Cassazione Penale, Sez. 4, 05 aprile 2017, n. 17179 - Pulizia del macchinario con uno straccio. Infortunio di un lavoratore interinale: prevedibile un suo errore nello svolgimento delle mansioni


 

L'art. 70 dlgs. 81/2008 prevede: "1. Salvo quanto previsto al comma 2, le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. 2. Le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di cui ai comma 1, e quelle messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all'emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V". E il contestato punto 6.1 dell'allegato V di tale norma, che disciplina i rischi dovuti agli elementi mobili, prevede che: "Se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione. Le protezioni ed i sistemi protettivi: • devono essere di costruzione robusta; • non devono provocare rischi supplementari; • non devono essere facilmente elusi o resi inefficaci; • devono essere situati ad una sufficiente distanza dalla zona pericolosa; • non devono limitare più del necessario l'osservazione del ciclo di lavoro; • devono permettere gli interventi indispensabili per l'installazione e/o la sostituzione degli attrezzi, nonché per i lavori di manutenzione, limitando però l'accesso unicamente al settore dove deve essere effettuato il lavoro e, se possibile, senza che sia necessario smontare le protezioni o il sistema protettivo.


Tutta la difesa si è incentrata sull'imprudenza commessa dalla persona offesa per essersi avvicinata alla macchina, mentre era in funzione, con in mano uno straccio. E sulla circostanza che nelle istruzioni di lavoro non era contemplato l'utilizzo di stracci.
Tuttavia, inconfutabile è apparso, sin dal processo di primo grado, che fino al verificarsi dell'infortunio l'impianto non risultava in alcun modo intercluso, nel senso che lo stesso, con l'organo lavoratore in movimento, poteva essere avvicinato dai lavoratori senza che il suo funzionamento subisse alcun tipo di interruzione.
Corretta, appare, dunque, la ricostruzione dei giudici di merito secondo cui l'infortunio appare riconducibile all'omessa adozione da parte del datore di lavoro della cautela che lo avrebbe evitato, in particolare se si fossero previsti ripari fissi o mobili tali da impedire al lavoratore di avvicinarsi con le mani alla zona pericolosa prima che questa fosse stata ferma.
Del resto, la circostanza che lo stesso datore di lavoro aveva espressamente previsto un divieto di accesso alla macchina mentre era in movimento esclude che tale rischio possa essere considerato imprevedibile ed, inoltre, risulta accertato, nel corso del processo che i lavoratori erano soliti utilizzare stracci nelle operazioni di pulizia quando la macchina girava lentamente (cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado).
Infine, non va dimenticato, che il lavoratore vittima dell'incidente era un lavoratore interinale e, pertanto, sebbene istruito sui compiti da svolgere e sulle regole di sicurezza era, per forza di cose, certamente meno esperto e, pertanto, maggiormente prevedibile può essere considerato un suo errore nello svolgimento delle proprie mansioni.


 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 09/03/2017

 

 

 

Fatto

 


