Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 24 marzo 2017, n. 14607 - Chiusura manuale del coperchio del silos e caduta mortale dell'autista. La legale rappresentante della società proprietaria del sito avrebbe dovuto curare la sicurezza dell'impianto concesso in affitto


 

 

Presidente: BIANCHI LUISA Relatore: GIANNITI PASQUALE Data Udienza: 15/02/2017

 

 

 

Fatto

 

1. B.M., A.F. e A.FR. venivano rinviati a giudizio, per rispondere del reato di cui agli artt. 40 cpv., 113 e 589 comma 2 c.p., in relazione agli artt. 2 e 64 d. Lgs. n. 81 del 2008.
Secondo l'assunto accusatorio, consacrato nella originaria imputazione, gli imputati, nelle rispettive qualità, avevano cagionato la morte di G.R. per colpa consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, segnatamente, per non aver rimosso le scale di accesso ai silos, contenenti mangime, dell'allevamento avicolo sito in Civitella del Tronto, località Villa Lempa.
Tali scale, infatti, dopo l'apposizione di un sistema di apertura del coperchio del silos governabile da terra, dovevano essere rimosse, in quanto: la gabbia di protezione risultava posizionata ad una distanza da terra di m. 3,50 (in luogo dei previsti m. 2,50); sulla scala erano posizionati degli appigli non regolari (in luogo dei previsti pioli); gli appigli, oltre che irregolari, erano risultati posizionati ad una distanza di cm 9/11 dalla carcassa del silos (in luogo dei cm 15); e, soprattutto, la sommità del silos non era fornita degli appositi parapetti di protezione prescritti contro le cadute dall'alto.
Era così accaduto che, il giorno dell'infortunio, il lavoratore G.R., ultimato lo scarico della fornitura di mangimi per conto della ditta trasportatrice Piertrans di cui era dipendente, essendo risultato difettoso il sistema di apertura del coperchio del silos (come sopra rilevato, governabile da terra), era salito sulla sommità del silos per chiudere manualmente il coperchio dello stesso e, mentre era intento a tale incombenza, aveva perso l'equilibrio ed era precipitato a terra, riportando la morte a seguito della caduta.
2. La Corte di appello di L'Aquila con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza 23/11/2012 del Tribunale di Teramo, ha assolto A.F. e A.FR. dal reato loro ascritto ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p. per non aver commesso il fatto, ma ha confermato il giudizio di penale responsabilità espresso nei confronti dell'odierna ricorrente B.M..
In punto di trattamento sanzionatorio, la Corte, avendo ritenuto le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, ha rideterminato la pena per la B.M. in mesi 5 e giorni 10 di reclusione, sostituendo la stessa con la pena pecuniaria di euro 6.080,00 di multa ed eliminando il beneficio della pena sospesa.
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale, tramite difensore di fiducia, propone ricorso l'imputata, articolando 3 motivi di doglianza
2.1. Nel primo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in punto di ripetuta immutazione del fatto contestato.
La ricorrente - dopo aver premesso che in sede di richiesta di rinvio a giudizio le era stato contestato che, nella sua qualità, pur avendo poteri decisionali e di spesa relativi alla gestione della società agricola Teramana srl e degli allevamenti a questa appartenenti, non aveva rimosso le scale di accesso al colmo del silos, che era destinato a contenere mangime e nel quale ebbe a verificarsi l'infortunio per cui è processo, come pur avrebbe dovuto in tesi di accusa, trattandosi di scale prive delle protezione atte ad evitare la caduta di persone nel vuoto - si lamenta del fatto che, nonostante l'opposizione del proprio difensore, il capo di imputazione era stato riformulato dal PM, dapprima, in sede di udienza preliminare e, poi, in sede di udienza dibattimentale 5/10/2011.
Secondo la ricorrente, detta duplice riformulazione del capo di imputazione aveva pregiudicato le sue facoltà difensive, rilievo questo che aveva formato oggetto di uno specifico motivo di appello, respinto dalla Corte territoriale sulla base dell' erroneo presupposto di diritto, in base al quale, nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo di imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non varrebbe a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione; nonché sulla base dell'erroneo presupposto di fatto, in base al quale, nel caso di specie, fin dall'imputazione contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, la contestazione era stata concepita in termini ampi (omessa adozione di cautele atte ad impedire la caduta dall'alto di persone che eseguono lavori ad una certa altezza da terra) e su detti termini gli imputati erano stati in condizione di difendersi a tutto campo.
