Piccole imprese e sicurezza sul lavoro: problematiche e strumenti di sostegno
di Natalia Paci¹
Sommario: 1. La questione. Sicurezza sul lavoro e piccole imprese: un binomio difficile. – 2. Il quadro normativo. La legislazione di sostegno delle piccole imprese. 2.1 Le semplificazioni. 2.2 Gli incentivi economici. 2.3 L'attività di consulenza, formazione e informazione. 2.4 Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. 2.5 Gli incentivi all'adozione di un sistema di gestione o di un modello di organizzazione e gestione della sicurezza sul lavoro. – 3. I principali orientamenti amministrativi: gli interpelli su temi di interesse per le piccole imprese. – 4. I nodi problematici emergenti e qualche proposta.
1. La questione. Sicurezza sul lavoro e piccole imprese: un binomio difficile
Le piccole imprese² svolgono un ruolo centrale nell’economia europea dove circa 23 milioni di piccole e medie imprese producono oltre 75 milioni di posti di lavoro³. Anche nel territorio italiano le piccole e medie imprese costituiscono oltre il 90% delle imprese: le microimprese (fino a 10 lavoratori) sono il 95,1%, mentre le medie (da 50 a 250 lavoratori) sono solo 1,6%.
Nonostante ciò, una notevole parte di esse non attua adeguate misure in materia di salute e sicurezza sul lavoro: dallo studio condotto dall'European Agency for Safety and Health at Work⁴, gli infortuni sul lavoro nelle piccole imprese rappresentano l'82% di tutti gli infortuni sul lavoro ed il 90% di tutti gli incidenti mortali. Anche la più recente “Seconda indagine europea tra le imprese sui rischi nuovi ed emergenti (ESENER-2)” mostra che i lavoratori delle piccole imprese sono soggetti a maggiori rischi e le difficoltà nella gestione della salute e sicurezza è tanto più rilevante quanto più è ridotta la dimensione dell'impresa⁵.
Se quindi è vero che le piccole imprese sono meno attente alla sicurezza sul lavoro, occorre individuarne le cause e verificare la presenza di adeguate risposte nella normativa vigente in materia di salute e sicurezza. Questo è lo scopo del presente focus tematico.
Un primo problema per le piccole imprese è senz'altro legato alle risorse economiche scarse che spesso induce a ridurre le spese legate all'attività di prevenzione. I costi della prevenzione consistono non solo nelle spese vive per la messa in sicurezza dei macchinari e degli ambienti di lavoro, ma anche nella necessità di ricorrere a personale qualificato (spesso consulenti esterni all'organico aziendale), senza contare il costo indiretto, derivante dal tempo tolto alla produzione, per impegnare il personale nella formazione obbligatoria in materia di sicurezza. In realtà, gli studi⁶ mostrano che la spesa per la prevenzione degli infortuni si traduce, in un'ottica a più lungo termine, in un risparmio per la stessa impresa, ma tale aspetto non viene solitamente preso in considerazione, soprattutto dalle realtà di minori dimensioni. In tali contesti, infatti, manca anche un altro fattore, quello culturale: l'assenza di cultura delle regole, in primis, e conseguentemente anche di cultura della sicurezza e della prevenzione. La mentalità frequente nelle piccole realtà imprenditoriali è purtroppo quella di considerare la valutazione dei rischi e la formazione in materia di sicurezza, come un mero adempimento burocratico. Nei lavoratori spesso manca una percezione del rischio aderente alla realtà, ma anche gli stessi datori di lavoro non pretendono dai propri dipendenti il rispetto delle norme di sicurezza.
Da questa assenza di cultura della prevenzione e della sicurezza discendono altri problemi caratteristici della piccola impresa o comunque collegati con la dimensione aziendale. In primis la scarsa presenza sindacale, in generale, ed in particolare di Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) “effettivi”. È, infatti, proprio della piccola realtà la contraddittoria abitudine della nomina dell'RLS ad opera non dei lavoratori, come prevede il D.Lgs. n. 81/2008 (all'art. 47, comma 3), ma dello stesso datore di lavoro, facendo quindi perdere di significato la nomina stessa e la relativa funzione. Al contrario, la figura del RLS diventa tanto più importante tanto più è piccola l'azienda, visto che la riunione periodica (art. 35, comma 1), quindi quel momento cruciale per la prevenzione della sicurezza, in cui i vari attori della sicurezza si riuniscono e si confrontano sui fattori di rischio e sull'elaborazione del documento di valutazione degli stessi, solo nelle aziende e nelle unità produttive che occupano più di 15 lavoratori avviene ex lege una volta l'anno (e in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l'introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori), perchè nelle realtà di dimensioni inferiori, invece, la sua convocazione è rimessa alla “facoltà”, quindi alla buona volontà, proprio del RLS (l'art. 35, comma 4).
Da tutte le difficoltà sopra elencate discende l'ulteriore conseguenza di una limitata adozione di sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro e di modelli di gestione ex art. 30 del D.Lgs. n. 81/2008.
Infine, la complessità del dettato normativo (costituito da 13 Titoli e 51 Allegati), rende la normativa di difficile interpretazione ed applicazione sopratutto per le realtà più piccole che difficilmente dispongono di personale esperto e specializzato, in grado di individuare, nel complesso corpus normativo le norme riferibili alla propria realtà produttiva e, soprattutto, di tradurne i precetti astratti in adempimenti pratici.
