Cassazione Penale, Sez. 7, 23 marzo 2017, n. 14333 - Violazioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro e responsabilità del datore di lavoro. Irrilevante la presenza di un direttore dei lavori se non c'è una delega di funzioni


 

Presidente: SAVANI PIERO Relatore: LIBERATI GIOVANNI Data Udienza: 20/01/2017

 

 

 

Fatto

 


Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Grosseto ha condannato E.C., quale titolare della Ditta 3C Costruzioni, alla pena di euro 3.200 di ammenda, in relazione ai reati di cui agli artt. 122 e 159, comma 2, lett. a), 71, comma 1, 87, comma 2, lett. c), 26, comma 1, lett. a), e 55, comma 5, lett. b), d.lgs. 81/2008.
Avverso tale sentenza l'imputato ha proposto appello, trasmesso a questa Corte dalla Corte d'appello di Firenze con ordinanza del 7 luglio 2016, ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., lamentando l'inesatta valutazione delle prove assunte, dalle quali era emerso che nella organizzazione dei lavori eseguiti dall'impresa dell'imputato era stato nominato un direttore dei lavori, il Geometra Omissis , che si occupava del controllo di tutta la attività lavorativa, sicché avrebbe dovuto escludersi la diretta responsabilità dell'imputato in ordine alle violazioni contestate.
Ha, inoltre, eccepito la non utilizzabilità della valutazione espressa dal teste C. a proposito del fatto che una delle violazioni contestate, quella di cui all'art. 71 d.lgs. 81/2008, riguardava l'impianto elettrico, e sottolineato la presenza nel cantiere di lavoratori autonomi, in relazione alla cui attività egli non poteva dirsi tenuto a svolgere alcun controllo.
 

 

Diritto

 


Deve, preliminarmente, essere annullata senza rinvio l'ordinanza in data 7/7/2016 della Corte d'appello di Firenze, che ha dichiarato inammissibile l'appello, in quanto l'impugnazione, proposta nei confronti di sentenza nei confronti della quale era consentito solamente il ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 593, comma 3, cod. proc. pen., essendo stata applicata la sola pena dell'ammenda, avrebbe dovuto essere trasmessa a questa Corte quale giudice competente, ai sensi dell'art. 568, comma 5, cod. proc. pen., senza adottare alcun provvedimento in ordine alla stessa, che va pertanto qualificata come ricorso.
Lo stesso, peraltro formulato in termini generici e privi di confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, è affidato a censure non consentite nel giudizio di legittimità, in quanto non tengono conto del fatto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processò.
Anche a seguito della modifica dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen, con la l. 46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all'annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n. 752 del 18.12.2006; Sez. 2, n. 23419 del 2007, Vignaroli; Sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012).
Il Tribunale di Grosseto ha, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, fondato l'affermazione di responsabilità sugli accertamenti compiuti nei due cantieri allestiti dall'impresa dell'imputato in Manciano, in occasione dei quali erano emerse le violazioni alle disposizioni antinfortunistiche contestate.
Il ricorrente, invece, come risulta dallo stesso ricorso, propone una rivisitazione del materiale probatorio, sia a proposito della propria responsabilità, non essendo emersa alcuna delega di funzioni per quanto riguarda la sicurezza del lavoro ed essendo di conseguenza irrilevante la presenza nei cantieri di un direttore dei lavori; sia a proposito delle risultanze dell'istruttoria, pur non deducendo alcun vizio al riguardo (tale non potendo ritenersi l'affermazione che alcune delle irregolarità riscontrate riguardavano l'impianto elettrico); sia a proposito della esistenza di un rapporto di subordinazione con alcuni lavoratori, sia pure formalmente autonomi, anch'esso accertato in fatto con motivazione che non è stata oggetto di specifica censura.
Ne consegue, in definitiva, l'inammissibilità del ricorso, affidato a motivi non consentiti nel giudizio di legittimità.
L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza impugnata, giacché essa impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale innanzi al giudice di legittimità e preclude l'apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. un., 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, Rv. 217266: nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. un., 2 marzo 2005, n. 23428, Bracale, Rv. 231164, e Sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8.5.2013, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 2.000,00. 

 

 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio l'ordinanza in data 7/7/2016 della Corte d'appello di Firenze e, qualificata l'impugnazione come ricorso, lo dichiara inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2017