Cassazione Penale, Sez. 4, 24 marzo 2017, n. 14624 - Infortunio mortale durante la riparazione di una presa elettrica non a norma. Responsabilità del DL per la mancanza di protezioni contro il rischio di contatti diretti con la corrente elettrica


 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: CAPPELLO GABRIELLA Data Udienza: 02/03/2017

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte d'appello di Ancona ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Camerino appellata dall'imputato B.S., con la quale il predetto era stato condannato per il reato di omicidio colposo aggravato dalla inosservanza delle norme antinfortunistiche, quale datore di lavoro di B.G. (fatto accaduto il 24 giugno 2003).
2. La vicenda riguarda, per l'appunto, il decesso del lavoratore B.G., occorso in occasione di un incidente sul lavoro avvenuto mentre il predetto, dipendente della ditta B., si era apprestato a riparare una presa elettrica non a norma ed, in particolare, a tagliare un foglio di rete elettrosaldata con l'ausilio di un frullino, in assenza di un quadro elettrico nel cantiere ove si svolgeva la lavorazione.
In particolare, si è addebitato all'imputato, nella qualità, per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, non avendo curato adeguatamente che venissero adottate tutte le precauzioni e tutti gli accorgimenti per evitare che ci fossero situazioni di pericolo per gli addetti all'esecuzione dei lavori all'interno del cantiere [ed, in particolare, in violazione degli artt. 4 lett. a), b), c) d.P.R. 547/55, 21, 22 d. Lgs. 626/94, 271 e 285 d.P.R. 547/55, per avere omesso di fornire le necessarie misure di sicurezza e di rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti e di effettuare collegamenti elettrici a terra], non realizzando un quadro elettrico di cantiere, con le precauzioni da sovraccarichi e da contatti diretti, né un impianto disperdente a terra, non utilizzando cavi elettrici a norma, non effettuando la dichiarazione di conformità legge 46/90, non realizzando l'impianto elettrico a norma, non attuando le misure di sicurezza opportune e non rendendo, infine, edotti i lavoratori dei rischi specifici cui andavano incontro e non esigendo che i lavoratori osservassero le norme di sicurezza ed i mezzi di protezione, di avere così cagionato il decesso della vittima avvenuto con le modalità sopra descritte.
3. L'imputato ha proposto ricorso per cassazione formulando sei distinti motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento al ritenuto obbligo di predisporre il quadro elettrico. Nel caso di specie, si sarebbe trattato di un modesto cantiere nel quale veniva utilizzato un solo strumento elettrico (il frollino impiegato dalla vittima), con esenzione del datore di lavoro dall'obbligo di approntare il quadro elettrico, avendo lo stesso C.T. del P.M. affermato che l'impiego da parte della vittima di un "frollino classe 2", vale a dire uno strumento dotato di doppio isolamento, costituisce l'unica eccezione all'obbligo di installazione dell'impianto a terra.
Con il secondo, ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla valutazione della condotta imprudente del lavoratore, tale da assurgere a comportamento abnorme interruttivo del nesso di causalità, avendo egli operato su un apparecchio elettrico (la spina della prolunga), mentre esso era ancora attaccato alla elettricità, operando quindi "sotto tensione", così rimuovendo le uniche protezioni contro i contatti diretti.
Con il terzo motivo, ha dedotto vizio di manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui il giudice ha ritenuto il nesso causale tra la condotta omissiva di mancato apprestamento in cantiere di protezioni per i contatti diretti, senza considerare che il quadro di cantiere e le altre attrezzature proteggono solo da contatti indiretti.
Con il quarto, ha dedotto analogo vizio con riferimento alla ritenuta violazione dell'obbligo di informazione e formazione, atteso che il B.G. era un muratore e che detto obbligo deve essere osservato dal datore con particolare riferimento alla tipologia ed alla natura delle mansioni assegnate al lavoratore.
Con il quinto, ha dedotto analogo vizio nella parte in cui si è ritenuto che il B.G. stesse usando un cavo non a norma per tagliare la rete, apparendo evidente un diverso svolgimento dei fatti che vedrebbe l'infortunato utilizzare per quel lavoro un frollino riconosciuto perfettamente a norma dal consulente.
Con il sesto motivo, infine, ha dedotto violazione di legge in relazione alla mancata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, trattandosi di fatti avvenuti sotto la vigenza dell'art. 157 cod. pen., nel testo anteriore alla novella di cui alla legge 251/05 e agli insaprimenti sanzionatoci dell'art. 589 comma 2 cod. pen., successivi agli interventi legislativi di cui alle leggi 102/2006 e 125/08, dovendosi calcolare un'unica sospensione per astensione dal 30/03/09 al 15/06/2009.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso va rigettato.
2. Il giudice dell'appello ha condiviso e fatto propria la ricostruzione fattuale operata nella sentenza di primo grado, sulla scorta delle risultanze probatorie acquisite (testimonianze e documenti), richiamando le dichiarazioni del teste M. (ispettore ASL), il quale aveva accertato che il cantiere non era a norma, che mancava il quadro elettrico, da montarsi obbligatoriamente in caso di installazione di un cantiere, che la presa di corrente con la quale stava lavorando la vittima era stata attaccata alla abitazione del committente, che il cavo utilizzato per tagliare la rete elettrosaldata non era a norma, in ciò individuando la causa principale dell'infortunio, e che vi era una prolunga anch'essa inidonea.
Dal canto suo, il teste G., collega di lavoro della vittima e testimone oculare del fatto, aveva riferito che il B.G. aveva usato il frollino, impiegando la prolunga, per tagliare dapprima le "bacchette", salvo poi, nel momento in cui l'attrezzo aveva smesso di funzionare, andare a controllare il punto in cui era avvenuto il danno, tentando di ovviarvi mediante un cacciavite. Ciò aveva fatto, come altre volte in precedenza, senza staccare la corrente, atteso che né il dichiarante né la vittima avevano mai ricevuto informazioni sull'utilizzo di attrezzi elettrici.
