Cassazione Penale, Sez. 4, 28 aprile 2017, n. 20339 - Infortunio mortale dell'autista addetto alla scarico dei mezzi di trasporto. Responsabilità dei datori di lavoro e dei costruttori e fornitori del cassone


 

Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO Data Udienza: 07/03/2017

 

Fatto

 

1. Con la sentenza in data 13/06/2012 il Tribunale di Novara dichiarava B.G., B.GI., G.S. e G.F. responsabili del reato di cui agli artt. 113 e 589, 1° e 3° comma, c. p., e, per l'effetto, condannava B.G. e B.GI. alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione ciascuno, e G.S. e G.F. alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ciascuno, oltre spese del giudizio.
1.1. Con la sentenza N. 3091 del 17/05/2016, la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma dell'appellata sentenza di primo grado, riconosciute in regime di prevalenza le circostanze attenuanti generiche a tutti gli imputati, rideterminava la pena inflitta a B.G. e B.GI. in anni 1 e mesi 8 di reclusione ciascuno e quella inflitta a G.S. e G.F. in anno 1, mesi 6 e 20 giorni di reclusione ciascuno.
1.2. Secondo la sintetica ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice di merito, la vittima F.R., dipendente della ditta B. sas con mansioni di autista, anche addetto alla scarico dei mezzi di trasporto, in data 21/03/2007, dovendo scaricare dal cassone ribaltabile marca G., costruito e fornito dalla ditta G. spa, il carico di rottami ferrosi appena ricondotto in ditta, si accinse ad aprire il portellone posteriore, costituito da due ante incernierate e bloccate da un'asta verticale che unisce le cerniere con un sistema gancio/occhiello, allorché venne colpito all'emivolto destro dalla repentina rotazione verso l'esterno della leva orizzontale metallica che unendo le cerniere dei due portelloni permette il gioco dell'asta di bloccaggio. Più precisamente, onde aprire il portellone, era necessario, in sequenza obbligata: togliere la spina di sicurezza posta sulla detta leva orizzontale; ruotare la leva sino a disimpegnare gli anelli di aggancio posti sull'asta verticale; azionare il pistone che tiene bloccata la porta sinistra, posto sul lato destro del rimorchio, così aprendo la porta sinistra, sovrapposta a quella destra. La terza operazione non potè, però, nel caso in esame, avvenire, poiché inopinatamente la leva-, ormai non più bloccata dalla spina di sicurezza, ruotò violentemente verso l'esterno e colpì al volto il F.R., che riportò le gravissime lesioni, meglio descritte in imputazione, che lo portarono al decesso. Nessun dubbio sussiste sul fatto che il decesso del F.R. sia stato conseguenza delle lesioni riportate nell'occorso.
2. Avverso tale sentenza d'appello, propongono ricorso per cassazione B.G., B.GI., G.S. e G.F., a mezzo dei rispettivi difensori, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.):
B.G. e B.GI.:
