Cassazione Penale, Sez. 4, 30 gennaio 2017, n. 4201 - Operai precipitano a causa del crollo di una porzione di edificazione nel complesso Basilisco di Peschiera Borromeo. Successione di imprese


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: BELLINI UGO Data Udienza: 20/10/2016

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza pronunciata in data 12.11.2015, confermava la sentenza del Tribunale di Milano che aveva riconosciuto L.V. quale legale rappresentante della L.V. s.r.l. responsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla inosservanza di norme antinfortunistiche e dall'avere agito nella previsione dell'evento in ragione della morte dell'operaio R.G. e delle lesioni personali riportate dall'operaio G.A. i quali erano precipitati a causa del crollo di una porzione di edificazione nel complesso Basilisco di Peschiera Borromeo, sulla quale stavano lavorando, crollo determinato dalla scarsa tenuta strutturale delle lamiere in ferro utilizzate per la realizzazione del manufatto (scala di emergenza).
2. Il giudice di appello facendo proprie le valutazioni operate dal primo giudice riteneva che ricorrevano i profili di colpa specifica ascritti in imputazione al L.V., riconoscendo al contempo adeguati profili causali di imputazione della colpa sul presupposto che l'opera di carpenteria realizzata dalla impresa L.V. era stata ultimata, che vi era stato un collaudo provvisorio, seppure non formalizzato in un documento ufficiale, e che la scala era pronta per essere ulteriormente trattata, mediante gettata in calcestruzzo, dalla impresa VI. che curava le opere in cemento armato. In tal senso deponevano le testimonianze assunte, mentre profili di logica conducevano ad escludere che la ditta V. dovesse ancora procedere ad una compiuta verifica delle opere di carpenteria realizzate, così da potere correggere eventuali anomalie e impiego di materiali diversi da quelli progettati.
2.1 Rilevava ancora che, essendosi realizzata una successione nella lavorazione delle scale su disposizione della direzione dei lavori, doveva dedursi che la ditta L.V. avesse ultimato la parte di opera di sua spettanza, tanto da avere chiesto il pagamento del relativo Sal, lasciando il manufatto pronto per il subentro delle imprese che avrebbero dovuto completarla con la gettata di cemento; né poteva ritenersi contrastare con una tale valutazione il dato discordante costituito dal perdurare del divieto di accesso alla scala del CSE ing. P., atteso che il divieto doveva ritenersi limitato ai soggetti estranei alle lavorazioni e sempre che non fosse intervenuta la consegna dell'opera.
2.2 Nella graduazione della pena il giudice escludeva il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non rinvenendo profili di meritevolezza nel comportamento e nel profilo soggettivo dell'imputato, valorizzando altresì come non vi fosse stata nessuna offerta di risarcimento neppure a seguito della pronuncia di condanna in primo grado.
3. Avverso la suddetta pronuncia interponeva ricorso per Cassazione la difesa di L.V. avanzando quattro ragioni di doglianza.
Con un primo motivo deduceva violazione di legge in quanto dovevano escludersi profili di colpa specifica ascritti all'imputato, laddove l'art. 24 D.Lvs. 2008/81 faceva riferimento al rispetto delle istruzioni dei fabbricanti mentre nella specie la indicazione del materiale da realizzare derivava da un progetto esecutivo; l'art.112 afferiva alle "opere provvisionali" mentre nella specie si trattava di un componente strutturale dell'opera; l'art.113 faceva invece riferimento alla tenuta delle "scale fisse a gradini" destinate all'accesso al luogo di lavoro, e pertanto la stessa afferiva a epoca successiva al completamento dell'opera, mentre la mancata tenuta delle lamiere si era verificata in fase di esecuzione e rispetto a carichi certamente non preventivabili ex ante, in presenza del getto del calcestruzzo e del peso degli operai che vi lavoravano.
3.1 Con una seconda articolazione veniva dedotta violazione di legge e vizio motivazionale in punto a ritenuta colpa in capo al ricorrente, laddove sulla base di una corretta interpretazione del materiale istruttorio, l'opera non era stata ancora ultimata dalla L.V. né poteva ritenersi consegnata alla ditta VI., anche in ragione dei divieti di accesso e della fisica interclusione apposta per accedere a detta struttura, divieto di accesso ribadito dal CSE P..
