Cassazione Penale, Sez. 4, 18 aprile 2017, n. 18779 - Introduzione della mano nella macchina per lo stampaggio a caldo. Il fatto non costituisce reato se manca la prova di un concreto e specifico profilo di colpa del DL


 

 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: GIANNITI PASQUALE Data Udienza: 21/03/2017

 

Fatto

 

l. Il Tribunale di Bologna con sentenza 17/2/2014 dichiarava B.R. e C.L. responsabili del reato di cui agli artt. 113 e 590 commi 1 e 3 c.p., poiché, nelle rispettive qualità di titolare con delega alla sicurezza (il primo) e di caporeparto e addetto all'installazione dell'attrezzatura di lavoro (il secondo) presso la ditta "B.RO. snc di C.e.R.. B.", per colpa consistita in imperizia, imprudenza e negligenza, avevano contribuito a cagionare a S.M. - dipendente della suddetta ditta - lesioni personali (amputazione indice alla F3 della mano destra) della durata superiore a giorni 40, e comunque comportanti un indebolimento permanente dell'organo della prensione a seguito della introduzione della mano nella zona di lavoro del pistone pneumatico della macchina semiautomatica per lo stampaggio a caldo marca Mapelli n. matricola 78510.
In particolare il B.R. veniva ritenuto responsabile di non aver disposto che la macchina sopra citata, messa a disposizione della S.M., fosse conforme ai requisiti di sicurezza ex art. 71 comma 1 d lgs.vo 81/08; mentre il C.L. veniva ritenuto responsabile per la mancata tempestiva segnalazione al datore di lavoro dell'assenza di protezione o sistemi protettivi che impedissero l'accesso a zone pericolose o che arrestassero i movimenti pericolosi in caso di accesso a dette zone (artt. 19 comma 1 lett. f) e 56 comma 1 lett. a) d. lgs.vo 81/08).
In punto di trattamento sanzionatorio, il Tribunale condannava entrambi gli imputati alla pena (condizionalmente sospesa) di euro 2.000 di multa, oltre al risarcimento del danno subito dalla parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, ed oltre ad una provvisionale immediatamente esecutiva di euro 30.000.
2. La Corte d'Appello di Bologna con la impugnata sentenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto C.L., mentre ha confermato il giudizio di penale responsabilità espresso dal giudice di primo grado nei confronti del B.R. (al quale, come da relativa richiesta, è stata revocata la sospensione condizionale della pena concessa dal giudice monocratico).
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale, tramite difensore di fiducia, propone ricorso il B.R., articolando tre motivi di doglianza.
3.1. Nel primo motivo si denuncia vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità.
Il ricorrente si lamenta che la motivazione, pur formalmente presente in senso grafico, sarebbe in realtà apparente e fittizia e presenterebbe lacune argomentative in ordine alle ragioni poste alla base della conferma della sentenza di primo grado. La Corte d'Appello, secondo il ricorrente, si sarebbe limitata a riprodurre la decisione confermata, senza prendere in considerazione i motivi d'impugnazione. In particolare, il ricorrente si lamenta che - nonostante nelle sentenze di entrambi i giudizi era stato riconosciuto che era presente un dispositivo di sicurezza - era stato a lui attribuito di aver fatto utilizzare una macchina non dotata di protezioni che impedissero l'accesso a zone pericolose o che arrestassero i movimenti pericolosi in caso di accesso alle zone in questione. D'altronde la macchina era provvista di certificazione di conformità e, all'epoca dell'Infortunio, non era ancora utilizzato il concetto della ridondanza dei mezzi di protezione. E l'infortunio si era verificato, nonostante la presenza del sistema di sicurezza, per ragioni che entrambi i giudici di merito riconoscevano non essere state accertate. La Corte territoriale aveva confermato la sua responsabilità senza considerare che, se vi fosse stato un errore umano nel montaggio dei condotti di alimentazione dell'aria compressa da parte del capo reparto (o, ipotesi questa inverosimile, se vi fosse stata manomissione da parte della lavoratrice), la lesione patita da quest'ultima non sarebbe stata in nesso causale con la condotta a lui addebitata (e cioè di aver messo a disposizione della lavoratrice una macchina non dotata di misura di sicurezza).
3.2. Nel secondo motivo si denuncia vizio di motivazione in punto di accertamento del nesso causale tra la sua ritenuta condotta e l'evento lesivo verificatosi.
Il ricorrente si lamenta che la Corte, pur affermando che le cause dell'infortunio erano rimaste ignote, aveva posto lo stesso a suo carico in ragione del solo dato obiettivo costituito dalla posizione di garanzia ricoperta.
Con la conseguenza che - in presenza dei presidi di sicurezza della macchina (che al momento dell'infortunio non avevano funzionato) ed in assenza di segnalazioni da parte della lavoratrice - la Corte ha mandato assolto il capo reparto, rimasto inconsapevole della situazione di rischio e non essendo provata l'ipotesi dell'errato allacciamento del tubo dell'aria compressa, mentre ha confermato la sua penale responsabilità in forza della posizione ricoperta anche per ipotesi non strettamente collegate alle condizioni di sicurezza della macchina e di cui non aveva avuto consapevolezza (manomissione, errore umano, guasto improvviso e imprevedibile).
3.3. Nel terzo motivo si denuncia violazione di legge in punto di mancata concessione del beneficio della non menzione sul certificato penale a richiesta dei privati.
Il ricorrente deduce che la Corte di merito ha respinto la sua richiesta base di circostanze diverse da quelle che il giudice deve prendere in 
considerazione ai sensi dell'art. 133 c.p. per la concessione del beneficio in oggetto. In particolare, il fatto, di per sé di una certa gravità, meriterebbe una adeguata risposta sul piano della conoscibilità e della deterrenza, ma il rigetto del beneficio non poteva essere giustificato sulla considerazione che la pubblicità insita nella menzione della condanna può costituire un monito per l'imputato, sconsigliandolo in futuro dal commettere nuovi reati.
 