I) Vizi motivazionali. Deducono che se il "movimento" della barra fosse stato davvero così frequente da essere "ampiamente prevedibile" e se tale considerazione muove dal fatto che tutti ne erano al corrente ad eccezione del F.R., si rileva che la Corte non ha speso una sola parola per giustificare tale ignoranza che è evidentemente incompatibile con quanto chiaramente risulta dall'istruttoria dibattimentale; sede questa ove è stato accertato che il F.R. era l'unico autista da sempre addetto al mezzo de quo-, ciò si pone in stridente contrasto con le conversazioni riferite dai testi N. e L. che, per quanto estranei al problema, hanno riferito di essere stati posti al corrente del pericolo e di essere stati altresì informati sul da farsi, proprio dal B.;
II) Violazione di legge. Deducono che la sentenza viola il principio di diritto stabilito dall'alt. 533 c.p.p. secondo cui si può far luogo a sentenza di condanna solo quando la penale responsabilità sia accertata al di là di ogni ragionevole dubbio. Sostengono che, nella specie, resta comunque insuperato il fatto che nessuno ha escluso che le informazioni circa la pericolosità di quella manovra date al N. e ad altri non fossero state date anche al F.R.; la distrazione connaturale (secondo quanto dice la stessa Corte d'Appello) alla ripetitività delle operazioni possa aver avuto un ruolo fatale nell'incidente, indipendentemente dalle "informazioni" date al F.R. e dalla sua stessa conoscenza della prevedibilità del movimento.
G.S. e G.F.:
III) Manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento, a valere ai sensi dell'art. 606, lett. e, c.p.p., in punto "continuità della posizione di garanzia" del costruttore della macchina. Deducono che l'impugnata sentenza ha ritenuto sussistente la penale responsabilità in capo agli esponenti della F.lli G. s.p.a., società produttrice del cassone ribaltabile utilizzato da F.R. il giorno dell'Infortunio, affermando, sulla base del principio della continuità delle posizioni di garanzia, l'esistenza di un nesso causale fra l'evento morte e la ritenuta incompletezza del libretto di istruzioni ma, nel contempo, ha ritenuto provata la piena conoscenza da parte dei datori di lavoro del pericolo generato dal cosiddetto "effetto molla", tanto da indurre questi ultimi ad avvertire i lavoratori di non posizionarsi "di dietro", (in dialetto "da drera"), nel momento di apertura del cassone proprio per evitare di essere colpiti dal maniglione, e ciò in esito ad altri episodi, fortunatamente meno gravi, già occorsi a propri dipendenti. Affermano che la dimostrata conoscenza del rischio da parte del datore di lavoro avrebbe dovuto, secondo logica, condurre ad escludere con sufficiente grado di certezza, qualsivoglia efficienza causale della asserita carenza del libretto di istruzioni ed uso: ed invero, se la funzione del libretto, secondo il percorso motivazionale dell'impugnata sentenza, è proprio quella di porre il datore di lavoro nella condizione di conoscere il rischio e dunque di valutarlo correttamente, il nesso causale fra le eventuali carenze del libretto e l'infortunio mortale viene meno nel momento in cui sono provate, da un lato la conoscenza e la conseguente valutabilità/prevedibilità/prevenibilità del rischio da parte del datore di lavoro (oltre che dei lavoratori medesimi), e dall'altro la sua inerzia nel predisporre le doverose cautele idonee a scongiurare l'evento.
 

