. ma non utilizzabili per essere state assunte in violazione del disposto di cui all'art. 63 cod. proc. pen.
Invero, dopo le prime dichiarazioni rese al dibattimento dal teste, che avevano generato una denuncia nei confronti del medesimo per il reato di falsa testimonianza, il D'A. fu poi sentito, dapprima, dai Carabinieri e, successivamente, fu escusso dal giudice di primo grado.
Nella caserma del Carabinieri e, prima dell'audizione del D'A., furono eseguite delle intercettazioni ambientali, i cui esiti furono utilizzati nel diverso procedimento a carico del P.D., e la relativa eccezione di inutilizzabilità, atteso il divieto di utilizzazione in altri procedimenti previsto dall'art. 270 cod. proc. pen., fu respinta dalla Corte territoriale, con ordinanza dibattimentale impugnata congiuntamente alla sentenza, sul rilievo che - per l'accertamento degli elementi concreti di cui all'art. 500, comma 4, cod. proc. pen. per l'acquisizione delle precedenti dichiarazioni rese dal testimone, rispetto al quale si presume una condotta di minaccia - non trovano applicazione le norme dettate per la formazione della prova.
Sul punto, obietta il ricorrente che, in tema d'intercettazioni disposte nell'ambito di un procedimento ab origine diverso, la loro utilizzabilità è subordinata alla sussistenza dei parametri, nella specie insussistenti, indicati espressamente dall'articolo 270 cod. proc. pen. e cioè l'indispensabilità e l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza.
Quanto poi alle dichiarazioni rese dal D'A. nella Caserma dei Carabinieri - ossia alla ritenuta utilizzabilità del verbale di spontanee dichiarazioni del 2 ottobre 2009 - la sentenza impugnata, pur avendo riconosciuto che, nonostante l’intestazione del verbale recante la dicitura "verbale di spontanee dichiarazioni", il D'A. venne sottoposto ad un vero e proprio interrogatorio senza le garanzie previste dal codice di rito, ha tuttavia affermato che, in assenza di concreti elementi che potessero far desumere che la volontà del dichiarante fosse stata coartata, doveva escludersi che l'atto fosse affetto da inutilizzabilità assoluta, incorrendo nell'evidente violazione dell'art. 63, comma 2, cod. proc. pen. in forza del quale le dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini non possono essere utilizzate, a nulla rilevando che il soggetto dichiarante abbia o meno subito intimidazione.
Nel caso di specie, il D'A. era già sottoposto alle indagini per il reato di cui all'art. 372 cod. pen.; egli venne poi interrogato dai Carabinieri che dissimularono detto interrogatorio con un verbale di spontanee dichiarazioni.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'art. 606, comma 1, lettere b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 63, 192, 533 cod. proc. pen.
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata andrebbe ancora annullata, perché manifestamente illogica, in ordine al giudizio di colpevolezza formulato a carico dell'imputato, sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe inopinatamente frammentato il quadro probatorio svalutando le evidenze di segno opposto.
Sostiene infatti il ricorrente che la Corte d'appello ha ritenuto legittima la valutazione del primo giudice, circa l'interruzione dell'esame dei testi A. e S., in presenza delle condizioni di cui all'art. 63 cod. proc. pen., atteso che dalle dichiarazioni rese da costoro emergevano gravi indizi di reità a loro carico per il semplice fatto di avere concordemente riferito di avere organizzato il lavoro all'interno del cantiere, ove svolgeva la propria attività anche il F.G.P., e di avere quindi sostanzialmente svolto le funzioni di capi-cantiere.
L'assunto giuridico della Corte territoriale sarebbe errato perché la dichiarazione resa dai testimoni non faceva emergere alcun indizio di reità a loro carico, sicché l'interruzione dell'esame testimoniale doveva ritenersi illegittimo e fortemente pregiudizievole del diritto difesa dell'imputato.
Invero, la riconducibilità delle mansioni svolte dai due testimoni al ruolo di capi cantiere sarebbe stata formulata in maniera del tutto affrettata, non avendo la Corte territoriale tenuto conto dei principi di diritto che disciplinano la materia della responsabilità penale del preposto o del capo cantiere in relazione all'applicazione delle misure di sicurezza sul lavoro.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente eccepisce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen. in relazione agli articoli 62 bis e 133 cod. pen.
Osserva il ricorrente che la Corte territoriale ha giustificato la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche sulla base della negativa personalità dell'imputato desunta dall'attività di inquinamento probatorio dallo stesso posta in essere al fine di garantirsi l'impunità.
Tuttavia, il ritenuto tentativo di depistaggio attribuito all'imputato, relativamente all'attività diretta al cambiamento della intestazione dei documenti di trasporto, è stato frutto, come enunciato con il primo motivo di ricorso, di un vistoso travisamento del fatto, con la conseguenza che, una volta eliminato l'antecedente logico utilizzato dalla sentenza per il diniego delle invocate circostanze generiche, la motivazione della stessa poggerebbe su una ratio decidendi manifestamente illogica, essendo anche risultato che l'imputato si prodigò nell'immediatezza dei fatti per prestare soccorso alla povera vittima, cosciente che la circostanza lo avrebbe portato in giudizio, e nel corso del dibattimento, ha risarcito integralmente il danno alle parti civili.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è infondato.