La ricorrente rileva che, contrariamente a quanto rilevato dalla Corte, nel caso di specie, l'addebito originario riguardava un profilo (non di colpa generica, ma) di colpa specifica. Inoltre non era stato preso in considerazione: nè il fatto che l'agricola Teramana srl aveva una sua autonomia giuridica, operativa e patrimoniale e che, al momento dell'infortunio (e comunque da gran tempo) era gestita in affitto dalla società Bionature, della quale era legale rappresentante V.P. (originariamente indagato, la cui posizione era stata successivamente archiviata), che sovraintendeva alla attività aziendale; né il fatto che il lavoratore deceduto G.R. era dipendente di Piertrans, della quale era legale rappresentante E.DP. (pure originariamente indagato e la cui posizione pure era stata successivamente archiviata).
2.2. Nel secondo si deduce vizio di motivazione e violazione di legge in punto di affermazione di penale responsabilità dell'imputata in relazione al reato alla stessa ascritto.
La ricorrente premette di essere consapevole del fatto che nella presente sede processuale è inammissibile in linea di fatto la rivalutazione delle prove, ma si duole del fatto che le prove acquisite non sono state correttamente valutate. Sottolinea che era stato predisposto un progetto della realizzazione del sistema di apertura da terra del silos (comprendente la eliminazione della scala) già nell'anno 2004 in vista di ottenere un finanziamento INAIL; ma, poiché il finanziamento non fu erogato, l'intervento di sistemazione dei silos era stato effettuato dal Consorzio Gesco, con la conseguenza che la fase esecutiva era stata di spettanza dei preposti alle singole società, con l'assistenza dell'ufficio tecnico e sotto la supervisione e direzione del Geom. E. C. (che avrebbe poi cessato le sue funzioni nell'anno 2006).
Secondo la ricorrente, nel 2004 era il E.C. che, quale direttore dell'Ufficio Tecnico, si era occupato della realizzazione dell'impianto di apertura e chiusura da terra del silos e che, nella suddetta qualità, avrebbe dovuto verificare il rispetto della normativa antiinfortunistica. D'altronde, osserva la ricorrente, lo stesso E.C., in un ricorso presentato al Giudice del lavoro, aveva riferito di aver collaborato con la responsabile dell'ufficio finanziario per la realizzazione dei nuovi impianti ed aveva ammesso di avere una autonomia patrimoniale pari a 6 milioni e mezzo di euro (rispetto alla quale era del tutto irrilevante la presumibile spesa per la eliminazione della scala per cui è processo).
2.3. Nel terzo motivo si deduce vizio di motivazione per travisamento delle prove.
La ricorrente si duole che la Corte territoriale, da un lato, avrebbe utilizzato informazioni inesistenti e, dall'altro, avrebbe omesso di valutare dati probatori decisivi.
In particolare, la Corte avrebbe erroneamente affermato che «la contemporanea esistenza di un Consorzio Gesco e di un ufficio tecnico facente capo allo stesso direttore (il geom. E.C.), ..., non elide la penale responsabilità della società proprietaria», atteso che lo stesso Geom. E.C., nel suo ricorso al giudice del lavoro, aveva riferito: di gestire, in completa autonomia, un budget annuale di spesa di euro 6.500.000; di avere la responsabilità diretta delle scelte tecniche, dei fornitori, dei contratti e dell'ammissione al finanziamento dei singoli lavori; nonché di essere stato nominato a far tempo dal 1996 responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali di cui all'art. 8 del d. Lgs n. 626/1994 in diverse società.
In definitiva, secondo la ricorrente, il E.C., per sua stessa ammissione, sarebbe stato un preposto a tutti gli effetti: non soltanto esperto sul piano professionale, ma anche dotato di autonomia (gestionale e patrimoniale) assai ampia. E la valutazione di tale decisivo dato probatorio sarebbe stato erroneamente omesso dalla Corte territoriale, nonostante che sul punto era stato articolato uno specifico motivo di appello.
3.In vista dell'odierna udienza, la ricorrente, sempre tramite il proprio difensore di fiducia, deposita memoria, nella quale ribadisce i motivi di ricorso (e in particolare la nullità di cui al motivo primo, la sua qualifica soggettiva di cui al motivo secondo e il difetto di soggettiva prevedibilità dell'evento di cui al motivo terzo), facendo presente che detti motivi di ricorso si ricollegano ai motivi di appello, sia pure circoscritti ai profili ammessi dalla natura e dalla funzione proprie del giudizio di legittimità.
La ricorrente ribadisce che il costo per la eliminazione delle scale (e per la installazione del parapetto) ammontava a poche centinaia di euro: se entrambi gli incombenti avessero dovuto essere effettuati, l'obbligo di intervenire sarebbe spettato ai legali rappresentanti delle singole società associate nel consorzio (e, in particolare, al V.P., quale legale rappresentante di Bionature, affittuaria dell'allevamento) e, in subordine e in ogni caso, al Geom. E.C., quale responsabile della prevenzione per tutte le società aderenti al consorzio. Ribadisce che, all'epoca dei fatti, il Geom. E.C. era colui che dirigeva la divisione che si occupava degli allevamenti in agro teramano; e che tale circostanza, denunciata come oggetto di travisamento, non comporta una rivisitazione del fatto. Sottolinea l'infondatezza della tesi per la quale il controllo sarebbe a lei spettato, quando erano presenti ben due figure (il datore di lavoro V.P. ed il preposto E.C. per l'appunto).
 

