Cassazione Penale, Sez. 4, 12 dicembre 2016, n. 52511 - ThyssenKrupp: la "colpa imponente" degli imputati. Affinchè si applichi l'art. 437 c.p. non occorre il verificarsi dell'evento


 

La Corte torna sull'incendio della ThyssenKrupp avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 Dicembre 2007 allorquando all'Interno dello stabilimento si determinarono l'innesco e lo sviluppo di un incendio che determinò la formazione di una nuvola incandescente di olio nebulizzato (flash fire) che si espanse e investì alcuni operai che si erano avvicinati all'incendio con estintori a breve gittata.

La Suprema Corte ritiene che il massimo responsabile delle scelte strategiche sulla gestione dello stabilimento di Torino, che nel 2007 era in via di dismissione e non venne fatto alcun investimento in sicurezza nonostante i numerosi motivi di allarme e, dunque, il massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che hanno causato gli eventi di incendio e morte  sia E.H., amministratore delegato della ThyssenKrupp. Gli altri manager, coimputati, sono ritenuti informati e adesivi di tali scelte e, per tali ragioni, ritenuti colpevoli di omicidio colposo plurimo.

La Corte afferma la ricorrenza di una colpa imponente, tanto per la consapevolezza che gli imputati avevano maturato del tragico evento che poi ebbe a realizzarsi, sia per la pluralità e per la reiterazione delle condotte antidoverose riferite a ciascuno di essi che, sinergicamente, avevano confluito nel determinare all'interno dell'opificio di Torino una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori, sia infine per la imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spengimento a breve gittata, ritenuti inadeguati e a evitare di rivolgersi a presidi esterni di pubblico intervento.


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 13/05/2016

 

 

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
1. E.H., nato ad Essen (Germania) il 9.5.1966
2. P.M., nato a Terni il 12.5.1958
3. PR.G., nato a Darmstad (Ghana) il 13.4.1966
4. M.D., nato a Terni il 19.6.1948
5. S.R., nato Terranova di Pollino il 17.7.1954
6. C.C., nato a Francavilla Fontana il 5.8.1956
Avverso la sentenza n. 5/15 della Corte di Assise di Appello di Torino del 29.5.2015
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere Ugo Bellini;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Paola Filippi che ha concluso chiedendo: 1) l'annullamento con rinvio della sentenza al fine della determinazione della pena per i reati di omicidio plurimo in riferimento ad E.H., PR.G., P.M., M.D., S.R. e C.C.; 2) l'annullamento con rinvio al fine del bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche in riferimento ai ricorrenti E.H., PR.G., P.M. e M.D.; 3) rigetto per il resto i ricorsi;
uditi i difensori dei ricorrenti :
Avv. Ezio Audisio e Avv. Franco Coppi per E.H. i quali, nell'associarsi alle richieste del P.G., concludono per l'accoglimento del ricorso;
i difensori Avv.ti Ezio Audisio e Guido Carlo Alleva per PR.G. e P.M. i quali, nell'associarsi alle richieste del P.G., concludono per l'accoglimento del ricorso;
i difensori Avv.ti Paolo Sommella e Maurizio Anglesio per S.R. i quali concludono per l'accoglimento del ricorso; i difensori Avv.ti Maurizio Anglesio e Alfredo Gaito per M.D. i quali concludono per l'accoglimento del ricorso;
i difensori Avv.ti Francesco Dassano e Guglielmo Giordanengo per C.C. i quali concludono per l'accoglimento del ricorso.
 

 

Fatto

 