2. Quanto al primo motivo, la sua infondatezza deriva dall'esito del giudizio rescindente, che va ripercorso sia perché utile a delimitare il confine tracciato nei confronti del giudice di rinvio e sia perché, in ogni caso, ha già escluso la decisività della dichiarazione del S..
2.1. Infatti, la sentenza rescindente - dopo aver precisato come non fosse possibile convenire con il ricorrente circa il fatto che il S. rese le dichiarazioni quando già risultavano acquisiti a suo carico indizi di reato e come fosse preclusa alla Corte di cassazione qualsiasi indagine in tal senso - ha sottolineato come una tale circostanza fosse priva di decisività, perché l’errore di diritto in cui era incorso il giudice territoriale, nell'enunciare il principio al quale attenersi per attribuire o meno al dichiarante, al momento della dichiarazioni, la qualità di imputato o di persona sottoposta ad indagini, non era in grado di privare l’impianto motivazionale della sua adeguatezza in funzione della dichiarazione di responsabilità del P.D..
Infatti, anche a sottrarre dall'impianto motivazionale (di primo grado) le dichiarazioni del S. (che non erano state utilizzate dal primo giudice per accertare le condotte di falsa testimonianza dei testi A. e D'A., ma nell'ambito dell'indagine sulla posizione datoriale del P.D.), era stato chiarito come il giudizio di responsabilità avesse trovato fondamento nelle dichiarazioni del F.C. e della moglie della vittima, dalle quali era emerso che "il P.D. rimaneva il referente della vittima sul posto di lavoro come la prova della qualità dell'imputato, quale datore di lavoro del F.G.P., fosse stata desunta anche dalle dichiarazioni del B. e del S., investigatori che svolsero accertamenti sui documenti formati per la vendita del materiale edile portato in cantiere, e che fecero emergere che le fatture erano state intestate a P.D. e poi, su sollecitazione di questo, dopo la morte del lavoratore, modificate e riferite a F.C.; come la predetta qualità fosse stata desunta dalle dichiarazioni C., che si occupò della vendita al P.D. di tali materiali, dalle dichiarazioni di  A.F.G.P. e di L.D.L., rispettivamente padre e moglie della vittima ed infine da quelle di tale M..
2.2. L'annullamento con rinvio è stato invece disposto in considerazione di talune carenze motivazionali rispetto a specifiche critiche sollevate dal ricorrente con i motivi di appello e non esaminate dai giudici del merito, quali:
- la non veridicità dell’affermazione secondo la quale erano del P.D. le attrezzature utilizzate nel cantiere, avendo il giudice travisato le parole del B.;
- l’errata valutazione della prova in merito alla circostanza della intestazione delle fatture al P.D. e alle vicende successive, per non aver il primo giudice preso in esame la dichiarazione del P.D. medesimo e un particolare passo della dichiarazione del C., nonché le dichiarazioni di G. PU., che aveva affermato essere stata una sua iniziativa la modifica dell’intestazione delle fatture, ed infine quelle di L.P. e di P.La.;
- le irregolari modalità di assunzione delle dichiarazioni del D'A. da parte dei Carabinieri, con l’effetto del venir meno della indicazione da quello proveniente dell’esser stato il F.G.P. reclutato dal P.D.;
- l’inutilizzabilità delle intercettazioni.
2.3. Tuttavia, la Corte territoriale ha ugualmente proceduto a scrutinare le dichiarazioni del S., attenendosi al principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente ed affermando che il fatto di trovarsi le attrezzature del S. stesso presso il cantiere in cui si verificò l'infortunio mortale non poteva valere ad attribuire a quest'ultimo la qualità di indagato essendo emerso che, al momento della sua audizione, nella fase delle indagini preliminari (7 marzo 2007), risultava già effettuato il sequestro della documentazione presso la ditta PU., di guisa che doveva correttamente ritenersi che fosse stato già individuato, quale datore dì lavoro della vittima, il P.D., non potendosi certamente stimare sufficienti i suddetti elementi, conosciuti fin dall’inizio dagli organi inquirenti, per procedere all’esame del predetto S. nella qualità di indagato ed essendo, invece, già emersi gravi indizi di reità a carico del P.D..
Alla stregua di ciò, la Corte territoriale - con logica ed adeguata motivazione non suscettibile pertanto di essere sindacata in sede di giudizio di legittimità - ha escluso che nel caso di specie potesse configurarsi l’ipotesi di inutilizzabilità prevista dall’art. 63 cod. proc. pen., per cui correttamente il S. era stato assunto a sommarie informazioni nella fase delle indagini preliminari ed esaminato come teste in sede dibattimentale.
