Cassazione Penale, Sez. 4, 29 dicembre 2016, n. 55182 - Manutenzione della benna e distacco della retina diagnosticato sei mesi dopo il sinistro. E' necessario accertare la sussistenza del nesso causale


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: MICCICHE' LOREDANA Data Udienza: 16/11/2016

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza emessa il 25 gennaio 2016, ha confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Como in danno di P.S., riconoscendo il predetto colpevole del reato di cui all'art. 590, commi 1, 2 e 3, cod.pen in quanto, in violazione delle norme antinfortunistiche, aveva cagionato per colpa gravi lesioni, consistenti nel distacco di retina, a M.M., fabbro saldatore dipendente della ditta I. 2000 srl, di cui il P.S. era amministratore unico. Il M.M., durante l'operazione di manutenzione della benna (cucchiaio dentato) del mezzo escavatore, operazione che comportava la "puntatura" e la successiva saldatura di lamiere sul fondo della benna, nell'atto di saldare alla benna la lastra di metallo, di cui aveva eseguito la puntatura, era rimasto violentemente colpito all'occhio sinistro dalla lastra, staccatasi improvvisamente dal fondo.
2. Nella sentenza impugnata, la Corte d'Appello, disattendendo i motivi di gravame, aveva confermato l'accertamento della penale responsabilità del P.S., rilevando come: 1) l'episodio dal quale era scaturito l'infortunio era stato confermato dai testi L. e M., colleghi di lavoro del M.M., i quali avevano assistito il lavoratore subito dopo che questi era stato colpito al volto dalla lastra di metallo, soccorrendolo e consigliandolo di recarsi in ospedale; 2) non coglievano nel segno i rilievi tesi a dimostrare l'inattendibilità della vittima; in particolare, l'impossibilità del ribaltamento della lastra di metallo, essendo pienamente plausibile la descrizione della dinamica dei fatti resa dalla persona offesa; 3) non era significativo che il M.M. si fosse recato dal medico oculista soltanto nel mese di maggio 2010, sei mesi dopo il sinistro, avvenuto il 9 novembre 2009, in quanto pienamente giustificato dal timore, da lui dichiarato, di subire conseguenze sul posto di lavoro; 4) quanto alla lamentata insussistenza del nesso di causalità, una volta accertato che il M.M. era stato certamente colpito all'occhio dalla lastra di metallo, rilevava la Corte d'appello come la lesione si fosse certamente provocata, avendo la parte offesa avvertito immediatamente difficoltà alla vista, decidendo di recarsi dal medico alcuni mesi dopo nella speranza di guarigione spontanea; del resto, le persone con vista ad un solo occhio possono comunque attendere alle proprie occupazioni; inoltre, del tutto destituite di fondamento erano le osservazioni di cui alla relazione del CT di parte dott. M., che, lungi dal formulare giudizi scientifici, si era limitato a rilevare come fosse impossibile che il M.M. non avesse sentito la necessità di recarsi da un oculista nella immediatezza del fatto; 5) la colpa del P.S. era comprovata dalla mancata adozione del Documento di valutazione dei rischi in ordine alle procedure di riparazione della benna dei mezzi escavatori.
3. P.S. ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia affidandosi a tre motivi.
4. Lamenta il ricorrente, con il primo motivo, il difetto di motivazione, nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, lett.b) ed e), cod proc. pen, perchè la Corte territoriale aveva basato l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa; non valutandone l'attendibilità con la necessaria cautela. In particolare, la Corte non aveva considerato la contraddittorietà della deposizione del M.M. tra quanto riferito in dibattimento e quanto dichiarato in sede di indagini, nonché le contraddizioni sotto il profilo temporale, essendo inverosimile che egli, avendo subito un sinistro con conseguenze così gravi, fosse ricorso alle cure del medico parecchi mesi dopo. Detta circostanza non permetteva neppure di affermare la sussistenza del reato in termini di nesso causale, non essendo accertabile se il distacco di retina, verificato dalla visita oculistica effettuata sei mesi dopo l'infortunio, fosse stato cagionato proprio da detto evento. Sul punto, con motivazione del tutto inadeguata, erano state disattese le conclusioni del consulente di parte, secondo cui il paziente che perde la visione bioculare non può attendere, per mesi, alle ordinarie occupazioni senza consultare uno specialista, essendo quindi impossibile che il danno lamentato si fosse verificato immediatamente dopo l'incidente occorso sul luogo di lavoro.
4.1. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, avendo errato la Corte territoriale nella mancata concessione delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale sulla base della valutazione della gravità della condotta dell'imputato che aveva sottovalutato la portata del sinistro, palesemente sottovalutata anche dalla parte offesa. Argomentava inoltre il ricorrente che la Corte d'Appello aveva omesso di considerare altri elementi rilevanti ai fini della determinazione della pena, secondo i criteri generali previsti dall'art. 133 cp.
4.2 Con il terzo motivo il P.S. si duole della mancata assunzione di una prova decisiva, non essendosi la Corte territoriale pronunciata in ordine alla richiesta di disporre consulenza medico legale, non espletata in primo grado.