 

Diritto

 


1 .Il ricorso non è fondato
2. Non fondato è il primo motivo di ricorso, concernente la pretesa violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza.
La Corte territoriale ha correttamente disatteso l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio - in conformità di consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, peraltro puntualmente richiamato (Sez. 4, sent. n. 13916 del 17/1/2008, Romano ed altro, Rv. 239221), in quanto, nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p..
Ciò perché, nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione: ciò dovendosi ritenere in quanto il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicché questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere.
In coerenza con detto principio di diritto, la Corte territoriale ha disatteso l'istanza difensiva, osservando che, nel caso di specie - nel quale non soltanto la contestazione contenuta nell'avviso ex art. 415 bis c.p.p. era stata concepita in termini ampi (omessa adozione di cautele atte ad impedire la caduta dall'alto di persone che eseguono lavori ad una certa altezza da terra), ma vi era stata contestazione suppletiva nel dibattimento di primo grado - il fatto ritenuto in sentenza non era affatto né fatto nuovo e neppure fatto diverso rispetto a quello contestato, in quanto la intervenuta specificazione della colpa aveva inserito nella contestazione profili che non avevano alterato la struttura del fatto, sul quale la B.M. aveva avuto facoltà di difendersi a tutto campo.
3. Non fondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che qui si trattano congiuntamente in quanto strettamente connessi.
3.1. Il Tribunale di Teramo, nel ricostruire i fatti, ha esordito affermando che dalle deposizioni testimoniali rese dalle persone che avevano assistito alle tragiche fasi dell'infortunio era emersa la «completa ed esaustiva ricostruzione della dinamica dei fatti» (p.3), che avevano portato lo sfortunato G.R., che svolgeva attività di autista del camion (che stava trasportando mangime alle dipendenze della ditta PIER Trans snc), a cadere dalla sommità del silos, sul quale era salito per svolgere una attività, quella di apertura del coperchio, che solo in senso assai lato poteva ricondursi alla sua ordinaria attività di autotrasportatore.
In particolare, secondo il Giudice di primo grado: sulla base delle deposizioni dei testi L.L. (collega della vittima) e del dott. DC. (tecnico della prevenzione, delegato dal PM), era stato possibile stabilire che il G.R. era salito sulla sommità del silos dell'allevamento agricolo Valle Lempa, dal quale sarebbe poi caduto, per svolgere l'attività di movimentazione manuale del coperchio, a causa del malfunzionamento del meccanismo di apertura/chiusura per tramite di un sistema di leve, azionabile da terra. E l'istruttoria espletata aveva dimostrato l'esistenza di una prassi consolidata presso il suddetto allevamento avicolo, secondo la quale, in assenza del custode (come nell'occasione verificatasi), l'autotrasportatore di mangime che aveva eseguito il viaggio doveva, se necessario, arrampicarsi fino alla sommità della struttura avvalendosi di una serie di pioli esterni al silos, privi di un sistema di protezione anticaduta, per sospingere meccanicamente il coperchio fino alla chiusura dello stesso.
Il Giudice di primo grado ha ricordato la sezione n. 4 del documento (stilato nel novembre 2007 dalla Agricola Bionature srl, società che al momento dell'incidente gestiva gli impianti dell'allevamento di Villa Lempa, che erano stati dati in affitto alla medesima dalla Società Agricola Abruzzese srl con contratto 28.9.2007) di prevenzione, protezione e valutazione dei rischi "lavoro in quota", nel quale erano state previste una serie di misure di prevenzione aventi ad oggetto la "verifica silos". Ed ha richiamato i principi sottesi a qualsivoglia misura di sicurezza in ambiente di lavoro, secondo i quali le perdite di stabilità e di equilibrio di persone che possono comportare cadute da un piano di lavoro ad un altro, posto a quota inferiore (di norma, dislivello maggiore di 2 metri), devono essere impedite con misure di prevenzione, generalmente costituite da parapetti di trattenuta applicati a tutti i lati liberi, misure che nel caso di specie non erano state approntate, avendo il G.R. operato sulla sommità del silos senza alcun supporto di contenimento che lo riparasse in caso di perdita di equilibrio.