1. I ricorsi in esame si riferiscono al procedimento penale per cui vi è già stata pronuncia della Suprema Corte a Sezione Unite la quale, sulle impugnazioni proposte dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino e dalla difesa degli imputati, era sollecitata a individuare la linea di confine tra i profili soggettivi del dolo eventuale e della colpa cosciente a fronte di discordanti interpretazioni delle sezioni semplici, nonché ad affrontare numerose ulteriori importanti questioni giuridiche in ordine alle singole posizioni di garanzia nell'ambito di una complessa struttura organizzativa.
Tale è quella della Thyssen Krupp Stainless, primaria ditta mondiale nella produzione dell'acciaio, la quale aveva il controllo della società nazionale Tyssen Krupp Acciai Speciali Terni Ast, con sede e stabilimento principale a Terni, da cui dipendeva anche lo stabilimento di Torino ove si sono verificati i fatti di cui alla Imputazione in cui persero la vita sette operai addetti alla fase di ricottura e decappaggio.
2. Il sinistro si è verificato nella notte tra il 5 e il 6 Dicembre 2007 allorquando all'Interno dello stabilimento si determinarono l'innesco e lo sviluppo di un incendio che determinò la formazione di una nuvola incandescente di olio nebulizzato (flash fire) che si espanse e investì alcuni operai che si erano avvicinati all'incendio con estintori a breve gittata.
3. In relazione a tali fatti venne esercitata l'azione penale nei confronti di:
E.H., amministratore delegato e membro del Comitato Esecutivo (cosiddetto Board) della TKAST; titolare di delega alla produzione, la sicurezza sul lavoro, il personale, gli affari generali e legali;
P.M., componente del consiglio di amministrazione e membro del Comitato esecutivo con delega per il settore commerciale e il marketing;
PR.G., componente del consiglio di amministrazione e membro del Comitato esecutivo con delega per l'amministrazione, la finanza, il controllo di gestione, gli approvvigionamenti e i servizi informativi;
M.D., Dirigente con funzioni di Direttore dell'Area tecnica e servizi, con competenza nella pianificazione degli investimenti in materia di sicurezza antincendio anche per lo stabilimento di Torino;
S.R., Direttore dello stabilimento di Torino;
C.C., Dirigente con funzioni di responsabile dell'area ecologia, ambiente e sicurezza e responsabile del Servizio di prevenzione e protezione dello stabilimento di Torino.
4. Per meglio comprendere l'ambito del presente giudizio di rinvio e il contenuto delle specifiche censure proposte dalle difese di tutti gli imputati avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Torino, che ha giudicato in sede di rinvio della pronuncia delle Sezioni Unite 38343/2014 sopra richiamata, è necessario illustrare, seppure sommariamente, l'oggetto delle originarie imputazioni e l'esito dei giudizi di merito.
4.1. La prospettazione accusatoria, fatta propria dai giudice di merito sebbene con una diversa qualificazione giuridica dei fatti reato, si muove dal dato che l'azienda aveva deciso di chiudere lo stabilimento torinese e di dislocare gli impianti presso l'opificio di Terni e in tale prospettiva le operazioni di trasferimento erano iniziate.
4.2. Si assumeva che la fase dismissiva degli impianti era stata accompagnata dalla decisione di sospendere gli investimenti per la sicurezza, determinando il progressivo rallentamento e scadimento della efficienza e della sicurezza delle lavorazioni, origine pertanto di numerose violazioni di prescrizioni cautelari, specificamente contestate nelle imputazioni, che avevano condotto al disastroso e tragico evento in questione.
4.3. A tutti gli imputati, in concorso tra loro, era imputato il reato di cui all'art.437 commi primo e secondo cod.pen., per avere omesso di dotare la linea di ricottura e decapaggio APL 5 di impianti ed apparecchi destinati a prevenire disastri ed infortuni sul lavoro e in particolare di un sistema automatico di segnalazione e di spegnimento degli incendi, di cui risultava la necessità in considerazione della situazione di rischio presente nello stabilimento per la presenza di agenti di innesco e di olio idraulico in pressione. Con l'aggravante dell'esserne conseguito un disastro e l'infortunio mortale;
4.4. Solo all'imputato E.H. venivano contestati nella forma dolosa i reati di omicidio e di incendio di cui agli art.575 e 423 cod.pen. per il fatto di essersi rappresentato la concreta possibilità del verificarsi di infortuni anche mortali in quanto, essendo a conoscenza delle contingenze già riportate nel capo precedente, ne aveva conseguentemente accettato il rischio e, in virtù dei poteri decisionali provenienti dalla sua posizione apicale, nonché della specifica competenza che gli derivava dalla delega in materia di sicurezza, aveva deciso di posticipare gli investimenti sulla prevenzione di incendi sul lavoro in epoca successiva al trasferimento degli impianti a Terni. In relazione ad entrambe le imputazioni gli veniva contestato di non avere adeguatamente valutato il rischio; di non avere organizzato percorsi informativi e formativi nei confronti dei lavoratori; di non avere installato un sistema automatico di rilevazione e spegnimento degli incendi nonostante la situazione di crescente abbandono e di insicurezza dello stabilimento. Omissioni indotte dalla decisione di posticipare l'investimento nelle misure di sicurezza antincendio.
4.5. A tutti gli altri imputati era invece contestato, nelle loro rispettive qualità, il reato di omicidio colposo plurimo aggravato dalla previsione dell'evento e dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni; 
4.5.1. In particolare a P.M. e a PR.G., quali membri del comitato esecutivo, era ascritto di avere omesso di sottolineare la esigenza di adottare le necessarie misure tecniche, organizzative, procedurali, informative, formative, di prevenzione e protezione degli incendi non appena avuto conoscenza della loro necessità.
4.5.2. A M.D. di avere omesso, in sede di pianificazione degli investimenti per la sicurezza e la prevenzione degli incendi, di sottolineare l'esigenza dell'adozione delle già indicate misure di prevenzione non appena avuta conoscenza della loro necessità e malgrado le ripetute sollecitazioni ricevute dal vertice del gruppo TK Stainless.
4.5.3. Analoga contestazione era mossa agli imputati S.R. e C.C. quali, rispettivamente, direttore e responsabile per la sicurezza e la prevenzione dello stabilimento di Torino in ragione della diretta e ampia conoscenza della situazione di crescente e grave abbandono dello stabilimento.
4.6. Agli stessi imputati era altresì contestato il reato di incendio nella forma colposa con l'aggravante della previsione dell'evento per avere cagionato l'incendio sopra indicato a causa delle condotte colpose indicate nel capo precedente.
5. La Corte di Assise di Torino aveva riconosciuto la responsabilità degli imputati per i delitti loro rispettivamente ascritti, condannandoli altresì al risarcimento dei danni nei confronti delle costituite parti civili, pronunciandosi altresì sulla responsabilità amministrativa dell'ente, e sulle misure interdittive.
5.1. La Corte di Assise di Appello di Torino, sulle impugnazioni proposte dagli imputati, riconduceva le contestazioni nei confronti dello E.H. ai meno gravi reati di omicidio colposo plurimo e incendio colposo con previsione dell'evento, con conseguente rideterminazione della pena.
In relazione a tutti gli imputati il reato di incendio colposo veniva ritenuto assorbito nella ipotesi aggravata del reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, sul presupposto che dalla suddetta violazione era derivato un disastro e un infortunio. Inoltre la ipotesi dolosa di cui all'art.437 cod.pen. veniva fatta operare in concorso formale con il reato, ritenuto più grave, di omicidio colposo plurimo; a tutti gli imputati veniva riconosciuta la circostanza attenuante dell'avvenuto integrale risarcimento del danno a favore delle persone offese mentre le circostanze attenuanti generiche erano riconosciute agli imputati E.H., P.M., PR.G. e M.D., mentre erano escluse nei confronti di S.R. e C.C.; le circostanze attenuanti speciali riconosciute erano comunque ritenute equivalenti alle circostanze aggravanti contestate. Venivano cosi rideterminate le pene anche nei confronti degli altri imputati.
6. Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso per cassazione il procuratore Generale presso la Corte di Appello di Torino; la TK Ast in relazione alle statuizioni che concernevano la responsabile civile; la difesa di tutti gli imputati quanto alla ritenuta responsabilità penale, alla ricorrenza delle circostanze aggravanti contestate, alla sussistenza del concorso formale tra i reati di cui agli art. 589 e 437 cod.pen., al mancato riconoscimento agli imputati S.R. e C.C. delle circostanze attenuanti generiche, al giudizio di bilanciamento delle circostanze di segno opposto e in ordine alla dosimetria della pena.
7. Questa Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza nr. 38343 del 24\4\2014, all'esito di articolata motivazione sulle questioni sollevate nei ricorsi in punto di regolarità degli atti processuali, di materialità delle condotte dei reati ritenuti dai giudici di merito, dei profili soggettivi in contestazione, delle relazioni intercorrenti tra le ipotesi delittuose ascritte e ritenute in sentenza, annullava in parte la sentenza impugnata (senza rinvio e con rinvio). Nella parte motiva, in uno specifico paragrafo (n.58), delineava la sintesi della decisione ed i compiti del giudice di rinvio che erano così indicati:
7.1. La pronuncia sui ricorsi determina la definitività delle statuizioni afferenti all'affermazione di responsabilità di tutti gli imputati in ordine ai reati di cui agli art.437 comma primo, 589 e 449 cod.pen.
7.2. Si esclude che il decorso del tempo dopo la pronuncia della sentenza abbia effetto sul termine prescrizionale.
7.3. Il concorso formale tra il reato di dolosa omissione di cautela contro gli infortuni con il reato di omicidio colposo plurimo non era ammissibile fin dall'origine, trattandosi di fatti che non possono essere realizzati con la medesima condotta e di conseguenza devono essere rideterminate le pene per entrambi i reati.
7.4. Esclusa la circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen., tale reato, nella forma semplice, acquista piena autonomia, anche dal punto di vista sanzionatorio.
7.5. Da tale esclusione deriva inoltre il riacquisto di autonomia dell'altra fattispecie di cui all'art.449 cod.pen., che al contrario la corte di assise di appello aveva ritenuta assorbita nella ipotesi aggravata di cui all'art.437 cod.pen;
7.6. Viene riconosciuta peraltro ipotesi di concorso formale tra la fattispecie di incendio colposo e la ipotesi di omicidio colposo, in presenza di eventi espressione dei medesimi fatti, ove l'evento morte è seguito senza soluzione di continuità all'incendio, con conseguente necessità di rideterminare la pena per i due reati alla stregua dell'art.81, primo comma, cod.pen.
7.7. Quanto alla determinazione della pena, attesa la infondatezza delle censure del Procuratore generale, la stessa va modulata tenendo conto della esclusione della circostanza aggravante di cui all'art.437 cod.pen e del riassetto delle relazioni tra gli illeciti, ma le sanzioni inflitte non possono essere aumentate.
7.8. Si afferma inoltre che l'ampiezza del novum da deliberare implica la necessità di nuovamente ponderare pure le connesse questioni afferenti alle invocate attenuanti ed al bilanciamento delle circostanze. Si aggiunge che in tale quadro saranno pure valutate le questioni di fatto prospettate dagli imputati C.C. e S.R. afferenti a condotte ritenute censurabili, poste in essere in epoca successive agli eventi, facendo riferimento alle ritenute iniziative "inquinatone" che, sulla base di quanto motivato dalla Corte nel paragrafo precedente quello che sintetizza le conclusioni, possono assumere rilievo solo nell'ambito delle valutazioni inerenti alla concessione e al bilanciamento delle circostanze, nonché alla determinazione della pena.
8. La Corte di Assise di Appello di Torino in sede di rinvio a fronte del dictum della Suprema Corte, ripercorre sommariamente le ragioni della decisione del giudice di legittimità e precisate le posizioni dei singoli imputati come erano emerse nel giudizio di appello con riferimento alla applicazione delle circostanze, al bilanciamento delle stesse e alla determinazione della pena in relazione agli specifici profili di colpa ascritti e alle condotte, anche processuali, tenute successivamente ai tragici eventi, ha affrontato le singole questioni allo stesso demandate.
8.1. Ha specificato i ruoli e le responsabilità di ciascun imputato, valorizzando le indicazioni fornite dal giudice di legittimità con riferimento alle singole posizioni di garanzia, al comune coinvolgimento degli imputati nella gestione del rischio, al profilato connubio di responsabilità integrante ipotesi di cooperazione colposa sinergica alla determinazione del tragico evento dannoso.
8.2. In particolare ha sottolineato il ruolo dell'imputato E.H., riconosciuto massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che avevano causato gli eventi di incendio e morte, nonché quello rivestito da PR.G. e P.M. quali partecipi del ristretto board esecutivo investito di compiti di notevole rilevanza sull'indirizzo di scelte gestionali, anche alternative rispetto a quelle operate dall'amministratore. In relazione alla veste del M.D. il giudice del rinvio ha richiamato la valutazione espressa dal giudice di legittimità che gli aveva riconosciuto, alla stregua della sofisticata competenza tecnica posseduta, il ruolo di pianificatore degli investimenti in materia di sicurezza antincendio, che pure era stato consultato dall'amministrazione prima di fare slittare gli investimenti del gruppo e dirottarli verso lo stabilimento di Terni, delle cui innovazioni in chiave di prevenzione egli era stato incaricato sotto il profilo progettuale. Ad esso competeva l'obbligo di segnalazione della esigenza di operare in senso prevenzionale presso lo stabilimento di Torino.
8.3. Quanto alle posizioni degli imputati M.D. e C.C. il giudice del rinvio ha rappresentato come la Cassazione nulla aveva obiettato sulle rispettive posizioni di garanzia quali rispettivamente direttore dello stabilimento e responsabile dell'emergenza e del servizio di prevenzione e protezione nello stabilimento di Torino, i quali pertanto avevano maturato una rappresentazione diretta e piena di tutte le fonti di pericolo presenti nello stabilimento, sui quali quindi incombeva un dovere di segnalazione della reale situazione in essere con particolare riferimento alla esigenza di presidi antinfortunistici.
8.4. Dava altresì atto che la difesa dell'imputato M.D. nel presentare motivi nuovi di ricorso aveva richiesto una rinnovazione della istruttoria dibattimentale, limitatamente al demandato compito di determinazione della pena, affinchè fossero acquisite informazioni sulla possibilità per l'imputato di interferire con le scelte gestionali da attuare presso lo stabilimento di Torino, mentre la difesa del ricorrente S.R. aveva chiesto l'acquisizione del certificato penale e del certificato dei carichi pendenti per dimostrare che allo stesso non erano state attribuite condotte di inquinamento probatorio nei confronti dei testimoni.
Il giudice di rinvio riteneva non necessaria ai fini della decisione la rinnovazione del dibattimento mediante l'assunzione di prove testimoniali, mentre ammetteva la produzione dei documenti di cui era richiesta l'acquisizione.
8.5. Nelle more della celebrazione del giudizio di rinvio la difesa dell'Imputato M.D. ha depositato ricorso straordinario ex art.625 cod.proc.pen. per denunciare errore percettivo in cui sarebbe incorso il Supremo Collegio a Sezioni Unite per avere ritenuto il nesso causale tra le condotte contestate a titolo di omicidio colposo e l'evento, sul presupposto che la data cui erano riferibili le omissioni contestate rendevano le stesse ininfluenti ai fini del compimento del reato. La Corte di Cassazione dichiarava il ricorso inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti in quanto di contenuto valutativo.
8.6. Con la sentenza impugnata la Corte di Assise di appello di Torino in primo luogo ha stabilito che la pronuncia del giudice di legittimità non aveva escluso la ricorrenza della ipotesi dolosa di cui all'art.437 cod.pen. ma ne aveva circoscritto il rilievo, epurandola dell'effetto causale rispetto al tragico evento, ma nondimeno riconoscendone la configurazione in capo a tutti gli imputati stante la comune volontà, peraltro riconosciuta dal giudice di legittimità, di fare slittare la applicazione della cautela antinfortunistica doverosa, rappresentata dall'Impianto automatico di segnalazione e spengimento incendi.
8.7. Con riferimento al punto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a favore degli imputati S.R. e C.C., questione esplicitamente devoluta al giudice del rinvio, la Corte territoriale ribadiva il giudizio già espresso dai giudici di merito che la colpa con previsione dei due soggetti, chiamati ad operare con funzioni di responsabilità sul campo, era da valutare al massimo livello ipotizzabile, richiamando sul punto una serie di valutazioni espresse dal giudice di legittimità nel connotare di antidoverosità le condotte dei singoli imputati nel paragrafo (23) a ciò dedicato.
8.8. Nell'escludere profili di meritevolezza per il riconoscimento delle suddette circostanze attenuanti generiche ai due imputati, valorizzava alcune condotte di inquinamento probatorio a questi riconducibili subito dopo i fatti per cui è processo (quali il tentare di ripulire i locali quando si era ormai verificato il fatto dannoso, il sottrarre gli estintori non in regola); ma anche nel corso del processo, laddove era risultato che persone vicine al C.C. avevano avvicinato alcuni testimoni ancora da escutere sottoponendo una serie di domande a risposta multipla (teste G.), ovvero un documento su cui sarebbe svolta la deposizione (piano di emergenza) e fornendo l'elenco delle domande che sarebbero state poste (testimoni R. e V.); tali condotte, dall'equivoco significato, pure non dirette a viziare il contenuto della testimonianza, hanno costituito, secondo il giudice del rinvio, improvvide e invadenti iniziative tese a condizionare o quantomeno a indirizzare il ricordo testimoniale, espressione di una non corretta gestione dei rapporti con la prova da assumere. In tale ottica veniva altresì evidenziata l'assoluta inopportunità della organizzazione di una cena alla bocciofila di Settimo Torinese, presenti entrambi gli imputati nella imminenza della audizione dei testimoni, stante l'evidente conflitto di interessi che caratterizzava la posizione dei due imputati.
8.9. Rilevava ancora la Corte di merito che, escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche agli imputati S.R. e C.C., al giudice di rinvio non era devoluto il tema del giudizio di bilanciamento, se non nei limiti della rideterminazione della pena per i reati minori.
Affermava peraltro di sottoscrivere il giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno opposto in precedenza operato dai giudici di merito in termini di equivalenza rispetto al reato più grave di cui all'art.589 cod.pen., tenuto conto del grado della colpa e del numero delle persone che avevano perso la vita sul lavoro. In particolare poneva in rilievo i dati della gravità delle condotte e delle conseguenze lesive rispetto agli elementi positivi quali l'intervenuto risarcimento del danno, lo stato di incensuratezza e il corretto comportamento processuale di taluni imputati.
9. Passando a definire il trattamento sanzionatorio dei singoli imputati alla stregua delle indicazioni provenienti dal giudice di legittimità, la Corte distrettuale assumeva che le Sezioni Unite non avevano svolto alcun rilievo sulla parametrazione delle pene riconosciute dalla Corte di Assise di Appello di Torino in relazione al reato di omicidio colposo plurimo, atteso che secondo la motivazione del giudice di legittimità il tema delle pene "dovrà essere nuovamente affrontato dal giudice di merito per effetto dell'esclusione dell'aggravante e della diversa configurazione della relazione tra i diversi illeciti", ma nel dispositivo si affermava che l'annullamento era limitato alla ritenuta esistenza della circostanza aggravante di cui al capoverso dell'art.437 cod.pen. ed al conseguente assorbimento del reato di cui all'art.449 cod.pen.
Sosteneva che la pena come calcolata per il reato di omicidio colposo non era stata oggetto di intervento censorio da parte della Corte di cassazione e che comunque la stessa era da condividere poiché espressione di una corretta ponderazione tra i plurimi parametri da tenere in considerazione.
9.1. In conclusione il giudice di rinvio assumeva di dovere apportare aumenti alla pena, già in precedenza applicata per il reato di omicidio colposo plurimo, in ragione del concorso formale con il reato di incendio colposo e del cumulo con il reato di cui all'art.437, primo comma, cod.pen.
9.2. A tale proposito dichiarava di dovere riconoscere una integrazione sanzionatoria per il reato di incendio colposo profilando un maggiore rigore per gli imputati che avevano operato sul campo a più stretto contatto con la situazione ambientale dello stabilimento, mentre criterio opposto era seguito per la parametrazione della pena del reato di cui all'art.437 cod.pen. trattandosi di violazione che chiamava in causa in prima battuta i vertici dell'azienda che non avevano attuato la cautela doverosa.
10. Sulla base di tali criteri e ferme restando le pene per la ipotesi di omicidio colposo plurimo, ad E.H. era apportato aumento di mesi due di reclusione per il concorso formale con il reato di incendio colposo e la pena di mesi sei di reclusione per il reato di cui all'art.437 cod.pen. per una pena complessiva di anni nove mesi otto di reclusione; agli imputati PR.G. e P.M. era apportato un minimo aumento per il concorso formale con il reato di cui all'art.449 cod.pen., mentre la pena per il reato di cui all'art.437 cod.pen. era fissata in mesi tre per un totale di anni sei mesi dieci di reclusione; all'imputato M.D. era riconosciuto un aumento per il concorso formale con il reato di incendio colposo nella misura di mesi due di reclusione mentre, in relazione alla ipotesi dolosa di omissione di cautele contro gli infortuni, stante la sua competenza specifica e la delega ricevuta dall'amministratore in materia di sicurezza, veniva applicata la pena di mesi quattro di reclusione per il reato di cui all'art.437 cod.pen. per n totale di anni sette mesi sei di reclusione; all'imputato S.R. era riconosciuto un aumento di mesi quattro di reclusione per il reato di incendio colposo mentre la pena per la 7 
predisposizione di cautela antinfortunistica obbligatoria era modulato in mesi quattro di reclusione e pertanto la pena finale risulta pari a anni sette mesi due di reclusione.
Infine l'imputato C.C. era destinatario di un aumento di pena mesi quattro per il concorso formale con il reato di incendio colposo mentre per il reato di cui all'art.437 cod.pen. la pena era fissata in mesi quattro di reclusione, con pena finale di anni sei mesi otto di reclusione.
11. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione le difese di tutti gli imputati.
12. La difesa di E.H. proponeva tre motivi di ricorso.
12.1. Con il primo motivo deduce nullità della sentenza del giudice di rinvio per violazione di norma processuale assumendo che lo stesso non si era uniformato al decisum della Corte di Cassazione in punto a determinazione della pena per il reato di omicidio plurimo aggravato; sullo stesso punto denunciava mancanza e contraddittorietà della motivazione risultante dal testo della sentenza.
Evidenzia come snodo centrale delle imputazioni mosse al ricorrente la mancata predisposizione nello stabilimento di Torino di misure di prevenzione e protezione dagli incendi e in particolare la mancata adozione di un impianto automatico di rilevazione e spegnimento degli stessi, con la conseguenza che, riconosciuta la responsabilità dell'imputato per i fatti ascritti, la pena era stata determinata anche sul rilievo di tale condotta omissiva che era valsa a connotare di enorme gravità la condotta antidoverosa dell'E.H., come ampiamente argomentato dai giudici di merito con motivazione richiamata dallo stesso giudice di legittimità.
12.2. Sostiene ancora che la valutazione di speciale antidoverosità della condotta ascritta al ricorrente fondata, tra l'altro, sulla dolosa omissione di una tale cautela antinfortunistica, doveva ritenersi profondamente mutata a seguito della sentenza del giudice di legittimità a Sezioni Unite il quale, nell'escludere la circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen., aveva espressamente negato, sotto il profilo causale, la diretta derivazione dell'evento dannoso dalla omissione della suddetta cautela.
Ne era conseguito l'annullamento del capo della sentenza relativo alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen. e di quello concernente la determinazione della pena per il reato di omicidio colposo plurimo.
12.3. Peraltro il giudice di rinvio si era limitato ad una rimodulazione delle sanzioni sulla base della esclusione della suddetta circostanza aggravante, ritenendo la intangibilità della pena edittale prevista per il reato di omicidio colposo plurimo sul presupposto che la Corte di legittimità non avesse richiesto alcuna nuova valutazione sul punto.
A tale proposito lamenta che il giudice di rinvio era incorso in errore processuale dal momento che lo stesso testo della motivazione del giudice di legittimità conteneva affermazioni ed argomentazioni che rendevano palese che l'annullamento si fosse esteso anche al trattamento sanzionatorio del delitto di omicidio colposo plurimo, laddove la Corte escludeva il concorso formale tra i reati di cui agli art. 589 e 437 cod.pen. a maggiore ragione per effetto del venire meno della aggravante di cui al capoverso dell'art.437 cod.pen., così da imporsi la nuova determinazione della pena per entrambi i reati.
Si assume che tale affermazione sarebbe priva di logico significato a meno di volere ritenere che la eliminazione dell'aggravante comportasse una disciplina sanzionatoria più mite anche per il reato di omicidio colposo, avendo perso rilevanza una condotta (quale quella della omessa installazione di impianto di spegnimento automatico) che ne costituiva elemento fattuale costitutivo, soprattutto alla stregua delle valutazioni operate sul profilo soggettivo dell'imputato da parte della stessa Suprema Corte.
12.4. Altra argomentazione a sostegno di tale doglianza é rappresentata dal fatto che la Corte di cassazione, nell'indicare le parti della sentenza non più soggette a impugnazione in quanto irrevocabili, non aveva inserito quella relativa al trattamento sanzionatorio, che pertanto doveva ritenersi suscettibile di rideterminazione, anche in relazione al reato di omicidio colposo;
La stessa previsione del giudice di legittimità sulla esigenza di una nuova ponderazione sulle circostanze attenuanti e sul giudizio di bilanciamento tra circostanze, anche come conseguenza della esclusione di una circostanza aggravante, rendeva del tutto verosimile che la rivalutazione dovesse avere ad oggetto anche il trattamento sanzionatorio per il delitto che conteneva il disvalore della omissione di una cautela antincendio obbligatoria la cui rilevanza era stata notevolmente ridimensionata da parte del giudice di legittimità. 
12.5. Sotto diverso profilo assume la difesa del ricorrente E.H. che anche qualora la Corte di legittimità non avesse inteso annullare in maniera esplicita il punto della sentenza del giudice di appello relativo al trattamento sanzionatone per il reato di omicidio plurimo, a tale risultato si perveniva ugualmente in virtù del vincolo di connessione essenziale tra il suddetto trattamento sanzionatone e il punto oggetto di espresso annullamento, ai sensi dell'art.624, primo comma, cod. proc. pen., stante l'inscindibile collegamento tra la circostanza aggravante eliminata (disastro o infortunio come conseguenza della volontaria omissione di cautela antinfortunistica) e le ripercussioni di tale esclusione con il reato di cui all'art.589 cod.pen. che veniva privato di una premessa fattuale essenziale.
