Cassazione Penale, Sez. 4, 09 marzo 2017, n. 11432 - Infortunio ad un lavoratore interinale. Maggiore avrebbe dovuto essere la vigilanza e lo scrupolo nella sua formazione


 

 

... "Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso basato sull'imprevedibilità della condotta del lavoratore.
Anche tale tema viene affrontato in sentenza con motivazione logica e congrua, correttamente non ritenendosi che il comportamento del lavoratore rivesta i caratteri dell'imprevedibilità, abnormità ed eccezionalità rispetto alla mansione svolta. Del resto non va dimenticato che nel caso di specie si tratta di un incidente occorso ad un lavoratore non solo privo dell'adeguata formazione, ma anche interinale, ossia non un dipendente stabilmente inquadrato dell'azienda, ma un lavoratore che lavorava solo per brevi periodi. Pertanto, maggiore avrebbe dovuto la vigilanza e lo scrupolo nell'addestramento del lavoratore.
Questa Corte di legittimità ha più volte affermato -e va qui ribadito- che, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente".


 

 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 09/02/2017

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. La Corte di Appello di L'Aquila, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente, G.E., con sentenza del 18.2.2015, confermava la sentenza del Tribunale di Vasto, emessa in data 15.2.2013, con condanna al pagamento delle ulteriori spese e disponendo la correzione dell'errore materiale relativo alla data indicata in imputazione.
Il Tribunale di Vasto, aveva dichiarato G.E. responsabile del dei delitto p. e p. dall'art. 590 commi 1, 2 e 3 cod. pen., poiché in qualità di direttore dei lavori di R.C., per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia e in particolare nella violazione delle seguenti norme antinfortunistiche:
- art 70 comma 1, in quanto la ditta FL.L. srl, di cui G.E. è presidente del consiglio di amministrazione, aveva in uso l'isola 700/3t realizzata con Trasmesso estratto per l'assemblaggio e modifica di singole macchine in unico impianto, avvenuto dal 2002, al 2008, in palese inosservanza del rispetto dei requisiti essenziali di comunicazione alla sicurezza di cui all'allegato 1.3.7 e dell'allegato 1.4 del DPR 459/1996, attuale D.Lg. 17/2010;
-artt. 36 e 37 del D. Leg. 81/08 in quanto la predetta ditta metteva a disposizione di un lavoratore interinale un impianto, senza avere prima provveduto ad un'adeguata formazione, ed informazione sull'uso specifico dello stesso; affidava a R.C. il compito di manovrare la predetta macchina, così che questi, per assenza di misura di sicurezza, restava con la mano incastrata negli ingranaggi, riportando lesioni personali consistite in "grave trauma polso destro con menomazione accertata INAIL di limitazione dei movimenti del polso per oltre 2/3 - perdita anatomica subtotale del 10 dito mano dx - anchilosi del I dito mano dx - limitazione per VA della flessione del 2° e 4° dito mano dx - cicatrici per le quali egli ha inabilità permanente del 36% ed inabilità al lavoro protrattasi fino al 20.3.2009.
In Vasto il 11.6.2008 (data corretta nel dispositivo della Corte di Appello). L'imputato veniva condannato, concesse le attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di mesi 1 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con la conversione della pena detentiva inflitta in quella pecuniaria di specie corrispondente, pari ad € 1.140,00 di multa.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, G.E., deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Errata applicazione della legge penale e mancanza di motivazione (artt. 40, 43 e 590 cod. pen. in relazione all'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen.) quanto alla ritenuta sussistenza di elementi di colpa in capo al ricorrente ed alla rilevanza di essi sul piano causale.
Il ricorrente dopo aver elencato le circostanze di fatto accertate nel procedimento lamenta l'erroneità della condanna per l'insussistenza di profili di colpa nella condotta e per indimostrata efficienza causale delle omissioni contestategli.
In primo luogo deduce l'erroneità dell'assunto sulla carente formazione del lavoratore infortunato, sulla base della mancata sottoscrizione dei moduli attestanti l'avvenuto addestramento e affiancamento ad un collega esperto.
Il dato non sarebbe stato comparato con le risultanze delle deposizioni testimoniali, che dimostravano la circostanza che i lavoratori venivano istruiti e addestrati all'uso dei macchinari.
Il ricorrente deduce l'omessa valutazione congiunta di tutte le risultanze probatorie rilevanti sul tema e la trascuratezza verso quelle confliggenti con la ricostruzione operata dalla sentenza impugnata, con conseguente inadempienza dell'obbligo, da parte del giudice di spiegare le ragioni per cui avrebbe privilegiato, a scapito di altre alcune emergenze probatorie.
La sentenza impugnata avrebbe motivato in maniera insufficiente laddove non attribuirebbe il giusto rilievo scriminante alla circostanza che il lavoratore aggirava i presidi antinfortunistici esistenti per introdursi all'Interno dell'impianto e compiere un'operazione che esulava dalle proprie mansioni e soprattutto accedendo attraverso un varco angusto esistente sulla parte posteriore e difficilmente raggiungibile.
Pertanto la corte di appello avrebbe dovuto affrontare sia il tema dell'efficacia interruttiva del rapporto causale da riconoscere alla condotta del lavoratore, sia quello della prevedibilità in concreto ex ante del comportamento tenuto dall'infortunato nel singolo caso.