Secondo quanto argomentato nella sentenza di primo grado (p.20), la penale responsabilità della B.M. si fondava sul fatto che:
- l'imputata, all'epoca dell'infortunio mortale, rivestiva la carica di amministratore unico della Agricola Teramana srl, società che, dal 24.7.2007, era divenuta proprietaria dell'allevamento condotto dalla Agricola Bionature: in tale qualità l'imputata avrebbe dunque dovuto curare, con la massima diligenza possibile, la sicurezza dell'impianto nelle sue componenti strutturali e, in particolare, avrebbe dovuto conformare i silos ai criteri di cautela introdotti dalla normativa di settore;
-l'infortunio de quo sarebbe stato evitato se solo fossero stati eliminati (anche previo investimento delle necessarie somme da parte di coloro che avevano potere decisionale al riguardo), gli appigli esterni alla parete del silos, o se fossero stati realizzati adeguati parapetti in grado di garantire l'operatore dal rischio di caduta dall'alto, con la conseguente impossibilità - nella concreta fattispecie - di invocare l'esistenza di eventuali condotte anomale ed atipiche del danneggiato.
3.2. La Corte di appello ha preso in esame la ricostruzione del fatto esaminata dalla difesa, secondo la quale l'istruttoria dibattimentale - compiuta attraverso l'escussione dei testi L.L. (collaboratore della vittima al momento in cui, si effettuò lo scarico del mangime, testimone oculare dell'incidente mortale), I.DB. (collega di lavoro della vittima) e F.M. (custode dell'allevamento ove si verificò il decesso) - avrebbe consentito di provare che: a) il meccanismo di apertura e chiusura della botola del silos aveva sempre funzionato; b) comunque - in caso di mancato funzionamento - avrebbe dovuto essere riparato dal personale addetto alla manutenzione; c) in nessun caso il trasportatore avrebbe dovuto salire sul colino del silos per chiudere manualmente il coperchio; d) ove l'operazione di chiusura da terra fosse stata impedita (come nella concreta fattispecie), il trasportatore avrebbe dovuto avvertire il custode, lasciando aperta la botola; e) nonostante il G.R. conoscesse l'esistenza di detta prassi di scarico, il giorno del sinistro - dopo aver scaricato il mangime all'interno del silos fuori orario di lavoro (avendo avvertito telefonicamente il custode di ciò) e dopo aver aperto la botola da terra in maniera difficoltosa - aveva preferito (invece di lasciare aperta la botola e/o di sforzarsi a richiuderla da terra, come aveva fatto in apertura) salire sul silos per effettuare la chiusura "a mano", perdendo in tale frangente l'equilibrio e cadendo nel vuoto.
Tuttavia, la Corte ha disatteso detta ricostruzione, in quanto dal testimoniale in atti (così come riportato nella motivazione della sentenza di primo grado) era invece emersa l'esistenza di una prassi (cfr. in particolare la deposizione resa dai teste DB., collega di lavoro della vittima, della cui attendibilità non v'era motivo di dubitare) secondo la quale, quando il sistema di apertura e di chiusura da terra del coperchio del silos appariva difettosa, "a volte si saliva sopra" utilizzando la scala, e che ciò accadeva quando si andava a "fuori orario, il tempo magari era un pò incerto, per non far bagnare la roba se magari pioveva si saliva sopra e si chiudeva". In sostanza la scala in oggetto "era utilizzata per chiudere i silos in caso di difficoltà", (così, testualmente dalla deposizione del teste DB.); il teste aveva anche dichiarato, rispondendo alle domande del PM, che non aveva firmato alcun documento che vietava l'accesso a dette scale e che non vi era alcun cartello che vietava di salirvi. Rilevante era anche la deposizione resa dal teste L.L., secondo il quale la vittima - prima di salire sulla sommità del silos - aveva provato invano, assieme a lui, a chiudere il coperchio da terra.