 

Diritto

 


1. Il ricorso è fondato.
2.In punto di fatto, occorre ripercorrere le modalità del sinistro, come ricostruite da entrambi i giudici di merito sulla base delle indagini tecniche, effettuate dal personale di p.g. specializzato dell'AUSL di Bologna I prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro (in relazione alle quali, nel corso dell'istruzione dibattimentale svoltasi in primo grado, è stato esaminato come testimone Z.F. ed è stata acquisita sull'accordo delle parti la relazione conclusiva), nonché sulla scorta della testimonianza dibattimentale della medesima lavoratrice.
Il grave infortunio in oggetto si è verificato il 23 settembre 2009 nello stabilimento di Villanova di Castenaso della ditta "B.RO. S.N.C. di C.e.R. B.", esercente l'attività di stampaggio a caldo di manufatti in gomma (il cui titolare, con delega alla sicurezza sul lavoro, era per l'appunto l'odierno ricorrente).
L'infortunio è occorso all'operaia stampatrice S.M. (dipendente a tempo indeterminato della ditta B.R. sin dal 2000), allorché era addetta alla conduzione delle macchine per lo stampaggio a caldo, sua ordinaria mansione di lavoro; in particolare, l'evento si è verificato mentre la S.M. stava lavorando ad una macchina a funzionamento semiautomatico di stampaggio di marca Mapelli, che è risultata essere stata prodotta nel 1978, e che richiedeva la presenza dell'operatore sia per la carica manuale della materia prima (la gomma, sotto forma di strisce), sia per il successivo scarico dei pezzi finti (stampati).
Tale macchinario, appunto predisposto per lo stampaggio a caldo della gomma, era però stato attrezzato con l'aggiunta di un accessorio funzionante come una sorta di iniettore pneumatico, che serviva per poter utilizzare il silicone (anziché la gomma) nel processo di stampaggio.
Tale accessorio, montato perpendicolarmente alla testa della macchina, era formato da un cilindro pneumatico, che spingeva un pressore che scorreva all'interno di un condotto cilindrico, che doveva essere riempito col silicone; l'operatore addetto doveva inserire manualmente i blocchetti di silicone nell'imboccatura laterale del cilindro, e quindi tali blocchetti venivano sospinti in avanti dal pressare fino all'Interno dell'estrusore, per poi da qui essere iniettati a caldo all'interno dello stampo; trascorso un dato periodo di tempo, lo stampo veniva aperto e l'operatore doveva estrarre, sempre a mano, il pezzo finito di silicone.
Secondo quando dichiarato nell'esame dibattimentale dal B.R., il macchinario in oggetto fu acquistato dalla sua ditta, usato, nell'anno 2000, con l'accessorio in questione già in dotazione ("a corpo con la macchina"), e l'accessorio veniva installato solamente quando occorreva stampare con il silicone, mediante un montaggio semplice e tramite successivo collegamento del dispositivo "all'aria compressa, di rete presente in azienda"; mentre la S.M. ha testimoniato di non avere mai visto in ditta quell'accessorio prima del 2007 (anno in cui essa fu assente dal lavoro a causa di altro infortunio).
E' poi assodato del tutto pacificamente che, nel manuale d'uso del macchinario, l'accessorio non era in alcun modo contemplato (come confermato dallo stesso B.R.).
Al momento dell'infortunio, il macchinario era comunque allestito con l'accessorio, montato appunto perpendicolarmente alla testa della macchina, tra l’altro ad una altezza da terra tale da costringere l'addetta ad alzare le braccia in alto, sopra il capo, sia per caricare il materiale nell'imboccatura laterale, sia per accedere ai comandi di avanzamento del pistone, posti nella parte superiore: la stessa S.M. aveva confermato in aula che, per compiere tali operazioni elementari, doveva allungarsi "in punta di piedi" e che, quindi, esse richiedevano una certa fatica, sicché fare funzionare il macchinario risultava un po' scomodo e disagevole.
