Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 31 ottobre 2016, n. 22050 - Carenza di prova dell’infortunio sul lavoro


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: PAGETTA ANTONELLA Data pubblicazione: 31/10/2016

 

FattoDiritto

 


La causa è stata chiamata all'adunanza in camera di consiglio del 7 luglio 2016 , ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ. , sulla base della seguente relazione redatta a norma dell'art. 380 bis cod. proc. civ.
La Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado che aveva condannato 1'INAIL in relazione all’infortunio occorso al ricorrente A.M. il 24.9.2007, all’erogazione dell’indennizzo ex art. 13 d. lgs n. 38 del 2000 rapportato a danno biologico in misura pari all’ 11%, oltre accessori , ha respinto la originaria domanda.
La statuizione di riforma è stata fondata, in accoglimento del gravame dell'INAIL, sulla carenza di prova dell’infortunio sul lavoro riferito dall’originario ricorrente. Ha osservato il giudice d’appello che la stessa esposizione dei fatti contenuta nel ricorso introduttivo non confortava la prospettazione del A.M. di sussistenza dell’infortunio, mancando la descrizione delle modalità del fatto; soprattutto, la versione del A.M., di avere subito durante l’orario di lavoro, svolgendo la sua mansione, a causa della caduta accidentale di un pezzo di ferro, l’amputazione parziale del primo dito, una ferita lacero contusa con coinvolgimento ungueale del secondo dito della mano dx, non risultava supportata dalla articolazione di richiesta di prova ; l’allegazione di copia della documentazione sanitaria, contenente referto di diagnosi di “ amputazione parziale 1 dito e ferita lacero contusa con coinvolgimento ungueale del II dito mano destra” non forniva alcuna dimostrazione del nesso causale tra la descritta condizione e lo svolgimento dell’attività lavorativa del A.M.. Analogamente, l’annotazione contenuta nel referto, che riferiva il fatto diagnosticato a “incidente sul posto di lavoro” non poteva valere a fornire la dimostrazione della riconducibilità delle lesioni ad infortunio sul lavoro, perché l’annotazione, in assenza di ulteriore indicazione, doveva ritenersi proveniente dallo stesso A.M. e non costituiva frutto di accertamento del sanitario che aveva formulato la diagnosi al momento dell’arrivo del A.M. al pronto soccorso; infine, la prova del riferito infortunio neppure poteva trovare fondamento nella circostanza che in sede amministrativa l’INAIL aveva riconosciuto l’indennità per invalidità temporanea assoluta atteso che, come chiarito dal giudice di legittimità ( Cass. n. 6256 del 1999, n. 9475 del 2003), il provvedimento affermativo del diritto all’indennità giornaliera per inabilità temporanea non esprime la volontà dell’istituto assicuratore di vincolarsi al riconoscimento di tutte le possibili prestazioni ricollegabili all’avveramento dell’infortunio, in relazione alle quali la fattispecie di volta in volta considerata esige la ricorrenza di specifici requisiti e l’espletamento di un’apposita procedura amministrativa strumentale all’accertamento dell’esistenza dell’obbligazione previdenziale e all’adempimento della stessa .
Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.M., affidato a due motivi.
L’INAIL ha resistito con tempestivo controricorso.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia rappresentato dall’omessa considerazione della denunzia di infortunio presentata dal datore di lavoro e richiamata nella sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo di ricorso ha dedotto violazione ed errata applicazione delle norme di diritto per avere il giudice di appello, omettendo di valutare la denunzia del datore di lavoro- documentazione mai contestata dall’INAIL -, travisato la correlata applicazione della norma al caso di specie, risultandone impedita la possibilità di utilizzare tale denunzia nella parte in cui descrive, sia pure succintamente, le modalità di accadimento e ogni altra circostanza di fatto relativa all’infortunio ; a tale denunzia infatti doveva attribuirsi valenza confessoria.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Si premette che nel caso di specie, in ragione della data di pubblicazione della decisione impugnata - il 28.8.2013 - la denunzia del vizio di motivazione deve essere effettuata ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ. nel testo attualmente vigente, risultante dalla modifica introdotta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134.
Con riferimento alla attuale configurazione del vizio di motivazione denunziabile con il ricorso per cassazione , le sezioni unite di questa Corte hanno chiarito che la previsione introdotta dalla novella del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione”. ( Cass. ss.uu. n.8053 del 2014)
In particolare è stato precisato che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 cod. proc. civ. concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione c abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). In conseguenza la parte ricorrente sarà tenuta ad indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni .di cui agli arti. 366, primo comma , n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. - il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l'esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la decisività del fatto stesso.
Parte ricorrente non ha articolato il motivo di ricorso in termini coerenti con tali prescrizioni in quanto, pur avendo individuato il fatto storico del quale è dedotto l’omesso esame e cioè la denunzia di infortunio del datore di lavoro, ha omesso di specificare il dato extratestuale dal quale risulta la esistenza del documento, e quindi la sede del processo in cui nel fascicolo d'ufficio o in quelli di parte esso era rinvenibile. (v. tra le altre, Cass. n. 22607 del 2014). Neppure tale documento può ritenersi ritualmente acquisito al processo sulla base della affermazione contenuta nella sentenza di primo grado la quale, nel respingere la eccezione di improponibilità del ricorso avanzata dall’INAIL, afferma esservi prova in atti che l’infortunio era stato a suo tempo denunziato dal datore di lavoro; invero la prova della presentazione della denunzia di infortunio da parte del datore di lavoro ben poteva essere stata tratta dal complesso della documentazione depositata in primo grado anziché, direttamente, dall’esame del detto documento. Occorre ancora rilevare che la denunzia di infortunio della quale si denunzia l’omesso esame non risulta tra i documenti depositati unitamente al ricorso per cassazione , come prescritto, a pena di improcedibilità, dall’art. 360 comma secondo n. 4 cod. proc. civ. . L’inammissibilità del primo motivo di ricorso assorbe l’esame del secondo motivo.
Si chiede che il Presidente voglia fissare la data per l’adunanza camerale.”.
Ritiene questo Collegio che le considerazioni svolte dal Relatore sono del tutto condivisibili siccome coerenti alla ormai consolidata giurisprudenza in materia e che ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, comma 1°, n. 5 cod. proc. civ. , per la definizione camerale.
A tanto consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna di parte ricorrente alla rifusione all’INAIL delle spese di lite del presente giudizio.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione all’INAIL delle spese di lite che liquida in € 2.000,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%,oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 .
Roma, 7 luglio 2016