L'episodicità del fatto e l'estemporaneità della condotta determinavano l'imprevedibilità dell'accaduto per le modalità del fatto, con conseguente insussistenza della colpa del datore di lavoro.
Si sostiene che l'imputato non può essere ritenuto, per la carica rivestita di legale rappresentante, responsabile dell'evento, non essendo esigibile la sua presenza continuativa sui luogo di lavoro, tanto più che 'incidente avveniva nelle ore notturne.
Tale tematica non sarebbe stata affrontata in sentenza se non per escludere la presenza nell'organizzazione aziendale di altri soggetti responsabili.
Anche sul punto sarebbero state trascurate le deposizioni testimoniali sull'esistenza di referenti responsabili, precisamente l'ing. S. con ruoli dirigenziali e il capo reparto S. con ruolo di preposto, su cui incombeva l'obbligo di vigilanza sulle concrete modalità di svolgimento delle mansioni affidate ai singoli lavoratori.
Chiede, pertanto, l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è manifestamente inammissibile, in quanto il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che in questa sede non viene in alcun modo sottoposta ad autonoma ed argomentata confutazione.
2. E' ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'art. 591 comma 1, lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (in tal senso sez. 2, n. 29108 del 15/7/2011, Cannavacciuo- lo non mass.; conf. sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568; sez. 4, n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253849; sez. 2, n. 19951 del 15/5/2008, Lo Piccolo, Rv. 240109; sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano, Rv. 236945; sez. 1, n. 39598 del 30/9/2004, Burzotta, Rv. 230634; sez. 4, n. 15497 del 22/2/2002, Palma, Rv. 221693).
Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (sez. 3, n. 44882 del 18/7/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608).
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Ed invero, come si rileva nel provvedimento impugnato non solo non risulta provata l'avvenuta formazione del lavoratore, ma mancava addirittura sia un manuale di uso dei macchinari che un manuale di informazione. Inoltre, come ampiamente dà conto la Corte territoriale, dal verbale del tecnico dell'ASL risulta che la cosiddetta "isola" era costituita da "un insieme di macchine messe insieme in modo tale da poterle far funzionare in maniera solidale con un ciclo continuo di lavoro e presentava tutta una serie di carenze sia a livello di protezioni che a livello di sistemi di sicurezza".
3. Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso basato sull'imprevedibilità della condotta del lavoratore.
Anche tale tema viene affrontato in sentenza con motivazione logica e congrua, correttamente non ritenendosi che il comportamento del lavoratore rivesta i caratteri dell'imprevedibilità, abnormità ed eccezionalità rispetto alla mansione svolta. Del resto non va dimenticato che nel caso di specie si tratta di un incidente occorso ad un lavoratore non solo privo dell'adeguata formazione, ma anche interinale, ossia non un dipendente stabilmente inquadrato dell'azienda, ma un lavoratore che lavorava solo per brevi periodi. Pertanto, maggiore avrebbe dovuto la vigilanza e lo scrupolo nell'addestramento del lavoratore.
Questa Corte di legittimità ha più volte affermato -e va qui ribadito- che, in tema di infortuni sul lavoro, non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente (cosi questa Sez. 4, n. 7364 del 14/01/2014, Scarselli, Rv. 259321 relativamente ad un caso di lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
In altra pronuncia si è ribadito che il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l'osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (Sez. 4, n. 3787 del 17/10/2014 dep. il 2015, Bonelli, Rv. 261946 relativamente ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
Il datore di lavoro, in altri termini, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela (vedasi anche Sez. 4, n. 37986 del 27/06/2012, Battafarano, Rv. 254365 che, in applicazione del principio, ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità - in ordine al reato di cui all'art. 590, comma terzo, cod. pen. - dell'imputato, legale rappresentante di una s.a.s., per non avere adeguatamente informato il lavoratore, il quale aveva ingerito del detersivo contenuto in una bottiglia non contrassegnata, ritenendo trattarsi di acqua minerale).
4. Manifestamente infondata anche la doglianza dell'insussistenza della cosiddetta culpa in vigilando a carico dell'imputato, non presente sul luogo di lavoro data l'esistenza di un preposto e un dirigente.
La corte di appello ha correttamente esaminato la doglianza, confutandola, sull'evidenza che, che come risulta dalla documentazione in atti, lo S. - nonostante la procura institoria - non aveva accettato alcun incarico, né vi era stata formale comunicazione agli enti preposti, almeno all’epoca dei fatti (in atti è presente solo una missiva ricevuta dalla ASL - peraltro su sua richiesta - solo in data 2.9.20 10). Si osserva inoltre in sentenza che - sempre dalla documentazione in atti - risulta che la realizzazione dell'isola robotizzata avvenne in un periodo di tempo (dal 2002 al 2007) anteriore alla nomina dello S..
5. Va rilevato, infine, che non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463). 
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2000,00 in favore della cassa delle ammende
Così deciso in Roma il 9 febbraio 2017