Rilevava inoltre che dalla istruttoria dibattimentale non solo era emerso che la ditta L.V. era solita eseguire controlli preventivi sul materiale da installare, anche a campione, ma altresì che prima della consegna dell'opera avrebbe eseguito una finale verifica della regolare installazione del materiale di carpenteria, anche in relazione allo spessore delle lamiere da getto. In definitiva non sussisteva o comunque non era attuale, al momento del verificarsi del sinistro, la regola precauzionale posta a fondamento della colpa del L.V., atteso che nessuno tranne la impresa L.V. avrebbe dovuto accedere alla struttura.
3.2 Con un terzo motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale in punto al riconosciuto rapporto di causalità.
Assumeva invero che quand'anche fosse stato riconosciuto un profilo di colpa in capo al legale rappresentante della L.V., lo stesso non si sarebbe posto in relazione causale con l'evento, essendo intervenuto l'atto abnorme del VI. che aveva preso possesso dell'opera prima ancora della consegna da parte del ricorrente L.V., il quale poneva affidamento sul fatto che nessuno avrebbe fatto accesso ad un tratto di nuova edificazione per cui vi era divieto di accesso, peraltro accompagnato da materiale interclusione.
3.3 Con un quarto motivo deduceva violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento alla determinazione della pena e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Sotto un primo profilo, esclusa la aggravante della inosservanza delle norme antinfortunistiche;la pena doveva essere determinata su quella prevista dall'art.589 co.l cod.pen. e doveva altresì essere esclusa l'aggravante della colpa cosciente la quale non era stata neppure considerata in sede di aggravamento; viziato, era la motivazione in punto a mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche laddove erano plurimi i profili indicati, oltre all'incensuratezza del prevenuto, per orientare il beneficio, quali l'età, l'impegno politico e sociale, la sostanziale estraneità alla gestione del cantiere.
Evidenziava ancora che ad escludere le attenuanti generiche era stato considerato il fatto che l'imputato non si era attivato per il risarcimento del danno, ma nessun comportamento alternativo era possibile a fronte dell'integrale risarcimento operato dal responsabile civile assicuratore della ditta VI. nella fase della udienza preliminare.
3.4 In data 3.10.2016 la difesa L.V. depositava motivi nuovi con i quali erano ampliati e maggiormente argomentati i temi affrontati con i motivi di ricorso e veniva allegata sentenza del Tribunale di Milano, con richiesta di acquisizione agli atti del giudizio, che aveva condannato M.A. titolare di  altra ditta impegnata nelle opere in calcestruzzo oltre alla VI., per le lesioni subite dal proprio dipendente, in cui venivano evidenziati elementi utili per delineare la posizione del coimputato e nella quale si dava atto dell'avvenuto integrale risarcimento del danno subito dalla persona offesa ancor prima del giudizio.
3.5 Con nuovo motivo si deduceva violazione di legge e vizio motivazionale nella parte in cui il giudice di primo grado non aveva inteso acquisire esito del giudizio arbitrale tra L.V. e VI.; con terza articolazione affrontava la questione del mancato riconoscimento della circostanza attenuante dell'integrale risarcimento del danno alle persone offese,laddove tanto la persona rimasta ferita, sia i prossimi congiunti dell'operaio deceduto, risultavano essere stati integralmente risarciti dall' istituto assicuratore che garantiva la ditta VI. dalla responsabilità civile, anche in virtù di accordo consacrato nel suddetto lodo. Ribadiva la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo di impugnazione si denuncia la carenza di tre specifici profili di colpa specifica contestati al L.V. nel capo di imputazione, così da escludere la ipotesi aggravata dalla inosservanza di disposizioni volte a prevenire gli infortuni sul luogo di lavoro.
Peraltro il giudice di appello ad integrazione della decisione di primo grado ha ampiamente e coerentemente rappresentato come la impresa L.V., sebbene nell'ambito di un più generale rapporto di subappalto, si fosse assunta l'obbligo del montaggio di una serie di opere di carpenteria, strumentali a sorreggere e a integrarsi con le opere in cemento armato che sarebbero state eseguite dalla ditta VI. ai fini della realizzazione di scale di sicurezza, con materiali espressamente previsti in sede progettuale. Avere installato materiali di carpenterie (lamiere) di spessore di un terzo inferiore rispetto a quanto progettato e a quanto la L.V. si era impegnata a installare, e a prescindere dalle ragioni che determinarono una tale, gravissima omissione, integra a tutti gli effetti le inosservanze di cui agli art. 24, 112 e 113 D.Lgs. 81/2008, trattandosi di opere con funzioni provvisionali di sostegno del getto di cemento armato (che si assume alla fine avere comportato un peso complessivo di 30 tonnellate), in palese violazione dei criteri e delle misure dei materiali imposte dal progettista; si trattava poi di carpenteria relativa a gradini di scale fisse destinate all'accesso agli ambienti di lavoro, sebbene con funzione di sicurezza e pertanto destinate a resistere a carichi massimi, a prescindere dal fatto che non fosse intervenuto un effettivo collaudo, il quale sarebbe avvenuto al completamento dell'opera strutturale.