12.6. Sul punto il ricorrente si duole che il giudice di rinvio era venuto meno ai propri compiti di rivalutazione del trattamento sanzionatorio ed era altresì incorso in vizio motivazionale nella parte in cui aveva comunque dichiarato di condividere i criteri cui si erano attenuti i giudici di secondo grado, laddove aveva violato il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite che avevano imposto un radicale mutamento di prospettiva rispetto ai rilievi in punto pena dei precedenti giudici
12.7. Con un secondo motivo di ricorso la difesa di E.H. lamenta inosservanza di norme processuali per il fatto che il giudice di rinvio non si era uniformato al principio di diritto enunciato dalla Cassazione a sezioni unite in punto a giudizio di bilanciamento tra circostanze; sullo stesso punto era denunciato vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione.
Rileva il ricorrente che del tutto inspiegabilmente il giudice di rinvio aveva ritenuto che il giudizio di bilanciamento non fosse stato allo stesso devoluto, se non nei limiti della rideterminazione della pena per i reati minori, laddove tutte le considerazioni evidenziate nel motivo precedente erano a maggiore ragione apprezzabili anche in termini di bilanciamento delle circostanze di segno opposto, dovendo le stesse essere valutate proprio in relazione al delitto di omicidio colposo plurimo.
Errava poi il giudice di rinvio a porre sul piatto della bilancia, nel giudizio di bilanciamento fra circostanze, quale elemento negativo di ponderazione quello della gravità di conseguenze dannose del reato, quali la pluralità di eventi mortali, laddove tale evenienza, nell'ottica strutturale del delitto di omicidio colposo non costituisce una circostanza aggravante, bensì ipotesi di concorso formale di reato, il quale risultava essere già stato addebitato al prevenuto con l'apporto di tanti aumenti di pena corrispondenti al numero di persone rimaste uccise, già comprensivo pertanto degli elementi circostanziali riferiti a ciascuna violazione. Rappresenta pertanto un ingiustificato e inammissibile aggravio per la posizione dell'Imputato quello di rivalutare la molteplice portata lesiva della condotta colposa, ai fini del bilanciamento delle circostanze, atteso che la stessa risulta interamente scontata dall'agente mediante l'aumento previsto dall'art.589, comma quarto, cod.pen.
12.8. Con un terzo motivo di ricorso E.H. si duole per il fatto che il giudice di rinvio, non uniformandosi al dictum del giudice di legittimità, in ciò incorrendo in violazione di legge processuale e in erronea applicazione della legge penale, aveva omesso di riconoscere la continuazione tra i reati omicidio colposo e di incendio colposo e quello di dolosa omissione di cautela antinfortunistica, che pure il giudice di legittimità ha ritenuto ammissibile quando l'imputato, come nel caso in specie, abbia agito nonostante la previsione dell'evento.
13. La difesa degli imputati PR.G. e P.M. proponevano tre motivi di ricorso i quali per numerazione e contenuto ricalcano i tre motivi di ricorso avanzati dalla difesa del ricorrente E.H..
Attraverso i suddetti motivi i ricorrenti chiedono l'annullamento della sentenza del giudice di rinvio in punto alla mancata rideterminazione della pena edittale ad essi applicata in relazione al reato di omicidio colposo plurimo tenendo conto del novum rappresentato dalla esclusione ad opera del giudice di legittimità della circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen. e, conseguentemente, dei riflessi sotto il profilo sanzionatorio che la stessa esclusione ha determinato rispetto al reato di omicidio colposo ascritto, tenendo altresì conto del fatto che la pena applicata dai giudici di merito agli odierni ricorrenti é basata su criteri medio massimi edittali per detto titolo di reato (anni quattro di reclusione) e pertanto si sarebbe imposta una motivazione rafforzata per giustificarne il mantenimento;
Una diversa valutazione doveva essere tratta dal dictum della cassazione in sede di comparazione delle circostanze di segno opposto, laddove il giudice di rinvio si era del tutto sottratto a questo compito ovvero lo aveva assolto condividendo la valutazione già svolta dal precedente giudice di merito, peraltro attraverso una motivazione contraddittoria e viziata da incoerenza nell'affrontare la relazione esistente tra circostanze e la particolare ipotesi di concorso formale di cui all'art.589, comma quarto, cod.pen.
Veniva infine denunciata violazione di legge processuale per il fatto che il giudice del rinvio non si era uniformato al principio di diritto sul riassetto delle pene, in ragione dell'omesso riconoscimento della disciplina della continuazione tra art.537, comma primo, e 589 cod.pen. in presenza di condotta realizzata nella previsione dell'evento.
14. La difesa di M.D. si affida ad un unico articolato motivo di ricorso con il quale deduce violazione delle regole di apprezzamento della prova indiziaria, vizio di motivazione, anche in relazione all'art.627 cod.proc.pen., nonché omessa assunzione di prova indiretta a confutazione ed erronea applicazione della legge penale sia in relazione alla sentenza del giudice di rinvio sia avverso la ordinanza istruttoria in data 28 maggio 2015 reiettiva delle istanze probatorie della parte.
14.1. Anche la doglianza del M.D. si incentra preliminarmente sulla prospettata esigenza, disattesa dal giudice del rinvio, ma imposta dal dictum del supremo collegio, di una nuova valutazione della condotta dell'imputato ricorrente alla stregua del nuovo assetto dei reati risultante dalla esclusione di rilievo eziologico alla dolosa omissione della predisposizione di misura di prevenzione.
14.2. In particolare assume il ricorrente che, una volta isolata la omissione dolosa rispetto alle altre condotte colpose efficienti rispetto all'evento disastroso, peraltro al ricorrente non riferibili, era interesse dello stesso M.D. tentare di dimostrare, in sede di giudizio di rinvio e ai limitati effetti della determinazione della pena, se egli aveva potuto realmente interferire con le scelte gestionali da attuare presso lo stabilimento di Torino. Assume che faceva obbligo al giudice di rinvio indicare in modo specifico, sulla base dei dati già acquisiti o quelli eventualmente ancora da acquisire le ragioni che stavano alla base della responsabilità dell'imputato in relazione agli altri criteri di imputazione del colpa per il delitto di cui all'art.589 cod.pen.
14.3. In tale prospettiva denuncia pertanto erronea applicazione dei criteri di valutazione probatoria, avendo il giudice di rinvio utilizzato ipotesi congetturali e deviazioni rispetto alle risultanze degli atti di causa incorrendo in vizio di illogicità manifesta della motivazione e di elusione del diritto alla prova in violazione dell'art.627, secondo comma, cod.proc.pen.
14.4. Rileva la difesa del M.D. che a seguito dell'annullamento disposto dal giudice di legittimità, a richiesta della parte interessata, la rinnovazione della istruttoria dibattimentale per l'assunzione di prove rilevanti si pone come atto dovuto da parte del giudice del rinvio il quale, pure tenuto ad uniformarsi alla sentenza della cassazione, non può ritenersi privo dei poteri di acquisizione probatoria in funzione rivalutativa riconosciutigli dall'art.627, secondo comma, cod.proc.pen., soprattutto in ipotesi, come la presente, di grave deficit probatorio.
Invero a seguito della esclusione da parte del giudice di legittimità di un dato probatorio ritenuto prevalente ed assorbente nelle precedenti sentenze di merito, era indispensabile individuare una prevalente causa dell'incidente al quale era seguita la morte degli operai ovvero eseguire una gerarchia tra le varie concause e confermare o meno, anche alla stregua delle nuove richieste istruttorie, la partecipazione del M.D. agli atti decisionali dell'amministrazione
14.5. A tale fine doveva ritenersi del tutto rilevante la prova articolata dal ricorrente che atteneva all'asserito ruolo di influenza del M.D. in ogni momento decisionale del board, non potendo all'uopo ritenersi pertinente la ragione della mancata ammissione nella limitazione del potere rivalutativo del giudice del rinvio alla sola rideterminazione della pena, atteso che anche a tale compito è necessario attendere nella piena cognizione dei fatti di causa.
14.6. Lamenta che la corte di assise di appello in maniera del tutto aprioristica e parziale aveva finito per trincerarsi in una valutazione di completezza istruttoria che poggiava esclusivamente sulle risultanze ad essa congeniali senza apprezzare quelle di segno opposto pur essendo tenuta, ai sensi dell'art.546, primo comma, cod.proc.pen., a misurarsi in motivazione anche con le prove di segno contrario ovvero di enunciare la ragione della irrilevanza della loro acquisizione, conseguendo in ragione di tale erronea valutazione probatoria, una rilevante lesione della posizione difensiva del ricorrente, rappresentata dalla mancata dimostrazione di quella situazione di fatto idonea a tradursi in una adeguata commisurazione della pena.
14.7. Analogo vizio di motivazione veniva dedotto anche con riferimento al giudizio di bilanciamento tra circostanze, laddove il giudice avrebbe dovuto tenere conto del novum rappresentato dalla esclusione del rilievo causale alla misura antinfortunistica ritenuta obbligatoria e dolosamente omessa, mentre lo stesso aveva ribadito il giudizio di equivalenza tra circostanze senza tenere in nessuna considerazione tale dato, anche a fronte del fatto che la partecipazione del M.D. ai singoli atti elencati dal P.M. in imputazione non risultava adeguatamente esplorato.
15. La difesa dell'imputato S.R. propone tre distinti motivi di ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata.
15.1. Con un primo motivo di ricorso deduce vizio procedurale ai sensi dell'art.627, terzo comma, cod.proc.pen. per avere disatteso il disposto della sentenza delle Sezioni Unite relativamente all'ambito del riesame della quantificazione delle pene con riferimento alla misura della pena base inflitta in relazione al reato di omicidio colposo plurimo: sulla questione si doleva altresì per difetto di motivazione in ordine alla quantificazione della pena base.
15.2 In particolare censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice del rinvio aveva ritenuto di tenere ferma la pena per il suddetto reato, omettendo di considerare il novum rappresentato dalla esclusione ad opera del giudice di legittimità della circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen. e conseguentemente dei riflessi, sotto il profilo sanzionatorio che la stessa esclusione aveva, rispetto al reato di omicidio colposo ascritto, il quale presenta un addebito ampiamente ridimensionato una volta eliminata la incidenza causale della omessa predisposizione dolosa di cautela antinfortunistica; all'uopo formula argomentazioni e denuncia difetti motivazionali della sentenza impugnata del tutto analoghi e sovrapponibili a quelli formulati dalla difesa del ricorrente E.H. come sintetizzati nei paragrafi da 12.1 a 12.6;
Il ricorrente evidenzia inoltre la contraddittorietà della motivazione del giudice di rinvio che se da un lato aveva mostrato di condividere l'esigenza di una differenziazione quoad poenam della posizione assunta dai diversi imputati in relazione alle contestazioni agli stessi mosse, con riferimento all'aumento di pena per il concorso formale con il reato di incendio colposo e alla determinazione della pena per il reato di cu all'art.437 cod.pen., non più aggravato, dall'altra aveva del tutto omesso di considerare il significativo mutamento di prospettiva determinato dall'esito del giudizio di cassazione, che rende non più attuali le conclusioni quad poenam assuntfdai giudici di merito; né può ritenersi giustificato un richiamo per relationem ai criteri seguiti dai giudici di secondo grado in ragione del mutato quadro prospettico e un siffatto rinvio si risolve in motivazione apparente ed illogica.
15.3. Con un secondo motivo di ricorso la difesa del S.R. lamenta inosservanza di norme processuali per il fatto che il giudice di rinvio non si era uniformato al principio di diritto enunciato dalla Cassazione a Sezioni Unite in punto a giudizio di bilanciamento tra circostanze e al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; sullo stesso punto é denunciato vizio di violazione di legge per erronea applicazione della attenuante dell'art.62 n.6 cod.pen. giudicata sub valente con riferimento alla sanzione prevista dall'art.589, quarto comma cod.pen., anziché rispetto alla ipotesi relativa al singolo, più grave episodio di omicidio.
Le ragioni del motivo ripropongono sostanzialmente le doglianze riassunte al paragrafo 12.7 relativo ai motivi di ricorso dell'imputato E.H. cui per brevità esplicativa si ritiene di fare rinvio evidenziando che, in relazione alla posizione del ricorrente S.R., il vizio denunciato viene ritenuto ancora più penalizzante in ragione di un giudizio di minusvalenza dell'attenuante a questi riconosciuta rispetto alle circostanze aggravanti contestate
15.4. Con un terzo motivo di ricorso si denuncia inosservanza dell'art.627, terzo comma, cod.proc.pen. in quanto la sentenza impugnata avrebbe disatteso il disposto della sentenza del giudice di legittimità in relazione al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e comunque al bilanciamento della concessa attenuante di cui all'art.62 n.6 cod.pen. Si contesta altresì vizio motivazionale per omessa valutazione dei corretti presupposti per decidere in ordine alle suddette questioni.
In particolare il ricorrente si duole in ordine alle valutazioni del giudice di rinvio che lo hanno condotto ad escludere al S.R. il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in particolare per il fatto di non avere inteso differenziare la posizione del C.C. da quella del S.R., al quale non erano attribuibili azioni volte ad alterare la genuinità delle deposizioni, laddove il giudice di legittimità ha espressamente rimesso al giudice del rinvio una nuova valutazione delle condotte asseritamente "inquinatorie" proprio nell'ambito delle valutazioni inerenti alla concessione e al bilanciamento delle circostanze e della determinazione della pena.
15.5. Per tale ragione si pone in rilievo l'apparenza e la incoerenza di una motivazione che si era limitata a riproporre elementi di valutazione che le Sezioni Unite avevano imposto di rivisitare, omettendo di attribuire il giusto rilievo al comportamento collaborativo del prevenuto in sede di esame dibattimentale e a quello precedente all'episodio dannoso in cui il S.R. si era impegnato per ottenere un incremento delle maestranze.
16. C.C. si affida a cinque motivi di ricorso.
16.1. Con un primo motivo e in via preliminare deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale e di quella penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all'art.624, primo comma, cod.proc.pen; erronea applicazione dell'art.437, primo comma, cod.pen. in contrasto con il punto avente connessione essenziale con la parte annullata art.437, secondo comma, cod.pen.
Assume il ricorrente che essendo stato annullato il capo della sentenza che applicava la circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen. in quanto la condotta addebitata (omessa predisposizione di un sistema automatico di rilevamento e spegnimento degli incendi) non si era posta in relazione causale con l'evento disastroso e mortale e considerato che tale omissione non era stata ritenuta dal giudice di legittimità efficiente perché concretizzatasi in tempo non utile per procedere ad una tempestiva adozione della misura di prevenzione, ne deduceva che veniva a mancare lo stesso concetto di omissione il quale presuppone l'esistenza di un termine certo entro il quale l'azione salvifica andava realizzata.
Per tale ragione assume che già la suprema corte e comunque il giudice del rinvio avrebbero dovuto escludere del tutto la previsione di cui all'art.437 cod.pen. per mancanza di tipicità del reato omissivo di cui all'art.437, primo comma, in mancanza di un presupposto logico normativo della fattispecie, quale il termine entro il quale l'azione doveva essere realizzata.
In particolare lamenta una non corretta esplorazione dei rapporti tra la fattispecie del primo comma della norma in esame, che costituisce ipotesi di reato omissivo proprio, rispetto a quella contemplata dal secondo comma, costituente reato omissivo improprio, ove peraltro la condotta tipica è unica e pertanto soggiace a regole identiche in punto a momento perfezionativo, il quale richiede, come indispensabile presupposto, il termine necessario per la installazione della specifica cautela antinfortunistica omessa, che nel caso in specie è stato ritenuto insufficiente.
16.2. Con un secondo motivo, sempre in via preliminare, chiede dichiararsi l'intervenuta estinzione per prescrizione dei reati di cui agli art.449 e 437, primo comma, cod.pen.; in subordine prospetta questione di legittimità costituzionale degli art.624, primo comma e 627, terzo comma, cod.proc.pen. per contrasto con gli art. 111, secondo comma, 27 terzo comma e 3 Cost.; nonché dell'art.117 comma I Cosi, in relazione all'art.6 Cedu.
Assume il ricorrente che, alla stregua delle disposizioni normative anche di rango costituzionale richiamate, non vi è stato il passaggio in giudicato delle statuizioni sulla responsabilità penale dell'imputato C.C., così da precludere il compimento del termine prescrizionale medio tempore realizzatosi.
Pur riconoscendo la giurisprudenza che ha sviluppato l'orientamento della formazione progressiva del giudicato, cui la sentenza a Sezioni Unite si era attenuta e facendo leva su una interpretazione dell'art.624, secondo comma, che attribuisce alla nozione di "parti della sentenza" il significato di "capi" della decisione, argomenta che in relazione ai detti capi, una volta intervenuta la decisione, non di giudicato può parlarsi, ma solo di preclusione processuale che non impedisce il decorso del termine prescrizionale, come risulta confermato dalla stessa lettera dell'art.129 cod.proc.pen., dalla nozione di giudicato accolto dalla Costituzione che presuppone l'esaurimento di qualsiasi doglianza avanzata al giudice della impugnazione e dalla stessa disciplina previgente sulla prescrizione che presuppone il giudizio di bilanciamento tra circostanze, nel caso in specie ancora non definito. Inoltre una tale interpretazione, oltre ad essere avallata da autorevole dottrina, risulta conforme alla ratio dell'art.129 cod.proc.pen. che si pone a tutela dei diritti fondamentali del cittadino;
In via subordinata sullo stesso tema il ricorrente, in ipotesi di mancato accoglimento della superiore interpretazione dell'art.624, primo comma, cod.proc.pen., solleva questione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione in collegamento a quella di cui all'art.627, terzo comma, evidenziando il contrasto di tali norme con principi costituzionali e sovranazionali che impongono la ragionevole durata del processo, che comprende anche il tempo necessario per pervenire alla definizione della pena, con il meccanismo della prescrizione quale strumento di garanzia e di compensazione rispetto ad eventuali eccessi. A tale fine la difesa del ricorrente sottopone ad esame critico la pronuncia del S.C. che aveva ritenuto manifestamente infondata la analoga questione sollevata, sul presupposto della esclusione della punibilità come elemento costitutivo del reato e della formazione progressiva del giudicato.
Deduce inoltre come ulteriore profilo di illegittimità costituzionale il venire meno della funzione educativa della pena in ipotesi di pena irrogata a notevole distanza temporale dal fatto e la disparità di trattamento rispetto ad una pluralità di situazione paradigmatiche nelle quali all'imputato è riconosciuto l'effetto estintivo di cui all'art. 129 cod. proc. pen. come in ipotesi di rinuncia alla proposizione di motivi di impugnazione sulla responsabilità.
Si chiede pertanto una pronuncia di immediata declaratoria della causa estintiva per intervenuta prescrizione dei suddetti reati, ovvero in via di stretto subordine, la rimessione degli atti alla Corte costituzionale in ordine alla sollevata questione di legittimità costituzionale
16.3. Con un terzo motivo di ricorso si lamenta violazione di norme processuali e vizio motivazionale in ordine alla mancata uniformazione ai principi enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione con conseguente estensione del potere di delibazione del giudice del rinvio in punto a rideterminazione della pena inflitta per il reato di omicidio colposo.
Prospetta il ricorrente che erroneamente il giudice di rinvio ha ritenuto la definitività della pronuncia di secondo grado in ordine alla determinazione della pena per il reato di omicidio colposo plurimo in assenza di qualsiasi statuizione sul punto della corte di cassazione a S.U., le quali avevano affermato la definitività delle statuizioni impugnate, solo relativamente alla responsabilità degli imputati; né una tale preclusione poteva trarsi dal dispositivo della sentenza che si limita ad indicare i punti della sentenza oggetto di annullamento e peraltro dispone la rimessione degli atti alla Corte di Assise di appello di Torino anche ai fini della rideterminazione della pena per il reato di cui all'art.589 cod.pen.
16.4. In punto a determinazione pena il ricorrente C.C. evidenzia la incoerenza del meccanismo sanzionatorio se esaminato in parallelo rispetto ai coimputati P.M. e PR.G. laddove il giudice di rinvio, partito per il primo da una pena base differenziata (anni tre mesi sei di reclusione per il reato di omicidio colposo rispetto a quattro anni di reclusione per i due coimputati), ha disposto un identico aumento di pena (anni due mesi sei di reclusione), a titolo di concorso formale interno che sconta una incongruenza intrinseca, poiché se il giudice ha inteso differenziare le pene per una diversa valutazione in ordine alla rilevanza causale delle condotte, una tale differenziazione avrebbe dovuto essere mantenuta o semmai accentuata anche negli aumenti da apportare in ragione della pluralità di eventi lesivi quale conseguenza della stessa condotta.
16.5. Assume inoltre che neppure il giudice di rinvio avrebbe potuto limitarsi a richiamare i criteri di determinazione della pena fatti propri dai precedenti giudici di merito senza incorrere in vizio motivazionale, atteso che tali criteri avevano formato oggetto di specifica impugnazione da parte del C.C. nel proprio atto di appello sia con ricorso per cassazione, dispiegando plurime argomentazioni per dimostrare la censurabilità delle suddette pronunce in merito alla determinazione della pena, laddove in sede di rinvio era obbligo del giudice procedere alla rideterminazione prendendo in considerazione i singoli profili, compreso quello della pena base stabilita dal precedente giudice di appello per l'omicidio colposo plurimo, sulla base delle censure manifestate dal ricorrente e alla stregua del nuovo assetto ricostruttivo dell'imputazione causale.
16.6. Con il quarto motivo di ricorso, suddiviso in tre distinte articolazioni, la difesa di C.C. denuncia nella sentenza impugnata inosservanza di norme processuali e vizio motivazionale in punto bilanciamento delle circostanze ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli art.62 bis, 69 e 589 cod.pen.
In ordine alla ampiezza del devolutum, deduce che in maniera del tutto erronea e non conforme al dictum del giudice di legittimità, il giudice di rinvio aveva limitato il giudizio di bilanciamento tra circostanze alla verifica del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, da porre eventualmente sul piatto della bilancia, piuttosto che provvedere ad una complessiva rivalutazione del rapporto tra circostanze di segno opposto alla luce del novum rappresentato dalla esclusione della circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen. Una siffatta autolimitazione, peraltro espressamente riconosciuta dal giudice di rinvio, risulta del tutto incomprensibile ed errata anche alla luce della sollecitazione in tal senso proveniente dal giudice di legittimità.
Con separata articolazione lamenta vizio motivazionale in relazione alla negazione delle circostanze attenuanti generiche e al giudizio di bilanciamento con riferimento alla intervenuta cassazione della circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen., con conseguente erronea applicazione degli art.62 bis e 69 cod.pen. Afferma 
che la esclusione di tale aggravante da parte del giudice di legittimità non poteva non riflettersi su una rivalutazione del peso delle aggravanti contestate e in particolare di quella di cui all'art.589, secondo comma, cod.pen. attinente appunto alla ritenuta inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni.
Con una terza articolazione del motivo evidenzia la erronea applicazione dell'art.589 ult.co. c.p. in relazione all'art.81 cod.pen. ove il giudice di rinvio, nell'attribuire rilievo decisivo al dato che le condotte addebitate agli imputati avevano determinato una pluralità di eventi mortali, aveva finito per ricondurre la fattispecie contestata ad una forma aggravata del reato di omicidio colposo piuttosto che ad una peculiare ipotesi di concorso formale, finendo per appesantire indebitamente il trattamento sanzionatorio riservato all'autore dell'omicidio colposo, al quale era già stato attribuito, in sede di meccanismo di determinazione della pena per il reato di omicidio colposo plurimo, il disvalore della pluralità di eventi mortali cagionati.
16.7. Con il quinto motivo di ricorso deduce inosservanza della norma processuale di cui all'art.627, terzo comma, cod.proc.pen. per avere disatteso il disposto della sentenza del giudice di legittimità in merito alle valutazioni da effettuarsi circa la concedibilità al ricorrente C.C. delle circostanze attenuanti generiche e al bilanciamento rispetto alla riconosciuta circostanza attenuante speciale, nonché motivazione mancante illogica ed apparente.
Il giudice di rinvio nell'ambito della nuova ponderazione demandata dal giudice di legittimità sulla richiesta del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche del C.C., aveva omesso di svolgere una rivalutazione critica dei criteri che avevano condotto i precedenti giudici a negare le suddette circostanze, ma si era appiattito sull'argomentare degli stessi giudici, senza tenere conto delle difese svolte nei precedenti gradi, fino al ricorso in cassazione da parte del C.C., il quale aveva duramente criticato comportamenti e qualità riconosciutegli in sentenza di appello (quali la portata del documento di valutazione dei rischi, le erronee qualifiche accordategli di responsabile della manutenzione degli impianti e della organizzazione della emergenza).
Nondimeno pure gli addebiti di colpa attribuiti non erano tali, rispetto alle condotte tenute dagli altri imputati cui era stato riconosciuto il beneficio da giustificare la esclusione delle circostanze attenuanti generiche. Assume il ricorrente che neppure in relazione ad un asserito comportamento inquisitorio il giudice di rinvio era riuscito a fornire adeguato apparato motivazionale imposto dal giudizio della Corte Suprema, dal momento che aveva omesso di considerare gli argomenti addotti dalla difesa e pure richiamati dal giudice di legittimità il quale aveva rimesso alla Corte di Assise di appello di Torino di valutare "le questioni di fatto prospettate dagli imputati C.C. e S.R., afferenti a condotte ritenute censurabili, poste in essere in epoca successiva agli eventi".
Secondo la prospettazione difensiva risultavano del tutto pretermesse dalla motivazione del giudice del rinvio le giustificazioni addotte dal C.C. in relazione alle asserite condotte di avvicinamento dei testimoni e alle contestazioni da questi svolte sul livello di competenza tecnica dallo stesso posseduto, nonché risultava non esaminato il contenuto delle stesse dichiarazioni spontanee da questo rese nel giudizio di appello, nonché negletto era lo stato di incensuratezza del prevenuto, pervenendosi in tal modo a evidente violazione dell'obbligo motivazionale.
17. Alcuni imputati hanno presentato memorie difensive, di cui si dirà nel corpo della ulteriore parte motiva.
 