Il ricorrente obietta che la presenza nel cantiere delle attrezzature riconducibili al S. valeva comunque ad attribuire a quest'ultimo una corresponsabilità e, dunque, la qualità di indagato, ma l'errore nel quale incorre il ricorrente sta nel considerare la posizione del S., nel momento in cui gli inquirenti avrebbero dovuto stabilire le formalità con cui sentirlo, in forma statica e cioè a prescindere dal complesso delle informazioni acquisite al procedimento, laddove invece proprio quelle conoscenze, vale a dire il fatto che risultava già eseguito il sequestro della documentazione presso la ditta PU. e dunque il P.D. era stato già ritenuto il datore di lavoro della vittima, potevano portare ad escludere che il S. avesse potuto cooperare nel reato, in quanto la contraria supposizione trovava il proprio fondamento solo in un mero sospetto, mentre doveva rilevare esclusivamente la concreta (e quindi anche complessiva) situazione conoscibile ed apprezzabile al momento in cui le dichiarazioni dovevano essere rese (Sez. 5, n. 747 del 28/09/2012, dep. 2013, T., Rv. 254599), posto che la sanzione di inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall'inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell'interessato siano già acquisiti, prima dell'escussione, indizi non equivoci di reità, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell'interrogante (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243417).
3. Il secondo motivo è invece inammissibile perché manifestamente infondato, per molteplici aspetti aspecifico, in quanto omette di prendere posizione su circostanze decisive ai fini del compiuto scrutinio della ratio decidendi, nonché fondato su censure non consentite nel giudizio di legittimità perché dirette a contestare la motivazione della sentenza impugnata attraverso censure di merito.
3.1. La Corte territoriale ha premesso come il Tribunale avesse tratto il ragionevole convincimento della responsabilità del ricorrente sulla base di una serie di elementi indiziari e partendo dal presupposto, ampiamente provato e non contestato, che il P.D. fosse genero del F.C. e titolare di numerose imprese edili (ossia 1. anche il P.D. aveva la disponibilità dell'immobile; 2. il P.D. era in cantiere quando si verificò il sinistro; 3. in cantiere erano state rinvenute attrezzature riconducibili al P.D.; 4. il F.G.P. era stato reclutato dal P.D.; 5.) parte del materiale fornito per la realizzazione del fabbricato era stato fatturato inizialmente nei confronti del P.D., ma - dopo l'incidente - il P.D. richiese la rettifica delle fatture.
3.2. Quanto all'ultimo punto (la questione del reclutamento del lavoratore è oggetto delle successive doglianze, mentre gli altri punti sono sostanzialmente ammessi dallo stesso ricorrente e comunque ampiamente accertati aliunde, come risulta dal testo della sentenza impugnata (pag. 5 e 6) e dalla stessa sentenza di rinvio), la Corte distrettuale ha evidenziato come il Tribunale avesse fondato il proprio convincimento in ordine all'ingerenza del P.D. nella realizzazione dell'opera, richiamando le dichiarazioni rese dai verbalizzanti (B. e S.) nonché la deposizione del teste C., comprovanti la circostanza che fosse stato l'imputato ad ordinare il materiale per il cantiere e che lo stesso avesse poi richiesto il cambio dell'intestazione dei documenti di trasporto al C..
Infatti, gli accertamenti compiuti dai verbalizzanti presso la ditta PU. consentirono di appurare che la fattura n. 300 fu emessa nei confronti di F.C. per il materiale consegnato in relazione ai lavori eseguiti per la ristrutturazione dell'Immobile di sua proprietà, mentre la precedente era stata emessa nei confronti della ditta P.D. Srl. Si accertò poi la mancanza di una serie di documenti di trasporto (dal n. 744 al n. 750) immediatamente antecedenti rispetto a quello recante il n. 751 avente come intestatario il predetto F.C., con un evidente discrasia spaziale e temporale tra quest'ultimo ed il documento di trasporto n. 743, tale da indurre a ritenere che fosse avvenuta la distruzione dei documenti di trasporto mancanti, non essendo gli stessi stati rinvenuti, e che fosse stato oggetto di falsificazione quello recante il n. 751.
3.3. Secondo i Giudici del merito, il teste B. riferì, nel corso del suo esame dibattimentale, che il P.D. pose in essere le condotte fraudolente finalizzate ad occultare le prove che avrebbero potuto consentire di risalire all'effettivo datore di lavoro del F.G.P. sulla base di una serie di dati probatori emersi a conclusione di un'attività investigativa, iniziata con il sequestro della fattura sopra menzionata e dei documenti di trasporto anomali e proseguita con l'assunzione a sommarie informazioni dei soggetti protagonisti della vicenda.
3.3.1. Il teste PU. - titolare della ditta fornitrice del materiale edile - aveva dichiarato che i documenti di trasporto inerenti ai materiali relativi alla ristrutturazione dell'Immobile del F.C. erano stati intestati alla P.D. Srl, in quanto richiesti dallo stesso imputato, e che, solo successivamente, venne cambiata l'intestazione in favore del suocero, in quanto effettivo proprietario dell'Immobile.