2. Nel secondo motivo di ricorso viene nuovamente prospettata, sotto il profilo di motivazione carente, illogica e apparente la questione centrale che i giudici di appello erano stati chiamati a esaminare, sotto il profilo della Imputazione causale della colpa. Si assume che, anche qualora fosse stato tecnicamente accertato che le opere di carpenteria realizzate dalla L.V. non fossero state idonee a sostenere la struttura in calcestruzzo, la cui esecuzione era di spettanza dell'appaltatore VI., a causa di un difetto quantitativo dei materiali impiegati, nondimeno tali profili di colpa, emendabili fino alla formale consegna dell'opera - che non era mai intervenuta - non avrebbero potuto rivestire efficienza causale nella determinazione della caduta degli operai, in fase di getto, poiché mai gli operai avrebbero dovuto accedere al cantiere il quale risultava, formalmente e materialmente, precluso a qualunque addetto diverso dalla ditta L.V..
3. All'uopo il ricorrente richiama una serie di elementi istruttori, dichiarativi e logici a conforto della prospettazione difensiva, tesa a rappresentare come la ditta L.V. fosse solita svolgere accurati controlli sui materiali, sia di carattere preventivo, sia in un momento successivo al montaggio, una volta ultimata la installazione delle opere di carpenteria, prima di dismettere il cantiere, per lasciarlo alle lavorazioni della ditta incaricata della predisposizione delle opere in cemento.
Evidenziava che il cantiere non era mai uscito dalla disponibilità della ditta L.V., richiamando la disciplina del capitolato di appalto, nonché una serie di risultanze testimoniali e in particolare le dichiarazioni e le prescrizioni del coordinatore della sicurezza in sede di esecuzione, ing. P.; al contempo negava qualsiasi rilievo concludente al sopralluogo del 1.3.2010 in cui rappresentanti delle ditte L.V. e VI. erano intervenuti a verificare la consistenza dell'opera, fino a quel momento eseguita, per convenire che si trattava di intervento di carpenteria pressoché completato.
4. A fronte di un tale articolato quadro di censure, che sostanzialmente ripropongono un approfondimento in fatto di argomenti già sviluppati dai giudice di merito, va preliminarmente osservato che in ossequio a principi ripetutamente affermati da questa Corte, che, in punto di vizio motivazionale, compito del giudice di legittimità, allo stato della normativa vigente, è quello di accertare (oltre che la presenza fisica della motivazione) la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, non già quello di stabilire se la stessa proponga la migliore ricostruzione dei fatti. Neppure il giudice di legittimità è tenuto a condividerne la giustificazione, dovendo invece egli limitarsi a verificare se questa sia coerente con una valutazione di logicità giuridica della fattispecie nell'ambito di una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (ex pluribus: Cass. n. 12496/99, 2.12.03 n. 4842, rv 229369, n. 24201/06); pertanto non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. È stato affermato, in particolare, che la illogicità della motivazione, censurabile a norma del citato art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata (Cass. SU n. 47289/03 rv 226074). Detti principi sono stati ribaditi anche dopo le modifiche apportate all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) dalla L. n. 46 del 2006, che ha introdotto il riferimento ad "altri atti del processo", ed ha quindi, ampliato il perimetro d'intervento del giudizio di cassazione, in precedenza circoscritto "al testo del provvedimento impugnato". La nuova previsione legislativa, invero, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane comunque un giudizio di legittimità, nel senso che il controllo rimesso alla Corte di cassazione sui vizi di motivazione riguarda sempre la tenuta logica, la coerenza strutturale della decisione.