 

Diritto


1. In ordine alla definizione dei confini del controllo di legittimità sulla motivazione in fatto può dirsi ormai consolidato il principio giurisprudenziale, ripetuto in plurime sentenze delle Sezioni unite penali, per il quale la Corte di cassazione ha il compito di controllare il ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del giudice di merito, non il contenuto della medesima, essendo essa giudice non del risultato probatorio, ma del relativo procedimento e della logicità del discorso argomentativo. La Corte ha, invero, più volte chiarito che non è sufficiente che gli atti indicati dal ricorrente siano contrastanti con le valutazioni del giudice o siano astrattamente idonee a fondare una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice; gli atti del processo su cui fa leva il ricorrente per sostenere l'esistenza di un vizio della motivazione devono essere autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudice e determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente contraddittoria la motivazione. (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099, S.U, n.6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv.207945).
Va altresì ricordato che la modificazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l'introduzione, nella motivazione, di un'informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 4, n.49361 del 04/12/2015).
2. Tanto premesso, non presenta vizi censurabili la sentenza impugnata in ordine alla attendibilità della parte offesa in punto di verificazione dell'evento infortunistico, congruamente agganciata ai riscontri offerti dai colleghi di lavoro che avevano prestato soccorso al M.M.. Sul punto, va ricordato che sono inammissibili tutte le doglianze evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell' attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (ex multis, Sez. 6, Sentenza n.13809 del 17/03/2015 Rv. 262965): al riguardo, il ricorrente richiama le dichiarazioni dell'UPG C., elementi fattuali certamente sottratti al sindacato dalla Corte.
3. E' fondata, invece, la censura con la quale il ricorrente lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra l'infortunio e la malattia occorsa al dipendente.
4. Sul punto occorre premettere che, come ripetutamente affermato da questa Corte di legittimità, al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, posta in premessa una spiegazione causale dell'evento sulla base di una legge statistica o universale di copertura sufficientemente valida e astrattamente applicabile al caso concreto, occorre successivamente verificare, attraverso un giudizio di alta probabilità logica, l'attendibilità, in concreto, della spiegazione causale così ipotizzata. Bisogna cioè verificare sulla base delle evidenze processuali che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione doverosa omessa (o al contrario non compiuta la condotta commissiva) assunta a causa dell'evento, esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale prossima alla certezza, non si sarebbe verificato, oppure sarebbe avvenuto molto dopo, o avrebbe comunque avuto minore intensità lesiva. Non è, però, consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata la conclusione che la condotta dell'Imputato è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica prossime alla certezza.
Ne consegue che l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa (cfr. per tutte S. U. n. 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv.22139 e S.U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261103).
5. Orbene, la riconducibilità del distacco di retina all'infortunio occorso nel mese di novembre 2009 era stata fortemente messa in dubbio poiché il M.M. si era regolarmente recato a prestare attività lavorativa fino al maggio 2010, epoca cui risale la visita medica oculistica che aveva diagnosticato detto distacco, senza dunque avvertire, plausibilmente, disturbi patologici tali da indurlo a consultare uno specialista e senza accusare alcun tangibile impedimento nell'attendere le proprie occupazioni. In proposito, il consulente medico di parte aveva rilevato come fosse improbabile che, in presenza di un distacco di retina, la parte offesa potesse espletare senza problemi la propria attività lavorativa di operaio saldatore, date le difficoltà e disturbi che insorgono a causa della perdita della vista da un occhio. 
Sul punto, la Corte territoriale afferma che "il distacco della retina è una patologia che non dà alcun dolore. In conseguenza il M.M. sperava che la cosa si sistemasse da sé. Nel frattempo, nell'ottica di far tutto per mantenere il posto di lavoro, si recava lo stesso in ditta. E questo non deve affatto stupire, come invece ritiene ingiustamente la difesa dell'imputato, dato che le persone con vista da un solo occhio possono quotidianamente attendere alle proprie occupazioni, ma sono autorizzate persino a guidare. Solo dopo alcuni mesi, preso atto che la sua vista, anziché migliorare, stata peggiorando, l'infortunato si recava dal medico per apprendere che aveva subito il distacco di retina".
Orbene, è evidente che la Corte di merito ha fondato un proprio giudizio su una affermazione il cui fondamento probatorio non era stato acquisito al processo, precisamente che "che le persone con vista da un solo occhio possono quotidianamente attendere alle proprie occupazioni, ma sono autorizzate persino a guidare da ciò facendo discendere la sicura riconducibilità del distacco di retina all'infortunio occorso sei mesi prima dell'accertamento della patologia in questione, escludendo altresì l'incidenza causale di eventi sopravvenuti all'infortunio sul lavoro.
In tal modo, attraverso il ricorso ad un dato non presente nel processo, e non dotato di sicura e verificata attendibilità in termini di legge scientifica, si è pervenuti all'affermazione della esistenza del nesso causale al di fuori delle regole sopra ricordate, che impongono al giudice di basarsi su accertate leggi scientifiche e di valutare tutte le circostanze del fatto alla luce del materiale probatorio acquisito, così che, all'esito del ragionamento che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata la conclusione che la condotta dell'imputato è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica prossime alla certezza.
5. La sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, che provvederà al nuovo esame relativo all'accertamento della sussistenza del reato in termini di nesso causale.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d'Appello di Milano, altra sezione.
Roma, 16 novembre 2016