2. Il quadro normativo. La legislazione di sostegno delle piccole imprese
Raramente la piccola impresa è stata al centro del discorso giuslavoristico italiano e dei disegni di riforma della regolazione del lavoro (Tursi A., 2009)⁷ ed anche in materia di salute e sicurezza gli studi specifici dedicati alle realtà di minori dimensioni sono pochissimi. Anche il D.Lgs. n. 81/2008 (di seguito TU) individua la grande impresa come interlocutore privilegiato. Tuttavia, all'interno del testo unico, si rintracciano diverse norme di sostegno della media, piccola e micro impresa che possono venire incontro ad ogni specifico problema individuato nel paragrafo precedente.
In merito alla complessità degli adempimenti normativi, ad esempio, il TU ha risposto con una semplificazione sia gestionale (art. 29, c. 5; art. 34) che degli adempimenti formali (art. 3, c. 13; art. 53, c. 5; art. 8, c. 4).
Le difficoltà legate, invece, ai costi della sicurezza sono state affrontate introducendo varie forme di sostegno economico per le piccole e medie imprese (art. 11, c.1 e 5; art. 52).
Mentre la diffusione della cultura della sicurezza viene promossa con il sostegno alla formazione, in particolare nelle piccole e medie imprese (art. 9, art. 11).
Nel TU sono, inoltre, presenti norme dedicate al rafforzamento della presenza sindacale, in particolare di RLS/RLST, e del ruolo degli organismi paritetici (art. 47, art. 48, art. 51, art. 52).
Infine, non per importanza, vanno ricordate le norme che hanno introdotto incentivi all'adozione di modelli di gestione della sicurezza nelle piccole e medie imprese (art. 6, c. 8 lett. m; art. 11, c.5, art. 30, c. 5-bis e 6).
2.1 Le semplificazioni
Il fulcro del sistema sicurezza, ovvero la valutazione dei rischi e la redazione del relativo documento, costituisce per le imprese di più piccole dimensioni un adempimento particolarmente oneroso, sia dal punto di vista organizzativo che economico. Infatti, la valutazione dei rischi, oltre a dover prendere in considerazione tutti i rischi presenti sul luogo di lavoro, compresi quelli da stress lavoro correlato, quelli collegati alle differenze di genere, di età, di provenienza dei lavoratori, ecc., richiede, per la sua elaborazione, le competenze specifiche di soggetti esperti o adeguatamente formati.
Per venire incontro alle esigenze delle piccole imprese, purché non svolgano attività particolarmente rischiose (ai sensi dell'art. 29, comma 7⁸), il TU ha previsto una serie di norme speciali. Innanzitutto, ai sensi dell'art. 29, comma 5, le imprese che occupano fino a 10 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate (definite dall'articolo 6, comma 8, lettera f) elaborate il 16 maggio 2012 dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro ed entrate in vigore con decreto interministeriale del 30 novembre 2012. Delle stesse procedure possono beneficiare anche le imprese con un numero di lavoratori compreso tra gli undici e i cinquanta.
Tuttavia, occorre segnalare che ogni semplificazione in materia di salute e sicurezza rischia di produrre anche una riduzione delle tutele, sopratutto ove intervenga nella delicata quanto centrale attività di valutazione dei rischi. Per questo in dottrina si sono giustamente sollevate non poche critiche nei confronti di tali semplificazioni, soprattutto ove prevedevano originariamente⁹, addirittura l'autocertificazione (possibilità che, non a caso, ha determinato l'apertura a carico dell'Italia di una procedura di infrazione della commissione europea) e laddove tutt'ora prevede (a seguito delle modifiche intervenute con il c.d. “Decreto del fare”¹⁰, D.L. n. 69 del 21 giugno 2013, convertito con modificazioni nella L. 9 agosto 2013, n. 98) il rischio di uno strisciante ritorno all'autocertificazione¹¹ per le attività a basso rischio infortunistico per le quali, con decreto ministeriale verrà predisposto un modello con il quale i datori di lavoro delle aziende che operano in tali settori di attività possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi (art. 29, comma 6 ter). Tuttavia, il modello non è stato ancora predisposto, come si legge nella Relazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sullo stato di applicazione della normativa di salute e sicurezza pubblicata il 10 gennaio 2017¹², ove si afferma che è stato predisposto lo schema di decreto, ex art. 29, comma 6-ter, e che “sarà corredato da una serie di supporti alla valutazione dei rischi semplificata, attualmente in fase di elaborazione da parte di un apposito gruppo tecnico”.
Un'altra “semplificazione” discutibile¹³, intervenuta sempre con il D.L. n. 69/2013, è quella che ha sostituito, solo per le summenzionate attività a basso rischio (peraltro indipendentemente dal requisito dimensionale), l'obbligo di predisposizione del DUVRI per i “servizi di natura intellettuale, alle mere forniture di materiali o attrezzature, ai lavori o servizi la cui durata non è superiore a cinque uomini-giorno”, con la mera nomina di un incaricato (ai sensi dell'art. 26, comma 3) per sovrintendere all'attività di cooperazione e coordinamento.