5. Orbene, alla stregua di tali principi, deve prendersi atto del fatto che la sentenza impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente in punto a valutazione della colpa del L.V., atteso che l'articolata valutazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi probatori acquisiti, rende ampio conto delle ragioni che hanno indotto gli stessi giudici a ritenere la responsabilità dell'imputato per i fatti ad esso contestati, mentre le censure avanzate dal ricorrente risultano sostanzialmente rivolte a riproporre argomenti già esposti in sede di appello, che tuttavia risultano ampiamente vagliati e correttamente disattesi dalla Corte territoriale, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, fondata su una valutazione alternativa delle fonti di prova pure a fronte della linearità e della adeguatezza della struttura motivazionale della sentenza impugnata. 
6. Invero la struttura argomentativa della decisione impugnata appare immune da deficienze logiche che ne minano la tenuta e la coerenza sostanziale laddove, riconosciuto nell'esito del sopralluogo del 1.3.2010 il valore di un collaudo provvisorio dell'opera di carpenteria, con conseguente consegna "interna" del manufatto tra la impresa che aveva curato le strutture metalliche e l'impresa subentrante che la avrebbe completata con gli interventi in calcestruzzo, nessun ragionevole dubbio può residuare sul fatto che il compito della azienda L.V., relativamente a quella porzione di appalto, poteva ritenersi ultimata, peraltro con le gravi carenze strutturali successivamente accertate, e che la impresa VI. fosse legittimata a iniziare gli interventi di sua spettanza.
6.1 A tale fine il giudice territoriale ha dato ampia e coerente evidenza al verbale di sopralluogo del 1.3.2010 redatto dall'ing. B., quale delegato della direzione dei lavori, presenti tanto il responsabile di cantiere della ditta L.V., P., quanto una rappresentanza della ditta (nella persona di L.A.), nel quale si faceva il punto delle opere eseguite da L.V., indicandone la "sostanziale ultimazione" (atteso che le ulteriori rifiniture non competevano alla suddetta impresa).
6.2 Evidenziavano i giudici territoriali che, a sostegno di un valore di presa consegna del suddetto verbale, deponeva il fatto che immediatamente dopo la sua predisposizione, da un lato la direzione dei lavori autorizzava, o meglio ordinava alla ditta VI. di procedere alla gettata di calcestruzzo, come peraltro era già avvenuto in relazione ad altra porzione di scala (G01), considerando pertanto come intervenuto il collaudo preventivo, e dall'altra quest'ultima attivava la richiesta di emissione del SAL (in data 5.3.2010) richiedendo il pagamento dell'opera quale riconoscimento implicito della definitività di quello specifico intervento, come peraltro rappresentato nel verbale di sopralluogo.
6.3 Con articolato e logico incedere motivazionale il giudice di appello ha poi escluso che le opere di carpenteria eseguite dalla impresa L.V. fossero in attesa di un più accurato e puntuale controllo sulle caratteristiche di tenuta delle lamiere utilizzate, poiché un tale controllo, che di regola avrebbe dovuto precedere la installazione, o non era intervenuto o comunque non era riuscito a intercettare il grave problema del sottodimensionamento del materiale installato, mentre in relazione ai pure riferiti controlli in sede esecutiva (mediante spessimetro), la corte poneva in rilievo la genericità e la contraddittorietà delle risultanze testimoniali a difesa, sui modi e sui tempi di un siffatto controllo e, soprattutto su quale soggetto fosse deputato ad effettuarlo.
In definitiva rappresentava come fosse del tutto verosimile riconoscere che, per i tempi e i modi di esecuzione delle opere, per il fatto che erano ultimate ormai da tempo in relazione ai compiti affidati alla L.V., la direzione dei lavori aveva proceduto, in contraddittorio con la impresa L.V. a una, seppure informale, presa visione del manufatto, di cui era stato redatto un sintetico verbale da parte dell'ing.B., cui seguiva l'ordine della direzione di procedere alle opere in calcestruzzo, la consegna doveva ritenersi avvenuta.
Riconosceva poi che della consegna dell'opera non era stato reso partecipe il coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, ing.P. i cui divieti di accesso al cantiere impegnato dalla impresa L.V., per ovvie ragioni di rischio interferenziale, erano peraltro limitati al completamento degli interventi di carpenteria, prima della consegna.