La Corte Palermitana ricorda che - sebbene il teste, nonostante le contestazioni mosse dal pubblico ministero, avesse anche dichiarato di non ricordare se fosse stato il F.C. ovvero il P.D. a chiedere il cambio dell'intestazione dei documenti di trasporto - lo stesso confermò che i predetti documenti vennero distrutti e che tale richiesta venne inoltrata lo stesso giorno del decesso del F.G.P..
Le plurime contestazioni mosse durante l'esame dibattimentale resero, secondo la Corte d'appello, palese la reticenza mostrata dal teste soprattutto in relazione all'esatta individuazione del soggetto che richiese il cambio dell'intestazione delle fatture che, nonostante il dubbio espresso dal PU., fosse da individuarsi nel ricorrente, sul rilievo che il teste C., all'epoca dipendente della ditta PU. quale addetto alle fatturazioni, riferì che l'ordine per la consegna del materiale gli fu impartito dal P.D. e di avere ricevuto da quest'ultimo, il giorno dell'avvenuto decesso del F.G.P., la richiesta di cambio delle intestazioni dei documenti di trasporto, che venne effettuata, previa consegna di quelli precedentemente emessi ed a lui intestati.
Come risulta dal testo della sentenza impugnata, nonostante le plurime domande poste dai difensori, il teste ribadì, più volte, di ricordare che fosse stato il P.D. ad effettuare la richiesta ed, a riprova dell'esattezza del suo ricordo, precisò che i documenti di trasporto vennero portati via dal predetto, al fine di fare apporre la firma al suocero, per poi essere restituiti nell'arco della stessa giornata.
Anche il teste L.P., autista della ditta PU. incaricato del trasporto delle merci presso il cantiere, pur confermando di avere consegnato le merci ad una persona anziana non meglio identificata, riferì che i documenti di trasporto erano stati originariamente intestati all'impresa P.D. Srl, essendo la merce destinata al ricorrente, e che successivamente, invece, vennero emessi dei nuovi documenti di trasporto, diversamente intestati, in quanto gli venne espressamente richiesto dal C. di sottoscriverli.
Da ciò la ragionevole certezza, tratta da tutti gli elementi di prova passati in rassegna, che vi era, da un lato, l'interesse del P.D. alla realizzazione dell'opera, e che, dall'altra, vi era stata una sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori.
La Corte d'appello ha comunque attribuito particolare rilevanza, ai fini dell'accertamento della penale responsabilità dell'imputato, non tanto al personale coinvolgimento ed al diretto interesse del P.D. alla realizzazione dell'opera quanto all'attività fraudolentemente posta in essere per assicurarsi l'impunità, costituita dalla richiesta di sostituire nell'intestazione dei documenti di trasporto al proprio nominativo quello del suocero.
A prescindere dalle motivazioni che avevano portato all'emissione delle fatture e dei documenti di trasporto in favore della P.D. Srl, era emerso, secondo la Corte territoriale, in maniera inconfutabile, che fu proprio l'imputato, dopo il decesso del F.G.P., a richiedere al C. di sostituire i documenti di trasporto a lui intestati con altri creati fittiziamente con il nominativo del F.C. e ciò con l'evidente fine di allontanare da sé ogni indizio di reato.
L'intento fraudolento perseguito dall'imputato è stato tratto dalla Corte distrettuale non soltanto dalle precedenti considerazioni, già di per sé autosufficienti in proposito, ma anche dalla testimonianza del S., che riferì di aver appreso la notizia del decesso del F.G.P. dal P.D., il quale gli disse di essere stato presente in cantiere e di avere portato i primi soccorsi al malcapitato, premurandosi, poi, di trasportarlo in ospedale e nel contempo manifestando le preoccupazioni per le conseguenze penali che sarebbero potute derivare al ricorrente stesso dall'accaduto e della strategia difensiva concordata con il proprio legale, consistente nel fare accollare ogni responsabilità al suocero (F.C.).
Secondo la logica ed adeguata motivazione della Corte d'appello, che ha posto perciò riparo al difetto motivazionale contenuto nella sentenza annullata con rinvio, lo scambio dei documenti di trasporto e l'intestazione della fattura al F.C. costituì la concreta attuazione di un programma di inquinamento dei risultati probatori ideato dall'imputato per tentare di assicurarsi l'impunità, facendo ricadere ogni responsabilità dell'accaduto sul suocero.
3.1.2. Al cospetto di tale granitico apparato argomentativo nei confronti del quale il ricorrente non si è affatto commisurato, preferendo piuttosto frantumare le risultanze processuali e valorizzando, in maniera peraltro assertiva, solo taluni aspetti del compendio probatorio, le censure mosse con il motivo di gravame sollecitano, inammissibilmente, una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone ed altri, Rv. 207944).