Altra facilitazione per le imprese di minori dimensioni consiste nella possibilità per il datore di lavoro di optare per lo svolgimento in prima persona dei compiti altrimenti spettanti al Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), ovviamente previa la frequenza di specifici corsi di formazione e aggiornamento: all'art. 34, infatti, si prevede che - salvo nei casi in cui l’istituzione di tale servizio all’interno dell’impresa sia obbligatorio a fronte della particolare pericolosità dell’attività svolta (di cui all'art. 31, comma 6) - il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti del RSPP (nonché di prevenzione incendi e di evacuazione), nelle ipotesi previste nell'allegato 2¹⁴, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. In tali casi, il datore di lavoro deve frequentare corsi di formazione (di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore) adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni intervenuto il 21 dicembre 2011 (e modificato dall'Accordo del 7 luglio 2016). Il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di primo soccorso nonché di prevenzione incendi e di evacuazione deve frequentare anche gli specifici corsi di formazione previsti agli articoli 45 e 46 ed i corsi di aggiornamento nel rispetto di quanto previsto nell'accordo citato.
Un'ulteriore semplificazione a favore della piccola e micro impresa è prevista in merito agli adempimenti relativi all'informazione, formazione e sorveglianza sanitaria dei lavoratori stagionali delle imprese medie e piccole operanti nel settore agricolo¹⁵ (cfr. art. 3, comma 13). L'attuazione di tale norma è avvenuta con il decreto interministeriale del 27 marzo 2013¹⁶. In tale decreto si stabilisce, in merito alla sorveglianza sanitaria, che – ad eccezione delle lavorazioni che comportano esposizione a rischi specifici in relazione ai quali deve essere garantita l'effettuazione della sorveglianza sanitaria – negli altri casi “gli adempimenti in materia di controllo sanitario si considerano assolti, su scelta del datore di lavoro, senza aggravi di costi per i lavoratori, mediante visita medica preventiva, da effettuarsi dal medico competente ovvero dal dipartimento di prevenzione della ASL” (art. 2). Lo stesso decreto prevede, inoltre, in merito alle semplificazioni in materia di informazione e formazione, che tali obblighi si considerano assolti mediante consegna al lavoratore di appositi documenti (certificati dalla ASL ovvero dagli enti bilaterali e dagli organismi paritetici del settore agricolo e della cooperazione di livello nazionale o territoriale) che “contengano indicazioni idonee a fornire conoscenze per l’identificazione, la riduzione e la gestione dei rischi, nonché a trasferire conoscenze e procedure utili all’acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e all'identificazione e eliminazione, ovvero alla riduzione e gestione, dei rischi in ambiente di lavoro” (art. 3).
Si segnala, infine, la norma (art. 3, comma 13 bis) che, fermi restando gli obblighi di cui agli articoli 36 e 37, prevede che con decreto vengano definite “misure di semplificazione della documentazione, anche ai fini dell'inserimento di tale documentazione nel libretto formativo del cittadino, che dimostra l'adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi di informazione e formazione” in relazione a prestazioni lavorative regolamentate dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che implicano una permanenza del lavoratore in azienda per un periodo non superiore a cinquanta giornate lavorative nell'anno solare di riferimento.
2.2 Gli incentivi economici
Per venire incontro alle difficoltà che le piccole imprese incontrano a causa delle scarse risorse economiche, il TU ha introdotto, presso l’INAIL, un fondo di sostegno alla piccola e media impresa (art. 52). Il fondo opera “a favore delle realtà in cui la contrattazione nazionale o integrativa non preveda o costituisca, come nel settore edile, sistemi di rappresentanza dei lavoratori e di pariteticità migliorativi o, almeno, di pari livello”, quindi prevalentemente proprio nelle imprese al di sotto dei 15 lavoratori.
Le risorse del fondo sono destinate al finanziamento di una serie di attività tipizzate dal legislatore: ai sensi del comma 1, dell’articolo 52, almeno il 50% delle risorse del fondo dev’essere destinato al sostegno delle attività dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriale (che, come si vedrà, sono particolarmente importanti per le piccole imprese) e per la loro formazione (lett. a); al finanziamento della formazione dei datori di lavoro delle piccole e medie imprese, dei piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 c.c., dei lavoratori stagionali del settore agricolo e dei lavoratori autonomi (lett. b); al sostegno alle attività degli organismi paritetici (lett. c).
Anche qui occorre registrare, purtroppo, un ritardo nella messa a regime, visto che l'art. 52 rinvia ad un decreto interministeriale, non ancora emanato, di individuazione, previa intesa con le associazioni sindacali, delle modalità di funzionamento del fondo, penalizzando proprio le imprese di minori dimensioni che notoriamente sono quelle che meno aderiscono a sistemi di rappresentanza sindacale e di pariteticità.
Già attivo presso l'INAIL è, invece, il fondo di cui all’articolo 11, dedicato specificamente alle attività promozionali della cultura e delle azioni di prevenzione con riguardo anche al finanziamento di progetti di investimento in materia di salute e sicurezza sul lavoro da parte delle piccole, medie e micro imprese (lett. a) ed al finanziamento di progetti formativi specificamente dedicati alle piccole, medie e micro imprese (lett. b). Al comma 5 dell'art. 11, si stabilisce che l'INAIL finanzi “progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro rivolti in particolare alle piccole, medie e micro imprese” con risorse proprie, anche nell'ambito della bilateralità e di protocolli con le parti sociali e le associazioni nazionali di tutela degli invalidi del lavoro. Tuttavia, la norma sconta, anche qui, problemi di effettiva applicazione in quanto non sono ancora stati costituiti diffusamente su tutto il territorio gli organismi paritetici a ciò deputati, determinando una maggiore difficoltà di accedere a questa forma di finanziamento proprio per le imprese più piccole, visto che la norma privilegia il tramite degli organismi paritetici e delle parti sociali per accedere ai finanziamenti.
