Cassazione Penale, Sez. 4, 09 marzo 2017, n. 11441 - Infortunio con un cingolato. Assoluta mancanza di formazione alla guida del mezzo


 

... "Responsabilità che, nel caso di specie, è stata individuata nella condotta colposa degli imputati, i quali, consapevoli che i lavoratori avrebbero dovuto affrontare una zona impervia e particolarmente isolata e delle difficoltà derivanti dalla guida del mezzo cingolato, insidioso e complesso, ed altresì consapevoli dell'inclinazione della vittima a bere (tanto da raccomandare al negoziante del paese di non vendergli alcolici), ciononostante avevano lasciato le chiavi d'accensione a disposizione della squadra, composta da soggetti privi delle specifiche competenze per guidarlo adeguatamente, non essendo risultati idonei alla guida sia il lavoratore deceduto, che quello sopravvissuto (il quale, per come accertato, si era assunto la responsabilità di un precedente incidente, in realtà dovuto ad imperizia dell'altro)."


Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 23/02/2017

 

 
Fatto

 


1. La Corte d'Assise d'appello di Genova ha parzialmente riformato la sentenza della Corte d'Assise di Savona, appellata anche dagli imputati O.A., O.E. e O.MN., con la quale i predetti erano stati condannati per il reato di omicidio colposo aggravato dalla inosservanza delle norme antinfortunistiche, quali datori di lavoro di A.G.V., deceduto, e di N.D., il primo e la terza, nella qualità di soci amministratori della azienda agricola "Fratelli O.", il secondo, quale amministratore di fatto della stessa.
2. La vicenda riguarda il decesso del lavoratore A.G.V. e il ferimento del lavoratore N.D., occorsi in occasione di un incidente sul lavoro avvenuto mentre i due, incaricati da O.E. di tagliare legna da ardere per l'azienda della quale erano dipendenti, si trovavano (il primo alla guida) a bordo di un cingolato di proprietà dell'azienda degli imputati, su terreno impervio, allorché erano stati sbalzati violentemente dal mezzo agricolo che si era abbattuto a marcia indietro contro un albero al termine di un pendio fortemente scosceso. A seguito del sinistro, il primo aveva riportato lo sfondamento della gabbia toracica e fratture varie con trauma toracico chiuso, emopneumotorace sx e dx ed altro, il secondo, un politrauma con frattura del bacino (fatti accaduti in Albenga il 17 agosto 2009).
In particolare, si è addebitato agli imputati di avere adibito detti lavoratori ad attività altamente pericolosa (taglio del bosco, da effettuarsi in solitudine, in luogo impervio, isolato e difficilmente raggiungibile), con la disponibilità di un cingolato di pericolosa conduzione (mezzo rispetto al quale l'operaio deceduto versava in condizioni di assoluta e comprovata incapacità di governo e di qualsiasi suo sicuro impiego, siccome etilista, uso al consumo di alcol anche durante le ore lavorative), in violazione dell'art. 18 lett. c) e f) d.lgs. 81/08, nonché degli artt. 71 co. 7 lett. a) e 73 co. 1, 2 e 4 stesso decreto.
3. Tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo di difensore, con unico atto, denunciando la violazione dell'alt. 41 co. 2 e co. 3 cod. pen. e vizio di carenza e illogicità della motivazione e lamentando la particolare "concisione" della sentenza, ritenuta tale da evidenziare la superfluità della condotta valutazione; la mancata considerazione della problematica del caso fortuito, avuto riguardo al comportamento abnorme dei lavoratori; la contraddittorietà della affermazione secondo cui vi sarebbe stato un concorso di colpa del lavoratore deceduto, pur mantenendosi ferma la convinzione della penale responsabilità degli imputati; la mancata valutazione della spiegazione alternativa (secondo cui l'incidente sarebbe avvenuto per un diverbio insorto tra i due lavoratori, avendo il N.D. tentato di prendere i comandi del mezzo cingolato); la mancata valorizzazione del ruolo di capo squadra del N.D.; infine, la regolarità del rapporto di lavoro e l'avvenuta sottoscrizione da parte dei due lavoratori dei moduli inerenti la sicurezza sul lavoro.
4. Con successiva memoria depositata in data 07 febbraio 2017, la difesa degli imputati ha sviluppato i motivi di ricorso, sia per quanto attiene alla asserita omessa considerazione del concorso colposo della vittima, sia avuto riguardo alla pena inflitta, che ha ritenuto sproporzionata ed eccessiva.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Il giudice dell'appello ha condiviso e fatto propria la ricostruzione fattuale operata nella sentenza di primo grado, sulla scorta delle risultanze probatorie [testimonianze, tabulati telefonici, dichiarazioni della p.o. sopravvissuta all'incidente, N.D., e consulenze mediche (alla luce delle quali il giudice di primo grado aveva escluso la necessità di procedere a perizia, essendosi definitivamente accertata l'assenza di profili di addebito nella condotta degli imputati sui tempi del soccorso prestato all'A.G.V., con venir meno in giudizio dei delitti, originariamente contestati, di omicidio volontario, violenza privata aggravata e falso)], richiamando circostanze processualmente certe, quali l'affidamento da parte degli imputati del trattore cingolato - per la guida del quale occorreva un notevole grado di capacità tecnica - a due lavoratori che ne erano privi e che neppure avevano l'abilitazione alla guida di esso, infine la consapevolezza dei predetti che uno dei due era alcoldipendente.
