Cassazione Penale, Sez. 6, 28 giugno 2016, n. 26766 - Lavoratrice mortificata dai proprietari della tabaccheria: nessun reato di maltrattamenti se manca il binomio supremazia-soggezione



 

 

 

E' principio di diritto più volte affermato dalla Corte di legittimità - e che il Collegio condivide - che le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, ovvero sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole dei rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (tra le tante, Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, R.C. e P., Rv. 251368; Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012, I., Rv. 252609; Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, L.G., Rv. 260063; Sez. 6, n. 24057 del 11/04/2014, Marcucci, Rv. 260066).
Con particolare riferimento ai rapporti di lavoro, occorre infatti che il soggetto agente versi in una posizione di supremazia, che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo, riconducibile ad un rapporto di natura para-familiare, che, ad esempio, può ravvisarsi nei rapporti tra il collaboratore domestico e le persone della famiglia presso la quale il primo presta attività lavorativa o in quelli intercorrenti tra il maestro d'arte e l'apprendista.
Al di fuori di queste particolari situazioni di fatto o di diritto, nell'ambito di rapporti di natura professionale o di lavoro non è quindi configurabile il reato in esame.


 

 

 

Presidente Paoloni – Relatore Calvanese

 

 

FattoDiritto

 



1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, riformava parzialmente, riducendo la pena, la sentenza del 22 luglio 2010 che aveva condannato F.P. ed A. P. per il reato di cui agli artt. 110 e 572 cod. pen.
Da quanto emerge dalle sentenze di merito, gli imputati, titolari di fatto di un esercizio commerciale di tabacchi, avrebbero sottoposto tra l'agosto 2003 ed il marzo 2008 la dipendente U.B. durante lo svolgimento dell'attività lavorativa a maltrattamenti consistiti in abituali atti di scherno, disprezzo e vilipendio, riguardanti il suo aspetto fisico e le sue competenze professionali, anche al cospetto dei clienti, così da determinare l'insorgere nella stessa di una patologia psichica.
La Corte di appello, nel ridurre la pena inflitta agli imputati, eliminava anche le statuizioni civili in favore della parte civile, essendo intervenuta nel frattempo la remissione di querela e la revoca della stessa costituzione.
2. Avverso la suddetta sentenza, ricorrono per cassazione gli imputati, con atti distinti, con i quali denunciano i seguenti motivi comuni di annullamento:
- la violazione dell'art. 572 cod. proc. pen. e vizio di motivazione sul punto, poiché la fattispecie contestata non risulterebbe configurabile nell'ambito del rapporto lavorativo in esame, nel quale non era sussistente quel rapporto di stretta dipendenza necessario per renderlo equiparabile ad un rapporto familiare;
- la violazione degli artt. 499, comma 3, e 526 cod. proc. pen., in relazione alle deposizioni rese dai testi, forzate da domande suggestive;
F.P. denuncia inoltre il vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo dei reato.
A. P. articola inoltre le ulteriori seguenti censure:
- la violazione dell'art. 572 cod. proc. pen. e vizio di motivazione sul punto, non avendo la sentenza impugnata fornito indicazioni in ordine all'avvenuto accertamento degli elementi costitutivi del reato riconducibili all'imputata;
- la mancanza assoluta di motivazione in relazione all'accertamento dell'elemento soggettivo.
3. II ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate.
4. Assorbente è l'accoglimento del primo motivo comune di annullamento.
E' principio di diritto più volte affermato dalla Corte di legittimità - e che il Collegio condivide - che le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, ovvero sia caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole dei rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (tra le tante, Sez. 6, n. 43100 del 10/10/2011, R.C. e P., Rv. 251368; Sez. 6, n. 16094 del 11/04/2012, I., Rv. 252609; Sez. 6, n. 24642 del 19/03/2014, L.G., Rv. 260063; Sez. 6, n. 24057 del 11/04/2014, Marcucci, Rv. 260066).
Con particolare riferimento ai rapporti di lavoro, occorre infatti che il soggetto agente versi in una posizione di supremazia, che si traduca nell'esercizio di un potere direttivo o disciplinare, tale da rendere specularmente ipotizzabile una soggezione, anche di natura meramente psicologica, del soggetto passivo, riconducibile ad un rapporto di natura para-familiare, che, ad esempio, può ravvisarsi nei rapporti tra il collaboratore domestico e le persone della famiglia presso la quale il primo presta attività lavorativa o in quelli intercorrenti tra il maestro d'arte e l'apprendista.
Al di fuori di queste particolari situazioni di fatto o di diritto, nell'ambito di rapporti di natura professionale o di lavoro non è quindi configurabile il reato in esame.
Nella situazione oggetto del presente procedimento, relativa ai rapporti tra i gestori di una ricevitoria e una loro dipendente, qualificabili in termini di lavoro subordinato, non ricorreva quel nesso di supremazia-soggezione che ha esposto la parte offesa a situazioni assimilabili a quelle familiari.
5. In assenza dei presupposti necessari per la configurabilità dello specifico delitto oggetto di contestazione, potrebbe essere riconosciuta (ai soli effetti penali, in assenza di statuizioni civili) la sussistenza di altri reati, configurabili a carico degli imputati sulla base degli addebiti in fatto, quali quelli di lesioni personali, di minaccia, di ingiuria e di violenza privata, eventualmente aggravati dall'abuso di relazioni d'ufficio o di prestazione di opera. Si tratta, però, di illeciti per i quali o difetta la condizione di procedibilità o per i quali è comunque maturata la prescrizione, essendo commessi fino al marzo 2008.
La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata senza rinvio perché il reato contestato di cui all'art. 572 cod. pen. non sussiste.

 

 

P.Q.M.
 

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.