 

Diritto

 


1. Come è stato già ricordato, la sentenza delle S.U., ha reso definitiva l'affermazione di penale responsabilità degli imputati in ordine ai delitti di cui all'art. 589 cod. pen. (omicidio colposo plurimo), all'art. 449 cod. pen. (incendio colposo) e 437, comma primo, cod. pen. (omissione dolosa di cautele per la prevenzione infortuni). Tali due ultimi reti hanno acquistato una loro piena autonomia ed il delitto di cui all'art. 449 deve ritenersi commesso in concorso formale con i plurimi omicidi colposi (cfr. pg. 197¬198 sent. S.U.). Con sentenza le Sezioni Unite si sono premurate di dare indicazioni in ordine al tema della "rimodulazione" delle pene.
2. Nondimeno la tensione dei ricorrenti non si è appuntata esclusivamente sui temi certamente rimessi alla Corte di Assise di Appello di Torino, relativi al trattamento sanzionatorio, al giudizio di bilanciamento delle circostanze di segno opposto e al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche agli unici due imputati (C.C. e S.R.) che non ne avevano finora beneficiato. Essa ha investito anche aspetti processuali e questioni sostanziali di ampio respiro, non solo ponendo in discussione gli effetti del giudicato relativamente a taluni dei reati per i quali sarebbe maturato medio tempore il termine prescrizionale, ma anche richiamando gli effetti dell'autorità della cosa giudicata in relazione a quelle disposizioni ritenute in connessione essenziale con quelle annullate, sia ai fini della esclusione di fattispecie criminosa (art.437 cod.pen.), sia ai fini dell'adeguamento del trattamento sanzionatorio alla ritenuta in sentenza minore offensività del fatto reato (art.437 II co cod.pen. in relazione all'art.589 II e IV comma cod.pen.). Appare evidente che stante il rilievo pregiudiziale delle questioni sottese a tali motivi di doglianza gli stessi verranno esaminati preliminarmente rispetto agli altri, più specificamente correlati al trattamento sanzionatorio e agli ambiti interpretativi della pronuncia a Sezioni Unite cui si è attenuto il giudice di rinvio.
3. Ancor prima merita attenzione il motivo di ricorso avanzato dalla difesa di M.D. nella parte in cui, assumendo la violazione dell'art.627, secondo comma, cod.proc.pen. ed una motivazione apparente e apodittica, ha denunciato la elusione da parte del giudice di rinvio del diritto del ricorrente alla prova, quanto meno di quella a discarico, con lo scopo di evidenziare, sebbene limitatamente alla graduazione della pena, fatti rilevanti ai fini della decisione con particolare riferimento alla concreta possibilità per il M.D. di influenzare le decisioni del Board in materia antinfortunistica sullo stabilimento di Torino.
3.1. In particolare denuncia l'assoluta carenza motivazionale della Corte di Assise di Appello di Torino laddove esclude la rilevanza dell'approfondimento istruttorio richiesto sul presupposto che il tema sarebbe precluso dalla limitatezza dell'ambito limitato, quoad poenam, del giudizio di rinvio.
Orbene è principio consolidato in relazione ai poteri istruttori del giudice di rinvio a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione come questi non sia tenuto a riaprire la istruttoria dibattimentale ogni volta che le parti ne fanno richiesta, poiché i suoi poteri sono identici a quelli che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, sicché egli deve disporre l'assunzione delle prove indicate solo se le stesse sono indispensabili ai fini della decisione, così come prescrive l'art.603 cod.proc.pen. oltre che rilevanti, secondo quanto statuisce l'art.627 comma secondo cod.proc.pen. (sez. I, 9.5.2014 Dell'Utri, Rv 260939; sez.V, 30.9.2014 Marino, Rv. 262116; sez. II, 13.7.2007 Acampora, Rv 237165).
3.2. Peraltro la necessità della rinnovazione istruttoria può prescindere dallo specifico ambito devoluto al nuovo esame del giudice di rinvio e pertanto lo stesso tema relativo alla congruità della pena applicata dal giudice di appello, se e in quanto rimesso, potrebbe richiedere una nuova ponderazione del giudice di rinvio sui punti posti in discussione nella sentenza di annullamento e, se del caso, un approfondimento istruttorio.
3.3. Va peraltro evidenziato come il giudizio di irrilevanza di un supplemento istruttorio espresso dalla corte di assise di appello di Torino sia coerentemente fondato su di una articolata e ben strutturata valutazione in punto di responsabilità penale operata dal giudice di legittimità a Sezioni Unite il quale, alla posizione processuale del M.D. ha riservato uno specifico spazio (par. 19) per delineare il ruolo di garanzia rivestito all'interno della complessa struttura aziendale con particolare riferimento al rischio che si intendeva prevenire.
Inoltre nell'esaminare in una prospettiva critica le specifiche contestazioni mosse nei suoi confronti (par.23.3), relativamente agli aspetti che dovevano guidarlo ad operare in senso prevenzionale, il giudice di legittimità ha collegato le omissioni allo stesso riconducibili ai più ampi addebiti di colpa generica e di inosservanza di specifici precetti ascritti a tutti gli altri indagati (in termini generali par.22, in termini individualizzanti par. 23), per saldarli nel vincolo della cooperazione colposa che presuppone il contributo cooperativo di ciascun imputato (par.30).
Invero la Suprema Corte a Sezioni Unite evidenzia che tutti gli imputati in vario modo, nell'ambito delle rispettive qualifiche e competenze, aderiscono alle scelte strategiche, le supportano con le loro competenze tecniche o nell'esercizio dei poteri gestionali...tale complessiva condotta cooperante, che tutti coinvolge, costituisce la colposa causa degli eventi e la fonte delle responsabilità individuali (par. 28 causalità e colpa).
3.4. Ma se il giudice di legittimità ha definitivamente acclarato la responsabilità del M.D. in ordine ai reati colposi allo stesso ascritti in una visione cooperativistica con gli altri imputati, dopo avere passato in rassegna la pluralità di addebiti di colpa contestati a ciascun imputato (vedi capo imputazione D), che si articolano in una serie di inosservanze a cautele specificamente riportate, comportamenti che per effetto della ritenuta cooperazione colposa estendono la loro rilevanza causale a tutti gli indagati (sez.U, 26.3.2015, M.D. n.18651 Rv 263686), appare coerente la scelta del giudice di rinvio di non ulteriormente approfondire il tema della concreta facoltà per il ricorrente M.D. di influenzare le scelte del board, laddove la valutazione risulta già ampiamente operata dal giudice di legittimità nei segnalati paragrafi all'uopo dedicati.
3.5. Quanto poi alla esplorazione della incidenza sulla gravità delle condotte ascritte al M.D. della esclusione della aggravante di cui all'art. 437, secondo comma, cod.pen., il tema appare invero irrilevante, oltre che per quanto oltre si dirà in relazione alle analoghe contestazioni, quoad poenam, formulate dagli altri imputati, in ragione della pluralità di ulteriori condotte colpose ascritte in cooperazione colposa a ciascuno degli altri imputati, sulla cui gravità, incidenza causale e particolare offensività la S.C. a sezioni unite ha riservato diffusissimi e articolati ragionamenti nei paragrafi sopra segnalati, riferendoli anche alla figura dell'imputato M.D. in ragione del ruolo di garanzia dallo stesso rivestito, dalle conoscenze dallo stesso possedute al momento del fatto e alla concreta possibilità riconosciutagli di operare in chiave prevenzionale influenzando le decisioni del board.
4. La difesa dell'imputato C.C., prendendo spunto dall'iter motivazionale della Suprema Corte di Cassazione a sezioni unite, ove era stata esclusa la circostanza aggravante del reato di omissione dolosa di cautela antinfortunistica obbligatoria di cui all'art.437, secondo comma, cod.proc.pen., con il primo motivo denuncia l'assenza di tipicità anche del delitto di cui al primo comma. Assume in particolare che il pronunciamento del giudice di legittimità presenta un macroscopico errore di diritto, emendabile ai sensi dell'art. 624, primo comma, cod.proc.pen. nella parte in cui, avendo escluso che la omissione della misura contestata abbia avuto incidenza causale rispetto al tragico infortunio in assenza di sufficiente iato temporale per approntare la cautela dovuta, non aveva portato a compimento il ragionamento intrapreso, fino ad apprezzare la circostanza che non esisteva o comunque non era scaduto alcun termine per il compimento dell'attività ritenuta doverosa, così da integrare la fattispecie omissiva propria. 
4.1. La censura non è condivisibile. Invero il giudice del rinvio ha fornito una motivazione assolutamente adeguata e priva di vizi logici nell'affermare che, sebbene esclusa l'aggravante di cui al secondo comma il delitto di cui all'art.437 cod.pen., non sia venuta meno la valenza precettiva della disposizione, atteso che ciò che risultava escluso dal giudice di legittimità era la relazione causale tra la omissione della cautela ritenuta dovuta (sistema di rilevazione e spegnimento automatico di incendio) e l'evento infortunistico, avendo al contrario ribadito la sussistenza del reato doloso nella forma base.
4.2. A prescindere dall'assoluta originalità della pronuncia richiesta sul punto dalla difesa del ricorrente, ove veniva richiesto al giudice del rinvio di assolvere l'imputato C.C. (e gli altri imputati) da uno dei reati per i quali il giudice di legittimità aveva espressamente dichiarato la definitività della statuizione in punto a responsabilità, è lo stesso ricorrente a evidenziare che non ricorrevano i presupposti per procedere al ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, assumendo che si verte in ipotesi di errore di diritto, mentre il giudice del rinvio ha puntualmente osservato come il giudice di legittimità non abbia messo in dubbio la sussistenza della omissione, che è rimasto un dato di fatto incontestabile....condotta che seppure ridimensionata, è stata definitivamente ed irrevocabilmente ascritta a tutti gli imputati, con assoluta preclusione a questa Corte di interloquire sul punto, se non per quanto riguarda la sanzione che sarà nel prosieguo stabilita.
4.3. Il giudice di legittimità si è soffermato sulla tipicità della fattispecie di cui all'art. 437 cod. pen. (par.3), delineando la fonte dell'obbligo giuridico da cui derivava l'omissione contestata e ben delimitando temporalmente le condotte ascritte, laddove i tecnici dell'azienda deliberarono consapevolmente di installare l'impianto antincendio solo dopo il trasferimento della linea a Terni (pag.85 SU), laddove tutti cooperarono nel differire tale imprescindibile adempimento ad una epoca successiva (pag.86 con indicazione dei singoli comportamenti elusivi, temporeggiatori, di differimento) allo smantellamento e al trasferimento della linea produttiva, con condotte cooperative ed efficienti che in relazione al C.C. si estrinsecarono nella formazione del documento di valutazione dei rischi dell'anno 2006, con particolare riferimento al rischio di incendi in modo tale che non indicasse tale impianto come misura di realizzare (pag.86 e 119 S.U.). Il volontario temporeggiamento e il differimento della realizzazione dell'impianto ogni oltre ragionevole limite temporale, segnato dalle scadenze di bilancio e dagli obblighi connessi alla presentazione dei documenti sulla valutazione dei rischi, e comunque successivo a quello del trasferimento della linea produttiva a Terni, ove il sistema automatico di rilevazione e spegnimento degli incendi venne progettato ed eseguito, determinò per il primo giudice di appello, con ragionamento assolutamente condiviso dal giudice di legittimità, il perfezionamento del reato in questione, il cui accertamento, con la definitività che caratterizza il giudizio di legittimità, risulta ampiamente indicato nel paragrafo 58 della sentenza a S.U.
4.4. Anche tale motivo di doglianza deve essere pertanto disatteso, in quanto nessun errore di diritto risulta contenuto nella suddetta pronuncia a sezioni unite della cui definitività, nella parte de quo, il giudice di rinvio ha dato atto evidenziando anche nel merito l'assoluta autonomia del primo comma dell'art.437 cod.pen. rispetto alla figura aggravata, per la cui realizzazione è necessario che alla omissione volontaria della cautela segua il disastro o l'infortunio, questione che è stata affrontata e risolta, sempre nell'ambito del giudizio di legittimità esclusivamente sotto il profilo causale, laddove il delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro è un delitto, doloso, di pericolo, ove il pericolo consiste nella verificazione, in conseguenza della condotta di rimozione o di omissione, del disastro o dell'infortunio, che costituisce, secondo quanto previsto dal secondo comma dell'art. 437, una circostanza aggravante (sez.I, 20.4.2006, Simonetti e altri, 233779).
5. La difesa del C.C. ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata assumendo la intervenuta prescrizione dei reati di cui agli art. 437 e 449 cod.pen. in epoca immediatamente successiva alla discussione del giudizio di rinvio; al contempo ha denunciato come il giudice di legittimità abbia neutralizzato per detti delitti l'ulteriore decorso della prescrizione, richiamando la interpretazione giurisprudenziale sul c.d. giudicato progressivo.
5.1. Sotto un primo profilo un limite alla possibilità di disporre l'annullamento per intervenuta prescrizione di talune delle fattispecie ascritte all'imputato C.C. è rappresentato dallo stesso decisum del giudice di legittimità a sezioni unite, il quale ha imposto al giudice di rinvio di ritenere come definitive le statuizioni afferenti all'affermazione di responsabilità di tutti gli imputati in ordine ai reati di cui agli art. 437 primo comma, 589 e 449 cod.pen., con l'ulteriore corollario, ispirato certamente all'adesione al principio del giudicato progressivo, che il decorso del tempo è irrilevante ai fini della prescrizione (pag.197 S.U. 38343/14).
Se è vero che il termine prescrizionale delle due delle fattispecie sopra evidenziate era destinato a compiersi in epoca immediatamente successiva alla pronuncia del Supremo Collegio, appare evidente che una tale statuizione, che ha delimitato l'ambito decisionale del giudice di rinvio (il quale è tenuto a uniformarsi ad essa per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa deciso), contiene altresì una specifica disposizione, ai sensi dell'art.624, secondo comma, cod.proc.pen., sulla definitività della pronuncia sulle condanne, ribadita nel dispositivo.
5.2. Tale statuizione pertanto risulta insuscettibile di essere riconsiderata in questa sede proprio in relazione all'efficacia vincolante del decisum rispetto al giudice del rinvio e conseguentemente nella successiva sede di legittimità avverso la pronuncia di questi; ciò non solo sulla base di un giudicato progressivo idoneo a precludere la rilevanza di fenomeni, anche processuali, sopravvenuti alla suddetta pronuncia sulla responsabilità dichiarata irrevocabile, ma anche sulla base dello stesso dictum del S.C. in punto a irrilevanza del meccanismo della prescrizione, maturata in epoca successiva alla suddetta pronuncia.
5.3. Sotto diverso profilo va rimarcato che, nonostante il pregevole sforzo interpretativo del ricorrente C.C., gli argomenti addotti a sostegno della tesi propugnata, che fa leva sulla distinzione tra punti e capi della sentenza annullata, per gli effetti di cui all'art.624, primo comma, cod.proc.pen. e sulla insensibilità dell'istituto della prescrizione, soprattutto nella sua originaria formulazione normativa, alla pure ritenuta progressività della formazione del giudicato, risultano adeguatamente affrontati e contrastati fin dalle pronunce della S.C. a sezioni unite degli anni '90. In particolare quelle del 11 maggio 1993 Ligresti; 23.11.1990 Agnese; 26.3.1997 Attinà e 19.1.1994 Cenerini (Rv.196889) la quale, nel ribadire la correttezza delle precedenti pronunce a sezioni unite sulla formazione progressiva del giudicato, tanto rispetto all'art.545 del codice di procedura penale ormai abrogato, quanto in relazione all'art.624 cod.proc.pen. in vigore, ha evidenziato che il legislatore aveva inteso riferirsi, anche plasticamente alle parti di sentenza in ordine alle quali si è del tutto esaurita ogni possibilità di decisione del giudice di merito e, contestualmente completato l'iter processuale e che hanno così acquisito autorità di cosa giudicata. Dovendosi intendere con il termine parti (della decisione), qualsiasi statuizione che abbia una propria autonomia giuridico concettuale, non annullate dalla sentenza, concernenti l'esistenza del reato e la responsabilità dell'imputato, che si trovino in connessione non essenziale con quelle annullate, ove la relazione indicata dal legislatore con tale espressione deve intendersi come necessaria interdipendenza logico giuridica tra le parti suddette, nel senso che l’annullamento di una di esse provochi inevitabilmente il riesame di altra parte della sentenza, seppure annullata (da ultimo in termini adesivi alle pronunce richiamate sez. I, 24.9.2015, Catanese, Rv,264815).
5.4. Il giudice di legittimità a sezioni unite poi, dopo avere distinto i concetti di autorità di cosa giudicata e di eseguibilità della sentenza, ha concluso per l'assoluta indifferenza del decorso del termine dopo l'acquisto della autorità di cosa giudicata a fronte della tempestiva riaffermazione di detta potestà (repressiva) esercitata mediante la adozione di statuizioni definitive della sentenza che affermino l'esistenza del reato e ne individuino il responsabile nell'imputato, (che) blocca con la forza del giudicato la stessa possibilità del completamento dei periodi di tempo previsti dalla legge ai fini della prescrizione, che neppure potrà essere ipotizzata come causa di estinzione del reato. A tali principi (enunciati dalla richiamata giurisprudenza a sezioni unite 94/196889) e ribaditi anche più recentemente da sez. II, 14.3.2007, Mazzei, Rv 236462; sez. II, 11.3.2010, Romeo, Rv; sez. IV, 20.11.2008, Talarico, Rv. 242494; sez. IV, 27.1.2010, La Serra+altri, Rv. 248117; sez.II, 12.1.2016, Serafino, Rv. 265792), non si può che fare riferimento in termini di assoluta condivisione.
5.5. D'altro canto risultano manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale degli art. 624, primo comma e 627, terzo comma, cod.proc.pen. in relazione agli art. 27 comma terzo e 3 della Carta Costituzionale pure sollecitate dalla difesa del C.C., per le ragioni espressamente indicate nella sentenza delle Sez. Un. n. 4460 del 19/01/1994, Cellerini, Rv. 196889, alla quale si fa piena adesione, in cui diffusamente è spiegato come le disposizioni che prevedono la formazione progressiva del giudicato non collidono né con l'art. 3, né con l'art. 27 della Costituzione.
5.6. Con riferimento invece al rispetto dei principi costituzionali di cui all'art. 111 Cost. e art. 6 Cedu, che impongono la ragionevole durata del processo, appare del tutto condivisibile quanto affermato dal giudice di legittimità (sez. III, 20.2.2004 Ragusa, Rv 228499, richiamata anche sez. II, 17.10.2013 Abenavoli, Rv 253714), ove viene ribadita la distinzione tra la fase dell'accertamento del reato e quella della punibilità dello stesso, che possono corrispondere a due scansioni temporalmente distinte, non solo a conforto della affermazione del giudicato parziale e progressivo, stabilito sulla base dell'interpretazione dell'art.624 cod.proc.pen. in precedenza richiamata, ma a sostegno di una interpretazione non restrittiva dell'art. 111 della Carta costituzionale, da reputarsi conforme al principio di ragionevolezza rispetto alla disposizione dell'art. 6 CEDU.