Va infatti ricordato che il vizio di motivazione, che risulti dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati (e, nel caso di specie, neppure sempre segnalati in modo autosufficiente), in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando, come nella specie, si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di , Rv. 205621), con la specificazione che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" (situazioni del tutto non ricorrenti nella presente vicenda processuale), dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché le ragioni del convincimento siano spiegate, come nel caso in esame, in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). 
4. Il terzo motivo è infondato.
Il ricorrente dirige la doglianza contestando il percorso motivazionale seguito dai Giudici del merito per pervenire alla conclusione dell'avvenuto reclutamento del F.G.P. da parte del P.D., attraverso l'utilizzazione delle dichiarazioni rese da  D'A., sia nella fase delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 500, comma 4, cod. proc. pen., e sia in fase dibattimentale, avendo il teste ritrattato la precedente deposizione in cui aveva negato di essere a conoscenza dell'assunzione, in nero, della vittima da parte dell'imputato.
Secondo il ricorrente, sarebbero stati i Carabinieri di Alcamo ad effettuare un'opera di depistaggio, esercitando pesanti pressioni e minacce sul D'A. affinché ritrattasse le dichiarazioni precedentemente rese in sede dibattimentale e, in ogni caso, i Giudici del merito avrebbero illegittimamente utilizzato, ai fini del sub-procedimento instaurato ai sensi dell'art. 500, comma 4, cod. proc. pen., il contenuto di intercettazioni ambientali, che invece erano inutilizzabili, stante il divieto di cui all'art. 270 cod. proc. pen., trattandosi di intercettazioni disposte in diverso procedimento.
4.1. Osserva preliminarmente il Collegio come, ancora una volta, il ricorrente parcellizzi incongruamente le risultanze processuali omettendo di considerare che, sul tema di prova specifico, i Giudici del merito hanno richiamato le dichiarazioni rese dai testi A. F.G.P. e L.D.L. - rispettivamente padre e moglie del lavoratore deceduto - che concordemente riferirono che il loro congiunto era stato assunto, in nero, dal P.D., grazie all'intercessione del D'A. (già dipendente di quest'ultimo), per lavorare presso il cantiere aperto per la ristrutturazione dell'Immobile del suocero, in attesa di essere regolarizzato per espletare la propria attività lavorativa presso un cantiere di prossima apertura a Trapani.
In particolare, come risulta dal testo della sentenza impugnata, la L.D.L. precisò che inizialmente il colloquio era stato infruttuoso, non avendo il P.D. dato la disponibilità per l'assunzione, ma che, poco dopo, quest'ultimo contattò telefonicamente il F.G.P. per incontrarlo nuovamente, offrendogli di lavorare in nero presso l'immobile di proprietà del suocero in Alcamo Marina, in attesa di essere assunto regolarmente.
I Giudici del merito hanno anche richiamato le dichiarazioni del teste Ma., che riferì di essere stato dipendente, in quel periodo, dell'impresa S. e di essere stato mandato da quest'ultimo, proprio il giorno dell'Incidente mortale, presso il cantiere del P.D., in Alcamo Marina, dove si era recato, con un mezzo aziendale, proprio insieme al F.G.P..
La Corte d'appello ha pure opportunamente evidenziato come tale circostanza costituì oggetto di uno specifico accertamento da parte degli organi  inquirenti, essendo stato riferito dal teste B. che l'autovettura del F.G.P. venne rinvenuta nei pressi della via Milicia, in cui si trovava il magazzino del S. presso cui erano depositate le attrezzature di lavoro messe a disposizione anche dell'impresa del P.D., e da cui, ogni mattina, partivano le squadre di operai delle due imprese per raggiungere il luogo di lavoro.
In realtà, anche il teste S., nel corso della sua deposizione, ammise, pure risulta dal testo della sentenza impugnata, che l'impresa del P.D. fosse impegnata nei lavori di ristrutturazione della villetta del suocero e che, come riferitogli dallo stesso nell'immediatezza del fatto, il lavoratore deceduto fosse alle sue dipendenze, anche se non era stata regolarizzata la sua assunzione, tant'è vero che lo stesso si preoccupò di prestargli i primi soccorsi e di portarlo in ospedale e si offrì, per suo tramite, di pagare le spese funerarie alla famiglia del defunto.
Quindi, a prescindere dalle dichiarazioni del teste D'A., su cui verte l'eccezione di inutilizzabilità sollevata dal ricorrente, i Giudici del merito hanno ritenuto che le precedenti e concordi dichiarazioni dei testi inducevano logicamente a ritenere pienamente comprovato che il cantiere edile per la ristrutturazione dell'immobile di proprietà del F.C. facesse capo all'impresa del P.D. e che fosse stato quest'ultimo ad assumere, sia pure in nero, il F.G.P..
