Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 6, 13 febbraio 2017, n. 6664 - Responsabilità del consigliere delegato responsabile sicurezza per aver permesso l'esercizio abusivo della professione di infermiera presso la casa di riposo


 

Presidente: PAOLONI GIACOMO Relatore: GIANESINI MAURIZIO Data Udienza: 25/01/2017

 

Fatto

 

1. Il Difensore di D.F. ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di MILANO, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere a carico dell'imputata per i fatti precedenti al 21 agosto 2008 perché estinti per prescrizione e ha confermato, per il resto, la sentenza di condanna impugnata.
1.1 La D.F. è imputata del reato di cui all'art. 40, 348 cod. pen. perché, quale Consigliere Delegato responsabile del rispetto della normativa relativa alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro presso la Casa di Riposo per anziani "Casa dei musicisti", aveva permesso che M.B. esercitasse abusivamente la professione di Infermiera professionale ed è stata condannata alla pena di 250,00 euro di multa.
2. Il Difensore ha dedotto due motivi di ricorso.
2.1 Con il primo motivo, riferito a inosservanza o erronea applicazione di legge penale sostanziale, il ricorrente ha segnalato che gli indici individuati dalla Corte di Milano per affermare lo svolgimento da parte della M.B. di attività infermieristica non erano in realtà tali, tanto più che quest'ultima operava in un ambito di adeguata sorveglianza e possibile immediato intervento del personale propriamente medico.
2.2 Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato che la Corte milanese non avesse provveduto sulla istanza presentata in udienza di applicazione della causa di non punibilità per particolate tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis cod, pen., istanza che non era stato possibile avanzare in sede di motivi di appello.
 

 

Diritto

 



1. Il ricorso è infondato e va rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
2. Il primo motivo di ricorso contesta, come si è visto, che le attività materialmente svolte dalla M.B. potessero essere considerate come tipiche della professione infermieristica ma non sembra davvero dubbio che la somministrazione di farmaci, la misurazione dei parametri vitali e l'effettuazione di iniezioni intramuscolo costituiscano in effetti atti tipici e caratterizzanti la professione di infermiere; in questa prospettiva argomentativa, poi, non sfuggirà che la Corte ha specificamente sottolineato la circostanza che la M.B. era stata trovata dai NAS nell'esercizio effettivo e materiale di dette attività e, dall'altro, che le decisioni di legittimità riportate nel ricorso negano la sussistenza del reato, pur in presenza di attività tipiche della professione di infermiere, per assenza del requisito della continuità e professionalità.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
2.1 Dato atto al ricorrente che in effetti la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen. è stata tempestivamente avanzata in sede di conclusione della udienza di appello, resta la considerazione che già in questa specifica sede di legittimità è possibile negare la sussistenza della causa predetta (come affermato da Cass., Sez. 3 del 22/4/2015 n. 21474, Fantoni, Rv. 263693) con conseguente inutilità dell'annullamento con rinvio sostanzialmente sollecitato dal ricorrente (in tal senso, su questo secondo aspetto, si veda Cass. Sez. 2 del 16/12/2014 n. 10173, Bianchetti, Rv 263157 a mente della quale è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado, che non abbia preso in considerazione un motivo di appello, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio).
2.2 Va ricordato infatti che la causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. trova applicazione, unitamente ad altre condizioni, quando il comportamento risulti non abituale, e la abitualità ricorre, come risulta dal terzo comma, ultima arte della norma in esame, "nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate".
2.3 Il reato di cui all'art. 348 cod. pen., come si è accennato più sopra, richiede, per la realizzazione dell'elemento materiale, una condotta che si dipani con i necessari caratteri della ripetitività, della continuità e professionalità (Cass. Sez. 6, 24/10/2005- dep. 2006, n. 7564, Palma Proietti, Rv 233682) o anche solo della eventuale abitualità (Cass. Sez. 6 del 8/1/2014 n. 15894, Erario, Rv. 260153) ma che si caratterizzi comunque per quella non singolarità e per quella pluralità di atti tipici che, rientrando sicuramente nel campo semantico e definitorio descritto nell'art. 131 bis, terzo comma, ultima parte del codice penale, lo rendono di per sé incompatibile, nella sua stessa struttura oggettiva, con la causa di non punibilità di cui si è detto.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 25 gennaio 2017.