1. La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 20 febbraio 2015, confermava la sentenza del Tribunale di Brescia, emessa in data 10.5.2010, nei confronti dell'odierno ricorrente V.G..
Il G.M. del Tribunale di Brescia aveva dichiarato il V.G. responsabile del reato per il reato di cui agli artt. 40 cpv., 110, 590 comma 1° e 3° cod. pen., in relazione all'art. 583 cod. pen., perché, in qualità di legale responsabile della società POLI TAPE ITALIA S.r.L., con sede legale e stabilimento produttivo in Castel Mella (BS), per colpa cagionava a P.M.S., lavoratore interinale dislocato presso lo stabilimento suddetto, lesioni personali consistite nella lussazione esposta con ampia FLC volare del D2, D3 della mano destra, con frattura D2 P3, giudicate guaribile in 100 giorni, per le quali l'INAIL riconosceva al predetto una invalidità pari a 8 punti, in quanto mentre lo stesso lavoratore, adibito alla macchina "agitatore a colonna" marca Maver numero di serie 982380/1 dell'anno 1999, procedeva alla pulizia della girante e dell'albero ad essa collegato, la sua mano destra veniva a contatto con l'utensile in movimento, subendo le fratture e le lesioni sopra descritte, stante la completa accessibilità di tali elementi pericolosi per l'assenza di ogni protezione e segregazione degli stessi; colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia nonché nell'inosservanza di norme preposte alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adottando le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica; erano necessarie a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori ed in particolare nella violazione: dell' art. 70 co. 2 in relazione al punto 6.1 allegato V del T.U. 81/2008, ed art. 71 T.U.81/2008 (già art. 68 DPR 547/55 ed art. 35 commi 1 e 2 D.Lgs. 626/94), in quanto metteva a disposizione dei lavoratori una attrezzatura di lavoro inidonea in relazione alla sicurezza dei lavoratori, non conforme ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V punto 6.1 sopra citato, e non adottava le misure tecniche ed organizzative necessarie per ridurre al minimo il rischio di lesioni alle mani per i lavoratori adibiti a tale macchina in particolare, l'organo lavoratore e la relativa zona operazioni della macchina "agitatore a colonna" marca Maver numero di serie 982380/1, non risultavano protetti, segregati o dotati di dispositivo di sicurezza al fine di evitare contatti accidentali degli addetti con la fresa in movimento. Fatto aggravato per aver cagionato lesioni gravi e perché commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Castel Mella (BS) il 05.12.2007. L'imputato, veniva condannato, concessegli le attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di mesi 3 di reclusione, convertita nella corrispondente multa di € 3.420,00. 
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, V.G., deducendo l'unico motivo di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
• Erronea applicazione della legge penale, mancanza di motivazione e manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova quanto alla ritenuta responsabilità dell'imputato per il reato di lesioni colpose aggravate (art. 606 comma 1 lett. b) e e), in relazione agli artt. 590, 2° e 3° comma cod. pen.).
Il ricorrente deduce che la motivazione della sentenza impugnata si sarebbe limitata a ripetere le argomentazioni del primo giudice senza esaminare gli specifici motivi di impugnazione oppure argomentando in maniera del tutto lacunosa e contrastante con le risultanze processuali, incorrendo nel vizio di travisamento della prova, con una decisione sostanzialmente illogica.
Ci si duole che la sentenza impugnata, che sarebbe costituita, sostanzialmente, da un "copia e incolla" della normativa di riferimento con citazione di ampi passaggi di una sentenza di questa Sezione, relativa ad un caso ritenuto simile, avrebbe erroneamente valutato una non conformità del macchinario alla normativa di sicurezza, perché l'organo lavoratore sarebbe stato privo di dispositivi atti ad evitare contatti accidentali degli addetti con la fresa in movimento.
Non si sarebbe tenuto conto che lo stesso organo era idoneamente segregato nel mastello contenete la resina che costituiva la protezione dello stesso organo in movimento e che, all'atto del sollevamento dell'elica rotante dal mastello, un microinterruttore ne determinava l'immediato arresto. L'unica parte accessibile del macchinario era l'albero rotante costituito da un'asta liscia e non pericolosa, tanto più che non vi era motivo per avvicinarsi alla stessa durante la lavorazione.
In sede di valutazione dei rischi - si sostiene in ricorso- tutto era stato contemplato e si era elaborata una dettagliata procedura per l'utilizzo della macchina, regolarmente marchiata CE.
Tutto ciò sarebbe stato provato documentalmente e confermato dal RSPP, la cui deposizione sarebbe stata ignorata dalla Corte distrettuale.
La macchina sarebbe stata sicura e solo la deliberata trasgressione delle istruzioni, da parte del lavoratore, avrebbe determinato il sinistro.
Del resto non vi era motivo di avvicinarsi con uno straccio e la giustificazione dell'infortunato che lo straccio sarebbe stato spinto da un fantomatico ventilatore sarebbe stata smentita, dalle deposizioni testimoniali.
Sul punto il ricorrente richiama la sentenza 10712/2012 di questa Sezione, che definisce l'abnormità del comportamento del lavoratore, allorquando consapevolmente si violino le cautele impostigli, anche nello svolgimento delle proprie mansioni.
Ciò sarebbe quanto accaduto nel caso di specie, con la violazione del divieto di qualsiasi intervento a macchina in funzione, mentre non sarebbe ipotizzabile pretendere l'avvenuta realizzazione di modifiche con apposizione di ulteriori protezioni ad un macchinario, marcato CE, che non presentava anomalie o carenze di sicurezza.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge.
 

 

Diritto

 