5.7. In particolare risulta assolutamente corretta l'argomentazione svolta dal giudice di legittimità quando nella sopra indicata pronuncia viene affermato che il concetto di ragionevole durata del processo che la legge deve assicurare va individuato con riferimento a tutto il contesto dell'articolo, il quale quel disposto contiene: è palese al riguardo ad una attenta lettura che il costituente si è preoccupato che la durata del processo, per essere ragionevole, deve essere commisurata all'adempimento di tutte le garanzie che la legge appresta ai fini dell'accertamento del fatto-reato quali segnatamente del principio del contraddittorio, che deve essere assicurato sia ai fini della formazione della prova, sia tra le parti, affinchè queste - notificate dell'accusa nel più breve tempo possibile e in modo riservato - siano giudicate in condizioni di parità davanti a giudice terzo e imparziale. Nella "ragionevole" durata del processo quindi rientra anche il tempo occorrente alla determinazione della pena nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento parziale della Cassazione, attese appunto la distinzione, cui si è sopra accennato dei due momenti - reato e punibilità - e la particolarità dello stesso giudizio di rinvio, che impedisce ai giudice ad quem di estendere la indagine oltre i limiti oggettivi del giudizio a lui affidato; ciò che è conseguenza dell'irrevocabilità della pronuncia della Corte di Cassazione in relazione a tutte le parti diverse da quelle annullate ed a queste non necessariamente connesse e pertanto, tenendo conto della peculiarità del sistema di garanzie offerte dalla suddetta disposizione della carta costituzionale (art.111), mediante la previsione di uno snodo di fasi procedimentali tale da giustificare anche la presenza di uno o più giudizi di rinvio, benché limitati, come nel caso in specie, alla verifica delle questioni afferenti il trattamento sanzionatorio, potendo risultare scissi il momento dell'accertamento della colpevolezza e quello della applicazione della pena.
In questi termini la interpretazione giurisprudenziale dell'art.624 primo comma cod.proc.pen. in relazione alla affermazione di un giudicato parziale e progressivo (relativamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio), lungi dal contrastare con il principio, anch'esso costituzionale della ragionevole durata del processo, costituisce espressione e sintesi dei principi sanciti dallo stesso art.111 della costituzione che fondano l'architettura del "giusto processo".
Infondato è pertanto il motivo di ricorso proposto dal C.C. teso ad una pronuncia di annullamento per intervenuta prescrizione dei delitti di incendio colposo e di dolosa omissione di cautela obbligatoria e assolutamente infondata risulta la questione di legittimità costituzionale sollevata.
6. In ordine alle questioni relative al compito del giudice del rinvio nel procedere ad una rimodulazione del trattamento sanzionatorio in virtù dei motivi dell'annullamento del giudice di legittimità a sezioni unite, le difese di tutti gli imputati si soffermano, con uno specifico motivo, di ricorso a dolersi della mancata riconsiderazione della pena base del delitto di omicidio colposo plurimo, già stabilita dal giudice di appello, quale conseguenza della esclusione, in punto di diritto, da parte del giudizio di cassazione, della circostanza aggravante di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen.
6.1 Si è sostenuto infatti che avendo il giudice di appello parametrato la pena base per il reato di omicidio colposo plurimo alla gravità del fatto e delle conseguenze che ne erano derivate con particolare riferimento alle specifiche contestazioni ascritte, la esclusione dell'aggravante di cui all'art.437 cod.pen., aveva determinato una minore gravità dei fatti contestati agli imputati e ritenuti in sentenza nei confronti di tutti gli imputati ai sensi dell'art.589 cod.pen.
6.2. Vale a dire, il riconoscimento della esclusione della relazione causale tra la mancata tempestiva progettazione ed attuazione del sistema di rilevamento incendi e spengimento automatico, che costituiva uno dei rilievi di maggiore peso per E.H. come formalmente riprodotta nell'imputazione ex art.575 cod.pen. a questi riferibile, e implicitamente contestata anche agli altri imputati nell'ambito di una più generica descrizione dei comportamenti omessi, privava il reato più grave di cui all'art.589 cod.pen. di una componente oggettiva e soggettiva, che doveva rilevare ai fini della determinazione finale della pena da parte del giudice del rinvio.
6.3. In particolare la difesa degli imputati E.H., PR.G., P.M. e S.R., richiamando testuali riferimenti della sentenza della Suprema Corte a sezioni unite 38343/14 (E.H. e altri), hanno sostenuto, con la prima articolazione del proprio motivo di ricorso (il primo per tutte e quattro le posizioni), che il giudice di legittimità aveva annullato la sentenza della Corte di Appello in punto di trattamento sanzionatorio proprio in conseguenza della esclusione della circostanza di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen; ovvero, in via alternativa, attraverso una seconda articolazione hanno affermato che, pure in mancanza di un annullamento quoad poenam, il giudice di rinvio avrebbe dovuto procedere alla rideterminazione della pena per il reato di omicidio colposo plurimo ai sensi dell'art.624, primo comma cod.proc.pen., in ragione della connessione essenziale tra capo annullato (437, secondo comma cod.pen.) e il trattamento sanzionatorio per il delitto di cui all'art.589 cod.pen. che comprendeva il disvalore connesso al fatto che l'evento infortunistico fosse in diretta relazione causale con l'omissione di cui all'art.437 comma cod.pen., circostanza esclusa dal giudice di legittimità.
6.4. Anche la difesa di C.C. ha articolato sul punto una specifica censura (punti 3.1 e 3.2 del proprio ricorso), assumendo il depotenziamento della ipotesi criminosa di cui all'art.589 cod.pen. a seguito della esclusione della ipotesi aggravata di cui all'art.437 cod.pen. con incidenza ai fini sanzionatori.
6.5. Analoga censura è stata articolata dalla difesa del M.D. nella memoria difensiva depositata il 27.4.2016 contenente motivi aggiunti, anch'esso rimarcando la diversa prospettiva su cui avrebbe dovuto muoversi il giudice di rinvio ai fini della determinazione della pena per il reato di omicidio colposo plurimo a seguito della elisione della ipotesi aggravata dell'art.437 cod.pen.
6.6 Sul punto il giudice del rinvio, richiamando il contenuto della decisione del giudice di legittimità, ha escluso che il tema della pena per l'imputazione di omicidio colposo plurimo abbia formato oggetto di intervento censorio, se non limitatamente ad una opera residuale di riassetto, dalla ripresa autonomia dei delitti di cui agli artt. 437 e 449 cod. pen. e dalla esigenza di ristrutturazione delle relazioni tra i singoli reati per cui era intervenuto giudizio irrevocabile di condanna (cfr. pg. 30-31 sent. impugnata). 
7. Le censure sul punto sono destituite di fondamento in quanto la corte di merito ha fatto buon governo delle indicazioni ricevute dalle Sezioni Unite.
In primo luogo va rilevato che difetta il presupposto giuridico, di rilievo sostanziale, dell'argomento introdotto dai motivi di ricorso, nella duplice articolazione sopra prospettata.
Invero la esclusione della ipotesi aggravata di cui all'art.437, comma secondo, cod.pen. non comporta la necessità di rideterminare la pena per il delitto di cui all'art.589 cod.pen. in ragione di una minore ampiezza della contestazione ovvero di un ridimensionamento del profilo soggettivo.
Trattasi di ipotesi di reato assolutamente distinte, la prima (437 cod.pen.) è ipotesi dolosa di pericolo, anche nella sua forma aggravata, la seconda (art.589 I, II e IV co.) è ipotesi colposa e di danno.
7.1. Per l'applicabilità della norma di cui all'art. 437 cod.pen. è sufficiente la consapevolezza della condotta tipica del reato di disastro colposo e non anche dell'evento che aggrava il delitto di cui al citato art. 437 c.p.. Va invero evidenziato come il delitto di cui all’art. 437 c.p. si consumi con la consapevole "omissione" o "rimozione" di cui al comma 1, indipendentemente dal danno che ne derivi in concreto: qualora questo si verifichi nella forma di disastro o di infortunio, ricorre l'ipotesi più grave prevista dal comma secondo dello stesso articolo. "L'omissione o la rimozione devono essere tali da determinare pericolo per la pubblica incolumità il quale è presunto dalla legge come conseguenza della mancanza di provvidenze destinate a garantirla, senza che occorra che sia anche specificamente perseguito" (sez. 1A, 20.4.2006, Simonetti, Rv. 233779 che richiama in proposito i principi affermati da Cass., Sez. 4A, 16 luglio 1993 n. 10048, dep. 8 novembre 1993, P.G. ed altri, Rv. 195699-700-701)
7.2. In sostanza mentre nel reato di omicidio colposo plurimo gli imputati, in riferimento alle posizioni di garanzia dagli stessi rivestite e come ampiamente illustrate dal S.C. nel paragrafo 12 all'uopo dedicato (S.U. 38343/14), e in ragione di una serie impressionante di violazioni a regole cautelari nel settore della programmazione, prevenzione e adozione di sistemi antinfortunistici causalmente collegate con l'evento dannoso (par.22 e 23 S.U.), sono stati riconosciuti colpevoli di avere cagionato la morte dei lavoratori, l'evento disastroso di cui all'art.437, secondo comma, cod.pen., rileva quale obiettiva aggravante della fattispecie semplice di cui al primo comma, senza interferire minimamente sui profili soggettivi del reato in questione.
7.3. Inoltre la ricorrenza di siffatta circostanza aggravante non si pone in nessun rapporto interferenziale con il diverso delitto di cui all'art.589 cod.pen. il quale presenta un proprio autonomo evento di danno, compiutamente realizzatosi, mentre nel precetto della imputazione sono descritte una serie di inosservanze e di omissioni relative a misure cautelari, tecniche organizzative, preventive e di protezione, delle quali una sola rileva altresì quale omissione di misura antinfortunistica, peraltro in relazione alla posizione E.H., la quale non risulta affatto cancellata dalla sentenza a S.U., ma semmai ribadita e precisata.
7.4. Invero la omessa volontaria esecuzione della specifica misura prevenzionale (realizzazione di un sistema automatico di rilevazione e di spengimento incendi), da cui deriva la contestazione di cui all'art.437 cod.pen., è stata definitivamente accertata in capo a tutti gli imputati con pronuncia ritenuta irrevocabile dal S.C. a Sezioni unite e, come è stato evidenziato nel paragrafo 3 e relativi sub paragrafi della presente motivazione, la intervenuta esclusione della ipotesi aggravata non determina nessun effetto abrogativo della ipotesi semplice di "rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro" di cui all'art.437 cod.pen.
7.5. Ne consegue pertanto che l'accertamento del giudice di legittimità della assenza di relazione eziologica tra la dolosa omissione della cautela obbligatoria e l'evento disastroso, non solo non determina nessun effetto sulla integrazione del delitto di omicidio colposo (sul punto vedi Sez.U, 25.3.2015, M.D. n.18651/15 cit.), ma non influisce in alcuna maniera neppure sul trattamento sanzionatorio che deve essere determinato per tale reato a seguito dell'annullamento parziale (437, secondo comma, cod.pen.), atteso che la contestazione della omissione volontaria della cautela specifica non solo non risulta essere venuta meno (così come il disvalore del fatto), ma risulta definitivamente riconosciuta con caratteri di definitività a seguito della pronuncia di irrevocabilità delle disposizioni della sentenza di appello relativa alla condanna di tutti gli imputati per i delitti di cui all'art.437, primo comma e 589, secondo comma, cod.pen.
7.6. Sussiste un'altra ragione per ritenere, in termini logico giuridici, l'assoluta indifferenza della esclusione della ipotesi aggravata di cui all'art.437 cod.pen. sulla fattispecie di cui all'art.589 cod.pen. e sul trattamento sanzionatorio da erogare da parte del giudice del rinvio. 
Ragionando proprio sulla esclusione della aggravante di cui all'art.437 cod.pen., è lo stesso giudice di legittimità a tenere distinti i profili di imputazione causale idonei a determinare i tragici eventi dei reati di omicidio e di incendio. Afferma il S.C. a S.U. a pag.100 della sentenza (par. 11) "Non è consentito introdurre surrettiziamente nella compagine causale fattori estranei alla fattispecie, costituiti, nel caso concreto, da comportamenti colposi tutti fondati, tutti contestati, ma tutti per l'appunto di carattere colposo ed afferenti alle distinte fattispecie di incendio e di omicidio...quando l'evento lesivo possa essere evitato attraverso distinte, alternative misure prevenzionistiche, l'addebito soggettivo etiologicamente rilevante può essere ritenuto solo quando nessuna di tati diverse strategie sia stata posta in essere e l'inerzia abbia cagionato l'evento...Gli eventi aggravanti di cui si discute possono (potrebbero) essere messi in relazione causale solo con la complessiva colpevole omissione di tutte le alternative cautele doverose. Il fatto è che tali alternative prevenzionistiche, pacificamente omesse, non costituiscono parte della struttura della specifica fattispecie che, giova ribadirlo, è caratterizzata dalla dolosa omissione di una isolata cautela afferente al discusso impianto antincendio.
In sostanza ribadisce il S.C. a sezioni unite che la omissione dolosa di una cautela obbligatoria costituisce uno solo degli addebiti ascritti agli imputati in chiave prevenzionistica, laddove le innumerevoli violazioni della disciplina prevenzionistica non rilevano in quanto tali, bensì precipuamente come anelli intermedi, costituenti da un lato effetto delle scelte strategiche e dall'altro cause del disastro....Il contro fattuale della causalità omissiva è in questo caso lineare: l'adozione di tutte le cautele doverose, primarie e secondarie, avrebbe certamente evitato il drammatico sinistro. Resta da cogliere il rilievo delle condotte individuali che, correttamente, come si è visto vengono dalla Corte di merito focalizzate attorno al nucleo antigiuridico afferente la scelta strategica di fare mancare le condizioni di sicurezza dell'impianto, condotte individuali che il giudice di legittimità esamina e interpreta nell'alveo della cooperazione colposa di cui all'art.113 cod.pen. (pag.137 ss S.U. 38343/14).
7.7. Da tale argomentazione logico giuridica del giudice di legittimità, nella composizione più autorevole, può trarsi il convincimento che pure qualora una delle condotte ascritte come causalmente efficienti rispetto all'evento di cui all'art.589 cod.pen. fosse risultata esclusa (il che lo si ribadisce non è, in quanto è stato escluso il nesso tra la condotta ipotizzata come doverosa con l'evento aggravante di cui all'art.437, secondo, comma cod.pen. e non la stessa condotta dolosamente omissiva), residuerebbero una serie di violazioni di regole cautelari nel settore antinfortunistico (primario e secondario), riferibili a tutti gli imputati in virtù del meccanismo della cooperazione colposa, tali da escludere qualsiasi rilievo esimente o di minore gravità del fatto reato ascritto (589 cod.pen.), proprio in considerazione del carattere unitario che lega le suddette violazioni, nell'ambito della riconosciuta strategia di impoverimento delle risorse e delle difese dell'impianto, nella prospettiva della dismissione o del suo trasferimento, accertata dal giudice di appello, che ha trovato integrale adesione da parte del giudice di legittimità.
7.8. A questo proposito appare di tutto rilievo e assolutamente pertinente quanto sostenuto dal giudice di legittimità in un differente giudizio, promosso dall'imputato M.D. per fare valere la ricorrenza di un errore di fatto in cui sarebbe incorso il giudice di legittimità a Sezioni Unite, il quale avrebbe giustificato l'annullamento con rinvio anche in relazione al reato di omicidio colposo. Dopo avere passato in rassegna il complesso delle contestazioni consacrate nei capi di imputazione per i delitti di omicidio colposo e di incendio colposo, e dopo avere riportato pedissequamente il contenuto della sentenza del giudice di legittimità impugnata (pag.89), nella parte in cui viene rimarcato l'ambito delle plurime inosservanze a regole cautelari poste a fondamento dei suddetti reati, concludeva che, mentre in relazione alla contestazione di cui all'art.437 cod.pen. risultava isolato uno specifico comportamento quello della omessa realizzazione dell'Impianto automatico di rivelazione e spengimento, costituente misura di prevenzione secondaria, atta a segnalare e contenere l'incendio una volta verificatosi, i reati di incendio colposo e di omicidio colposo erano invece fondati su una serie imponente di omissioni cautelari di prevenzione primaria, in quanto finalizzate alla realizzazione, in via preventiva, di condizioni di lavoro sicure tali da evitare il verificarsi dello stesso evento, evidenziando pertanto il diverso rilievo causale delle diverse omissioni nell'ambito delle distinte ipotesi di reato (Sez.U, 26.3.2015, M.D., Rv. 263686).
7.9. E' chiaro pertanto che il decisum del S.C. che ha condotto alla esclusione della circostanza aggravante del secondo comma dell'art.437 cod.pen. non solo non è in grado interferire con i profili causali della colpa indicati dall'art.589 cod.pen. rispetto all'evento morte degli operai, neppure di incidere sulla complessiva struttura della contestazione, come riconosciuta anche in capo all'E.H. dal giudice di appello, la quale non viene affatto ridimensionata in conseguenza della suddetta esclusione, in quanto la esclusione ha riguardo a esito eziologico del tutto estraneo alla fattispecie di omicidio colposo plurimo, non determina alcun impoverimento della suddetta contestazione, il cui evento naturalistico rimane comunque legato a una serie di inosservanze in ordine alla predisposizione di misure precauzionali anche preventive (tra cui una dolosa omissione di cautela obbligatoria) e infine non intacca, neppure in minima parte, il complesso delle contestazioni rivolte agli imputati quali specifici profili di colpa (di cui la dolosa omissione di una particolare opera prevenzionistica ne integra una sola).
8. Quanto rappresentato nei paragrafi che precedono comporta un giudizio di infondatezza anche dell'articolazione della difesa del C.C. e dei motivi aggiunti del M.D. limitatamente alla questione esaminata, oltre ad escludere il presupposto logico su cui si fondano i motivi di ricorso degli altri imputati in punto a incidenza dell'esclusione dell'art.437, comma secondo, cod.pen. sul trattamento sanzionatorio del reato di omicidio colposo plurimo.