2.3 L'attività di consulenza, formazione e informazione
Un altro problema particolarmente sentito dalle piccole imprese è, come visto, quello relativo alla stessa conoscenza della normativa, spesso troppo articolata e complessa, e all’interpretazione delle norme di riferimento, soprattutto in vista della loro trasposizione pratica.
A tale scopo l’articolo 9 individua tra le funzioni dell'INAIL¹⁷ l’“attività di consulenza alle aziende, in particolare alle medie, piccole e micro imprese, anche attraverso forme di sostegno tecnico e specialistico finalizzate sia al suggerimento dei più adatti mezzi, strumenti e metodi operativi, efficaci alla riduzione dei livelli di rischiosità in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sia all'individuazione degli elementi di innovazione tecnologica con finalità prevenzionali” (art. 9, comma 2, lett. c). Tale importante forma di sostegno deve, tuttavia, ancora entrare a regime in quanto l'art. 9 prevede l'emanazione di un decreto ministeriale di attuazione, non ancora intervenuto, che stabilisca le modalità di svolgimento di tale consulenza.
L'INAIL ricopre anche un importante ruolo nella progettazione ed erogazione dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 9, comma 2, lett. d), nella formazione per i responsabili e gli addetti ai servizi di prevenzione e protezione (art. 9, comma 2, lett. e); nella promozione e divulgazione della cultura della salute e della sicurezza del lavoro (art. 9, comma 2, lett. f), particolarmente carente, come visto, proprio nelle realtà imprenditoriali di minori dimensioni.
Oltre all'INAIL, svolgono attività di informazione, assistenza, consulenza, formazione, promozione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, in particolare nei confronti delle imprese artigiane, delle imprese agricole e delle piccole e medie imprese e delle rispettive associazioni dei datori di lavoro, anche le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, i Ministeri, gli organismi paritetici e gli enti di patronato (art. 10).
In particolare, gli organismi paritetici¹⁸, nonostante alcuni problemi di identificazione dei soggetti legittimati a costituirli¹⁹, possono ricoprire un ruolo importante per le piccole imprese in quanto sono stati individuati dal legislatore come “sede privilegiata” per, ad esempio, “l'assistenza alle imprese finalizzata all'attuazione degli adempimenti in materia” e per la programmazione di attività formative (cfr. art. 2, comma 1, lett. ee))²⁰ e “possono supportare le imprese nell'individuazione di soluzioni tecniche e organizzative dirette a garantire e migliorare la tutela della salute e sicurezza sul lavoro” (art. 51, comma 3).
Inoltre, con il TU si sono inaugurate specifiche attività promozionali in materia di formazione rivolte espressamente alle imprese di minori dimensioni: l’articolo 11 prevede, infatti, il finanziamento da parte dell'INAIL di progetti formativi proprio per le piccole, medie e micro imprese (art. 11, comma 1, lett. b) e di progetti di investimento e formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro rivolti in particolare alle piccole, medie e micro imprese (art. 11, comma 5).
Infine, anche l'istituto dell'interpello (art. 12)²¹ può costituire un importante strumento di supporto per le piccole imprese, per chiarire dubbi interpretativi del dettato normativo, sebbene siano state sollevate critiche sia in relazione ai soggetti legittimati a promuovere l'interpello²², che in relazione alla mancanza di cogenza delle risposte nei confronti dell'organo di vigilanza²³.
2.4 Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
Si è già anticipato che una delle importanti novità del TU è proprio il potenziamento del ruolo del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (di seguito RLS) con la sua fondamentale funzione di rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro (art. 2, lett i).
L'art. 47, comma 2, infatti, prevede espressamente che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sia una figura necessaria e quindi presente in “tutte le aziende o unità produttive”, indipendentemente dalle dimensioni dell'impresa e dal numero di dipendenti, quindi anche nelle realtà più piccole. Per facilitare l'effettiva presenza di tale figura anche nelle imprese fino a 15 dipendenti dove notoriamente mancano le rappresentanze sindacali aziendali, si prevede che in tali aziende (o unità produttive fino a 15 dipendenti) il RLS sia eletto direttamente dai lavoratori al loro interno (art. 47, comma 3). La nomina dello stesso è incentivata anche dalla previsione (contenuta nell'art. 48, comma 3) secondo la quale le aziende che non vi prevvedono sono tenute a partecipare al finanziamento del Fondo di sostegno alla piccola e media impresa, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali e alla pariteticità (di cui all'articolo 52) in misura pari a due ore lavorative annue per ogni lavoratore occupato presso l'azienda ovvero l'unità produttiva, calcolate sulla base della retribuzione media giornaliera per il settore industria e convenzionale per il settore agricoltura determinate annualmente per il calcolo del minimale e massimale delle prestazioni economiche erogate dall'INAIL (art. 52, comma 2)²⁴.
Ma l'aspetto più interessante della normativa è che nel caso in cui, nonostante tutto, come spesso avviene (vedi retro § 1), non venga eletto il RLS, le sue funzioni verranno comunque esercitate dal Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (art. 47, comma 8). Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (RLST) è una figura pensata proprio per sopperire alla tradizionale assenza del RLS nelle aziende più piccole, infatti, l’articolo 48, comma 1, gli attribuisce l’esercizio di tutte le prerogative riservate al RLS “nei confronti di tutte le aziende o le unità produttive del territorio o di comparto di competenza, in cui non sia stato eletto o designato il RLS”.