4.2. Quanto poi all'acquisizione e all'utilizzazione dei verbali di dichiarazioni rese dal D'A. nella fase delle indagini preliminari, disposta con ordinanza dibattimentale emessa ai sensi dell'art. 500, comma 4, cod. proc. pen., sulla base delle intercettazioni ambientali effettuate presso la caserma dei Carabinieri nonché sull'interrogatorio reso dinanzi al pubblico ministero dal predetto D'A., la Corte d'appello, condividendo l'approdo cui era pervenuto il primo giudice, ha ritenuto che le dichiarazioni fossero utilizzabili nel sub-procedimento di cui all'art. 500, comma 4, cod. proc. pen., sul rilievo che, in tema di prova testimoniale, nell'accertamento degli elementi concreti richiesti dall'art. 500, comma 4, cod. proc. pen. per l'acquisizione delle precedenti dichiarazioni rese dal testimone, non trovano applicazione le disposizioni dirette a regolare la formazione della prova in dibattimento, dovendo il giudice verificare che la documentazione prodotta a fondamento dei suddetti elementi sia stata legittimamente acquisita, come nel caso di specie secondo la Corte territoriale è avvenuto, dovendosi ritenere pienamente legittime le intercettazioni ambientali disposte nel procedimento per il delitto di falsa testimonianza, così come l'interrogatorio reso dal D'A. nel medesimo procedimento.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte territoriale si è attenuta al principio di diritto espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in tema di testimonianza, il procedimento incidentale diretto ad accertare gli elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità al fine di non deporre o di deporre il falso, deve fondarsi su parametri di ragionevolezza e di persuasività, nel cui ambito può assumere rilievo qualunque elemento sintomatico della intimidazione subita dal teste, purché sia connotato da precisione, obiettività e significatività, secondo uno "standard" probatorio che non può essere rappresentato dal semplice sospetto, ma neppure da una prova "al di là di ogni ragionevole dubbio", richiesta soltanto per il giudizio di condanna (Sez. 6, n. 27042 del 18/02/2008, Morabito, Rv. 240971).
A ben vedere, tale radicato orientamento trova spiegazione nel fatto che la disposizione dell'art. 500, comma 4, cod. proc. pen., è chiaramente finalizzata a tutelare la regolarità dell'accertamento processuale in maniera da porlo al riparo da attentati alla sua genuinità, valorizzando una deroga alla formazione della prova in contraddittorio prevista dall'art. 111, comma 5, Cost. che contempla il caso di "provata condotta illecita", sicché l'accertamento incidentale, a forma non vincolata, può aprirsi tutte le volte che sorga il sospetto che un teste sia stato minacciato o subornato. La disposizione disciplina e prevede un accertamento incidentale, inserito in un subprocedimento innestato nel procedimento principale, che tende a giustificare l'introduzione di prove dichiarative o di altra natura in deroga alla regola generale della tassatività dell'osservanza del contraddittorio nella formazione della prova: con la conseguenza che, proprio per questa sua peculiare natura, esso rappresenta una palese deviazione dalle linee fondanti del giusto processo e concretizza un istituto eccezionale di stretta interpretazione (Sez. 1, n. 11203 del 02/03/2007, Triassi, in motiv.) ma proprio perché tale procedura introduce una deroga al principio costituzionale del contraddittorio, l'inizio del procedimento incidentale deve essere ancorato ad elementi concreti e non di natura meramente logica, cioè elementi di prova normativamente configurati e qualificati dal requisito della concretezza e della rilevanza (Sez. 1, n. 11203 del 02/03/2007, cit., Rv. 236546).
4.3. Ciò posto, deve ritenersi ampiamente condivisibile il conforme approdo cui sono pervenuti i Giudici del merito diretto a ritenere utilizzabili nel sub procedimento ex art. 500, comma 4, cod. proc. pen. tanto il contenuto delle intercettazioni ambientali, quanto l'interrogatorio reso dal D'A. al pubblico ministero nel procedimento per falsa testimonianza.
Quanto a quest'ultimo atto - di per sé autosufficiente ai fini della prova circa l'attentato compiuto dal ricorrente alla genuinità dell'accertamento processuale attraverso il ribaltamento di quanto era stato acquisito nel corso delle indagini preliminari sulla base delle dichiarazioni D'A. secondo le quali il F.G.P. fu assunto dal P.D. per lavorare presso il cantiere ove si verificò il tragico incidente - non vi è dubbio che la ritrattazione della prima versione dibattimentale, riportata testualmente nelle parti rilevanti nel testo della sentenza di primo grado (v. pag. 17 e ss.), fosse legittimamente acquisibile al dibattimento ex art. 500, comma 4, cod. proc. pen.
Ad analogo approdo deve giungersi per quanto attiene all'acquisizione degli esiti delle intercettazioni ambientali perché la loro acquisizione, come hanno correttamente opinato i Giudici del merito, è strettamente limitata al procedimento incidentale diretto a stabilire se il testimone sia stato o meno sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità al fine di non deporre o di deporre il falso, con la conseguenza che l'utilizzazione non può spingersi a ritenere provata la responsabilità dell'imputato sulla base di quelle acquisizioni, che sono esclusivamente serventi al recupero dibattimentale di dichiarazioni che, neppure attraverso il meccanismo delle contestazioni, potrebbero assurgere "ex se" al rango di prova e che, fatta comunque salva la loro valutazione, sono estranee ai facta probanda oggetto dell'imputazione elevata nel procedimento principale.