6.4 La sopra richiamata interpretazione degli elementi istruttori costituisce argomentato e lineare approdo dei giudici di merito che neppure teme il confronto con la pronuncia allegata dalla difesa L.V. a sostegno dei motivi aggiunti, che perviene ad una diversa soluzione logica in ordine ai limiti imposti dai divieti di accesso al cantiere, peraltro a seguito di diversa strategia procedimentale (giudizio abbreviato in cui è mancata la vasta gamma di contributi istruttori cui i giudici di merito hanno ampiamente attinto nel procedimento in oggetto), operata da imputato che non rivestiva neppure una posizione di garanzia alternativa e inconciliabile con quella dell'imputato L.V..
7. Le argomentazioni del giudice di appello sopra rappresentate valgono altresì a decretare la infondatezza del terzo motivo di ricorso che riconosce nella condotta della VI. che era subentrata nelle lavorazioni prima di una formale ed effettiva consegna dell'opera, un comportamento abnorme idoneo a interrompere il rapporto di causalità ai sensi dell'art. 41 co. 2 cod.pen.
7.1 Invero a prescindere dall'esito del sopralluogo del 1.3.2010, interpretato come sostanziale collaudo preventivo dell'opera ai fini del passaggio di consegna, unitamente al corredo di conseguenti comportamenti concludenti, il giudice di appello ha altresì evidenziato come analogo getto di cemento fosse stato dato pochi giorni prima anche in relazione al altro manufatto (G01), preceduto da comunicazione cui la L.V. nulla aveva replicato e che in coevo arco temporale era iniziata la lavorazione dell'armatura di altra scala realizzata da L.V., sebbene con diverse caratteristiche di carpenteria (ACM). Appare pertanto ben congegnato e assolutamente privo di illogicità l'argomentare della corte territoriale nella parte in cui ha escluso che la L.V. avesse mantenuto la effettiva disponibilità delle porzioni di manufatto per cui la sua opera risultava ultimata e in attesa di liquidazione, laddove l'opposto argomentare si scontra altresì con il dato formale che la ditta VI. iniziò la lavorazione in cemento soltanto dopo essere stata all'uopo espressamente sollecitata dalla direzione dei lavori, con comunicazione del 18.3.2010; direzione dei lavori che aveva partecipato al sopralluogo con l'ing. B. e che pertanto con tale sollecitazione decretava la conclamata e fisiologica fase di alternanza nelle lavorazioni, dopo avere constatato la ultimazione delle lavorazioni di carpenteria, come da verbale di sopralluogo citato.
8. La sentenza impugnata risulta impermeabile anche in punto a trattamento sanzionatorio.
8.1 Con particolare riferimento al riconoscimento della circostanza attenuante di avere proceduto prima del giudizio al risarcimento del dannosa difesa del ricorrente L.V. si duole del fatto che i giudici di merito non abbiano considerato che l'imputato si fosse prontamente rivolto al proprio istituto assicuratore per procedere ai risarcimenti per la eventuale responsabilità datoriale. Peraltro le trattative che ne erano scaturite tra gli istituti assicuratori degli enti coinvolti nel sinistro (in particolare l'istituto assicuratore della VI.), anche ai fini dell'accertamento delle rispettive responsabilità, e l'esito di un lodo arbitrale tra le due impresse (L.V. e VI.) ai fini della definizione dei rapporti patrimoniali scaturenti dall'appalto, avevano sostanzialmente escluso profili di responsabilità (civile) in capo alla L.V., di talché la VI. si era fatta carico, tramite il proprio assicuratore, di indennizzare le persone offese. Una tale definizione unilaterale del danno, secondo la prospettiva del ricorrente, non poteva andare a ridondare a sfavore del L.V., il quale pure si era attivato per la riparazione del pregiudizio, trattandosi pur sempre di una definizione risarcitoria concordata tra istituti assicuratori sollecitati dai soggetti obbligati, tra cui il L.V., il quale aveva manifestato, prima del giudizio, sollecitudine ed interesse ad una tempestiva definizione del quantum debeatur.
Ne derivava il buon diritto del L.V. a vedersi riconoscere l'attenuante speciale di cui all'art.62 n.4 cod.pen.
