Cassazione Penale, Sez. 4, 05 aprile 2017, n. 17132 - Pericoloso spostamento dei bancali con la gru e infortunio mortale. Responsabilità del datore di lavoro della vittima e del responsabile di cantiere


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza 13 gennaio 2017

 

 

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza resa dal Tribunale cittadino nei confronti di J.V.S., C.A. e D.M. (imputato quest'ultimo non ricorrente), quali responsabili del decesso di P.A. a seguito di infortunio sul lavoro.
L'imputazione era stata elevata a carico dello J.V.S., quale legale rappresentante dell'impresa individuale Premium di J.V.S., esecutrice dei lavori di realizzazione del tetto di una palazzina ad uso residenziale in costruzione, in virtù di contratto di appalto stipulato con la CSM Impresa di Costruzioni Generali s.r.l., esecutrice principale dei lavori di edificazione della palazzina medesima, nonché datore di lavoro del P.A.; a carico del C.A., in qualità di responsabile del cantiere, in virtù di contratto di consulenza stipulato con la CSM; a carico, infine, del D.M., in qualità di legale rappresentante dell'impresa individuale La Termoidraulica di D.M., che quale subappaltatrice, prestava tra l'altro l'assistenza muraria alla posa delle opere da fabbro, relative al sopra indicato cantiere.
2. Secondo la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di primo grado, a cui quella di appello fa esplicito rinvio, la mattina del 6 marzo 2009 mentre il D.M., sotto la supervisione del C.A., ed in presenza dello J.V.S., stava operando alla guida di una gru la movimentazione di bancali di tavole di legno dalla soletta al piano terra, a causa dello scivolamento dei bancali agganciati alla forca ma non adeguatamente assicurati, la forca si era proiettata indietro per sbandamento ed aveva colpito il P.A., presente sul posto perché avrebbe dovuto poi provvedere all'esecuzione della copertura in legno dello stabile.
In base a quanto accertato dall'U.P.S.O.A.L. lo spostamento dei materiali sollevati dalla gru era avvenuto in spregio di ogni norma di sicurezza, in quanto il carico avrebbe dovuto essere unitario e non costituito da due bancali sovrapposti, ed inoltre doveva essere non meramente appoggiato ma ben assicurato alla forca con catene e cinghie in modo tale da evitarne ogni possibile caduta.
Secondo la Corte territoriale, l'omissione di queste elementari guarentigie aveva condotto all'infortunio mortale e la responsabilità era da attribuire, oltre che al D.M., autore diretto dell'azione, sia al C.A., titolare quale capo cantiere di una specifica posizione di garanzia che lo rendeva destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le modalità di esecuzione di qualsiasi lavoro all'interno del cantiere rispettassero in maniera indefettibile tutte le norme antinfortunistiche, sia allo J.V.S., titolare anch'egli, quale datore di lavoro della vittima, di una posizione di garanzia che gli imponeva di impedire ogni utilizzo improprio delle attrezzature di cantiere e di vigilare a che l'operaio alle sue dipendenze non si trovasse in una posizione per lui pericolosa. 
3. Il C.A. e lo J.V.S., tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi.
4. Il ricorso del C.A. è affidato a cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo si prospetta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt.40 e 589 c.p.: la decisione di spostare i bancali dal sottotetto al piano terra era stata presa dallo J.V.S. e l'arch. C.A. aveva dato agli operatori precise direttive di movimentazione, intimando loro di utilizzare le cinghie e di spostare i bancali uno alla volta; si era poi allontanato dal luogo dell'incidente per preparare il plano dove appoggiare il materiale e nel contempo il D.M. aveva Iniziato lo spostamento agendo contro le sue Istruzioni.
4.2. Con il secondo motivo si deducono i medesimi vizi in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: la Corte si era limitata ad affermare che non vi erano positivi elementi di valutazione senza tenere conto che l'incensuratezza dell'imputato ed il suo leale comportamento processuale avrebbero dovuto indurre ad un trattamento sanzionatorio più mite.
4.3. Con il terzo motivo si rivolgono analoghe censure in relazione alla mancata concessione dell'attenuante dell'art. 114 c.p., stante la marginalità della colpa del ricorrente rispetto all'evento lesivo mortale.
4.4. Oggetto del quarto motivo è poi la omessa pronuncia della Corte di Milano sulla richiesta di applicazione del beneficio della non menzione, invocato in sede di gravame.
4.5. Il quinto motivo attiene Infine all'entità della provvisionale riconosciuta a ciascuna parte civile (fratelli della vittima), quantificata in € 100.000,00 senza alcuna motivazione.