 

Diritto

 


3. I ricorsi proposti nell'interesse di B.G. e B.GI. sono infondati.
3.1. I relativi motivi son da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinti.
4. Giova rammentare che costituisce orientamento interpretativo acquisito di questa Suprema Corte che il rischio elettivo, quale limite alla responsabilità del datore di lavoro nella causazione degli infortuni sul lavoro, è ravvisabile, per richiamare una definizione sintetica ricorrente, solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l'apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. Per il resto, si deve confermare che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è responsabile dell'Infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore ad un eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare, invece, l'esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità solo quando presenti, per come si è detto, i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza, così da porsi come causa esclusiva dell’evento (cfr. Sez. Lavoro, Sent. n. 21113 del 2 ottobre 2009; Cassazione penale sez. 4, n. 46820 del 25/06/2014). 
5. Circa la rilevanza delle eventuali condotte negligenti ovvero imprudenti riferibili al dipendente infortunato, occorre, ancora, osservare che, nell'ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli connessi al fatto che l'uomo si inserisce in un apparato disseminato di insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il "garante è il soggetto che gestisce il rischio" e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l'illecito, qualora l'evento si sia prodotto nell'ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell'ambito in parola (quello della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del 2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e, conseguentemente, la responsabilità gestoria che in ipotesi di condotte colpose, può fondare la responsabilità penale.
6. Nel caso che occupa gli imputati (quali datori di lavoro) erano gestori del rischio e l'evento si è verificato nell'alveo della loro sfera gestoria; la eventuale ed ipotetica condotta abnorme del lavoratore non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento poiché essa non si è collocata al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del lavoratore (ben descritta nell'imputazione) non fu eccentrica rispetto al rischio lavorativo che i garanti (i ricorrenti B.G. e B.GI.) erano chiamati a governare (Sez. U., n. 38343 dei 24/04/2014 Rv. 261108).
6.1. Nulla, poi, è emerso che possa lasciar presumere che il rispetto delle norme cautelari violate non fosse concretamente esigibile dai detti ricorrenti, nelle condizioni date. Essi, invero, quali datori di lavoro, erano destinatari ex lege dei precetti antinfortunistici. Ciò ha consentito ai giudici del merito di raggiungere la tranquillante certezza, in ordine alla loro responsabilità (quali titolari della posizione di garanzia), che promana dalla completa, coerente, logica e convincente motivazione.
6.2. Neppure censurabile in Cassazione è il ragionamento di merito sulla base del quale gli elementi di prova forniti dalla difesa siano stati ritenuti, anche implicitamente, non decisivi (cfr. sez. 4, n. 32290 del 04/07/2006).
7. Nel caso di specie, F.R. ha patito l'infortunio mentre svolgeva la sua ordinaria attività di lavoro utilizzando mezzi di lavoro messigli a disposizione dall'azienda. Pertanto la circostanza che la persona offesa, presa dalla routine del lavoro e da un imprudente eccesso di sicurezza, si sia posto dietro i portelloni, malgrado fosse stato (verosimilmente) reso edotto della pericolosità di tale posizione, non costituisce comportamento abnorme idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento, condotta connotata da colpa, tenuto conto che le cautele omesse [e dettagliatamente contestate agli imputati nel capo di incolpazione: artt. 2087 c.c.; 4, commi 1 e 2, 35, comma 2, 37, comma 1, lett. A) e B), 38, comma 1, lett. A), del D.Lgs. 626/94] erano proprio preordinate ad evitare il rischio specifico che poi concretamente si è materializzato nell'infortunio in danno del F.R..
7.1. La Corte territoriale, dopo aver richiamato la motivazione del primo giudice (versandosi in ipotesi di "doppia conforme") ha, incensurabilmente sottolineato, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal teste C., che «Per quanto riguarda il documento di valutazione dei rischi, poi, le attività di carico e scarico erano prese in considerazione "ma in maniera molto superficiale ... non c'erano procedure dettagliate sul carico e lo scarico, quindi se era necessario per esempio l'ausilio di una attrezzatura come una benna a polipo per scaricare oppure modalità precise di apertura dei cassoni posteriori, anche perché risulta che ci fossero stati degli altri quasi incidenti relativi al fatto che questa leva ruotava in maniera anomala o in maniera violenta, che il sistema di gestione della sicurezza prevede che vengano analizzati e quindi discussa quella che è la prevenzione dei rischi ... Dagli atti acquisiti si evinceva che mancava una formazione specifica al lavoratore sul carico e scarico, perché sapendo che questa leva comunque può ruotare in maniera anomala, chi deve aprire questo cassone deve porsi come rimedio diciamo conclusivo in una posizione di sicurezza, per esempio sul fianco della leva.