L’articolo 48, comma 4, prevede che per l’esercizio delle proprie funzioni, il rappresentante per la sicurezza territoriale possa accedere ai luoghi di lavoro, nel rispetto delle modalità e del termine di preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva. Previa segnalazione all’organismo paritetico, tale termine di preavviso ovviamente non opera nel caso in cui l’accesso sia giustificato da un infortunio grave. Nel caso in cui l’azienda impedisca l’accesso nei luoghi di lavoro al rappresentante per la sicurezza territoriale, questi lo deve comunicare all’organismo paritetico o, in sua mancanza, all’organo di vigilanza territoriale competente. L’articolo 48, comma 7, infine, prevede che, “il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurarsi adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi”.
Il nominativo del rappresentante per la sicurezza territoriale viene comunicato alle aziende, secondo quanto sancito dall’art. 48, comma 6, dall’organismo paritetico o, in mancanza, dal Fondo stabilito all’articolo 52. In tal modo si assegna agli organi paritetici e, in via subordinata, al Fondo di cui all’art. 52, una funzione di anagrafe dei rappresentanti territoriali per la sicurezza, utile per evitare abusi, cioè nomine fittizie ad opera degli stessi datori di lavoro (pratica, purtroppo, frequente).
Nonostante queste novità che vanno senz'altro accolte positivamente²⁵, occorre evidenziare la persistenza di una serie di problematiche relative alla presenza sindacale in azienda. Innanzitutto, nonostante che il legislatore abbia fissato la presenza del RLS come figura necessaria, indipendentemente dalle dimensioni dell'impresa, nelle imprese più piccole spesso il RLS non viene nominato²⁶ o viene addirittura nominato dallo stesso datore di lavoro trattandosi, quindi spesso di meri “RLS cooptati”, non formati né determinati ad esercitare effettivamente le loro funzioni²⁷. Inoltre, anche quando c'è il RLS, spesso non viene consultato né tempestivamente, né preventivamente. La mancanza del RLS nelle piccole imprese ha però delle ripercussioni gravi se solo si considera che proprio a questa figura viene attribuito il compito di convocare la riunione periodica (art. 35), nelle imprese con meno di 15 lavoratori.
Tuttavia, purtroppo, il ruolo sostitutivo del RLST non è sempre effettivo o perchè non viene nominato, per un ritardo colpevole degli organismi paritetici a cui spetta la comunicazione dei nominativi degli RLST²⁸, o per un insufficiente radicamento della rappresentanza territoriale²⁹.
2.5 Incentivi all'adozione di un sistema di gestione o di un modello di organizzazione e gestione della sicurezza sul lavoro
Un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSSL) consiste nell'adozione volontaria di una politica aziendale organizzata al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Si tratta, come noto, di norme “tecniche”³⁰ ad applicazione volontaria, della cui importanza, però, sta crescendo la consapevolezza anche da parte del legislatore. In particolare, il D.Lgs. 81/2008 fa esplicito riferimento (art. 30, comma 5) alla “norma” inglese sui SGSSL, la British Standard OHSAS 18001:2007³¹, ed alle Linee guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001³² come norme tecniche di riferimento per l'adozione ed efficace attuazione di modelli di organizzazione e gestione (di seguito MOG) che si presumono conformi, per le parti corrispondenti³³, ai requisiti richiesti dal medesimo art. 30, ai fini dell'efficacia esimente da responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001.
L'adozione del MOG, nelle piccole e medie imprese (fino a 50 lavoratori) è incentivato in quanto rientra tra le attività finanziabili ai sensi dell'articolo 11 (ai sensi dell'art. 30, comma 6). Inoltre, l'adozione di un MOG è incentivata, specificamente nelle PMI, in quanto la Commissione consultiva permanente, in attuazione dell'art. 30, comma 5-bis, ha elaborato le procedure semplificate per l'adozione e l'efficace attuazione di modelli di gestione nelle PMI.
Le procedure semplificate per l'adozione di MOG nelle PMI, elaborate dalla Commissione Consultiva permanente e recepite nel D.M. 13 febbraio 2014, prospettano una schematizzazione ed una semplificazione delle procedure finalizzate ad adottare un MOG semplificato, costituiscono un utile vademecum³⁴ sulle cose da fare, non limitandosi a descrivere le singole attività da mettere in atto, ma mettendo a disposizione, negli allegati, schemi agevolmente utilizzabili. Considerato che, ad oggi, le PMI che adottano un MOG sono ancora una minoranza, probabilmente per l'oggettiva difficoltà di progettazione, per i costi economici ed organizzativi³⁵, le procedure semplificate costituiscono certamente un aiuto metodologico.
Tuttavia, si è dubitato che, nonostante i buoni propositi dichiarati, l'operazione sia riuscita effettivamente a consentire alle PMI di passare da un approccio burocratico e formale ad un'applicazione sostanziale dei MOG³⁶. Si è, infatti, osservato che nel documento ci si sia limitati a fornire qualche indicazione su come procedere, fornendo dei moduli, ma per lo più riportando indicazioni generiche che ricalcano quanto già previsto dalla norma, senza suggerire soluzioni organizzative nuove, senza un'effettiva attività di semplificazione³⁷, anzi addirittura scoraggiando proprio le piccole e micro imprese ad adottare un MOG, ivi definito “un impegno, in particolare per imprese con un numero minimo di lavoratori e con una struttura organizzativa semplice. Pertanto le aziende di dimensioni e/o complessità ridotte debbono valutare l'opportunità di implementare un MOG aziendale”.