5. Lo J.V.S. affida il ricorso a quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo denuncia totale assenza di motivazione in relazione a quanto dedotto dalla difesa con motivi nuovi depositati il 29 ottobre 2015, e specificamente In ordine alla inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dai testi P. (tecnico della ASL) e Pi. (ufficiale della Polizia Locale), in quanto assunte in violazione degli artt.62 e 191 c.p.p., ed al diniego del beneficio della non menzione.
5.2. Con un secondo motivo lamenta mancanza o manifesta illogicità della motivazione in punto di valutazione delle dichiarazioni rese dal coimputato C.A., animate da meri intenti difensivi.
5.3. Con un terzo motivo ripropone, sotto il profilo della violazione di legge, l'eccezione di inutilizzabilità delle testimonianze rese dal P. e dal Pi., già sollevata con i motivi aggiunti di appello, perché riferita a quanto da essi appreso dagli imputati.
5.4. Con il quarto motivo infine deduce erronea applicazione degli artt.589 c.p. e 18 lett.f) D.Lgs.n.81/2008 poiché egli è chiamato a rispondere della violazione della disciplina antinfortunistica e di un'errata manovra da parte del D.M., operatore della gru, senza che sussistesse tra i due di un rapporto di dipendenza.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi non sono fondati.
2. Il C.A., come già detto, rivestiva la qualità di responsabile di cantiere in virtù di contratto di consulenza stipulato con la CSM Impresa di Costruzioni Generali s.r.l., esecutrice principale dei lavori di costruzione della palazzina Residenza Ticino, ove si verificò l'infortunio.
L'addebito di colpa elevato a suo carico è stato quello di non aver attuato quanto previsto nel PSC del cantiere (in violazione dell'art.110, comma 3, D.Lgs.n.81/2008) e di non aver adottato le misure tecniche e organizzative per impedire che le attrezzature di lavoro potessero essere utilizzate per operazioni e condizioni per le quali non erano adatte, e per controllare che invece fossero utilizzate in conformità alle istruzione d'uso (in violazione dell'art.71, commi 3 e 4, lett.a punto 1, D.Lgs.n.81/2008).
La qualifica di responsabile di cantiere, acquisita con una formale investitura in forza di contratto di consulenza, e di fatto esercitata, attribuiva quindi all'arch. C.A. una specifica posizione di garanzia, riguardante, per quanto qui interessa, anche l'organizzazione generale della sicurezza del cantiere, avendo egli onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie e sulla predisposizione dei presidi di sicurezza durante le varie attività.
Va infatti ricordato che in materia di prevenzione degli incidenti sul lavoro, il "capo cantiere", anche in assenza di una formale delega in materia di sicurezza sul lavoro, è destinatario diretto dell'obbligo di verificare che le concrete modalità di esecuzione delle prestazioni lavorative all'Interno del cantiere rispettino le norme antinfortunistiche (Sez.4, sent.n.12673 del 4 marzo 2009, Rv.243216; Sez.4, sent.n.4340 del 24 novembre 2015, Rv.265977): egli perciò assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza sul lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operari, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione, e risponde perciò degli infortuni occorsi ai dipendenti (Sez.4, sent.n.9491 del 10 gennaio 2013, Rv.254403).
Nella specie era stata utilizzata una gru per la movimentazione di bancali senza che il materiale fosse saldamente assicurato alla forca.
Secondo la Corte territoriale, il livello di responsabilità dirigenziale dell'imputato era stato in concreto malamente gestito e proprio la violazione degli obblighi inerenti alla sua  posizione di garanzia comportava la sua responsabilità in relazione alla morte del lavoratore.
Il ragionamento è corretto.
Il giorno 6 marzo 2009, come ben argomentato in sentenza, egli era presente in cantiere e non solo aveva interferito in modo esplicito nella movimentazione del carico, ma aveva collaborato direttamente a tale manovra, recandosi al piano terreno per preparare il luogo ove depositare i pesanti bancali. La movimentazione di quel tipo di carichi con le forche era vietato dal PSC elaborato dal committente, così come era vietato movimentare due bancali sovrapposti, non "reggiati" (ossia non tenuti insieme da pesanti legature), ed ancor di più spostarli senza che fossero in alcun modo ancorati alla forca della gru.
Rilevante dunque la condotta del C.A. nella causazione dell'evento, atteso che egli, venendo meno ad ogni obbligo a suo carico, nulla aveva fatto per evitare che la gru operasse lo spostamento dei bancali in modo assolutamente pericoloso e violativo delle regole di sicurezza vigenti in cantiere, così da rendere la caduta del carico non solo prevedibile ma addirittura probabile.
Di qui l'infondatezza del primo motivo.
