Cassazione Penale, Sez. 3, 07 dicembre 2016, n. 52042 - Omessa richiesta del certificato di prevenzione incendi: sussiste la particolare tenuità del fatto nella violazione di norme a tutela della sicurezza del lavoratore?


 

 

Presidente: DI NICOLA VITO Relatore: GAI EMANUELA Data Udienza: 11/10/2016

 

 

 

Fatto

 


1. Con sentenza emessa in data 9 luglio 2015, il Tribunale di Pesaro ha condannato G.P. in ordine al reato di cui agli artt. 63, in relazione all'art. 64 comma 1 lett. a), 68 comma 1 lett. b) del TULS per non avere, quale legale rappresentate della P. spa, richiesto il certificato di prevenzione antincendi per le attività soggette a controllo dei Vigili del Fuoco, alla pena di €1.000 di ammenda.
2. Avverso la sentenza il difensore dell'imputato ha proposto appello. 
3. La Corte di Appello di Ancona, in data 13/06/2016, disponeva la trasmissione dell'appello alla Corte di Cassazione, rilevando trattarsi di sentenza inappellabile, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., in conformità al principio della conversione in ricorso per cassazione.
4. Il difensore dell'imputato, con l'atto di appello proposto, avanzava richiesta di assoluzione di G.P. alla luce della corretta interpretazione delle prove orali e documentali acquisite nell'istruttoria dibattimentale. Argomenta il ricorrente che il Giudice avrebbe interpretato in modo non condivisibile le risultanze probatorie che evidenziavano come l'omissione della richiesta del certificato prevenzione incendi era dipesa da interpretazione contraddittorie della normativa in relazione alla necessità che il certificato fosse necessario per le singole attività e non per l'intero stabilimento, nel quale, peraltro, non vi erano mai stati problemi di sicurezza.
Con un secondo motivo ha censurato il mancato riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. non avendo apprezzato, il Giudice, la "notevole confusione normativa e operativa esistente all'epoca".
Con il terzo motivo ha dedotto la violazione di legge ed ha contestato la decisione del Giudice con cui ha respinto l'istanza di oblazione, ex art. 162-bis cod.pen., nel dibattimento sul rilievo che questa era preclusa dallo sbarramento dell'art. 464 comma 3 cod.proc.pen.
Argomenta il ricorrente che l'art. 162-bis comma 5 cod.pen., secondo cui l'istanza di oblazione può essere avanzata fino alla discussione finale nel dibattimento, comporta che, anche dopo le modifiche legislative all'art. 464 comma 3 e art. 557 comma 2 cod.proc.pen., per effetto della legge n. 497 del 1999, che hanno introdotto uno sbarramento alla proposizione dell'istanza, la medesima norma debba continuare a trovare applicazione nel dibattimento consentendo la reiterazione dell'istanza già proposta.
Nel caso in esame, l'istanza di oblazione era già stata avanzata in sede di opposizione a decreto penale e, dunque, non si trattava di una richiesta avanzata per la prima volta, sicché non troverebbe applicazione la preclusione processuale. Infatti, la preclusione processuale di cui all'art. 464 comma 3 cod.proc.pen. opererebbe solo nel caso di istanza avanzata per la prima volta nel dibattimento, ma non impedirebbe la rinnovazione dell'istanza, già proposta, nel dibattimento.
In data 23 settembre 2016, il difensore ha depositato motivi nuovi, ai sensi dell'art. 585 comma 4 cod.proc.pen., con cui ha insistito nell'accoglimento del ricorso. 
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
 

 

Diritto

 