8. Analoghe considerazioni valgono per i ricorsi proposti nell'interesse di G.S. e G.F..
9. Come ineccepibilmente affermato dalla Corte del merito, il libretto di istruzioni (da considerarsi parte integrante del macchinario, secondo quanto previsto dalla Direttiva macchine di cui al D.P.R. 459/96 allora vigente) consegnato alla ditta B. dalla produttrice ditta G., era gravemente lacunoso, posto che esso non riportava alcuna indicazione in ordine alle corrette procedure di carico e scarico dei cassoni nonché in ordine alle modalità di sblocco dei meccanismi di sicurezza dei portelloni, tali da evitare la violenta apertura dei medesimi con "effetto molla".
10. Occorre subito evidenziare che risponde del delitto di omicidio colposo in danno dell'utilizzatore il costruttore-venditore di una macchina priva dei presidi antinfortunistici previsti dalla legge (tra i quali il corretto libretto di istruzioni), pur se l'acquirente faccia uso della macchina ponendo in essere una condotta imprudente, condotta che, ove la macchina fosse stata munita dei presidi antinfortunistici richiesti dalla legge, sarebbe stata resa innocua o, quanto meno, non avrebbe avuto quelle date conseguenze, e, dunque, non può confidare che ogni consociato si comporti adottando le regole precauzionali che deve adottare chi, rispetto a quel consociato e alla imprudente inosservanza della regole da quest'ultimo posta in essere, non si comporta come gli imponevano le regole precauzionali normalmente riferibili al suo modello di agente (cfr. sez. 4, n. 41985 del 29/04/2003). Ciò vale anche per il costruttore- venditore di una macchina che non abbia posto in essere le condotte di prudenza, comune o specifica, richieste dalle legge, come l'esatta informazione dei rischi connessi all'uso di quella macchina, pur se l'infortunio si verifichi per un comportamento imprevedibile, abnorme, eccezionale, dell'acquirente della macchina, fatto salvo peraltro il concorso di colpa dell'acquirente stesso (cfr. sez. 4, n. 41985 del 29/04/2003, cit.).
12. Nella specie, quindi, il giudice del merito ha fatto buon uso dei principi dettati da questa Corte regolatrice, fondando la propria decisione sul compendio probatorio e sulle dichiarazioni del tecnico dello SPRESAL incaricato degli accertamenti, C.A., secondo la quale ciò che mancava nel libretto di istruzioni per renderlo conforme alla normativa in vigore era, tra l'altro, tutta la procedura di apertura del portellone posteriore e l'indicazione delle situazioni anormali prevedibili quali, ad esempio, il carico eccessivo.
13. Quanto alle istruzioni orali fornite allo stesso F.R. allorché - proprio lui - si era recato, nell'anno 2002, a ritirare il mezzo presso la produttrice F.lli G. spa, secondo la Corte del merito «devono escludersi - come già correttamente osservato dal primo giudice - tanto l'esaustività delle stesse, quanto la loro idoneità a sostituire il regolare libretto d'uso....è fuor di dubbio che le iniziali delucidazioni fornite a chi si reca a prelevare il mezzo al più si affianchino, ma giammai possano sostituire, il regolare libretto d'uso. Le prime indicazioni, infatti, sono certamente utili, ma possono essere dimenticate, o travisate, o ricordate solo parzialmente, e possono essere incomplete o lacunose, ed è proprio ad ovviare a tali lacune che serve il libretto d'uso, che come già detto costituisce parte integrante ed essenziale della macchina e con la stessa deve essere consegnato. Se il libretto è gravemente insufficiente, non v'è modo di verificare se quanto appreso solo oralmente, e magari in modo incompleto o financo inesatto, sia conforme all'uso corretto».
14. In ordine, infine, al punto della censura secondo cui "il nesso causale fra le eventuali carenze del libretto e l'infortunio mortale viene meno nel momento in cui sono provate, da un lato la conoscenza e la conseguente valutabilità/prevedibilità/prevenibilità del rischio da parte del datore di lavoro (oltre che dei lavoratori medesimi), e dall'altro la sua inerzia nel predisporre le doverose cautele idonee a scongiurare l'evento", va ribadito -come correttamente affermato dal giudice del merito- che, in caso di successione di posizioni di garanzia, in base al principio dell'equivalenza delle cause, il comportamento colposo del garante sopravvenuto non è sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra la violazione di una norma precauzionale operata dal primo garante e l'evento, quando tale comportamento non abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente determinata (cfr. sez. 4, n. 27959 del 05/06/2008).
15. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, il rigetto dei ricorsi cui segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese di giudizio delle parti civili che liquida come segue:
- euro quattromila oltre agli accessori come per legge, in favore delle parti civili difese dall'Avv. C.
- euro 2.500, oltre accessori come per legge, in favore della parte civile F.I.
Così deciso il 07/03/2017