Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 14 febbraio 2017, n. 6890 - Omissioni in materia di sicurezza. Socio sorpreso sul tetto senza cautele dagli ispettori. Responsabilità del datore di lavoro


 

Presidente: AMORESANO SILVIO Relatore: CIRIELLO ANTONELLA Data Udienza: 07/12/2016

 

Fatto

 


1. Con sentenza del 24.3.2016 il Tribunale di Pisa ha condannato M.F. per i reati di cui agli artt. 55 c lett. A) e b), 17 c.1 lett.b), 29 c. 1 ,115 c. 1 e 122 c.l D.Lvo 81/08 e successive modifiche, perche in qualità di titolare della ditta E. srl violava norme dettate al fine di prevenire gli infortuni (ometteva di effettuare ed elaborare il documento di cui all'art. 17 c lett.a) del decreto 81/08 in materia di sicurezza sul lavoro, (in collaborazione con il responsabile del servizio prevenzione e protezione ed il medico competente) ometteva di designare il servizio di protezione e prevenzione; ometteva di utilizzare nei lavori sulla copertura idonei sistemi di protezione ed ometteva di predisporre nei lavoro in quota sulla copertura del tetto adeguate impalcature o ponteggi o opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare i pericoli di caduta di persone o di cose) e, ritenuta la continuazione tra i reati contestata ritenuto più grave quello di all'art. 17 c.l lett. b) e 55 d.lvo n.81/2008 lo ha condannato alla pena finale euro 5.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
2. Contro tale sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, tramite il proprio difensore, lamentando la violazione di legge penale e la illogicità della motivazione. In particolare si duole il ricorrente che il Giudice di prime cure, nella motivazione della sentenza non si è pronunciato in merito alla richiesta di sospensione condizionale della pena avanzata dalla difesa.
Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe travisato le risultanze processuali, errando nel considerare addebitabile all'imputato, nella sua qualità, la condotta del socio S., sorpreso dagli agenti mentre operava sul tetto in assenza di cautele anti infortunistiche, in quanto questi non rivestirebbe la qualità di socio lavoratore ed avrebbe agito all'insaputa dell'imputato del tutto imprevedibilmente.
Si duole ancora, il ricorrente, che il trattamento sanzionatorio inflittogli risulta essere eccessivamente distante dal minimo edittale senza che il giudice abbia dato conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p. e senza la concessione delle attenuanti generiche.
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è solo parzialmente fondato in riferimento al primo profilo di doglianza.
3.1. Con tale motivo il ricorrente si duole del trattamento sanzionatorio, lamentando la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante all'udienza del 24 marzo 2015 il difensore dell'imputato abbia formulato un'espressa richiesta in tale senso.
Orbene la giurisprudenza di questa corte è costante nel ritenere che la valutazione dei presupposti per la concedibilità della sospensione condizionale della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui agli articoli 163 e 164 c.p. è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico.
L'istituto della sospensione condizionale della pena, infatti, per assunto pacifico, è caratterizzato da un massimo ambito di autonomia e facoltatività ("il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa...": articolo 163, comma 1, c.p.), avulso da meccanicistiche predefinizioni o da automatismi applicativi (Sezione VI, 28 febbraio 2008, Maugliani); nel merito dell'esercizio di tale valutazione discrezionale, come è noto, ai sensi dell'articolo 164, comma 1, c.p., la sospensione condizionale della pena è ammessa solo se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133 c.p., il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati, ed, ai fini della formulazione del giudizio prognostico richiesto dalla norma, non è obbligato a prendere in esame tutti gli elementi indicati nel citato articolo 133, ma può limitarsi a far menzione di quelli ritenuti prevalenti, sia per negare che per concedere il beneficio (Sezione VI, 8 aprile 2008, Lamouchi).
Nella specie, tuttavia, il giudice di merito non si è posto in questa prospettiva, non avendo fornito alcuna delle ragioni ostative alla concedibilità del beneficio, a fronte della richiesta formulata dalla parte in udienza (Sez. 6, Sentenza n. 26539 del 09/06/2015, Sez. 3, Sentenza n. 4838 del 29/01/1998; Sez. 1, Sentenza n. 34661 del 2015) nonché omettendo di dare conto dei parametri di cui all'art. 133 c.p. (in base ai quali possa ritenere che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati), e pertanto omettendo qualsiasi pronuncia sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata in parte con rinvio, non potendo la Corte di cassazione operare un giudizio, necessariamente anche di fatto, circa la concedibilità o meno all'imputato del beneficio richiesto (Sez. 5, Sentenza n. 41006 del 13/05/2015).
4. Infondato è, per il resto, il ricorso; non si ravvisa alcuna violazione di legge, nell'avere ritenuto il tribunale, valutando le risultanze testimoniali, che la incontestata attività pericolosa svolta dal S., rientrasse tra le condotte rimesse all'obbligazione di sicurezza a carico dell'imprenditore (né risultando elisa tale responsabilità dalla circostanza che tale S. , sorpreso nell'atto di svolgere l'attività pericolosa sul tetto dagli ispettori verbalizzanti, escussi quali testi nel giudizio, rivestisse la qualità di socio di minoranza nell'impresa, circostanza di cui peraltro il giudice di merito ha dato conto).
La sentenza impugnata si è adeguata sul punto, agli insegnamenti di questa corte che specificano come il soggetto titolare e amministratore dell'impresa che eseguiva i lavori sia destinatario delle disposizioni in materia di salute e sicurezza dei lavoratori e ha il dovere non solo di predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 5005 del 14/12/2010). Sez. 4, Sentenza n. 34747 del 17/05/2012 Ud. (dep. 11/09/2012 ) Rv. 253513. 
Né si ravvisa la denunciata illogicità nell'irrogazione della pena, che, a dire dell'imputato, sarebbe eccessivamente distante dal minimo edittale reato per il quale si procede.
Occorre tenere presente, sul punto, che all'epoca dei fatti, il reato era punito, in via alternativa con l’arresto da 3 a 6 mesi o con l’ammenda da €. 2.500,00 a €. 6.400,00 e il giudice, quale pena base, ha ritenuto di individuare la pena di € 4500,00 ampiamente nella media edittale, per pervenire alla pena finale di € 6000,00 in ragione degli aumenti dovuti alla continuazione nel rispetto dei criteri di cui all'art. 133 c.p..
Analogamente infondate le doglianze relative alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche . Ed invero, sul punto, anche dopo la specifica modifica dell’art. 62-bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002 convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere valutato e applicato i criteri di cui all’art.133 c.p.. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l’affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, ex plurimis, sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, rv. 192381; sez. 1 n. 12496 del 02/09/1999, Guglielmi ed altri, rv. 214570; sez. 6, n. 13048 del 20//06/2000, Occhipinti ed altri, rv. 217882; sez. 1, n. 29679 del 13/06/2011, Chiofalo ed altri, rv. 219891). In altri termini, dunque, va ribadito che l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. sez.2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, rv. 245241, e sez.4, n. 43424 del 29/09/2015). Nel caso di specie il giudice ha pure motivato il diniego del riconoscimento delle attenuanti in parola riferendosi alla "mancanza di qualunque collaborazione del M.F. successivamente all'accertamento del fatti”.
4. - La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata limitatamente alla concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena, con rinvio al Tribunale di Pisa perché provveda sul punto.
Per il resto il ricorso deve essere rigettato.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena e rinvia al Tribunale di Pisa; Rigetta nel resto il ricorso Così deciso in Roma il 7-12-2016