3. I principali orientamenti amministrativi: gli interpelli su temi di interesse per le piccole imprese
Si ritiene utile segnalare, prima di procedere alle conclusioni di tale focus, alcune risposte ad interpelli che sono di specifico interesse per le PMI.
In particolare, due interpelli sono stati posti in merito all'utilizzo delle procedure standardizzate. Con il primo (n. 7 del 22 novembre 2012), la CNA chiedeva se era consentito alle aziende fino a 10 lavoratori di preparare il documento di valutazione dei rischi (DVR) applicando integralmente l’art. 28 del TU e quindi senza utilizzare le procedure standardizzate di valutazione dei rischi, previste dall’art. 29, comma 5. Come noto, l’art. 29, comma 5, del TU fornisce alle aziende di limitate dimensioni (fino a 10 lavoratori) uno strumento – le procedure standardizzate per la valutazione dei rischi – che permetta alle medesime di redigere il proprio DVR in modo coerente con quanto previsto dal TU agli articoli 28 e 29.
Nella risposta, dopo aver ricordato che il comma 2, lettera a) dell’art. 28 del TU puntualizza che: “La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione”, si afferma che la dimostrazione di avere rispettato gli obblighi in materia di valutazione dei rischi possa essere fornita dal datore di lavoro in qualunque modo idoneo allo scopo e, quindi, attraverso qualunque procedura che consenta di preparare un DVR coerente con le previsioni degli articoli 17, 28 e 29 del TU. Ne consegue, si continua nella risposta, che il datore di lavoro di una azienda fino a 10 lavoratori disporrà delle procedure standardizzate quale strumento identificato dal legislatore per la redazione del DVR in contesti lavorativi di limitate dimensioni senza che ciò implichi che egli non possa dimostrare – attraverso la predisposizione di un DVR per mezzo di procedure eventualmente non corrispondenti a quelle standardizzate – di avere rispettato integralmente le disposizioni in materia di valutazione dei rischi di cui agli articoli 17, 28 e 29 del D.Lgs. n. 81/2008. Resta inteso, del tutto conseguenzialmente, che qualora una azienda con meno di dieci lavoratori abbia già un proprio DVR (in quanto ha deciso di non avvalersi della facoltà di autocertificare la valutazione dei rischi, consentita fino al 2012, ma di preparare comunque un DVR pur non essendovi obbligata) tale documento non dovrà essere necessariamente rielaborato secondo le indicazioni delle procedure standardizzate, fermi restando i sopra richiamati obblighi di aggiornamento, legati alla natura “dinamica” del DVR.
Con il secondo (n. 14 del 24 ottobre 2013), su richiesta del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, si chiedeva se possano utilizzare le procedure standardizzate anche le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori” e il cui rischio biologico sia risultato “non evidenzia rischi per la salute dei lavoratori”. Si chiedeva, inoltre, se tutte le aziende che occupano fino a 50 lavoratori, il cui rischio chimico sia risultato “non basso per la sicurezza e/o non irrilevante per la salute dei lavoratori” e il cui rischio biologico “evidenzia rischi per la salute dei lavoratori” non debbano utilizzare le procedure standardizzate oppure se vi siano esclusioni per alcune attività lavorative, ad esempio istituti di istruzione, uffici in genere, ecc., per le quali sia comunque consentita la valutazione dei rischi utilizzando le procedure standardizzate.
Nella risposta si è, innanzitutto, ricordata la normativa:
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l'art. 29, comma 6, del TU prevede che “i datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lettera f)”, ma, ai sensi del successivo comma 7, lett. b), ciò è escluso alle “aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto”.
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L’art. 223, comma 1, del TU e successive modifiche e integrazioni impone al datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi, di determinare “preliminarmente l’eventuale presenza di agenti chimici pericolosi sul luogo di lavoro” e di valutare “anche i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori derivanti dalla presenza di tali agenti”.
-
L’art. 271, comma 1, del TU e successive modifiche e integrazioni prevede che il datore di lavoro, nell’ambito della valutazione dei rischi di cui all’art. 17, comma 1 “tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative”.
Poi, ciò premesso, si è ricordato che l’art. 224, comma 2, del TU e successive modifiche e integrazioni prevede che “se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che, in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro, vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio, non si applicano le disposizioni degli articoli 225, 226, 229, 230”. Quando a seguito della valutazione appena riportata risulta che in azienda non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico (vedi art. 29, comma 7, lett. b) TU), il datore di lavoro di un’impresa che occupa fino a 50 lavoratori può adottare le procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f., del TU. Vista l’analogia delle disposizioni di riferimento (vedi art. 271, comma 4, TU), le considerazioni su esposte valgono anche per il rischio biologico.
Resta inteso che, qualora dall’esito della valutazione dei rischi non ricorrano le condizioni di mancata esposizione appena richiamate, non sarà possibile utilizzare le procedure standardizzate.
Altro interpello di interesse per le imprese più piccole è il n. 4 del 22 novembre 2012, con il quale si risposte al quesito posto dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri in merito all'obbligatorietà o meno, per le aziende che occupano sino a dieci lavoratori, della designazione degli addetti al servizio antincendio, tenuto presente che l’art. 5 del D.M. 10 marzo 1998, al secondo comma, afferma che “[…] per i luoghi di lavoro ove sono occupati meno di dieci dipendenti, il datore di lavoro non è tenuto alla redazione del piano di emergenza, ferma restando l’adozione delle necessarie misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio”.