Ha, quindi, ritenuto infondate le argomentazioni difensive, con le quali si era asserita l'insussistenza dell'elemento psicologico della condotta e, in particolare, del tutto inconferente la circostanza che la ASL, all'esito della verifica seguita al sinistro, non avesse mosso rilievi all'azienda, atteso che dal rispetto formale delle regole a salvaguardia della sicurezza non discende ipso facto il rispetto sostanziale delle stesse e, quindi, la mancanza di profili di responsabilità.
Responsabilità che, nel caso di specie, è stata individuata nella condotta colposa degli imputati, i quali, consapevoli che i lavoratori avrebbero dovuto affrontare una zona impervia e particolarmente isolata e delle difficoltà derivanti dalla guida del mezzo cingolato, insidioso e complesso, ed altresì consapevoli dell'inclinazione della vittima a bere (tanto da raccomandare al negoziante del paese di non vendergli alcolici), ciononostante avevano lasciato le chiavi d'accensione a disposizione della squadra, composta da soggetti privi delle specifiche competenze per guidarlo adeguatamente, non essendo risultati idonei alla guida sia il lavoratore deceduto, che quello sopravvissuto (il quale, per come accertato, si era assunto la responsabilità di un precedente incidente, in realtà dovuto ad imperizia dell'altro).
Peraltro, la conoscenza, da parte degli imputati, della circostanza che tutti i lavoratori usavano quel cingolato, ivi compreso l'A.G.V., era stata confermata dalla stessa O.MN. che aveva così smentito l'affermazione difensiva, secondo cui solo il N.D. sarebbe stato autorizzato a condurre quel mezzo.
Quanto alla presunta colluttazione che avrebbe coinvolto i due lavoratori e dovuto escludere, questa volta ai sensi dell'art. 41 co. 2 cod. pen., la penale responsabilità degli imputati, la Corte genovese ha rilevato che non erano emersi elementi per ritenere che tale diverbio ci fosse stato, atteso che il N.D. non ne aveva parlato e che, inoltre, secondo quanto dallo stesso riferito, gli accadimenti erano stati molto repentini.
3. Le doglianze difensive sono manifestamente infondate.
3.1. Una premessa s'impone, alla luce del tenore dei motivi formulati nei ricorsi. 
E' evidente che i ricorrenti hanno sostanzialmente riproposto in sede di legittimità le doglianze fondanti il gravame, alle quali la Corte di merito ha dato tuttavia una puntuale risposta, attraverso il legittimo rinvio alla sentenza di primo grado (soprattutto per quanto riguarda il compendio probatorio utilizzato), sostenuto peraltro da un vaglio critico, filtrato attraverso i motivi d'appello, pervenendo alle conclusioni rassegnate solo all'esito di un articolato, quanto completo, logico e non contraddittorio percorso argomentativo.
In ciò risiede la manifesta infondatezza dei motivi, atteso che, per il loro tramite, le parti hanno prospettato una inammissibile rivisitazione della valutazione delle prove e sollecitato un sindacato di merito, del tutto estraneo alla natura del controllo di legittimità.
3.2. Del tutto corretta è, intanto, la ricostruzione della posizione di garanzia dei tre imputati, peraltro neppure contestata in questa sede, quale datori di lavoro della vittima e dell'infortunato.
Parimenti congrua è la ricostruzione della dinamica, rispetto alla quale la tesi difensiva dell'alterco/colluttazione/diverbio tra i due lavoratori è rimasta affidata a ipotesi prive del necessario riscontro, come del resto puntualmente sottolineato dalla Corte d'assise d'appello.
La formale regolarità dell'azienda, da un punto di vista della sicurezza sul lavoro, non interferisce con i profili di colpa specificamente contestati e cioè l'avere affidato ai lavoratori dei compiti - nella qualità di datori di lavoro, titolari perciò di una specifica posizione di garanzia a tutela di rischi di quanti siano impiegati nel ciclo produttivo - senza tenere conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza (art. 18 lett. c d.lgs. 81/08); non avere richiesto l'osservanza da parte di costoro delle norme a disposizione e salvaguardia della sicurezza e l'uso di mezzi di protezione e dei dispositivi di protezione (art. 18 lett. f stesso T.U.); l'avere consentito l'utilizzo di attrezzatura da parte di lavoratori non formati e informati (artt. 71 co. 7 lett. a e 73 co. 1, 2 e 4 d.lgs. 81/08).
Quanto alla dedotta abnormità del comportamento dei lavoratori, l'argomento è stato ampiamente e del tutto congruamente affrontato dalla Corte di merito e, ancora una volta, le censure articolate con il ricorso non evidenziano vizi del ragionamento svolto da quel giudice, ma ripropongono inammissibilmente una diversa interpretazione del compendio probatorio, che costituisce oggetto proprio del sindacato di merito.
Sul punto, pare peraltro sufficiente un richiamo alla giurisprudenza consolidata di questa Corte per rilevare che la decisione del giudice di merito è del tutto coerente con i principi da essa ricavabili, atteso che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento [Sez. 4 n. 3787 del 17/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015), Rv. 261946; n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259227].
Nel caso di specie, l'asserito diverbio, peraltro indimostrato, tra i due lavoratori non avrebbe potuto essere, in ogni caso, considerato eccentrico rispetto al consentito utilizzo del mezzo da parte di lavoratori inesperti e, comunque, non formati e informati, uno dei quali addirittura notoriamente dedito al consumo di sostanze alcoliche anche durante lo svolgimento dell'attività lavorativa.
Lo stesso dicasi con riferimento all'assunto difensivo, secondo cui il N.D. avrebbe svolto mansioni superiori rispetto alla vittima, con riferimento al quale la Corte ha puntualmente opposto le dichiarazioni della stessa imputata O.MN. (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Deciso in Roma il 23 febbraio 2017