Cassazione Penale, Sez. 3, 24 agosto 2016, n. 35407 - Responsabilità del direttore generale di un consorzio pubblico: datore di lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Reati estinti per prescrizione


 

Presidente: ROSI ELISABETTA Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA Data Udienza: 14/04/2016

 

Fatto


1. - Con sentenza dell'11 marzo 2014, il Tribunale di Termini Imerese ha - per quanto qui rileva - condannato l'imputato odierno ricorrente alla pena dell'ammenda, per una serie di reati contravvenzionali in materia di sicurezza sul lavoro, nella sua qualità di direttore generale di un consorzio pubblico (fatti commessi in diverse date tra il 4 febbraio 2008 e l'11 settembre 2008).
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, con unico motivo di censura, l'erronea applicazione delle disposizioni che individuano il datore di lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Si sostiene che, dalla lettura dell'art. 28 dello statuto del consorzio, emergerebbe che il direttore del generale, carica ricoperta dall'imputato all'epoca dei fatti, non aveva alcun autonomo potere decisionale di spesa, né poteri relativi al personale, avendo egli il solo compito di provvedere agli acquisti in economia e alle spese indispensabili per il normale funzionamento del consorzio, nei limiti previsti dal regolamento, peraltro mai adottato. E non risulta che il presidente del consorzio avesse assegnato all'imputato deleghe o incarichi specifici.
 

Diritto


3. - Deve essere dichiarata l'estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.
3.1. - Come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il presupposto per l'applicazione dell'alt. 129, comma 2, cod. proc. pen. è costituito dall'evidenza, emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato. Solo in tali casi, infatti, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa sentenza. I presupposti per l'immediato proscioglimento devono, però, risultare dagli atti in modo incontrovertibile tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. È necessario, quindi, che la prova dell'innocenza dell'imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un "apprezzamento", ma ad una mera "constatazione".
L'obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio, possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece dichiarare l'estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l'obbligo dell'immediata declaratoria della causa di estinzione del reato. E ciò, anche in presenza di una nullità di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità, essendo l'inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio dell'immediata applicabilità della causa estintiva (ex plurimis, sez. 6, 1° dicembre 2011, n. 5438; sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490, rv. 244275; sez. un., 27 febbraio 2002, n. 17179, rv. 221403; sez. un. 28 novembre 2001, n. 1021, rv. 220511).
3.2. - I presupposti per l'applicazione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., come appena delineati, non sussistono certamente nel caso di specie, con riferimento agli atti di causa e al contenuto della sentenza impugnata.
Il motivo di ricorso proposto è tale che il suo eventuale accoglimento renderebbe comunque necessario un rinvio al giudice del merito; rinvio incompatibile - come appena visto - con l'immediata applicabilità della prescrizione. Esso attiene, infatti, sostanzialmente alla motivazione della sentenza impugnata circa l'elemento, puramente fattuale, della concreta esistenza di poteri assimilabili a quelli del datore di lavoro in capo all'imputato, direttore generale di un consorzio avente personalità giuridica di diritto pubblico. Si tratta, peraltro, di una doglianza che, pur infondata, non può essere ritenuta inammissibile, perché formulata in modo sufficientemente specifico, con riferimento agli elementi la cui analisi sarebbe stata pretermessa dal Tribunale, e riferita a vizi della sentenza non manifestamente insussistenti; cosicché, nel caso in esame, non può trovare applicazione il principio, costantemente enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., ivi compresa la prescrizione, è preclusa dall'Inammissibilità del ricorso per cassazione, anche dovuta alla genericità o alla manifesta infondatezza dei motivi, che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione (ex multis, sez. 3, 8 ottobre 2009, n. 42839; sez. 1, 4 giugno 2008, n. 24688; sez. un., 22 marzo 2005, n. 4).
3.3. - Quanto alla prescrizione, dall'esame degli atti risulta che il relativo termine complessivo di cinque anni è ampiamente decorso, trattandosi di fatti commessi, al più tardi, l'11 settembre 2008, in presenza di sospensioni del decorso della prescrizione per complessivi 4 mesi e 29 giorni.
4. - La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata senza rinvio, perché i reati sono estinti per intervenuta prescrizione.
 

P.Q.M.



Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, per essere i reati estinti per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 14 aprile 2016.