Cassazione Penale, Sez. 3, 03 marzo 2017, n. 10521 - Rischi connessi ad operazioni di incordatura: omessa previsione nel documento di valutazione dei rischi


 

 

 

 

Presidente: DI NICOLA VITO Relatore: MENGONI ENRICO Data Udienza: 14/12/2016

 


Fatto
 

 

1. Con sentenza n. 47002 del 12/11/2015, la quarta sezione di questa Corte Suprema rigettava il ricorso proposto da G.C. avverso la pronuncia emessa il 28/11/2014 dalla Corte di appello di Brescia.
2. Propone ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. il G.C., a mezzo del proprio difensore, deducendo che la pronuncia di legittimità non conterrebbe alcun argomento in ordine al quarto motivo di gravame, con il quale si lamentava (in relazione alla decisione di merito) l'assoluta mancanza di motivazione con riguardo alla pretesa violazione dell'art. 4, d. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. Tale carenza, peraltro, non potrebbe esser colmata neppure attraverso una lettura complessiva del provvedimento, difettando anche una valutazione implicita della stessa doglianza; la quale, inoltre, rivestirebbe evidente carattere di decisività, concernendo l'addebito «più direttamente riconducibile al datore di lavoro» e ben potendo incidere sull'entità della pena e sulla causa di non punibilità di cui all'art. 131- bis cod. pen..
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso risulta infondato.
Al riguardo, occorre preliminarmente ribadire il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l'omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell'art. 625-bis cod. proc. pen., né determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l'impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l'omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall'esame di altro motivo preso in considerazione, giacché, in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendo ritenuta superflua la trattazione per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente; mentre deve essere ricondotto alla figura dell'errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioè da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l'erronea supposizione dell'inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso (Sez. U, n. 16103 del 27/3/2022, Basile, Rv. 221283; Sez. 6, n. 34247 del 9/5/2003, Costa, Rv. 226597).
4. Ciò premesso, e con riguardo al caso in esame, ritiene il Collegio che l'omissione contestata sia soltanto apparente e che la doglianza di cui al quarto motivo sia stata invero esaminata nella prima sentenza di legittimità; in un ambito - si precisa - relativo ad un'imputazione ex art. 590, commi 1, 2 e 3 cod. pen., in relazione agli artt. 4, comma 2 e 35, comma 1, d. Lgs. n. 626 del 1994, per aver il G.C. - nella qualità indicata - causato ad un lavoratore lesioni gravissime per colpa consistita 1) nel non aver previsto nel documento di valutazione dei rischi quelli connessi all'operazione di incordatura (con particolare riferimento ai rischi relativi al contatto con gli organi in movimento) e 2) nel non aver disposto che la zona relativa all'avvolgitore della linea CAST 1 fosse dotata di un dispositivo di interblocco che escludesse l'avvio accidentale dell'organo ruotante denominato "aspo" quando il cancello della predetta linea risultava aperto.
5. La sentenza n. 47002/2015, in particolare, ha rilevato che la pronuncia allora impugnata - in uno con quella di primo grado, integrata dall'altra - aveva confermato: 1) l'assenza del citato dispositivo di interblocco del cancello; 2) la concrescenza, in seno all'azienda, del fatto che l'aspo funzionasse male; 3) la prevedibilità del pericolo che si verificava ogniqualvolta si procedeva all'operazione di incordatura; 4) l'impossibilità di rimediare allo stesso mediante la semplice raccomandazione di non entrare nell'area segregata; 5) il prevedibile intervento degli operatori interni - senza, quindi, chiamare gli addetti alla manutenzione - per ovviare al malfunzionamento dell'aspo.
Di seguito, la pronuncia ha evidenziato che questi profili di colpa ben avevano fondato il giudizio di responsabilità penale, con motivazione congrua e non censurabile, e che, con riguardo agli stessi, il G.C. aveva avuto piena possibilità di esercitare le proprie difese; profili di colpa che, all'evidenza, concernevano in senso ampio l'omessa considerazione del rischio sopra indicato da parte del ricorrente, con le conseguenze lesive di cui all'imputazione a danno del lavoratore.
Conferma di quanto precede, poi, si trae dall'esame - che la sentenza ha compiuto - della seconda e terza doglianza dell'originario ricorso, con le quali si contestava che l'imputazione ex artt. 4 e 35, d. Lgs. n. 626 del 1994 fosse stata mossa quando tali norme non esistevano più, poiché abrogate dal d. Lgs. n. 81 del 2008, e che non fosse stato specificato quali disposizioni cautelari - di cui a quest'ultimo testo - costituissero ormai l'oggetto dell'imputazione; sì da determinare, peraltro, la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., essendo stato il G.C. condannato per colpa generica (prevedibilità dell'evento), pur essendogli contestati esclusivamente due profili di colpa specifica.
Orbene, la quarta sezione di questa Corte ha innanzitutto sottolineato (punto 4.1) che l'art. 4, comma 2, d. lgs. n. 626 del 1994 (concernente il documento di valutazione dei rischi) era stato successivamente trasfuso negli artt. 18, 28 e 29, d. lgs. n. 81 del 2008, così come l'art. 35 nell'art. 71 del medesimo decreto n. 81; di seguito, ha rilevato che la doglianza in punto di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in decisione doveva ritenersi inammissibile (perché non sollevata in appello) e, comunque, infondata nel merito (non ricorrendone i presupposti). In particolare, la sentenza ha precisato (pag. 12) che «nel caso di specie, al ricorrente è stato contestato di aver causato al lavoratore P.M. le sopra indicate lesioni personali per colpa generica (consistita in negligenza, imprudenza, imperizia) e per colpa specifica (violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare: omessa previsione nel documento di valutazione dei rischi di quelli connessi all'operazione di incordatura; nonché per omessa disposizione che la zona relativa all'avvolgitore fosse dotata di dispositivo interblocco)»; dal che «non si ravvisa alcuna violazione del disposto di cui all'art. 521 cod. proc. pen.», attesa l'ampiezza e la "globalità" della contestazione stessa, essendo «consentito al Giudice aggiungere agli elementi di fatto contestati altri estremi di comportamento colposo o di specificazione della colpa, emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al concreto esercizio del diritto di difesa». E con la precisazione - decisiva per il presente ricorso - che «quando in una unica imputazione sono contestati più profili di colpa, l'esclusione di uno di essi (nel caso di specie, la mancata previsione nel documento di valutazione dei rischi di quelli connessi alla operazione di incordatura) è irrilevante quando quelli accertati siano stati comunque ritenuti sufficienti a produrre il fatto dannoso».
Sì da evidenziare ulteriormente che la doglianza n. 4, proprio in punto di documento di valutazione dei rischi, ha formato oggetto di esame da parte della Corte di legittimità, pur in assenza di un esplicito paragrafo a ciò dedicato; dal che, l'infondatezza del presente gravame, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016