4. Deve darsi atto che, con ordinanza in data 13/06/2016, la Corte d'appello di Ancona ha convertito l'atto di appello, proposto da G.P. avverso la sentenza del Tribunale di Pesaro, che l'aveva condannato alla pena di € 1.000 di ammenda, in ricorso per cassazione ex art. 568 comma 5 cod.proc.pen.
Ciò posto, occorre preliminarmente osservare che la giurisprudenza consolidata di questa Corte, che il Collegio condivide, ha chiaramente precisato che qualora un provvedimento giurisdizionale sia impugnato con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente stabilito, il giudice che riceve l'atto di gravame deve limitarsi, secondo quanto stabilito dall'art. 568 c.p.p., comma 5, alla verifica dell'oggettiva impugnabilità del provvedimento e dell'esistenza della volontà di impugnare, intesa come proposito di sottoporre l'atto impugnato a sindacato giurisdizionale e, conseguentemente, trasmettere gli atti al giudice competente, astenendosi dall'esame dei motivi al fine di verificare, in concreto, la possibilità della conversione (Sez. 5, n. 7403 del 26/09/2013, P.M. in proc. Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 del 8/4/2013, Arena, Rv. 257117; Sez. 5, n. 21581 del 28/4/2009, P.M. in proc. Mare, Rv. 243888; Sez. 3, n. 2469 del 30/11/2007, Catrini, Rv. 239247; Sez. 4, n. 5291 del 22/12/2003, Stanzani, Rv. 227092 ed altre prec. conf., tra cui Sez. U, n. 45371 del 31/10/2001, Bonaventura, Rv. 220221). Si è peraltro affermato che l'istituto della conversione della impugnazione, previsto dall'art. 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente in ordine alla impugnazione secondo le norme processuali e non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto, l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e forma stabiliti ai fini della impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez. Ia, n. 2846 del 8/4/1999, Annibaldi R, Rv. 213835. V. anche ex pi. Sez. 3A, n. 26905 del 22/04/2004, Pellegrino, Rv. 228729; Sez. 4A, n. 5291 del 22/12/2003 (dep.2004), Stanzani, Rv. 227092).
5. Nel caso in esame, il primo motivo di gravame concerne profili di merito e, come tale, è inammissibile, con i restanti motivi il ricorrente devolve profili di violazione di legge, e dunque, motivi previsti dall'art. 606 cod.proc.pen.
6. Con il primo motivo il ricorrente chiede la rivalutazione delle risultanze probatorie come è chiaramente evincibile dal corpo dell'atto di appello, nel quale sono riportate parti delle deposizione testimoniali di cui il ricorrente propone una valutazione alternativa a quella operata dal Giudice, preclusa nel giudizio di legittimità. Non vale a superare il vaglio di ammissibilità la denuncia di violazione di cui all'art. 606, comma 1 lett. b) cod.proc.pen., di cui al primo motivo aggiunto di ricorso, posto che, al di là dell'intitolazione, la censura attiene a profili di merito e di rivalutazione del compendio probatorio già esposti nel corrispondente motivo di appello.
7. Infondato è il secondo motivo di ricorso con cui si censura il diniego di applicazione della speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis cod.pen. e, parallelamente, il secondo motivo aggiunto con cui si deduce la violazione dell 'art. 606, comma 1 lett. b) e d) cod.proc.pen. in relazione alla contradditorietà del motivazione del diniego di applicazione della causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto.
8. Come è noto, la speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis cod.pen. è applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena.
La rispondenza ai limiti di pena rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità. Infatti, la norma richiede, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale del citato articolo, la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento.
Quanto al primo requisito - particolare tenuità dell'offesa- si articola, a sua volta, in due "indici-requisiti", che sono la modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 c.p., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa). Al giudice, pertanto, spetta di rilevare se, sulla base dei due "indici-requisiti" della modalità della condotta e dell'esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., comma 1 cod.pen., sussista la particolare tenuità dell'offesa e, poi, che con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Infatti, solo in questo caso, in presenza di entrambi i requisiti, si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
Con riguardo alla non abitualità, l'art 131-bis comma 3 cod.pen., definisce il comportamento abituale che ricorre nel caso in cui l'autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
