Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 26 gennaio 2017, n. 2017 - Ipoacusia mista bilaterale. Quantificazione del danno e percentuale di invalidità indennizzabile


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: GARRI FABRIZIA Data pubblicazione: 26/01/2017

 

FattoDiritto

 

V.N. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ha rigettato il gravame da lui proposto avverso la sentenza del Tribunale di Cassino che aveva accertato che l’incidenza dell’ipoacusia mista bilaterale più grave a destra era valutabile in misura inferiore al 6% e perciò non indennizzabile.
Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La consulenza disposta in appello, sulla quale la Corte territoriale ha poi fondato la decisione, aveva omesso di considerare che l’attività lavorativa era stata pacificamente svolta per oltre trenta anni in un contesto di rumori pacificamente otolesivi (circostanza accertata in primo grado e sulla quale si era formato il giudicato non avendo l’Inail proposto appello incidentale sul punto) e che vi erano elementi sufficienti a far ritenere sussistente un danno quantificabile nella misura almeno dell’11%.
L’inail si è difeso con controricorso.
Tanto premesso il ricorso è inammissibile poiché la censura è finalizzata ad ottenere un riesame del merito della controversia non consentito davanti al giudice di legittimità. 
La Corte territoriale ha escluso l'esistenza delle condizioni per il riconoscimento di una percentuale di invalidità indennizzabile in adesione alle conclusioni cui era pervenuto il ctu con valutazione di fatto incensurabile in questa sede a meno che non si prospetti, e non è questo il caso, palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi.
In tutti gli altri casi le censure costituiscono mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico - formale, e si traducono, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (giurisprudenza consolidata: v. da ultimo Cass. 12.9.2016 n. 17935 e già 22 febbraio 2013, n. 4570; id. 15 gennaio 2013, n. 767 del 2013; 23 novembre 2012, n. 20773; 12 dicembre 2011, n. 26558; Cass. 29 aprile 2009, n. 9988; 3 aprile 2008, n. 8654). Con il ricorso in esame non vengono dedotti vizi logico-formali che si concretino in deviazioni dalle nozioni della scienza medica o si sostanzino in affermazioni manifestamente illogiche o scientificamente errate, né - ancor meno - se ne indicano le fonti: ci si limita, invece, a svolgere solo osservazioni concernenti il merito di causa senza evidenziare quali sarebbero gli accertamenti strumentali omessi e quali le affermazioni scientificamente errate.
Per tutto quanto sopra considerato il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con ordinanza ex art. 375 c.p.c..
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione - del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 2500,00 per compensi professionali, € 100,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art.13 comma 1 bis del citato d.P.R..
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2016