La Corte territoriale ha anche preso in esame l'assunto difensivo secondo il quale - poiché l’allevamento di Villa Lempa, pur appartenendo alla Società Agricola Teramana (SAT), della quale la B.M. era rappresentante legale, era gestito dalla soc. Agricola Bionature di V.P.ni Vittorio sulla base di un contratto di affitto di azienda, peraltro stipulato quando la B.M. non era ancora socia di SAT - non era di certo la B.M. a potersi o a doversi preoccupare di apprestamenti di un impianto dato in affitto, realizzato e funzionante da gran tempo: secondo l'assunto difensivo, unicamente al V.P. incombeva l'obbligo di provvedere alla manutenzione degli impianti, non certo al proprietario dell'allevamento che al predetto era stato affittato.
Tuttavia la Corte ha disatteso il suddetto assunto sulla base delle seguenti argomentazioni:
-dalla documentazione agli atti risultava che, con atto di fusione per incorporazione del 15/12/2007, la società Agricola Teramana srl (proprietaria del sito di Villa Lempa all'epoca dell'incidente), era subentrata in tutto il patrimonio attivo e passivo di tre società incorporate, tra le quali la società Agricola Abruzzese srl, in tal modo subentrando anche nel contratto di affitto di azienda che quest'ultima aveva stipulato, in data 28.9.2007, in relazione all'allevamento di Villa Lempa, con la Agricola Bionature srl;
-dalla documentazione in atti risultava che nell'anno 2004 la società Agricola Abruzzese srl (all'epoca denominata società Agro Avicola Abruzzese srl, come desumibile dalla visura camerale in atti) aveva prodotto all'INAIL una domanda allo scopo di accedere al finanziamento per la messa in sicurezza dei silos dell'allevamento di Villa Lempa. Nella domanda si legge testualmente che l'intervento per il quale il finanziamento veniva richiesto era relativo all'incremento del livello di sicurezza contro gli infortuni e che consisteva "nella costruzione di un dispositivo meccanico ad azione manuale da installare su tutti i silos dei mangimi ....in sostituzione delle attuali scale metalliche fisse a pioli di ferro. Il dispositivo in questione consentirà la manovra dei coperchi superiori dei silos direttamente da terra senza più la necessità di salire sui silos tramite le scale attuali. In conseguenza dell'applicazione del suddetto dispositivo verranno eliminate dai silos tutte le scale metalliche fisse verticali a pioli esistenti....";
-dall'istruttoria dibattimentale era emerso che la pratica di richiesta di finanziamento INAIL non era mai stata completata e che il sistema meccanico di apertura dei portelloni dal basso era stato ugualmente installato (anche sul silos sul quale si era verificato l'incidente), prima che la società Agricola Teramana diventasse proprietaria del sito, senza però che venissero contestualmente eliminate le scale di accesso alla sommità dei silos medesimi; la permanenza di dette scale non poteva che costituire un fattore di rischio, come ben evidenziato nella domanda di finanziamento INAIL (presentata nel 2004 e non portata a compimento); di detto rischio non poteva non essere a conoscenza la società Agricola Teramana srl (SAT), subentrata nella proprietà e quale parte beatrice nel contratto di affitto di azienda precedentemente stipulato dalla società Agricola Abruzzese srl con la Agricola Bionature srl;
-dall'istruttoria dibattimentale era peraltro emerso che nell'allevamento di Villa Lempa era stato prevista una procedura di intervento con apposite piattaforme di lavoro per i casi eccezionali ed imprevisti di intervento in quota, sicché le scalette di accesso avrebbero potuto e dovuto essere rimosse, anche perché prive (cfr. in tal senso la deposizione del teste di P.G. DC,, riportata ampiamente nella motivazione della sentenza di primo grado) delle adeguate protezioni previste al punto 1.7.1.3 dell'Allegato IV al D. Lgs.. 81/2008. In alternativa, la presenza di dette scale di accesso alla sommità del silos avrebbe dovuto imporre sulla sommità medesima l'installazione di parapetti di protezione contro le cadute dall'alto, come prescritti nel punto 1.7.3 del medesimo Allegato IV. In assenza della scala o, in alternativa, in presenza di adeguati parapetti di protezione contro le cadute dall'alto situati sul colmo del silos, lo sfortunato G.R. non sarebbe certo precipitato a terra, riportando la morte a seguito della caduta.