Da ciò deriva, da un lato, come sia del tutto improprio il riferimento all'art. 270 cod. proc. pen. che disciplina una situazione processuale completamente diversa, dove l'acquisizione delle intercettazioni, se consentita nel diverso procedimento, interagisce a tutti gli effetti ed a pieno titolo sulla formazione della prova dei fatti oggetto delle imputazioni (mentre se non consentita, sempre con riferimento ad imputazioni elevate in un diverso procedimento, genera l'inutilizzabilità patologica dei relativi risultati) e come, dall'altro, il parametro per accertare la legittima acquisizione delle precedenti dichiarazioni rese dal testimone trovi fondamento non nell'applicazione delle disposizioni dirette a regolare la formazione della prova in dibattimento bensì nella rigorosa verifica che il procedimento incidentale sia iniziato sulla base di elementi concreti e qualificati dal requisito della concretezza e della rilevanza in ordine al fatto processuale da provare, che deve essere costituito dall'inquinamento probatorio attuato attraverso le forme censurate dall'art. 500, comma 4, cod. proc. pen.
E' vero che la Corte territoriale, come fondatamente lamenta il ricorrente, ha ritenuto, sulla base di una contraddizione insanabile, utilizzabili anche le dichiarazioni (definite spontanee) rese dal D'A. nella caserma dei Carabinieri di Alcamo, ammettendo che, in definitiva, si trattò di un interrogatorio, sebbene avulso da qualsiasi coartazione esercitata nei confronti del dichiarante, ma allora avrebbe dovuto sanzionare con la nullità l'espletamento dell'atto, perché compiuto senza le garanzie difensive.
Tale omissione non è rilevante, in quanto non decisiva, essendo stato fondato l'accertamento circa l'assunzione del lavoratore da parte del ricorrente, con riferimento alla fonte di prova D'A., sull'interrogatorio reso da questi al pubblico ministero, sugli esiti dell'intercettazione ambientale, sul recupero delle 
dichiarazioni predibattimentali e sulla ritrattazione avvenuta in dibattimento ad opera del teste.
Dal contenuto dei citati atti, è emerso pacificamente, come ha ritenuto la Corte d'appello con logica ed adeguata motivazione, che il D'A., dopo un anno di disoccupazione, venne assunto dal P.D., a far data dal 16 giugno 2009, per svolgere la propria attività lavorativa presso un cantiere edile aperto a Messina e che, in data 8 luglio 2909 e cioè il giorno antecedente alla propria audizione, venne convocato dal ricorrente presso il suo ufficio, ove venne specificamente istruito sulla deposizione che avrebbe dovuto rendere dinanzi all'autorità giudiziaria, al fine di discolpare il P.D. da ogni addebito.
In particolare, il D'A. avrebbe dovuto negare, contrariamente al vero, di essere a conoscenza dell'identità del datore di lavoro del F.G.P. e del luogo ove era stata parcheggiata l'autovettura di quest'ultimo per recarsi in cantiere: tali circostanze furono oggetto di specifiche raccomandazioni del P.D., reiterate al teste poco prima della sua audizione dibattimentale.
La richiesta dell'imputato venne effettivamente esaudita dal D'A. per timore di perdere il posto di lavoro. In particolare, il teste, così come concordato con l'imputato, negò di conoscere l'identità del datore di lavoro del F.G.P., limitandosi a riferire che lo stesso svolgesse la propria attività lavorativa presso un immobile di proprietà del suocero del P.D., escludendo di sapere anche le modalità di raggiungimento del cantiere da parte del predetto, previo raggruppamento degli operai presso il magazzino di via Milicia.
La palese ritrattazione effettuata dal teste in udienza ha trovato, dunque, la sua logica spiegazione nelle specifiche istruzioni impartitegli precedentemente dal P.D. e il materiale acquisito attraverso il sub procedimento ex art. 500, comma 4, cod. proc. pen. ha consentito di accertare, sulla base di elementi concreti,che il testimone fu sottoposto ad offerta o promesse di utilità (se non addirittura minaccia indiretta di licenziamento) al fine di deporre il falso.
Al contrario, dagli atti processuali utilizzati ai fini della decisione, è emerso, in maniera inconfutabile, che il D'A. fosse perfettamente a conoscenza del rapporto di lavoro instaurato dal F.G.P. con il P.D., essendo stato inviato da quest'ultimo a svolgere la propria attività lavorativa presso il cantiere del suocero.
D'altronde lo stesso D'A. ha ammesso di avere accompagnato, in data 7 ottobre 2006, il F.G.P. dal P.D. e di avere assistito alla proposta di lavoro formulata nei confronti della vittima perché svolgesse la propria attività lavorativa presso il cantiere aperto per i lavori di ristrutturazione della casa del suocero ad Alcamo Marina.