8.1.1 In relazione a una tale prospettazione va preliminarmente evidenziato che il S.C. fin da S.U. 22.1.2009 Pagani e altro (Rv 242215) ha affermato che in ipotesi di reato commesso da più persone in concorso, qualora un solo concorrente abbia provveduto alla integrale risarcimento del danno, la relativa circostanza attenuante non si estende ai compartecipi, a meno che essi non manifestino una tempestiva volontà di riparazione del danno. 'E stato ancora affermato che non può essere riconosciuta la circostanza attenuante della riparazione ovvero del risarcimento del danno qualora il risarcimento non sia direttamente riferibile all'Imputato, come nell'ipotesi in cui alla ristorazione del pregiudizio abbiano provveduto i familiari del reo (sez.VI, 25.3.2010, M., Rv. 246742; sez.I, 10.11.2010, Santapaola Rv.249009), mentre è riconoscibile quando abbia provveduto l'assicuratore sulla base di garanzia negoziale per il ristoro di danni da responsabilità del datore di lavoro (sez. IV, 9.6.2015, Locatelli, Rv. 263878) e più in generale tutte le volte in cui l'imputato abbia conoscenza dell'intervento dell'assicuratore in chiave risarcitoria e mostri la volontà di farlo proprio (sez. IV, 6.2.2009, Cappelletti, Rv. 243202). Appare evidente pertanto che ai fini del riconoscimento dell'attenuante di cui all'art.62 n.4 cod.pen. non è sufficiente che il pregiudizio venga ristorato da parte di soggetto il quale abbia con l'imputato rapporti contrattuali e personali che ne giustificano l'intervento, ma è necessario che o il ristoro risulti direttamente riferibile all'imputato (come in ipotesi di assicurazione per la responsabilità civile), ovvero - quando il ristoro sia eseguito da persona diversa dall'imputato, quale il concorrente nello stesso reato (coimputato) - che questi manifesti una concreta e tempestiva volontà riparatoria.
8.1.2 Nella specie è del tutto irrilevante acquisire il lodo arbitrale con il quale le parti private ditte L.V. e VI. hanno definito i rapporti contrattuali ed economici relativi all'appalto di opere, in corso delle quali si realizzò il tragico incidente, poiché se i motivi della decisione possono fare emergere le ragioni per le quali L.V. non intese procedere nella immediatezza al risarcimento del danno, rimettendo la definizione dei propri obblighi indennitari ad una intesa tra assicuratori dei diversi soggetti coinvolti nell'appalto (committente, appaltatore, sub appaltatori), in nessun modo può giustificare la inerzia del L.V. pur dopo la sentenza di condanna di primo grado, sul presupposto che ormai il danno era stato liquidato. Invero un tale comportamento, severamente stigmatizzato dal giudice di appello (a pag.28), giustifica la esclusione dell'attenuante richiesta in quanto, in accordo a quanto segnalato dalla statuizione a Sez.Un. all'inizio richiamata, la volontà risarcitoria deve comunque trapelare dal comportamento processuale o extra processuale dell'imputato che intenda accedere al beneficio, di talché la circostanza non può essere riconosciuta al singolo imputato che non abbia contribuito all'adempimento; con la conseguenza che se uno solo dei correi abbia provveduto in modo integrale al risarcimento stesso, l'altro concorrente per fruire della menzionata attenuante deve almeno dimostrare la sua concreta, tempestiva volontà di riparazione dei danno cagionato, non più direttamente verso la parte lesa - che non ha più titolo a ricevere altro - ma indirettamente provando di avere prima dei giudizio, rimborsato ai complice più diligente la propria quota (sez.I, 27.1.2003, P.G.Napoli, Balsano e altri; rv.227102).
8.1.3 In sostanza a fronte della riconosciuta responsabilità penale del prevenuto L.V. è mancata del tutto una volontà, seppure implicita di questi, di accollarsi, sia pure prò quota, una parte del pregiudizio patrimoniale determinatosi come conseguenza del reato mentre, al contrario, il giudice di appello ha stigmatizzato l'assoluto disinteresse manifestato dal prevenuto al riguardo e in tal modo la pronuncia di secondo grado appare avere fatto buon governo dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.
8.2 Quanto poi al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche il giudice di appello, nel confermare la statuizione del primo giudice il quale, a fronte della gravità dei fatti reato, aveva escluso profili di meritevolezza proprio in ragione di una condotta processuale non improntata e resipiscenza e a contenimento delle conseguenze del reato, era ad escludere, con adeguato costrutto logico giuridico, che il contesto anagrafico e socio-politico e imprenditoriale del L.V. addotti dall'appellante a sostegno del riconoscimento, costituissero profili soggettivi idonei a fondare il beneficio. La motivazione fornita dal giudice territoriale appare congrua, ben strutturata, esente da vizi o contraddittorietà e non è suscettibile di rivalutazione in questa sede.
9. In conclusione vanno disattesi tutti i motivi di ricorso e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20.10.2016