8.1. In effetti i punti motivazionali sopra articolati valgono altresì a enucleare le ragioni di infondatezza di quella parte di articolazione, degli imputati E.H., PR.G., P.M. e S.R., diretta a ottenere il riconoscimento di una relazione di "connessione essenziale" tra la disposizione annullata (437, secondo comma, cod.pen.) e il trattamento sanzionatorio del capo non annullato, anzi ritenuto irrevocabile (589 cod.pen.), con conseguente richiesta di annullamento della sentenza del giudice di rinvio sulla misura del trattamento sanzionatorio per il reato di omicidio colposo plurimo aggravato.
Su tale ragione di doglianza non si può che richiamare quanto sostenuto nei paragrafi da 7 a 7.9 con riferimento alla ritenuta indifferenza della esclusione della circostanza aggravante di cui all'art.437 cod.pen. rispetto alla fattispecie criminosa di cui all'art.589 cod.pen., la cui integrità strutturale e il cui perfezionamento risultano del tutto immuni dagli effetti del suddetto annullamento parziale, mentre al contrario la relazione di connessione essenziale che determina l'effetto del giudicato su disposizioni non espressamente annullate, si fonda appunto su un collegamento logico giuridico di interdipendenza tra le distinte statuizioni (sez.V, 27.10.2009 Kardhiki Rv 214719), come ricorre nel caso segnalato dalla difesa del ricorrente E.H. tra il reato di falsificazione della patente di guida e il reato di guida senza patente. Nel caso in specie tale relazione di interdipendenza tra le due distinte diposizioni difetta in toto.
9. Quanto al rilievo che la corte di cassazione avrebbe annullato la decisione del giudice di appello anche in relazione del trattamento sanzionatorio irrogato per il delitto di omicidio colposo plurimo all'esito dell'annullamento parziale della ipotesi aggravata di cui all'art.437 cod.pen., non solo una tale affermazione non è contenuta né nel dispositivo della sentenza, né nel paragrafo espressamente dedicato al compito del giudice del rinvio, ma non appare ricavabile neppure implicitamente dalle ulteriori statuizioni della suddetta sentenza.
9.1. Come viene correttamente indicato dal giudice del rinvio la Suprema Corte a Sezioni Unite, nel respingere il ricorso della pubblica accusa in materia di graduazione delle pene, ha ritenuto in termini del tutto generali che il tema delle pene dovrà essere nuovamente affrontato dal giudice di merito per effetto della esclusione dell'aggravante e della diversa configurazione delle relazioni tra i diversi illeciti. La Corte non pone alcun automatismo né alcun collegamento tra esclusione del secondo comma dell'art.437 cod.pen. e il trattamento sanzionatorio per il delitto di cui all'art.589 cod.pen.
Invero nel dispositivo della sentenza a S.U. viene annullata la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta esistenza della circostanza aggravante di cui al capoverso dell'art.437 cod.pen. ed al conseguente assorbimento del reato di cui all'art.449 cod.pen.
9.2. Inoltre nel paragrafo dedicato ai compiti del giudice del rinvio la corte precisa come conseguenza immediata del suddetto annullamento che per l'effetto dall'esclusione dell'aggravante di cui al capoverso, te pene in ordine al reato doloso di cui al primo comma dell'art.437 c.p., dovranno essere nuovamente determinate, in quanto il suddetto illecito, nella sua ipotesi base acquista piena autonomia rispetto agli altri reati, anche sotto il profilo sanzionatorio, in quanto non è in grado di contenere il reato di cui all'art.449 cod.pen. che, a sua volta riacquista un proprio autonomo rilievo.
9.3. In relazione a tale pronuncia, che afferisce proprio agli effetti sostanziali della esclusione della ipotesi aggravata di cui all'art.437 cod.pen., e degli effetti immediati che tale statuizione di annullamento riveste nell'assetto complessivo della ipotesi base che residua rispetto agli altri reati, il giudice di legittimità non richiama, in alcun modo, la più grave ipotesi di cui all'art.589 cod.pen., né ipotizza un collegamento diretto tra le due disposizioni (art.437 cod.pen. e art,589 cod.pen.).
9.4. La fattispecie di cui all'art.589 cod.pen. risulta invece richiamata laddove il giudice di legittimità, rispondendo ad uno specifico motivo di ricorso della Procura (vedi paragrafo 54), esclude la ipotesi di concorso formale tra gli art.437 e 589 cod.pen. e afferma che pure il reato di cui aii'art. 589 cod.pen. riprende la propria autonomia, non essendo in concorso formale con quello di cui al ridetto art.437 (pag.190 S.U. E.H. 38343/14).
9.5. Nel postulato sui compiti del giudice di rinvio la corte completa il concetto affermando che il concorso formale tra le due fattispecie è a maggiore ragione impossibile per effetto della esclusione della circostanza aggravante di cui al già richiamato capoverso dell'art.437 cod.pen. Infine conclude testualmente affermando: dunque pure per il reato di omicidio colposo plurimo le pene dovranno essere nuovamente determinate.
9.6. Orbene l'ultima affermazione trova spiegazione nel fatto che, a prescindere dall'essere il delitto di omicidio colposo plurimo aggravato dalle disposizioni antinfortunistiche il reato più grave nell'ambito di tutte le fattispecie ritenute in sentenza, la esclusione del ritenuto concorso formale tra i suddetti reati determina la necessità di un intervento del giudice del rinvio in relazione al complessivo riassetto delle pene, dal quale non poteva ritenersi esclusa la stessa fattispecie di omicidio colposo. Peraltro la necessità di un tale riassetto non rappresenta, né testualmente né logicamente, la conseguenza della esclusione dell'aggravante di cui all'art.437 cod.pen. in quanto, come si è sopra evidenziato, nessuna relazione, essenziale o meno, risulta sussistere tra la circostanza aggravante di cui all'art.437 cod.pen. e la fattispecie di omicidio colposo, né il giudice di legittimità aveva riconosciuto una siffatta relazione nel suo incedere motivazionale e nella sintesi dei compiti rimessi al giudice del rinvio.
9.7. La esigenza di una rinnovata ponderazione sulle pene trova ulteriore motivo di giustificazione nella unificazione normativa operata dal giudice di legittimità, il quale ha ravvisato una ipotesi di concorso formale tra il reato di omicidio colposo e quello di incendio colposo, sicché le pene dei due illeciti dovranno essere determinate ai sensi dell'art.81, comma primo, cod.pen. (pag. 198 Sez.Un. E.H.) e conseguentemente la nuova pena non potrà che fondarsi sulla nuova relazione tra i due reati, riconosciuti in rapporto di concorso formale.
9.8. Né appare corretto utilizzare a contrario, come fa la difesa dei ricorrenti, l'argomento che comunque, nella prospettiva della unificazione formale tra i reati, la pena del delitto di cui all'art.589 cod.pen. avrebbe costituito la base di calcolo agli effetti di cui all'art. 81, primo e secondo comma, cod.pen. e che, pertanto, l'affermazione del giudice di legittimità sul fatto che la pena andava rideterminata anche in relazione a detto delitto non avrebbe avuto senso. Tale l'argomento, sebbene suggestivo, prova troppo e quindi finisce per non essere utilizzabile.
A prescindere dal fatto che la corte può non avere considerato, ovvero può avere considerato esclusivamente sotto il profilo astratto (nell'ambito del reato scaturente dal concorso formale tra le due fattispecie), le conseguenze pratiche delle operazioni di enucleazione logico giuridica e di coordinamento, quoad poenam, tra i diversi istituti che aveva scomposto e collegato, appare altrettanto logico ritenere che il giudice di legittimità abbia inteso segnalare che, in ragione dello scioglimento di un vincolo formale tra reati e della costituzione di un nuovo vincolo formale, operazioni che attenevano al delitto di cui all'art.589 cod.pen., era necessario procedere ad un riassetto delle pene in relazione a tutti i delitti coinvolti dalle operazioni suddette, interpretazione avallata dalla lettura della seconda parte del dispositivo della sentenza, evidentemente collegata alla prima parte, ove nell'Incombente della rideterminazione della pena vengono coinvolti tutti i delitti interessati in ragione della ripresa autonomia di alcuni.
9.9. Né la circostanza che il giudice di legittimità non abbia pronunciato la irrevocabilità delle statuizioni afferenti alla determinazione delle pene costituisce motivo da solo sufficiente per disporre l'annullamento della sentenza del giudice, in punto a omessa rideterminazione della pena base del delitto di cui all'art.589 cod.pen. a seguito della esclusione della circostanza aggravante di cui all'art.437 cod.pen.
Come si è sopra argomentato non si ritiene sussistere correlazione essenziale tra le due disposizioni della sentenza, né la pronuncia della corte di legittimità riveste valore costitutivo in assenza di specifico decisum sul punto.
9.10. Assume rilievo poi la circostanza che il giudice di rinvio ha evidenziato e valorizzato, in punto di pena base del delitto di omicidio colposo plurimo, le argomentazioni del giudice di legittimità, richiamando una serie di indici, ricavabili dall'esame delle singole posizioni degli imputati (sent. S.U. par. da 17 a 21 sulle posizioni di garanzia) e sui profili di colpa agli stessi singolarmente attribuibili (par.22 e 23), e sintetizzate dallo stesso giudice del rinvio in espressioni che richiamano i criteri generali per la determinazione della pena quali caratteristiche e gravità della colpa, reiterazione delle violazioni, motivi economici sottostanti e quindi ai maggiore potere di spesa, concludendo poi che la pena stabilita dal giudice di appello non aveva formato oggetto di intervento censorio da parte della Corte.
Inoltre, ad ulteriore sostegno della conferma delle pene base per il delitto di omicidio, ha aggiunto la corte distrettuale che in ogni caso ...non può che condividere e fare propri i criteri a cui si sono attenuti i giudici di secondo grado che hanno giudicato in precedenza, poiché espressione di una corretta ponderazione tra ì plurimi parametri da tenere in considerazione (pg. 31 della sentenza).
Così facendo la Corte di assise ha svolto anche una sua autonoma valutazione della adeguatezza della pena base per gli omicidi, già determinata in precedenza, che sebbene stringata, richiamando la pluralità e gravità delle violazioni antinfortunistiche commesse in un contesto di abbandono dello stabilimento dal punto di vista della sicurezza, non palesa incoerenze o manifeste illogicità.
9.11. Le difese dei ricorrenti E.H., P.M., PR.G. e S.R., pur contestando la sufficienza e la coerenza logica di tale motivazione, hanno posto in relazione il vizio denunciato solo al mancato recepimento, da parte del giudice di rinvio, del novum della pronuncia del giudice di legittimità a sezioni unite rappresentato dalla esclusione della circostanza aggravante di cui all'art.437 cod.pen.; peraltro della totale indifferenza di tale esclusione in punto alla determinazione della pena per il reato di omicidio colposo si è ampiamente argomentato nei punti da 7 a 7.8 della motivazione e conseguentemente del tutto infondata è la articolazione operata dai ricorrenti sulla specifica questione.
10. Per la medesima ragione deve ritenersi infondato anche l'ulteriore argomento introdotto dalle difese dei ricorrenti E.H., P.M., PR.G. e S.R. nel primo motivo di ricorso, nonché da C.C. nel terzo motivo di ricorso (punto.2 - Il giudicato -) a sostegno della prospettazione dell'intervenuto annullamento della statuizione relativa alla determinazione della pena per il reato di omicidio colposo, desunto dalla statuizione contenuta nell'ultima parte del paragrafo 58 (S.U. E.H. cit.) in cui si afferma che l'ampiezza del novum da deliberare implica la necessità di nuovamente ponderare pure le connesse questioni afferenti alle invocate attenuanti ed ai bilanciamento delle circostanze, deducendone un implicito riferimento anche alla quantità delle pene da applicare.
10.1. In primo luogo va evidenziato come la statuizione del S.C., sopra riportata, non faccia alcun riferimento alla necessità di rideterminare la pena, ma si riferisce al reato circostanziale e al giudizio di bilanciamento, che forma oggetto di distinte prospettazioni difensive.
In secondo luogo manca qualsiasi elemento motivazionale da cui ritenere che l'ampiezza del novum indicato dal S.C. implichi un collegamento tra la esclusione della circostanza aggravante di cui all'art.437 cod.pen. e il trattamento sanzionatorio del reato di omicidio colposo, collegamento che, come si è più volte affermato, va escluso.
10.2. In terzo luogo, come già rilevato per il riassetto delle pene, l'intervento del S.C. risulta calibrato sullo specifico tema considerato, che attiene alla questione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche agli unici due imputati ai quali erano state escluse dal giudice di appello e che sul punto avevano svolto specifici motivi di ricorso dinanzi al giudice di legittimità (vedi paragrafi 11.20 e 14.13 della sentenza delle S.U. che riportano i motivi di ricorso degli imputati C.C. e S.R.).
10.3. Appare poi del tutto logico ritenere che la Corte suprema di cassazione al principale tema dell'accertamento del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ai ricorrenti S.R. e C.C., abbia legato la conseguente operazione, peraltro del tutto eventuale, del bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche, se riconosciute anche a ricorrenti che le avevano richieste e della circostanza attenuante dell'avere integralmente risarcito il danno (circostanza riconosciuta nel giudizio di appello a tutti i ricorrenti) con le circostanze aggravanti contestate, tenendo conto del fatto che, in relazione alle singole fattispecie contestate, non risultava più presente la circostanza aggravante di cui all'art.437 cod.pen.
10.4. Sulla precisa delimitazione del devolutum, in relazione ai compiti del giudice del rinvio in ordine al riconoscimento e al bilanciamento delle circostanze, è poi illuminante come il S.C. abbia collegato a tale fase una specifica operazione ermeneutica in capo al giudice del rinvio: operazione mirata alla rivalutazione di riconosciute esigenze individuali 
specificamente prospettate da taluni soli dei ricorrenti, cioè di riesaminare le questioni di fatto prospettate dagli imputati C.C. e S.R. afferenti a condotte ritenute censurabili poste in essere in epoca successiva agii eventi, dal che appare logico inferire che ad essi in particolare si riferisse l'ampiezza del novum da deliberare, tenuto conto che il tema del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche era stato dagli stessi sollevato nei motivi di ricorso e che quindi la esigenza di una eventuale nuova comparazione delle circostanze di segno opposto, qualora il beneficio fosse stato riconosciuto, era adombrata solo in relazione alla loro specifica posizione.
In conclusione devono essere disattese le articolazioni dei ricorrenti E.H., PR.G., P.M. e S.R. anche nella parte in cui sono volte a fare emergere un esplicito o implicito annullamento da parte del giudice di legittimità a Sezioni Unite delle statuizioni della sentenza di appello relative al trattamento sanzionatorio in questa somministrato ai ricorrenti in relazione al delitto di omicidi colposo plurimo e, di conseguenza, una omessa pronuncia da parte del giudice del rinvio.
11. Il ricorrente C.C. ha introdotto una specifica censura alla pronuncia del giudice di rinvio denunciando difetto di motivazione e violazione di legge in relazione all'art.589 e 133 cod.pen. per disparità di trattamento rispetto alla sanzione irrogata a taluno degli altri imputati e agli aumenti apportati ai sensi dell'art.589, terzo comma (omicidio colposo plurimo) anche in ragione delle plurime argomentazioni addotte dallo stesso a sostegno del ricorso avverso la pronuncia di primo e di secondo grado rispetto alle quali, assume di non avere avuto risposta. In particolare il ricorrente denuncia una motivazione apparente e contraddittoria che si limita a richiamare per relationem il contenuto della sentenza del giudice di appello.
11.1. La censura non appare fondata. Il giudice di rinvio non si limita a richiamare acriticamente in punto di parametrazione della pena edittale applicata dal giudice di appello e agli aumenti apportati i principi da questi impiegati, mediante l'uso di espressioni stereotipate o di mera affermazione di condivisione e senza alcun vaglio critico dei motivi di impugnazione.
Invero il giudice di rinvio ha riportato ampiamente in sentenza le ragioni in punto di fatto, e i criteri in punto di diritto cui si era uniformato il giudice di appello per stabilire in anni cinque di reclusione la pena nei confronti dell'imputato E.H., in anni quattro di reclusione la pena nei confronti degli imputati PR.G., P.M., M.D. e S.R., soffermandosi poi in maniera particolarmente accurata sulle posizioni di S.R. e C.C., cui era stata graduata la pena base in anni tre mesi sei di reclusione considerato l'ampio ristoro operato nei confronti delle persone offese. Invero in relazione a tali imputati era stato escluso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in ragione del particolare grado della colpa e per asserite condotte di inquinamento processuale.
11.2. Inoltre il giudice di rinvio ha esaminato e riportato la valutazione operata dal giudice di legittimità in relazione alle singole posizioni degli imputati ricorrenti deducendone argomenti di assoluta condivisione alla graduazione delle sanzioni operate dal giudice di appello. In particolare attraverso i richiami ai paragrafi in cui il giudice di legittimità aveva definito le singole posizioni di garanzia (da 16 a 21) e delineato i profili di colpa inerenti a ciascuna posizione (par. 23 nelle varie articolazioni) poneva in evidente che lo stesso giudice di legittimità aveva individuato nell'E.H. il massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che hanno causato gli eventi di incendio e morte non trascurando il richiamo ad ulteriore punto motivazionale in cui si afferma che intorno a lui si muovono gli altri imputati che all'interno della complessa organizzazione aziendale si cooperano, interagiscono con la figura di vertice...aderiscono alle scelte strategiche, le supportano con le loro competenze tecniche e nell'esercizio dei poteri gestionali.
11.3. Con particolare riferimento alla posizione del C.C. ha posto in rilievo come il giudice di legittimità avesse segnalato a suo carico profili di responsabilità per il reato di omicidio colposo plurimo nella sua duplice veste di dirigente di fatto, quale sovraintendente alla organizzazione e alla esecuzione della manutenzione degli impianti e alla organizzazione della emergenza e quale responsabile del servizio di prevenzione e protezione e alle connesse incombenze di redazione di documenti formali la cui inadeguatezza, reticenza o mancato aggiornamento (pag. 109-115-117¬125 SU E.H.) si erano poste quale rilevante contributo addebitabile al ricorrente, a titolo di colpa, ai fini del tragico evento.
11.4. Ma se queste sono le premesse sulle quali si muove il giudice di rinvio, in una valutazione combinata e sequenziale dell'esame delle condotte dai singoli imputati operate dal giudice di appello, e delle determinazione delle pene da questi applicate in relazione al grado della colpa, alla posizione di garanzia rivestita di ciascuno, al comportamento processuale assunto, ravvisando nell'E.H. il massimo responsabile delle scelte strategiche dell'ente e gli altri ricorrenti quali informati e adesivi corresponsabili di tali scelte, in ragione delle rispettive vesti di partecipi del piano direzionale (board), consulente ed esecutori di tali strategie, valutazioni ampiamente condivise dal giudice di legittimità nei paragrafi sopra indicati, appare evidente che la sentenza impugnata non si sia limitata a fare proprie acriticamente le valutazioni del giudice di appello.