L'operaia S.M. doveva inserire manualmente i blocchetti di silicone nel cilindro, attraverso l'apposita imboccatura di carico, che era provvista di uno sportellino scorrevole sagomato, munito di pomello sporgente per l'apertura e la chiusura, che avvenivano entrambe sempre a mano.
Il giorno dell'infortunio, la S.M., ad un certo momento, dopo avere, come al solito, caricato nel pistone il silicone a mano ed avere stampato dei pezzi, ha azionato il comando per il ritorno all'indietro del pistone e, quindi, con lo sportellino di carico aperto, e prima che il pistone fosse ritornato del tutto a fine corsa, ha allungato la propria mano destra nella zona di tale sportello di carico, verosimilmente per fare un po' di sbrigativa pulizia da residui di silicone che "strabordava fuori', come talora accadeva ed era già accaduto in passato (almeno secondo le dichiarazioni della infortunata). Al riguardo, pur chiarendo di non ricordare con assoluta precisione l'esatta dinamica, la S.M. ha precisato di non avere ovviamente inserito l'intera mano all'interno del punto di introduzione del materiale, ma di essersi limitata a toccare, con la mano destra, quella zona d'imbocco, con lo sportello aperto, appunto per eliminare alcuni residui di silicone che erano fuoriusciti. Il concomitante "ritorno a zero" del pistone (che era stato azionato dalla stessa S.M.), mentre la lavoratrice stava ancora toccando con le dita la zona d'imbocco aperta, ha determinato lo schiacciamento di un dito contro il bordo tagliente dell'imboccatura del cilindro, con la conseguente produzione della lesione traumatica, l'amputazione dell'apice della falange ungueale del secondo dito della mano destra.
Pertanto, in base alla stessa oggettività del sinistro, è assodato che, nel caso di specie, l'accessorio, montato per l'iniezione del silicone, ha funzionato anche con lo sportellino laterale di carico aperto, e che il pistone poteva ritornare indietro, ed è effettivamente ritornato all'indietro, nonostante lo sportello di carico fosse aperto e quindi la zona di imbocco fosse accessibile al lavoratore.
3. Tanto premesso in fatto, fondati, oltre che assorbenti, sono i primi due motivi di ricorso, che qui si trattano congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
3.1. Invero, la Corte territoriale - dopo aver ricordato che, in base all'art. 71 comma 1 del d. Lgvo 81/2009, il datore di lavoro deve mettere a disposizione del lavoratore attrezzature idonee ai fini della salute e della sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere; e che tale disposizione comporta anche l'obbligo di prevedere e mettere a disposizione del lavoratore stesso tutti i dispositivi di sicurezza che servono a non incorrere in incidenti, e che salvaguardino chi deve utilizzare i macchinari anche da errori dovuti a imprudenza, imperizia, negligenza, o comunque da errori che sono addebitabili al comportamento del lavoratore stesso - ha condiviso le valutazioni del giudice di primo grado laddove quest'ultimo aveva affermato che: a) soltanto la assoluta, macroscopica abnormità ed esorbitanza del comportamento scorretto e colposo del lavoratore potrebbe condurre ad esclusione di responsabilità del datore di lavoro per interruzione del nesso di causalità; b) tale situazione non è certamente ravvisabile nella vicenda in esame, posto che la S.M. stava normalmente lavorando al macchinario al quale era addetta da anni e stava operando come aveva fatto già altre volte in passato, compiendo, in particolare, un'operazione manuale che - per quanto possa giudicarsi impropria, sbagliata, imprudente od anche non richiesta, non necessaria né utile in concreto - era comunque strettamente connessa alla lavorazione in corso in quel frangente (stampaggio con il silicone), e non era stata certamente fatta oggetto di dimostrate specifiche e cogenti direttive contrarie da parte dei responsabili della sicurezza nel reparto ed in azienda.