La Corte territoriale, infine, ha ritenuto irrilevante (pp. 16-17), ai fini della esclusione della penale responsabilità del legale rappresentante della società proprietaria, la contemporanea esistenza di un Consorzio Gesco e di un ufficio tecnico facente capo allo stesso, diretto dal geom. E.C.. Invero, il Consorzio era stato previsto per assicurare a ciascuna ed a tutte le aziende ad esso aderenti di poter fruire, dei vantaggi commerciali di una siffatta aggregazione (era cioè un Consorzio che acquistava materie prime e che strutturava i servizi che dovevano essere organizzati, all'interno di ciascuna società); mentre l'Ufficio tecnico (diretto dal E.C.) svolgeva sì il servizio relativo alla prevenzione degli infortuni negli allevamenti delle società consorziate, ma ciò faceva collaborando con le singole società, in capo alle quali continuava a permanere la responsabilità della attuazione dei vari apprestamenti antinfortunistici.
Detta responsabilità, nella concreta fattispecie, trattandosi di allevamento concesso in locazione, continuava a permanere in capo alla locatrice, alla quale dunque spettava il compito di curare la sicurezza dell'impianto concesso in affitto, in tutte le sue componenti strutturali, mentre alla società locataria rimanevano unicamente (anche con richiamo alla clausola n. 9 del contratto di affitto di azienda) gli oneri relativi alla c.d. "ordinaria manutenzione" dei beni affittati (categoria nella quale non poteva farsi rientrare la conformazione dei silos locati ai criteri di cautela propri della normativa di settore).
In definitiva, secondo la Corte territoriale, B.M., nella qualità di legale rappresentante della società (Agricola Teramana srl) che all'epoca dell'Infortunio era proprietaria dell'allevamento condotto dalla Agricola Bionature, doveva essere ritenuta responsabile - ai sensi dell'art. 40 cpv cp - dell'evento mortale occorso al G.R., in quanto la stessa, proprio quale legale rappresentante della società proprietaria del sito, avrebbe dovuto curare la sicurezza dell'impianto concesso in affitto, in tutte le sue componenti strutturali, conformando pertanto i silos locati ai criteri di cautela propri della normativa di settore. Più specificamente, la B.M. - quale legale rappresentante della società locatrice (così correttamente qualificata nel capo di imputazione) - avrebbe dovuto munire la sommità dei silos (componenti strutturali dell'azienda locata) di appositi parapetti (previsti dalla normativa antinfortunistica di settore) o, in alternativa, eliminare le scale di accesso, anche perché non rispondenti alle previsioni legali ed ai criteri di buona tecnica vigenti, come richiamati nel capo di imputazione.
3.3. Così ripercorso l'ordito motivazionale delle sentenze di entrambi i giudici di merito, le argomentazioni poste a base delle censure in esame non valgono a scalfire la congruenza logica del complesso motivazionale posto a fondamento del provvedimento impugnato, al quale la parte ricorrente ha in realtà inteso piuttosto sostituire una sua visione alternativa del fatto, facendo riferimento al vizio motivazionale: pur asserendo di volere contestare l'omessa o errata ricostruzione di risultanze della prova dimostrativa, la ricorrente ha piuttosto richiesto a questa Corte un inammissibile intervento in sovrapposizione argomentativa, rispetto alla decisione impugnata, e ciò ai fini di una lettura della prova alternativa rispetto a quella, congrua e logica, fornita dal giudice di merito.
D'altronde, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare (Sez. 1, sent. n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera ed altri, Rv. 260841) che l’obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, come per l'appunto si verifica nel caso di specie, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello ed incompatibili con le 
motivazioni contenute nella sentenza devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'alt. 606, comma primo, lett. e), cod.proc.pen.
5. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 

 

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/02/2017.