Essa ha al contrario fornito il proprio autonomo contributo, richiamando la accuratissima analisi svolta dal giudice di legittimità che aveva riconosciuto tra l'altro a carico di tutti gli imputati la sommatoria di plurime e gravissime violazioni a disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, e ritenendo le pene applicate dal giudice di appello per il reato di omicidio colposo (massima per E.H. e gradatamente inferiori quelle degli altri imputati), espressione di una corretta ponderazione tra i plurimi parametri da tenere in considerazione avendo cura di rappresentare che andava tenuta ferma la pena per il reato di omicidio colposo plurimo, rapportata alle caratteristiche e alla gravità della colpa, aita reiterazione delle violazioni, ai motivi economici sottostanti e quindi al maggiore o minore potere di spesa e alla competenza tecnica. In sostanza il giudice di rinvio nel fare proprie le opzioni quoad poenam svolte dalla corte di appello, e dopo avere evidenziato che tali opzioni non avevano formato oggetto di intervento censorio da parte del giudice di legittimità, che al contrario aveva fatto proprie le considerazioni della corte di appello sulle scelte strategiche che avevano dato luogo ad un progressivo rallentamento degli investimenti nella sicurezza nello stabilimento torinese, ha richiamato i criteri su cui le pene risultavano parametrate, senza incorrere in alcun difetto di motivazione. Il rilievo va pertanto ritenuto infondato.
12. Ugualmente infondati sono i motivi di ricorso con i quali si contesta alla Corte di Assise di Appello di Torino in sede di rinvio di non avere considerato il nuovo assetto dei reati e delle circostanze del reato, scaturente dalla pronuncia di annullamento del giudice di legittimità, ai fini del giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto.
In particolare viene ritenuta illegittima la sentenza impugnata, sotto il profilo processuale (art.627, comma terzo, cod.proc.pen.), per non avere tenuto conto che, in conseguenza della pronuncia del giudice di legittimità, era venuta meno la ipotesi aggravata di cui al'art.437 cod.pen. e pertanto ne era derivato un depotenziamento della ipotesi criminosa di omicidio colposo plurimo, quantomeno sotto il profilo della ritenuta inosservanza di specifica disciplina di prevenzione antinfortunistica (dolosa omissione di cautela ritenuta doverosa) rispetto alla quale non era più lecito ricondurre etiologicamente il verificarsi del grave infortunio. Un tale motivo di ricorso è riconducibile alla difesa di E.H. (motivo II, punti 16 e 17), PR.G. e P.M. (motivo II -prima parte), S.R. (motivo B - prima parte), M.D. (Quarto motivo dal titolo "Mancata esplorazione dell'oggetto di prova conseguente all'annullamento deliberato dalla Cassazione e vizio di motivazione conseguente" - punti 1¬2-3-4), nonché C.C. (Quarto motivo di ricorso punti 4.1 e 4.2).
12.1. In tali articolazioni i suddetti ricorrenti ripropongono i temi già posti all'attenzione della Corte e da questa esaminati con riferimento alle censure relative al trattamento sanzionatorio.
A tale proposito è solo il caso di ribadire quanto più compiutamente articolato nei punti da 7.1 a 7.8 della motivazione che precede e cioè che in nessun modo la ipotesi criminosa più grave di omicidio colposo plurimo, aggravato dall'avere agito nella previsione dell'evento e da una serie di inosservanze rispetto a disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, può ritenersi attenuata in considerazione della esclusione della ipotesi aggravata di cui all'art.437 cod.pen.
12.2. La circostanza che l'evento disastroso e infortunistico non rappresentò una conseguenza diretta della omessa dolosa predisposizione di accorgimento tecnico ritenuto doveroso (quale il sistema di automatica rivelazione e spengimento di focolai di incendio sul luogo di lavoro in fase di studio e progettazione), in nessuna misura incide sulla portata antidoverosa della fattispecie in questione, né sotto il profilo materiale, rimanendo inalterata la sostanza e la forma delle condotte omissive ascritte e la offensività delle tragiche conseguenze, né in termini di colpa, costituendo pur sempre la mancata adozione della cautela obbligatoria uno dei numerosi rilievi di colpa specifica presenti nella imputazione di omicidio colposo, rilievo che ha poi trovato una conferma definitiva nel riconoscimento della responsabilità di tutti gli imputati per il delitto di cui all'art.437, primo comma cod.pen.
12.3. Neppure l'annullamento operato dal giudice di legittimità a sezioni unite può riversare effetti sulla ricorrenza e sulla oggettiva rilevanza delle circostanze aggravanti pure riconosciute in capo agli odierni ricorrenti, atteso che, come sopra anticipato, la omessa adozione di una cautela obbligatoria rappresenta, unitamente a numerosi ulteriori rilievi di condotte omissive, una delle forme in cui si sostanzia tanto la circostanza aggravante di cui all'art.589 II comma cod.pen. (inosservanza di norme antinfortunistiche), quanto la circostanza di cui all'art. 61 n.3 cod.pen. (avere agito nonostante la previsione dell'evento). Invero la adozione di un innovativo sistema di automatico rilevamento e spengimento di principi di incendio, pure in fase di studio e di progettazione, rappresentava una esigenza avvertita e coltivata dagli stessi vertici aziendali della società Thyssen Krupp a seguito degli eventi occorsi presso diverso luogo di lavoro in Olanda (Krefeld), e lo slittamento della sua realizzazione, per motivi di accantonamento dell'investimento in una prospettiva dismissiva del reparto AST di Torino, rappresentava uno degli indici rivelatori del profilo aggravante ascritto.
12.4. Orbene, se la struttura del delitto di omicidio colposo plurimo, aggravata dalla inosservanza delle norme sulla prevenzione di infortuni e dalla previsione dell'evento, non risulta minimamente intaccata dal riassetto operato dal giudice di legittimità a sezioni unite, appare evidente che, a prescindere dalla questione, lasciata aperta da parte dello stesso giudice, del riconoscimento a S.R. e a C.C. delle circostanze attenuanti generiche, che nei giudizi di merito erano state loro negate, il giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno opposto risulta essere stato coerentemente operato dal giudice di appello rispetto alla fattispecie delittuosa così delineata. Egli ha posto in raffronto gli elementi circostanziali di segno opposto e pervenendo, per ciascun imputato ad una valutazione individualizzante fondata sul raffronto dei profili di meritevolezza acquisiti (per tutti l'avvenuto integrale risarcimento dei danni, nonché gli aspetti che avevano portato al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, tranne che per C.C. e S.R.), rispetto ai profili maggiormente penalizzanti (fra tutti rileva il grado della colpa con previsione dell'evento, il comportamento processuale non cristallino se non addirittura inquinatorio per alcuni dei ricorrenti), modulando tale giudizio nella considerazione della posizione di garanzia rispettivamente rivestita da ciascun imputato in relazione ai beni giuridici compromessi o posti in pericolo.
12.5. D'altro canto la eliminazione della aggravante di cui all'art.437 cod.pen. e il conseguente riassetto delle relazioni tra i reati (artt. 437 primo comma, e 449 cod.pen.), svincolati da relazioni di assorbimento interno e di concorso formale rispetto al delitto di omicidio colposo aggravato plurimo, ha determinato sostanziali e favorevoli effetti quoad poenam nei confronti di tutti i ricorrenti, in considerazione dei profili edittali della ipotesi dolosa nella forma semplice e del riconoscimento del concorso formale tra il delitto di incendio colposo e la più grave ipotesi di omicidio colposo plurimo, sulla base delle indicazioni fornite dal decisum del giudice di legittimità a sezioni unite.
12.6. Peraltro il riassetto, anche quoad poenam, delle relazioni tra i singoli reati, come già ampiamente evidenziato nei paragrafi precedenti, ha lasciato del tutto inalterata strutturalmente e funzionalmente la fattispecie più grave, circostanziata e con pluralità di persone offese, rispetto alla quale doveva essere condotto, come già aveva fatto il giudice della Corte di Assise di Appello di Torino, il giudizio di valenza tra circostanze di segno opposto, laddove l'ampiezza del novum da deliberare espressamente rimesso dalle sezioni unite al giudice di rinvio, alla stregua di quanto evidenziato al paragrafo 10 che precede, deve ritenersi calibrato, oltre alla attività di riassetto di cui si è detto, sullo specifico tema ivi considerato, che attiene alla questione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche agli unici due imputati ai quali erano state escluse dal giudice di appello e che sul punto avevano svolto specifici motivi di ricorso dinanzi al giudice di legittimità (vedi paragrafi 11.20 e 14.13 della sentenza delle S.U. che riportano i motivi di ricorso degli imputati C.C. e S.R.).
12.7. Sul punto ci si riporta a quanto ampiamente argomentato in detto paragrafo e nel precedente paragrafo 9, nelle sue plurime articolazioni, nei quali venivano disattesi i motivi di ricorso che prospettavano la decisiva incidenza della esclusione della circostanza aggravante dell'art.437 cod.pen. sul trattamento sanzionatorio del delitto di omicidio colposo plurimo, argomenti del tutto pertinenti e riproponibili anche in relazione ai motivi di ricorso che prospettano la incidenza di tale esclusione sul giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto.
13. Alla stregua delle considerazioni che precedono del tutto legittimamente la Corte di Appello di Torino in sede di rinvio ha escluso che sia stato devoluto il tema del giudizio di bilanciamento, se non nei limiti della rideterminazione della pena per i reati minori, a seguito della esclusione dell'aggravante ex art.437 cod.pen., facendo interpretazione del dictum della Corte nella sua composizione più autorevole, nel senso di delimitare l'ampiezza del novum da deliberare alle operazioni di riassetto delle relazioni tra le diverse fattispecie di reato, alla rideterminazione delle pene a seguito dello scioglimento delle relazioni precedentemente costituite e alla valutazione del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e al bilanciamento delle circostanze in relazione ai ricorrenti S.R. e C.C..
Con particolare riferimento al bilanciamento delle circostanze invero, la esclusione della ipotesi aggravata di cui all'art.437 cod.pen. non poteva che esaurire i propri effetti nell'ambito del meccanismo di ricomposizione dei rapporti tra i delitti di cui gli art.589, 449 e 437, primo comma cod.pen., con relativa rideterminazione delle pene, risultando del tutto indifferente, in relazione alla suddetta esclusione, la principale fattispecie di omicidio plurimo aggravato, rispetto alla quale il giudizio di valenza va operato, così come era stato coerentemente svolto dal giudice di appello, sulla base dei parametri comparativi sopra illustrati.
13.1. Sotto questo profilo non può ritenersi neppure contraddittorio, o meramente apparente e relazionale, il richiamo operato dal giudice di rinvio al giudizio di bilanciamento espresso nella sentenza della Corte di Assise Appello di Torino impugnata dinanzi al giudice di legittimità, atteso che una volta escluso dal giudice del rinvio che l'intervento censorio operato dalla Suprema Corte a sezioni unite abbia coinvolto il giudizio di valenza di circostanze di segno opposto, espresso in termini di equivalenza per tutti i ricorrenti da parte del giudice di appello - se non nei limiti della rivalutazione delle condotte processuali ed extra processuali degli imputati S.R. e C.C. ai fini del riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche - il risultato di una tale comparazione rimane cristallizzato in quanto pronunciato dal giudice di secondo grado.
13.2. Sotto diverso profilo deve osservarsi che l'ambito della rivalutazione da parte del giudice di rinvio sul bilanciamento delle circostanze doveva limitarsi agli eventuali profili di doglianza espressi dai ricorrenti avverso la sentenza di secondo grado, rispetto ai quali il giudice di legittimità avesse esteso la statuizione di annullamento, ovvero che non fossero stati specificamente presi in considerazione dalla Suprema Corte in ragione dell'ampiezza dei temi devoluti alla nuova ponderazione del giudice di rinvio. Come si è visto l'interpretazione data da questo collegio alla ampiezza del devolutum della Suprema Corte non comprende lo specifico tema di un nuovo bilanciamento tra circostanze, atteso che gli elementi circostanziali erano rimasti immutati, così come immutato risultava il nucleo centrale delle contestazioni, rispetto al quale andava eseguito il giudizio di comparazione delle circostanze di segno opposto, ad eccezione del profilo delle circostanze attenuanti generiche rifiutate a due dei ricorrenti e pertanto del tutto coerentemente il giudice di rinvio si è limitato a ribadire la valutazione operata dal giudice di appello.
13.3. Il giudice di rinvio si è posto peraltro l'interrogativo di dovere rinnovare un giudizio di bilanciamento tra circostanze e sostanzialmente si è riportato ai criteri valutativi utilizzati dal giudice di appello sulla base di un giudizio comparativo che non può che essere sottoscritto, considerato il disvalore del fatto in ragione del grado della colpa e del numero delle persone che persero la vita nell'esercizio dell'attività lavorativa (sentenza impugnata pag.30).
Orbene la suddetta valutazione è stata sottoposta a censura da parte di tutti i ricorrenti per avere considerato per due volte (quoad poenam) le tragiche conseguenze del reato (il numero delle vittime), elemento fattuale ampiamente scontato nella determinazione degli aumenti di pena ai sensi dell'art.589, quarto comma cod.pen.
La censura non è fondata, sia in ragione del più ampio e articolato spettro di valutazione operato dal giudice di appello, cui il giudice di rinvio si é richiamato, sia in ragione del fatto che il parametro di comparazione contestato (il numero delle vittime), non rappresenta l'unico elemento utilizzato dal giudice di rinvio per escludere ai ricorrenti un più favorevole giudizio di comparazione delle circostanze.
13.4. Invero i ricorrenti con autonoma articolazione contenuta nei rispettivi motivi di ricorso (il secondo motivo per i ricorrenti E.H., PR.G. e P.M., motivo sub B di S.R. e motivo quarto punto 3 del ricorso di C.C.) hanno denunciato violazione di legge in relazione alla modalità di determinazione della pena ai sensi dell'art.589, comma quarto cod.pen. in quanto, in presenza di omicidio colposo plurimo il giudice di merito avrebbe dovuto operare gli aumenti sulla pena base In relazione alla pluralità di eventi dannosi, in presenza di ipotesi riconducibile a concorso formale di reati, avendo già scontato, prima di operare i vari aumenti, gli effetti del giudizio di valenza tra circostanze di segno opposto, sul quale pertanto non poteva essere riversato, per la seconda volta, il disvalore sulle conseguenze letali del sinistro.
13.5. Va sul punto evidenziato come il giudice di appello, cui si richiama la motivazione del giudice di rinvio anche in relazione alla determinazione della pena base e agli aumenti apportati per il concorso di eventi letali, abbia operato nel senso auspicato dai ricorrenti, stabilendo la pena base per ciascuno degli imputati in relazione al rilievo della posizione di garanzia rivestita, dal grado della colpa individuale, dai più o meno intensi poteri di intervento e di segnalazione sui meccanismi causali che avrebbero condotto all'evento. In particolare nel muoversi all'Interno della cornice edittale il giudice di appello aveva considerato altresì i motivi di carattere economico che avevano determinato la inerzia di chi aveva cariche di maggiore responsabilità nonché la speciale competenza tecnica di chi avrebbe dovuto promuovere e accelerare lo sviluppo della innovazione tecnologica nel campo della sicurezza sul luogo di lavoro; aveva altresì offerto rilievo alla posizione di subalterna, ma di complice adesione alle strategie aziendali da parte di quei dirigenti dello stabilimento torinese che, pur avendo maggiore contezza della infima condizione di sicurezza in cui versavano gli operai, si erano assuefatti a tale situazione, ratificando in documenti ufficiali lo status quo.
13.6. Peraltro a tali determinazioni sulla pena il giudice di appello era pervenuto dopo avere ponderato in termini di equivalenza il giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto, dando contezza, per ciascun imputato, delle ragioni per cui le circostanze pure positivamente direzionate, non erano in grado di prevalere sul patrimonio circostanziale di segno opposto. In particolare quest'ultimo veniva poggiato sulla ricorrenza una colpa imponente, tanto per la consapevolezza che gli imputati avevano maturato del tragico evento che poi ebbe a realizzarsi, sia per la pluralità e per la reiterazione delle condotte antidoverose riferite a ciascuno di essi che, sinergicamente, avevano confluito nel determinare all'interno dell'opificio di Torino una situazione di attuale e latente pericolo per la vita e per la integrità fisica dei lavoratori, sia infine per la imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio, dotati di mezzi di spengimento a breve gittata, ritenuti inadeguati e a evitare di rivolgersi a presidi esterni di pubblico intervento.
13.7. Ma se è la colpa ascritta agli imputati ricorrenti l'argomento maggiormente utilizzato dal giudice di appello quale sbarramento al riconoscimento di un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti contestate (è solo il caso di fare riferimento all'incipit del paragrafo della sentenza del giudice di appello dedicata alle pene - pag.316), unitamente ai profili della gravità e della reiterazione delle condotte illecite, deve certamente ritenersi sufficientemente e logicamente argomentata la decisione del giudice di rinvio il quale oltre a riportarsi al contenuto della sentenza emessa in grado di appello, era a rimarcare, ai fini della conferma del giudizio di equivalenza tra circostanze, il disvalore del fatto in ragione del grado della colpa nonché i dati di gravità della condotta e di gravità delle conseguenze, in tal senso uniformandosi alla costante giurisprudenza in proposito che fonda il giudizio di bilanciamento in una valutazione complessiva degli elementi circostanziali, attenuanti e aggravanti, nella prospettiva di pervenire alla determinazione del disvalore complessivo dell'azione delittuosa, in modo funzionale alla quantificazione della pena in misura più aderente al caso concreto (sez.VI, 26.11.2013, Acquafredda e altri, Rv. 258457, sez.I, 15.12.2015, PG in proc.Cinquepalmi, Rv. 266649).