In punto di addebito colposo la Corte territoriale ha ritenuto che l'infortunio sia dipeso, se non dall'assenza, dall'inidoneità delle misure di sicurezza obbligatorie, in quanto:
-il personale di p.g. della A.U.S.L. si era recato nello stabilimento di B.R., per il sopralluogo e gli accertamenti di rito, nelle date del 3 e del 17 febbraio 2010, ovvero oltre 4 mesi dopo la verificazione dell'infortunio; in particolare, in occasione del secondo accesso, erano state effettuate prove tecniche e verifiche di funzionamento dello specifico macchinario di stampaggio; al momento dell'effettuazione delle suddette prove, l'accessorio per il caricamento del silicone (rimosso successivamente all'infortunio, su richiesta del personale del 118, intervenuto per il recupero della falange amputata) era stato fatto appositamente montare proprio al fine di verificarne il funzionamento in movimento, mediante il necessario collegamento all'alimentazione pneumatica, avvalendosi della linea di area compressa dello stabilimento;
- il personale di pg dell'AUSL aveva così appurato che lo sportello di carico, di tipo scorrevole, doveva essere mosso (aperto/chiuso) manualmente dall'operatore; e che detto sportello comandava un distributore 3/2 finecorsa NC ("normalmente chiuso") a rullo, con riposizionamento a molla: tale distributore permetteva l'ingresso dell'aria compressa nel circuito e, in sostanza, agiva come da dispositivo di sicurezza, impedendo l'entrata dell'aria compressa nel sistema cilindro pistone quando lo sportellino dell'imbocco di carico del silicone rimaneva aperto (cioè non era chiuso); in altri termini, la condizione "aperto" dello sportello di carico del silicone avrebbe dovuto azionare il distributore finecorsa 3/2, il quale avrebbe mandato in scarico l'aria del circuito, impedendo così alla stessa aria compressa di far ritornare indietro il pistone;
-pertanto, come accertato dal personale di pg dell'AUSL, una sorta di dispositivo di sicurezza era presente nel sistema: il distributore 3/2 di finecorsa NC a rullo, con riposizionamento a molla, che, a sportello aperto, avrebbe dovuto mandare in scarico l'aria compressa ed impedire così il ritorno indietro al pistone pneumatico; tuttavia, detto meccanismo di sicurezza, nella circostanza dell'infortunio, non aveva funzionato: la S.M., infatti, aveva lasciato lo sportello di carico aperto, ma il pistone era ugualmente ritornato indietro, schiacciando alla stessa un dito;
- le ragioni specifiche di tale mancato funzionamento non erano state accertate, ma in ogni caso, tutte le ipotesi probabili, formulabili in concreto, compresa quella del guasto accidentale, conducevano a ravvisare la responsabilità colposa del datore del lavoro B.R., "in quanto figura di garanzia" (p. 8, ultimo rigo), al quale spetta di fornire ai propri lavoratori ogni mezzo e cautela idonea a svolgere le mansioni assegnate in condizioni di piena sicurezza.