1. I motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Ed invero, la sentenza impugnata, anche se effettivamente riporta gran parte della motivazione di quella di primo grado, risponde appieno ai motivi di appello. Non pare, perciò, giustificata l'accusa che la stessa sia costituita da un copia e incolla della normativa e di una sentenza di questa Sezione, in quanto i passi effettivamente riportati vengono utilizzati a maggior chiarimento del ragionamento seguito dalla corte distrettuale.
La sentenza richiamata di questa sezione viene correttamente richiamata al fine di spiegare la motivazione per cui il comportamento, sia pure imprudente, del lavoratore non possa essere considerato abnorme e pertanto escludere la responsabilità del datore di lavoro che, nel caso di specie, rivestiva anche il ruolo di consigliere delegato con specifica delega per la sicurezza (cfr. pag. 5 della sentenza primo grado).
Va ricordato come, secondo il dictum di questa Corte di legittimità, il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell'esecuzione del lavoro.
Ritiene il Collegio di condividere il principio affermato da questa sez. 4 con la sentenza n. 7364 del 14.1.2014, Scarselli, rv. 259321 secondo cui non esclude la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia riconducibile comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal tale comportamento imprudente. (Fattispecie relativa alle lesioni "da caduta" riportate da un lavoratore nel corso di lavorazioni in alta quota, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto configurabile la responsabilità del datore di lavoro che non aveva predisposto un'idonea impalcatura - "trabattello" - nonostante il lavoratore avesse concorso all'evento, non facendo uso dei tiranti di sicurezza).
Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all'incolumità fisica dei lavoratori - si è peraltro affermato in altre condivisibili pronunce- ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e, comunque, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile. (sez. 4, n. 37986 del 27.6.2012, Battafarano, rv. 254365; conf. sez. 4, n. 3787 del 17.10.2014 dep. il 27.1.2015, Bonelli, rv. 261946 relativa ad un caso in cui la Corte ha ritenuto non abnorme il comportamento del lavoratore che, per l'esecuzione di lavori di verniciatura, aveva impiegato una scala doppia invece di approntare un trabattello pur esistente in cantiere).
3. Inoltre, la circostanza, ribadita dalla difesa in tutti gradi di giudizio, che il macchinario avesse marchiatura CE e, pertanto, non avesse bisogno di modifiche per la sicurezza, appare infondata ed è stata correttamente disattesa dai giudici di merito. Nel caso di specie non si trattava di modificare il macchinario, ma di predisporre un idoneo impedimento all'accesso allo stesso mentre era in movimento, cosa che è stata prescritta dalla Asl, dopo l'incidente, e realizzata.
A ben guardare sia i motivi di appello che quelli dell'odierno ricorso il ricorrente non introduce alcun elemento atto a contrastare la prospettazione accusatoria secondo cui egli avrebbe violato l'art. 70 dlgs. 81/2008, norma in materia di "requisiti di sicurezza" che prevede: "1. Salvo quanto previsto al comma 2, le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono essere conformi alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto. 2. Le attrezzature di lavoro costruite in assenza di disposizioni legislative e regolamentari di cui ai comma 1, e quelle messe a disposizione dei lavoratori antecedentemente all'emanazione di norme legislative e regolamentari di recepimento delle direttive comunitarie di prodotto, devono essere conformi ai requisiti generali di sicurezza di cui all'allegato V". E il contestato punto 6.1 dell'allegato V di tale norma, che disciplina i rischi dovuti agli elementi mobili, prevede che: "Se gli elementi mobili di un'attrezzatura di lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l'accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione. Le protezioni ed i sistemi protettivi: • devono essere di costruzione robusta; • non devono provocare rischi supplementari; • non devono essere facilmente elusi o resi inefficaci; • devono essere situati ad una sufficiente distanza dalla zona pericolosa; • non devono limitare più del necessario l'osservazione del ciclo di lavoro; • devono permettere gli interventi indispensabili per l'installazione e/o la sostituzione degli attrezzi, nonché per i lavori di manutenzione, limitando però l'accesso unicamente al settore dove deve essere effettuato il lavoro e, se possibile, senza che sia necessario smontare le protezioni o il sistema protettivo.
Tutta la difesa si è incentrata sull'imprudenza commessa dalla persona offesa per essersi avvicinata alla macchina, mentre era in funzione, con in mano uno straccio. E sulla circostanza che nelle istruzioni di lavoro non era contemplato l'utilizzo di stracci.
Tuttavia, inconfutabile è apparso, sin dal processo di primo grado, che fino al verificarsi dell'infortunio l'impianto non risultava in alcun modo intercluso, nel senso che lo stesso, con l'organo lavoratore in movimento, poteva essere avvicinato dai lavoratori senza che il suo funzionamento subisse alcun tipo di interruzione.
Corretta, appare, dunque, la ricostruzione dei giudici di merito secondo cui l'infortunio appare riconducibile all'omessa adozione da parte del datore di lavoro della cautela che lo avrebbe evitato, in particolare se si fossero previsti ripari fissi o mobili tali da impedire al lavoratore di avvicinarsi con le mani alla zona pericolosa prima che questa fosse stata ferma.
Del resto, la circostanza che lo stesso datore di lavoro aveva espressamente previsto un divieto di accesso alla macchina mentre era in movimento esclude che tale rischio possa essere considerato imprevedibile ed, inoltre, risulta accertato, nel corso del processo che i lavoratori erano soliti utilizzare stracci nelle operazioni di pulizia quando la macchina girava lentamente (cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado).
Infine, non va dimenticato, che il lavoratore vittima dell'incidente era un lavoratore interinale e, pertanto, sebbene istruito sui compiti da svolgere e sulle regole di sicurezza era, per forza di cose, certamente meno esperto e, pertanto, maggiormente prevedibile può essere considerato un suo errore nello svolgimento delle proprie mansioni.
I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele.
4. Né può porsi in questa sede la questione di un'eventuale declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen (così Sez. Un. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266 relativamente ad un caso in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso; conformi, Sez. Un., n. 23428 del 2/3/2005, Bracale, Rv. 231164, e Sez. Un. n. 19601 del 28/2/2008, Niccoli, Rv. 239400; in ultimo Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, rv. 256463).
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 9 marzo 2017