13.8. A tale proposito la ulteriore specificazione operata dal giudice di rinvio sul numero delle vittime, quale elemento di fatto reato idoneo a rappresentare un maggiore disvalore del reato di omicidio colposo plurimo, peraltro già considerato nella determinazione degli aumenti di pena operati ai sensi dell'art.589, quarto comma, cod.pen., costituisce argomento ultroneo, inidoneo di per sé a spostare i termini del giudizio di valenza, coerentemente sviluppato, anche mediante il richiamo alla sentenza del giudice di appello, lungo la direttrice dei plurimi e gravissimi profili di colpa riconosciuti a ciascun imputato, che peraltro hanno formato oggetto delle circostanze aggravanti ascritte, da valutarsi in termini di equivalenza, in ragione del vigore della prospettiva colposa delle condotte ascritte, sinergicamente orientate a bloccare gli investimenti nello sviluppo della prevenzione presso lo stabilimento di Torino, nella comune consapevolezza del gravissimo stato di degrado e di carenza delle condizioni di sicurezza in cui lo stesso versava nella gestione successiva al 2007 (cfr S.U. E.H. pag.137 ss.).
14. Se è nella cooperazione colposa il fulcro in cui si innestano le singole responsabilità individuali che, a vario titolo, sulla base delle differenziate posizioni di garanzia e in ragione della specificità della condotta omessa, hanno confluito nel dare attuazione alla strategia di temporeggiamento e di blocco di investimento in prevenzione, nella prospettiva dismissiva dell'impianto torinese, le posizioni processuali di S.R. e C.C. hanno formato oggetto da parte del giudice di appello di un trattamento sanzionatorio differenziato, essendo loro state negate le circostanze attenuanti generiche.
14.1. Le difese degli imputati S.R. e C.C. rispettivamente con il motivo di ricorso sub c) il S.R. e sub.5 il C.C. ricorrono avverso le statuizioni del giudice di rinvio, il quale chiamato a rivalutare le condotte ritenute censurabili, poste in essere in epoca successiva agii eventi, ha confermato il giudizio dei giudici di merito in termini di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
14.2. I ricorrenti denunciano il ricorso ad una motivazione apodittica, apparente, avulsa dalle doglianze già sviluppate nelle precedenti fasi di giudizio anche nei motivi di appello e di ricorso per cassazione, appiattita sul testo della pronuncia di merito che la aveva preceduta e priva di approfondimento di molte delle questioni segnalate, sia in relazione all'effettiva possibilità di modificare il corso degli eventi con il loro intervento, sia in relazione all'effettiva portata delle manovre inquinatorie ascritte, reclamando al contempo una valutazione comparativa rispetto all'operato degli altri correi e al trattamento ad essi riservato.
14.3. Le doglianze non sono fondate e il piano motivazionale del giudice di rinvio si muove coerentemente, con ampiezza di argomentazione e manifestando di avere avuto piena contezza delle difese delle parti ricorrenti in punto relativo a contraddittorietà e discrasie segnalate in sede di ricorso, sul duplice asse della speciale gravità del profilo colposo a carico di entrambi i ricorrenti, nonché di un comportamento successivo al disastro e di una condotta processuale caratterizzate da modifica dello stato dei luoghi, zelo ingiustificato, e intento di avvicinare e influenzare il testimoniale, non adeguatamente bilanciata dalle ammissioni pure rese in sede dibattimentale.
14.4. Quanto al primo profilo il giudice di rinvio ha rappresentato come, alla stregua degli elementi acquisiti nel corso dell'intero giudizio, la colpa in capo al direttore dello stabilimento di Torino, S.R. e al responsabile della prevenzione e della protezione sul lavoro, C.C. si era manifestata ai massimi livelli ipotizzabili, avendo gli stessi avuto diretta percezione e consapevolezza sul campo, a fronte delle plurime segnalazioni ricevute dalle squadre antincendio, dalle problematiche connesse alle garanzie assicurative, alla mobilità dei lavoratori, alla condizione di degrado dello stabilimento, del progressivo peggioramento delle condizioni di sicurezza all'interno del luogo di lavoro e nondimeno avevano predisposto e avallato documenti per la valutazione del rischio, anche specifico di incendio, dal contenuto ampiamente riduttivo se non dissimulatorio e il C.C. aveva redatto un piano di emergenza e di evacuazione nel quale venivano illegittimamente mescolati gli impegni della produzione e della sicurezza in una prospettiva autarchica e auto gestionale del rischio di incendio, mobilitando le squadre di emergenza soltanto in seconda battuta, investendo di responsabilità ai capiturno addetti alla produzione e praticamente limitando a ipotesi eccezionali l'intervento della pubblica assistenza (Vigili del Fuoco).
14.5. A fronte dei motivi di doglianza sul tema della colpa, mossi in particolare dalla difesa del C.C., volti a delimitare la sua posizione di garanzia (di dirigente di fatto, responsabile della manutenzione degli impianti e responsabile della organizzazione della emergenza) e a circoscrivere la rilevanza causale delle condotte ad esso ascritte, il giudice del rinvio fornisce una risposta motivazionale assolutamente logica e del tutto aderente agli stessi presupposti dati per acquisiti dal giudice di legittimità a Sezioni unite nel delineare le posizioni di garanzia dei ricorrenti (paragrafo 20 per S.R. e paragrafo 21 per C.C.) e soprattutto nel delineare le singole condotte colpose (paragrafo 23.4 per S., par.23.5 per C.C.).
14.6. In particolare in relazione alla sussistenza di relazione causale tra la passiva e adesiva accettazione delle strategie aziendali da parte dei due ricorrenti e l'evento incendiario il S.C. dopo avere sostanzialmente riportato senza censure che tale relazione era del tutto ravvisabile secondo il paradigma dell'alto grado di credibilità razionale (pag.124), considerava la condotta dei prevenuti, inserita nella rispettiva veste di direttore di stabilimento il S.R. e il C.C. di dirigente di fatto, coinvolto nelle problematiche della sicurezza soprattutto nella qualificata veste di responsabile dei Servizio Prevenzione e Protezione, quali anelli causali che assecondano e rendono possibile la realizzazione del piano di incauta dismissione dello stabilimento nei modi che la sentenza spiega bene e diffusamente. In sostanza è lo stesso giudice di legittimità a diradare qualsiasi incertezza sul ruolo effettivamente svolto dal C.C. quale soggetto che, di fatto, era coinvolto, e quindi responsabile, delle questioni della sicurezza e della prevenzione di infortuni sul luogo di lavoro e del rilevante apporto eziologico fornito da entrambi i ricorrenti al realizzarsi dell'evento dannoso, superando nell'ambito del profilo della cooperazione colposa i rilievi critici in punto a causalità sollevati dalle difese dei due imputati nei motivi di ricorso.
14.7. Va ancora evidenziato che è lo stesso giudice di legittimità, nel paragrafo in cui viene compendiato il coacervo dei maggiori addebiti di colpa in capo a tutti i prevenuti a riconoscere massima considerazione al documento di valutazione del rischio dell'anno 2006 (paragrafo 22) quale summa massima, riconducibile al C.C. ma avallata dal S.R. che lo aveva sottoscritto, di colpevole, acquiescente adesione alle strategie aziendali, in cui sarebbero stati riportati in maniera distorta e cioè enunciando solo formalmente criteri di valutazione corretta, ma poi rapportandoli ad elementi non corrispondenti a realtà, trascurando le esperienze acquisite nelle concrete modalità operativa dell'attività svolta. D'altro canto venivano altresì stigmatizzate le ambiguità, le imprecisioni, la caoticità e la mancanza di aggiornamento del piano di emergenza e di evacuazione predisposto dal C.C., che distribuiva compiti e responsabilità nella gestione dell'emergenza in prima battuta agli stessi operai addetti alla produzione, in seconda battuta al capoturno alla manutenzione che avrebbe dovuto gestire la situazione in casi di gravità dell'incendio, avvalendosi di squadre con postazione fuori dallo stabilimento, assottigliate nel numero degli addetti e privi di adeguata formazione. Il giudice di rinvio, nel riconoscere profili di estrema gravità alla colpa dei due ricorrenti, non si è peraltro limitato a fare proprie le conclusioni della sentenza del giudice di appello, ovvero a riportare le considerazioni del giudice di legittimità, ma ha svolto una autonoma, organica e piena disamina del patrimonio probatorio acquisito, per concludere del tutto logicamente che a partire dall'anno 2007 vi fu un brusco cambio di passo all'interno dello stabilimento con la interruzione di qualsiasi iniziativa di stimolo in chiave prevenzionistica e, anche attraverso la predisposizione dei suddetti documenti di valutazione del rischio incendio e collegato piano di emergenza, di camuffamento della situazione di progressivo rallentamento della sicurezza, gravido di insidie per le maestranze.
14.8. Nessuna diversa ponderazione sulla particolare gravità delle colpa in capo ai due ricorrenti è quindi possibile alla stregua delle argomentazioni del giudice di rinvio che ha fornito una corretta interpretazione delle regole fornite, nella parte generale, dalla sentenza del giudice di legittimità a Sezioni unite, in punto alla specificità delle singole condotte colpose e alla loro causalità nell'ambito dei principi che regolano la cooperazione colposa.
15. Peraltro l'ambito che maggiormente richiamava l'impegno del giudice di rinvio e che sostanzialmente diversificava la valutazione dei giudici di merito in punto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche agli imputati S.R. e C.C., è rappresentato dalle asserite iniziative inquinatone ad essi ascritte, condotte ritenute censurabili poste in essere in epoca successiva agii eventi, sulle quali il giudice del rinvio è stato chiamato a pronunciarsi nuovamente sulla base delle questioni di fatto prospettate dagli imputati.
15.1. La difesa del ricorrente S.R. contesta la equiparazione del proprio assistito con quella del C.C. assumendo che al ricorrente non sono mai state contestate, contrariamente dal C.C., condotte volte ad alterare la genuinità delle deposizioni ed evidenzia come non sia stato fornito un corretto significato ai due episodi relativi alla pulizia delle aree non sottoposte a sequestro e alla partecipazione ad una cena ove erano presenti dipendenti della azienda che dovevano essere ancora esaminati come testimoni; episodi cui era stato fornito un rilievo del tutto inadeguato mentre nessun rilievo, ai fini del riconoscimento del beneficio, era stato accordato alle dichiarazioni ammissive e all'assunzione di responsabilità pure intervenute da parte del S.R. in sede dibattimentale.
15.2. La doglianza risulta infondata e altresì generica atteso che, sul punto della diversificazione delle condotte, rispetto ai tentativi di inquinamento operati dal C.C., già il giudice di appello segnalava una manovra del S.R., in vista dell'istruttoria processuale tesa a inquinare le prove sul fronte delle testimonianze in ordine all'attuazione del piano di Emergenza e di Evacuazione, manovra inquinatoria resa inefficace in ragione del materiale di indagine già raccolto dalla procura, ma comunque stigmatizzata come grave tentativo portato dall'imputato per condizionare l'esito dell'istruttoria.
Il giudice di appello in sede di rinvio ha poi adeguatamente posto in rilievo e fornito una adeguata interpretazione degli altri due episodi di cui il S.R. denuncia una omessa corretta valutazione, in relazione ai quali, pur non prospettandosi azioni del prevenuto di rilevanza penale, nondimeno sono stati considerati dal giudicante quali espressioni di intervento inappropriato, inopportuno e indebito del ricorrente in fase di indagini preliminari nel primo caso, e nel corso della istruttoria dibattimentale nel secondo.
15.3. Invero, con motivazione del tutto coerente e adeguata sotto il profilo logico giuridico, il giudice di rinvio faceva emergere tutta la inopportunità e la contraddittorietà di un intervento di pulizia dei luoghi del sinistro, sebbene non sottoposti a sequestro, ordinato dal S.R. il giorno successivo a quello del tragico evento, a fronte della sospensione dei lavori e nella consapevolezza della esigenza di mantenere lo stato dei luoghi inalterato, attribuendo a tale comportamento un significato poco lusinghiero per la eccessiva compiacenza ai gruppo di potere dal quale dipendeva.
Del tutto condivisibile poi è la valorizzazione da parte del giudice del rinvio, ai fini del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti al S.R., della organizzazione di una cena alla bocciofila di Settimo Torinese, in cui erano presenti tanto il S.R. quanto il C.C., nella imminenza della audizione dei testimoni, iniziativa che, se collegata agli improvvidi tentativi del C.C. di avvicinare e di disciplinare la testimonianza di alcuni di essi, costituiva ulteriore manifestazione di totale indifferenza dei prevenuti al conflitto di interessi in essere con la posizione dei dipendenti, citati a deporre in qualità di testimoni sui fatti ascritti ai loro dirigenti.
15.4. Quanto ai motivi di doglianza del C.C. in punto a mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, le condotte di intralcio ad esso attribuite, sia in prima persona, sia per il tramite di amici e collaboratori, come compendiate a foglio 28 della sentenza impugnata, risultano di tale invadenza, inopportunità, ripetitività e ambiguità da costituire non solo motivo di biasimo per un comportamento processuale tutt'altro che corretto ma, come riferito dal giudice di rinvio, ragione di imbarazzo per gli stessi testimoni, tanto che alcuni di essi avvertirono la esigenza di essere sottoposti a nuovo esame per precisare di essere stati avvicinati da emissari del C.C. prima della testimonianza. La consegna al teste di documenti acquisiti al processo (piano di emergenza) onde preparare le risposte da rendere a specifiche domande (R.) , la consegna al testimone dello stesso contenuto delle domande che sarebbero state rivolte al teste (V.), la consegna al teste di alcuni fogli contenenti le domande che sarebbero state rivolte e le possibili risposte, a scelta multipla (teste G.), il tentativo di avvicinamento di altro teste con la scusa della consegna di un attestato di frequenza (Gi.), del tutto coerentemente sono state ritenute dal giudice del rinvio frutto di una non corretta gestione dei rapporti con il testimoniale, attesa la equivocità di un simile comportamento che certo non può essere inteso come ausilio alla memoria, essendo dimostrativo al contrario di una invadenza ai limiti del consentito.
15.5. Appare evidente che a fronte di un siffatto comportamento processuale, appaiono invero poco pertinenti le giustificazioni fornite dal ricorrente sul fatto di non avere mai tentato un approccio diretto con i testimoni laddove il giudice del rinvio ha rappresentato come lo stesso "delegato" Co. avesse ammesso di avere agito nell'interesse e in accordo con il ricorrente. Assolutamente tardive e ininfluenti risultano poi, al fine che qui rileva, le ampie dichiarazioni spontanee rese dinanzi al giudice di appello in epoca in cui si erano ormai consumate le pratiche di sistematico avvicinamento al testimoniale e caratterizzato negativamente l'atteggiamento del ricorrente di confrontarsi con le modalità di formazione della prova in dibattimento. Mentre gli argomenti relativi alla personalità dell'imputato C.C., che valorizzano l'assenza di precedenti penali e la integrità di un individuo che si é costruito da sé, in un percorso professionale che è partito dalla gavetta, appaiono del tutto recessivi rispetto al pessimo comportamento processuale e all'imponenza della colpa ad esso riconosciuta quale adesivo interprete delle scellerate strategie aziendali, anche alla luce delle considerazioni svolte dal giudice di legittimità sulle responsabilità che allo stesso facevano carico quale responsabile della prevenzione e autore del Piano di Emergenza ed Evacuazione.
16. Con un ultimo motivo di ricorso le difese dei ricorrenti E.H., P.M. e PR.G. denunciano il mancato riconoscimento da parte del giudice di rinvio del rapporto di continuazione tra i delitti colposi di cui agli art.589 e 449 cod.pen. rispetto alla ipotesi dolosa di cui all'art.437 cod.pen. la quale, all'esito della pronuncia delle Sezioni Unite, veniva svincolata dalla relazione di assorbimento con la ipotesi colposa di incendio, originariamente ritenuta compresa (in quanto contenuta) nella fattispecie, ritenuta aggravata, di cui all'art.437 II comma cod.pen.
Va innanzi tutto evidenziato come il riconoscimento della continuazione tra il delitto doloso di cui all'art.437 cod.pen. e le altre ipotesi colpose non fosse compito demandato al giudice di rinvio né dalla pronuncia del giudice di legittimità, né da una specificazione articolazione degli imputati in sede di ricorso per cassazione, poi deciso a sezioni unite.
16.1. In primo luogo il giudice di legittimità aveva specificamente enunciato al paragrafo 58 della pronuncia i compiti devoluti al giudice di rinvio e fra questi non vi era quello di verificare la ricorrenza di una diversa ipotesi di relazione tra i reati risultanti dallo scioglimento delle originarie relazioni ritenute dai giudici di merito.
Semmai la Suprema Corte a Sezioni unite aveva orientato il giudice di rinvio affinchè una siffatta relazione non venisse costituita laddove, mentre da un lato riconosceva la ricorrenza di un vincolo di concorso formale tra i reati di omicidio colposo e di incendio colposo, in relazione alla residua ipotesi dolosa di cui all'art.437 cod.pen. affermava che le pene in ordine al reato doloso di cui al primo comma dell'art.437 cod.pen. dovranno essere nuovamente determinate. Tale illecito ha ora piena autonomia rispetto agli altri anche sotto il profilo sanzionatorio.
Appare pertanto evidente che, a fronte di una tale indicazione, sarebbe stato contrario alla regola processuale di cui all'art.637, terzo comma, cod.proc.pen. (come denunciato nei ricorrenti nel loro motivo di ricorso sul punto) non tanto escludere il vincolo della continuazione richiesto, quanto semmai riconoscerlo, anche in ragione della circostanza che il dispositivo della pronuncia di legittimità dichiarava la irrevocabilità della sentenza impugnata in relazione al reato in oggetto.
16.2. Va inoltre considerato che è stato riconosciuto l'interesse dell'imputato a ricorrere per cassazione soltanto nella ipotesi in cui il giudice di appello abbia omesso di provvedere sulla richiesta della continuazione formulata con specifico motivo di impugnazione in ragione della mancata pronuncia sul punto (sez.VI, 30.9.2010 Cosentino e altri, Rv. 248582; sez.V, 7.10.2014, Varrica, Rv 262679). Invero nel caso in specie il giudice del rinvio era vincolato dal decisum del giudice di legittimità, nonché dai principi di diritto su cui si fondavano i compiti allo steso assegnato in punto a rideterminazione delle pene e dall'assenza di una specifica impugnazione dei ricorrenti sul punto di accertamento della continuazione rispetto alla ipotesi di cui all'art.437 I comma cod.pen., così da potersi escludere che il giudice di rinvio sia incorso in alcuna violazione del devolutum, che richiede la corrispondenza tra l'ambito della cognizione e della decisione del giudice adito con i motivi di impugnazione (sez.IV, 28.9.2006, D'Andrea, Rv. 236008). 
In conclusione tutti i motivi di ricorso devono essere disattesi e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.
 

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Roma, 13 maggio 2016.

 

Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2016