Nella risposta si evidenzia che il citato art. 5, comma 2, contempla l’esonero, per il datore di lavoro, solo dalla redazione del piano di emergenza, ma non dalla individuazione delle misure organizzative e gestionali da attuare in caso di incendio, anche per le aziende classificate a rischio di incendio basso. Pertanto si conclude che la designazione dei “lavoratori incaricati dell'attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell'emergenza”, di cui all’ art. 18, comma 1 lett. b), del TU, trova applicazione anche nel caso in esame. Tale disposizione è ulteriormente confermata dall’art. 34, comma 1-bis, del TU che prevede la possibilità per i datori di lavoro delle aziende che occupano fino a cinque lavoratori, di “svolgere direttamente i compiti di primo soccorso, nonché di prevenzione degli incendi e di evacuazione”.
La designazione dei lavoratori incaricati di attuare le misure di prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze deve avvenire sulla base degli esiti della valutazione dei rischi e del piano di emergenza, qualora tale ultimo documento sia previsto (art. 6, D.M. 10 marzo 1998).
Più risalente nel tempo - e nella vigenza ancora del D.Lgs. n. 626/1994 - ma comunque di stretto interesse per le piccole imprese è l'interpello n. 5 del 3 marzo 2008, con il quale il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, ha chiesto se, nel caso in cui, ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. n. 626/1994 (ora dell'art. 34, TU), “il datore di lavoro svolga direttamente il compito di responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, debba possedere i requisiti e le capacità professionali previsti dall’art. 8-bis del d.lgs. in oggetto e seguire i relativi corsi”.
La risposta ha chiarito che “non è richiesto al datore di lavoro il possesso di un titolo di studio non inferiore al diploma di istruzione secondaria superiore né dell’attestato di frequenza al corso per RSPP previsto dall’art. 8-bis, ma solo l’attestazione di frequenza di un corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, organizzato nel rispetto di quanto previsto dall’art. 3 del D.M. 16 gennaio 1997”. La materia è oggi disciplinata dall'art. 34 del TU che ribadisce la possibilità per il datore di lavoro di svolgere direttamente i compiti del RSPP (salvo nei casi in cui l’istituzione di tale servizio all’interno dell’impresa sia obbligatorio a fronte della particolare pericolosità dell’attività svolta di cui all'art. 31, comma 6). In tali casi, il datore di lavoro deve frequentare corsi di formazione (di durata minima di 16 ore e massima di 48 ore) adeguati alla natura dei rischi presenti sul luogo di lavoro e relativi alle attività lavorative, nel rispetto dei contenuti e delle articolazioni definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni intervenuto il 21 dicembre 2011 (e modificato dall'Accordo del 7 luglio 2016). Il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di primo soccorso nonché di prevenzione incendi e di evacuazione deve frequentare anche gli specifici corsi di formazione previsti agli articoli 45 e 46 ed i corsi di aggiornamento nel rispetto di quanto previsto nell'accordo citato.
4. I nodi problematici emergenti e qualche proposta
Come visto, nel TU sono presenti non poche norme di promozione e sostegno per la piccola impresa e quindi si deve senz'altro registrare un passo in avanti. Tuttavia, al di là di singole ed isolate norme, manca una visione d'insieme, un intervento organico e sistematico dedicato alle realtà di minori dimensioni, confermando come anche tale intervento legislativo abbia come destinatario privilegiato la grande impresa³⁸.
Innanzitutto, manca un quadro sistematico della normativa dedicata alle piccole imprese: lo stesso requisito dimensionale non è sempre lo stesso. Infatti, il legislatore, pur dedicando un lungo articolo (l'art. 2) a tutte le definizioni, non ci fornisce, invece la definizione di media, piccola e micro impresa, né fa corrispondere a tali diverse realtà dimensionali delle indicazioni numeriche sul livello occupazionale a cui fare riferimento. In alcune norme il legislatore si rivolge alle piccole e medie imprese soltanto, altre volte anche alle micro. In altri casi il legislatore cambia metodo e prevede norme diverse a seconda che le imprese occupino fino a 50 o fino a 15 o fino a 10 o fino a 5 lavoratori.
Ma, soprattutto, nei 13 Titoli e 51 Allegati di cui è composto il TU manca un titolo, o anche solo un capo, dedicato alle piccole imprese ed i richiami alle aziende di minori dimensioni sono “sparpagliate” nel mare magnum del TU, determinando un risultato disorganico e di difficile comprensione. In altri termini il legislatore, ancora una volta, ha mostrato di non avere consapevolezza della necessità, invece, di dedicare specifica attenzione a tali realtà, soprattutto quelle “micro”, che scontano problematiche peculiari e che in Italia costituiscono la regola e non l'eccezione.