9. Tanto premesso, si osserva che, nel caso in esame, il Giudice ha escluso la particolare tenuità dell'offesa in ragione della natura del fatto e della modalità della condotta, delle dimensioni dell'insediamento produttivo e delle lavorazioni effettuate, fonte di pericolo per persone e cose in caso di mancato rispetto della normativa in materia di sicurezza del lavoro. Motivazione esaustiva, ancorata ai criteri di cui all'art. 133 cod.pen., pienamente condivisibile e immune da censure di contraddittorietà.
La motivazione con cui il Tribunale di Pesaro ha escluso che il comportamento del ricorrente potesse essere considerato di particolare tenuità, ai fini dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod.pen., è giustificata dalla non particolare tenuità dell'offesa al bene giuridico tutelato dalle norme poste a presidio della sicurezza del lavoratori sul luogo di lavoro, norme che puniscono comportamenti formali ma che costituiscono un presidio anticipato rispetto agli eventi lesivi che possono derivare ai lavoratori nello svolgimento dell'attività lavorativa. Nel caso in scrutinio, il Giudice ha dato rilievo, quale elemento di valutazione ex art. 133 cod.pen., alla dimensione dell'insediamento produttivo e alle diverse tipologia di lavorazioni e del conseguente pericolo per un numero rilevante di lavoratori. Motivazione che non si presta censura di illogicità e/o contraddittorietà.
Alcun rilievo può assumere, ai fini del riconoscimento della particolare tenuità dell'offesa, la circostanza che i certificati vennero poi richiesti ed ottenuti. A tale riguardo rileva, il Collegio, che la società ha ottenuto i certificati antincendio solo a seguito di sopralluogo del 22/01/2016, a molti anni di distanza dall'accertamento del reato, in data 24/10/2011, e della sentenza di condanna del 9/07/2015 e, dunque, anche per questa ragione, la decisione del Giudice di merito di non configurabilità del fatto di particolare tenuità va condivisa.
Infine, priva di pregio è l'affermazione che la sicurezza era garantita, (cfr pag. 7 motivi aggiunti), affermazione che non fa venir meno la valutazione del fatto compiuta dal giudice di merito, in ragione della natura della contestazione posta a presidio della sicurezza dei lavoratori, rispetto alla quale non rileva che non vi siano stati problemi di sicurezza.
10. Infondato è, infine, anche il terzo motivo di ricorso.
Risulta, in punto di fatto, dalla sentenza impugnata che, a seguito di opposizione a decreto penale, il G.P. aveva presentato istanza di oblazione ex art. 162-bis cod.pen., istanza che era stata respinta dal Giudice delle indagini preliminari perché non erano state eliminate le conseguenze del reato (non era stato richiesto e ottenuto il certificato prevenzione antincendio). Sulla scorta di ciò il Giudice ha correttamente escluso che il G.P. potesse riporre l'istanza di oblazione nel dibattimento.
Come è noto, a norma dell'art. 461 cod.proc.pen., qualora l'imputato proponga opposizione al decreto penale di condanna, può chiedere il giudizio immediato, ovvero il giudizio abbreviato o l'applicazione di pena. Tale disposizione deve essere coordinata con la previsione dell'art. 464 comma 3 cod.proc.pen. e dell'art. 557 comma 2 cod.proc.pen. che, per effetto della legge n. 497 del 1999, hanno introdotto uno sbarramento alla proposizione dell'istanza d'oblazione, nel senso che nel giudizio conseguente all'opposizione, l'imputato non può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena su richiesta, né presentare domanda di oblazione.
Peraltro, il principio della preclusione processuale, introdotta dalle citate disposizioni di cui agli artt. 464 comma 3 cod.proc.pen. e art. 557 comma 2 cod.proc.pen. come modificate dalla legge n. 497 del 1999 (che non ha operato il coordinamento con l'art. 162 bis comma 5 cod.pen.), è stato temperato dalla pronuncia delle S.U. n. 47923 del 29/10/2009, D'Agostino, Rv 244820, che ha affermato che, nell'ipotesi in cui la domanda di oblazione sia stata correttamente proposta in sede di opposizione a decreto penale, ed erroneamente non accolta, non opera, nel giudizio conseguente all'opposizione, il divieto di presentazione di un'ulteriore domanda, sicché è dovere del giudice del dibattimento prendere in considerazione detta richiesta. La Corte, nella suo massimo consesso, ha, tuttavia precisato che la possibilità di riproporre l'istanza di oblazione nel dibattimento è condizionata alla circostanza che sia stata erroneamente respinta dal giudice, e non nel diverso caso, qual è quello in scrutinio, nel quale il giudice aveva rigettato l'istanza per assenza dei presupposti di cui all'art. 162-bis cod.pen. ossia perché non erano state eliminate le conseguenza pericolose del reato. Conseguentemente il Tribunale di Pesaro ha correttamente escluso che il G.P. potesse riproporre la domanda di oblazione nel corso del dibattimento di primo grado.
11. Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen.
 

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Cosi deciso il 11/10/2016