2.1. Quanto al secondo, al terzo ed al quarto motivo, si osserva che la Corte di Milano, con motivazione che non si presta a censure, sottolineata la palmare prevedibilità dell'evento, le numerose violazioni di norme prevenzionali, il grado della colpa e la drammaticità delle conseguenze, ha concordato con il Tribunale in ordine all'entità della sanzione inflitta: in particolare, ha escluso la possibilità di riconoscere le attenuanti generiche, in assenza di una condotta meritevole ed in tal senso positivamente valutabile, l'attenuante dell'art.114 c.p. ritenendo la condotta omissiva del C.A. assai rilevante, o meglio la più rilevante, nella causazione dell'evento, e per le medesime ragioni non ha ritenuto concedibile il beneficio della non menzione.
Si tratta dell'esercizio di un potere discrezionale, che, essendo supportato da puntuale motivazione, è immune da censure prospettabili in sede di legittimità e, peraltro, non ancorate ad elementi nuovi di valutazione.
2.2. Inammissibile infine l'ultimo motivo attinente alla quantificazione della provvisionale.
Più volte questa Corte si è pronunciata nel senso che non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa, non necessariamente motivata (Sez.3, sent.n. 18663 del 27 gennaio 2015, Rv.263486), insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Sez.6, sent.n.50746 del 14 ottobre 2014, Rv.261536). 
3. Passando ad esaminare il ricorso dello J.V.S., si osserva che egli è stato ritenuto responsabile dell'evento in qualità di titolare dell'Impresa individuale Premium, esecutrice dei lavori di realizzazione del tetto della palazzina, nonché datore di lavoro del P.A..
L'addebito di colpa è il medesimo attribuito al C.A..
Il datore di lavoro, titolare per il suo ruolo di una precisa posizione di garanzia nei confronti dell'operaio alle sue dipendenze e tenuto a far rispettare le misure relative alla sicurezza sul luogo di lavoro, era presente in cantiere ove quel giorno era in corso proprio quella attività di realizzazione del tetto, di sua specifica ed esclusiva competenza. In ogni caso - come correttamente osservato dalla Corte territoriale in risposta al rilievo della difesa, che aveva asserito che quel giorno lo J.V.S. non si trovasse sul posto - la sua posizione soggettiva gli imponeva di non lasciar utilizzare impropriamente la gru per il carico di materiale con le modalità già ricordate, e di non permettere al proprio operaio di collocarsi in una zona per lui pericolosa.
Appare pertanto del tutto inconferente, rispetto alle ragioni che hanno fondato il giudizio di colpevolezza, il quarto motivo di ricorso, in cui l'imputato lamenta di essere stato chiamato a rispondere dell'errata manovra del gruista D.M., che non era suo dipendente: i giudici di Milano hanno infatti ben chiarito che la sua responsabilità era stata ritenuta per la condotta omissiva tenuta nei confronti del lavoratore suo dipendente, il quale, in spregio di ogni presidio di sicurezza che il datore di lavoro era tenuto a garantire, era presente durante l'impropria movimentazione della gru, in posizione praticamente sottostante ed oltremodo pericolosa, tanto da essere travolto dalla forca, proiettata indietro per lo sbandamento conseguito allo spostamento dei bancali. Inoltre, poiché la ditta di cui era titolare lo J.V.S. era stata incaricata proprio dei lavori di realizzazione del tetto, nel corso dei quali era avvenuto lo spostamento delle tavole di legno dalla soletta al plano terra, era suo preciso obbligo vigilare affinché tale operazione di movimentazione del pesante materiale avvenisse in condizioni di totale sicurezza e non certo con le improvvide modalità di cui si è detto.
Infondati sono del pari gli altri motivi di ricorso riguardanti l'inutilizzabilità delle testimonianze dell'ufficiale dell'UPSOAL,  P., e dell'agente della Polizia Locale Pi., i quali, ampiamente sentiti in dibattimento (come risulta dalla sentenza di primo grado) hanno riferito degli accertamenti svolti ed in tali limiti si è tenuto conto delle loro dichiarazioni. Il Tribunale ha infatti precisato (cfr.pag.7) che tutte le altre circostanze riferite dai detti testi, rispondendo alle domande della difesa, erano state apprese dalle persone presenti e dunque non se ne poteva tenere conto ai fini della decisione, ai sensi dell'art.195, comma 4, c.p.p. se non per chiarire quali fossero stati gli spunti investigativi seguiti.
Si tratta dunque di una censura che non si confronta con quanto, delle dette testimonianze, si è tenuto conto ai fini del decidere.
Con riferimento infine al motivo di appello relativo alla concessione della non menzione, su cui il ricorrente lamenta un'omessa pronuncia, la Corte di merito ha implicitamente rigettato la richiesta, poiché l'imputato aveva già usufruito del beneficio in relazione a reati non depenalizzati, come emerge dal certificato penale.
4. I ricorsi vanno pertanto rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 gennaio 2017