Proprio nella omessa formazione e informazione dei lavoratori, soggetti neppure dotati di specifica perizia, stanti le qualifiche di manovale l'uno (il G.), muratore l'altro (il B.G.) e nel loro impiego in mansioni che implicavano, tuttavia, l'utilizzo di apparecchi elettrici, senza approntare nel cantiere le necessarie protezioni contro il rischio di contatti diretti con la corrente elettrica, i giudici del merito hanno ravvisato l'omissione colposa dalla quale era scaturito l'evento mortale, escludendo l'abnormità del comportamene della vittima e la conseguente interruzione del nesso causale tra gli stessi, osservando che il comportamento - anche ove imprudente - del B.G. non poteva ritenersi anomalo o eccezionale o atipico, rientrando nelle fasi normali della lavorazione affidatagli.
3. Una premessa s'impone, alla luce del tenore dei motivi formulati in ricorso.
E' evidente che il ricorrente ha sostanzialmente riproposto in sede di legittimità le doglianze fondanti il gravame, alle quali però la Corte di merito ha dato una puntuale risposta, attraverso il legittimo rinvio alla sentenza di primo grado (soprattutto per quanto riguarda il compendio probatorio utilizzato), sostenuto peraltro da un vaglio critico, filtrato attraverso i motivi d'appello, pervenendo alle conclusioni rassegnate solo all'esito di un articolato, quanto completo, logico e non contraddittorio percorso argomentativo.
3.1. I primi cinque motivi sono infondati e possono essere unitariamente trattati, atteso che con essi il ricorrente muove da un comune presupposto, quello per il quale nel cantiere non dovesse collocarsi alcun quadro elettrico, atteso che in esso era presente un solo strumento elettrico.
La parte tuttavia omette di considerare che il rimprovero mosso al B.S. è stato, non solo quello di avere consentito la lavorazione in ambiente di lavoro non dotato dei necessari presidi di sicurezza, ma anche quello di avere impiegato un cavo non a norma e adibito un soggetto che non aveva la necessaria qualifica a mansioni che implicavano l'utilizzo di strumenti elettrici, senza avergli preventivamente fornito le necessarie informazioni in ordine ai rischi ad essi collegati.
Rispetto a tali omissioni, appare del tutto fuorviante, quindi, l'assunto secondo cui le dimensioni del cantiere e la circostanza che in esso fosse utilizzato un solo strumento elettrico avrebbero esentato il datore dall'obbligo di installare un quadro elettrico, atteso che il B.G. era nell'occorso intento ad una lavorazione (taglio di reti metalliche elettrosaldate) che richiedeva comunque l'impiego di uno strumento elettrico e che il lavoratore al quale tali mansioni erano state affidate non era dotato delle cognizioni necessarie per evitare i rischi che l'impiego di tali arnesi comportava.
3.2. Né l'utilizzo di tale strumento da parte del lavoratore può considerarsi avulso dal ciclo lavorativo, così come non può ritenersi eccentrico rispetto ad esso e neppure anomalo il fatto che, per ovviare ad un mancato funzionamento del frollino, il B.G. si sia determinato a risolvere il problema senza neppure staccare la corrente elettrica.
La dedotta abnormità del comportamento del lavoratore è argomento congruamente affrontato dalla Corte dì merito e, ancora una volta, le censure articolate con il ricorso non evidenziano vizi del ragionamento svolto da quel giudice, ma ripropongono inammissibilmente una diversa interpretazione del compendio probatorio, che costituisce oggetto proprio del sindacato di merito.
Sul punto, pare peraltro sufficiente un richiamo alla giurisprudenza consolidata di questa Corte per rilevare che la decisione del giudice di merito è del tutto coerente con i principi da essa ricavabili, atteso che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza. Ed è significativo che, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale venga attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento [Sez. 4 n. 3787 del 17/10/2014 Ud. (dep. 27/01/2015), Rv. 261946; n. 22249 del 14/03/2014, Rv. 259227],
4. Anche l'ultimo motivo è infondato.
Il reato per cui si procede è stato commesso in data 24/06/2003 e la sentenza di primo grado è stata pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge 251/2005. Pertanto, si pone la questione circa la individuazione della legge più favorevole tra la vecchia e la nuova (cfr. Sez. Un, n. 47008 del 29/10/2009, Rv. 244810).
Lo statuto della prescrizione applicabile al caso di specie è quello anteriore alla legge 251 del 2005, laddove la pena per il relativo calcolo è quella prevista dall'art. 589 comma 2, cod. pen., nel testo vigente prima delle novelle di cui alle leggi 102 del 2006 e 125 del 2008 che hanno modificato l'originaria previsione della forbice edittale (da anni uno ad anni cinque di reclusione), rispettivamente aumentando il minimo sino ad anni due di reclusione e il massimo sino ad anni sette di reclusione.
Da ciò non deriva, tuttavia, la conseguenza che la difesa ha preteso di trarre, atteso che il termine breve per il reato in esame è quello di anni dieci, mentre il termine lungo, per effetto degli atti interruttivi sul corso della prescrizione disciplinati dall'art. 160 comma 2 cod. pen., vigente prima della modifica introdotta dall'art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (a mente del quale <<in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati oltre la metà>>), è quello di quindici anni, in base al disposto di cui ai commi 1 e 6 dell'art. 157 cod. pen. novellato (con risultato del tutto analogo, quindi, all'applicazione del regime di prescrizione successivo alla legge c.d. ex Cirielli).
5. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.