Conclusivamente, la ricostruzione dei fatti effettuata dal D'A. è risultata conforme a quella degli altri testi (S., F.G.P., L.D.L., Ma.), che hanno concordemente riferito, sia pure indirettamente, che il P.D. fosse l'effettivo datore di lavoro della vittima, essendo stato il cantiere aperto dal P.D. per la ristrutturazione dell'Immobile di proprietà del F.C. ed essendo stato il ricorrente a fornire le attrezzature e ad assumere gli operai per l'esecuzione delle opere.
5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
In primo luogo, deve ritenersi del tutto generico e, quindi, inammissibile l'assunto, peraltro smentito dalle risultanze processuali in precedenza rassegnate, secondo il quale la motivazione della sentenza impugnata sarebbe manifestamente illogica, in ordine al giudizio di colpevolezza formulato a carico dell'imputato, sul rilievo che la Corte territoriale avrebbe inopinatamente frammentato il quadro probatorio svalutando le evidenze di segno opposto.
Il ricorrente lamenta poi che sarebbe stato illegittimamente interrotto l'esame testimoniale di A. e S., avendo il Tribunale erroneamente applicato l'art. 63 cod. proc. pen. nei loro confronti, ed essendo stato l'approdo altrettanto erroneamente confermato dalla Corte d'appello.
Dal testo della sentenza impugnata, risulta che A. e S. avevano concordemente riferito di avere organizzato il lavoro all'interno del cantiere, ove svolgeva la propria attività lavorativa anche il F.G.P., e di avere, quindi, sostanzialmente svolto in loco le funzioni di capi-cantiere.
Secondo il logico convincimento dei giudici del merito, tali dichiarazioni dovevano ritenersi oggettivamente autoindizianti perché i testi, assumendosi la direzione del cantiere e l'organizzazione del lavoro, avevano fatto conseguentemente ricadere anche su di loro la responsabilità del decesso del F.G.P., per l'omessa predisposizione delle cautele necessarie a prevenire gli infortuni sul luogo lavoro.
Perciò, ai fini del provvedimento adottato dal tribunale, ai sensi dell'art. 63, comma 1, cod. proc. pen., che ha sospeso l'esame e consentito ai dichiaranti di avvalersi delle garanzie difensive, rileva che, in tema di infortuni sul lavoro, l'imprenditore non va esente da responsabilità penale soltanto perché abbia delegato la sorveglianza dell'osservanza delle norme antinfortunistiche ad un capo cantiere, che è semplicemente un preposto e che a sua volta ne risponde penalmente se non adempie ai compiti che gli vengono affidati (Sez. 4, n. 5795 del 17/02/1984, Giuriola, Rv. 164897).
Perciò, a prescindere dalla concorrente o meno responsabilità del P.D., è certo che dalla prosecuzione dell'esame testimoniale i dichiaranti, sprovvisti delle garanzie difensive, potevano ulteriormente autoincriminarsi.
Peraltro, i predetti dichiaranti, esercitando il loro diritto, si sono successivamente avvalsi della facoltà di non rispondere, con la conseguenza che, se in possesso di conoscenze, il mancato riversamento di esse nel processo non può essere addebitato al fatto che i Giudici del merito hanno correttamente applicato le norme processuali.
6. Anche il quinto motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche (che costituisce l'unico oggetto della doglianza in quanto il riferimento alla commisurazione della pena non si è tradotto nello svolgimento di alcuna critica verso la decisione impugnata), ha osservato come - quanto al fatto che, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuto valorizzare il comportamento tenuto nell'immediatezza del fatto, essendosi lo stesso prodigato per portare i primi soccorsi al F.G.P., anche a costo di esporsi ad un pregiudizio penale, nonché lo stato di incensuratezza dello stesso - il Tribunale avesse specificamente argomentato sul punto evidenziando che se, da una parte, doveva darsi atto dell'immediata reazione del P.D. nel dare soccorso al lavoratore infortunato, portandolo personalmente al pronto soccorso, anche a costo di esporsi al procedimento penale, dall'altra parte, non poteva non stigmatizzarsi il comportamento successivo, teso ad alterare il quadro probatorio a suo carico.
Tali considerazioni sono state pienamente condivise dalla Corte d'appello che perciò ha ritenuto non concedibili le circostanze attenuanti generiche, risultando connotata negativamente la personalità dell'imputato, proprio per l'attività di inquinamento probatorio dallo stesso posta in essere al fine di garantirsi l'impunità.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte siciliana si è uniformata all'orientamento secondo il quale, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Perciò, una volta che è stato motivatamente ritenuto l'inquinamento probatorio e sono state prese in considerazione, per disattenderle, le ragioni poste a fondamento della rivendicazione del benefico, correttamente la Corte territoriale lo ha negato senza che possa alla stessa addebitarsi alcuna carenza motivazionale in proposito.
7. Deriva da ciò il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/05/2016