3.2. Senonché, la Corte territoriale, motivando nei termini che precedono, non si è affatto confrontata con le doglianze articolate nell'atto di appello, laddove il B.R. aveva evidenziato che: a) il macchinario, che aveva causato l'incidente, era dotato dei requisiti richiesti, ed il sistema di sicurezza non era facilmente eludibile (in quanto il posizionamento di una fascetta e l'inversione dei condotti dell'aria compressa non potevano avvenire con facilità e senza l'uso di attrezzi appositi); b) erano state formulate unicamente delle ipotesi in relazione alle ragioni dell'Infortunio, ma nessuna era stata provata (in particolare, non vi era prova che lui avesse manomesso la macchina o che avesse tollerato che altri lo facessero; d'altra parte, se si fosse trattato di un errore di montaggio dei condotti di alimentazione dell'aria compressa da parte del capo reparto, non avrebbe potuto sostenersi che le lesioni patite dalla lavoratrice fossero in nesso causale con la condotta a lui attribuita nel capo di imputazione; infine, non aveva avuto riscontro l'addebitabilità del sinistro ad una ipotesi di improvviso guasto generico determinato da omessa manutenzione); c) in tale contesto, non essendo stata individuata la ragione dell'infortunio, non era configurabile la sua responsabilità, proprio perché non era emersa alcuna condotta colposa a lui rimproverabile.
In definitiva, già sotto questo primo profilo, la sentenza impugnata è inficiata dal denunciato vizio motivazionale: invero, le argomentazioni addotte dalla Corte di merito a fondamento della conferma del giudice di primo grado si risolvono nella riproposizione di argomentazioni svolte da quest'ultimo, senza tener conto delle specifiche doglianze formulate dal B.R. nell'atto di appello.
Sotto altro profilo, la Corte di appello dà atto in sentenza che: a) il macchinario era dotato di presidio di sicurezza; b) il capo reparto C.L. era addetto all'installazione dell'attrezzatura di lavoro ausiliaria per la lavorazione del silicone; c) la lavoratrice infortunata non aveva segnalato al capo reparto l'inefficienza dei mezzi di sicurezza. Sulla base di questi presupposti fattuali la Corte, contraddittoriamente, è pervenuta all'assoluzione del C.L. (che era rimasto inconsapevole della situazione di rischio e non era stata provata l'ipotesi dell'errato allacciamento del tubo dell'aria compressa), mentre ha confermato il giudizio di penale responsabilità del B.R. (che a sua volta non aveva mai avuto conoscenza da parte del C.L. di qualsivoglia situazione di rischio).
Ma la sentenza impugnata incorre nel lamentato vizio motivazionale sotto altro fondamentale profilo: la Corte di merito ha affermato la penale responsabilità del B.R. sulla base della sola posizione di garanzia dallo stesso ricoperta e cioè sulla base del solo fatto che lo stesso, quale datore di lavoro, gestiva il rischio connesso alla lavorazione; ma non ha indicato quale sia la condotta colposa in concreto allo stesso addebitabile (si ribadisce, in presenza di un macchinario dotato di dispositivo di sicurezza ed in assenza di prova della di lui consapevolezza di qualsivoglia situazione di rischio). Al riguardo, può essere utile ricordare ancora una volta che, in ogni caso, individuata una posizione di garanzia, non ne consegue automaticamente l'affermazione di responsabilità colposa; dovendosi all'evidenza individuare condotte soggettivamente rimproverabili (nel caso di specie insussistenti, per quanto sopra rilevato).
4. Per le ragioni che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata. Detto annullamento - non residuando margini di ulteriore esplorabilità del compendio probatorio, rispetto al tema di giudizio - si impone senza rinvio, con la formula perché il fatto non costituisce reato, difettando la prova della sussistenza di un concreto e specifico profilo di colpa nella condotta del datore di lavoro.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.