Nelle microaziende, infatti, il RSPP è sostituito dal datore di lavoro, il MC, quando è necessario, non collabora con gli altri soggetti perché la riunione periodica è solo eventuale. Resta poi, per le piccole imprese, il problema relativo alla scarsa presenza sindacale in generale e, in particolare, del RLS che, quando c'è, non viene consultato quasi mai tempestivamente e mai preventivamente: col TU si è cercato, come visto, di rafforzare questa presenza con la figura sostitutiva del RLST, ma si sarebbe dovuto introdurre un obbligo e delle responsabilità in capo a questa figura ove, ad esempio, non convochi la riunione periodica. Infatti, la figura dell'RLS/RLST diventa tanto più importante tanto più è piccola l'azienda, visto che la riunione periodica (art. 35) - quindi quel momento cruciale per la prevenzione della sicurezza, in cui i vari attori si riuniscono e si confrontano sui fattori di rischio e sull'esame del documento di valutazione, sull'andamento degli infortuni, si scelgono i DPI, si programma la formazione e si fissano le buone prassi e gli obiettivi di miglioramento - solo nelle realtà al di sopra dei 15 lavoratori avviene obbligatoriamente una volta l'anno, mentre in quelle di dimensioni inferiori la relativa convocazione resta una mera facoltà del RLS.
Le piccole aziende, inoltre, non sempre sanno a chi si possono rivolgere in materia di salute e sicurezza, a causa della presenza di troppe e dispersive figure di riferimento sia private - ingegneri, tecnici per la sicurezza, MC, avvocati, consulenti del lavoro, organismi paritetici - che pubbliche (ASL – INAIL- ARPA).
Infine, non c'è ancora neanche nelle imprese più grandi, quindi a fortiori nelle piccole, contrattazione collettiva in materia di sicurezza. Mentre si ritiene che sul punto potrebbe essere importante, invece, attribuire un effettivo ruolo della contrattazione decentrata (non solo aziendale o territoriale, ma anche di sito produttivo) o, meglio, la stipula di protocolli di intesa tra le parti sociali o gli enti bilaterali e le aziende, per affrontare le problematiche della sicurezza in quanto strettamente connesse all'organizzazione del lavoro in azienda.
In merito alla scarsa cultura della sicurezza, si ritiene che potrebbe essere importante introdurre l'obbligo dei datori di lavoro di frequentare corsi di formazione in materia di sicurezza. Obbligo che ad oggi è previsto, invece, solo per poche ore e solo da quei datori che svolgono anche il ruolo di RSPP.
Infine, a causa del continuo rinvio a fonti secondarie attuative, va registrato il ritardo nella messa a regime del TU proprio in relazione alle norme che riguardano le realtà più piccole. Come emerge dalla “Relazione sullo stato di applicazione della normativa di salute e sicurezza e sul suo possibile sviluppo (art. 6, c. 8, lett. e), del dlgs 9 aprile 2008, n. 81”³⁹, pubblicata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il 10 gennaio 2017, si segnala infatti che:
- le procedure standardizzate sono state elaborate solo nel 2012; le procedure semplificate di SGSL per le PMI addirittura nel 2014;
- non sono ancora stati definite, ai sensi dell'art. 3, comma 13-bis, le misure di semplificazione della documentazione che dimostra l’adempimento da parte del datore di lavoro degli obblighi di informazione e formazione in relazione a prestazioni lavorative regolamentate dal D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276;
- in merito alle misure di semplificazione degli adempimenti relativi all’informazione, formazione, valutazione dei rischi e sorveglianza sanitaria per le imprese agricole, con particolare riferimento a lavoratori a tempo determinato e stagionali, di cui all'art. 3, comma 13 ter, a tutt'oggi è stato predisposto solo lo schema di decreto interministeriale contenente supporti alla valutazione dei rischi semplificata, ma è attualmente in fase di validazione da parte di un apposito gruppo tecnico;
- l'attività di consulenza dell'INAIL alle medie, piccole e micro imprese, di cui all'art. 9, rinvia, per l'individuazione delle modalità di svolgimento di tale attività, ad un decreto di non ancora emanato;
- è ancora in fase di attuazione lo schema di decreto, ex art. 29, comma 6-ter, volto all'individuazione dei settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali e del modello semplificato con il quale i datori di lavoro delle aziende che operano in tali settori possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi;
- l'art. 47, comma 6, rinvia ad un decreto del Ministero del lavoro, non ancora attuato, di determinazione della giornata nazionale per la salute e sicurezza sul lavoro e delle modalità di attuazione della elezione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza aziendali, territoriali o di comparto;
- non è stato ancora attuato neanche l'art. 48, comma 2 di individuazione modalità di elezione o designazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali “ove non siano emanati accordi collettivi di livello nazionale al riguardo” e da attuarsi con decreto del Ministro del lavoro; in merito al Fondo di sostegno alla PMI, ai RLST e alla pariteticità, di cui all'art. 52, comma 3, sono state effettuate due riunioni nel 2008 con Regioni e parti sociali e poi più nessuna attività svolta dal 2009 al 2012;
- infine, non è ancora stato attuato compiutamente l'art. 53, comma 5, che prevede l'eliminazione o semplificazione della documentazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
In conclusione, nonostante che la normativa contenuta nel TU abbia individuato una varietà di strumenti atti a sostenere ed incentivare il miglioramento della sicurezza nelle piccole e medie imprese, resta pur sempre una normativa più adatta alle realtà di maggiori dimensioni. Si registra invece un inferiore livello di sicurezza nelle piccole imprese ed occorre pertanto insistere nel diffondere la cultura della sicurezza, nell'investimento in formazione efficace e nel promuovere il DVR come opportunità e non mero adempimento burocratico. Ciò deve avvenire, in primis, rafforzando il sostegno alle PMI, soprattutto quelle virtuose, pubblicizzando e semplificando i requisiti e le procedure di accesso alle forme di finanziamento esistenti (ma ancora spesso sconosciute o di difficile accesso, a dispetto dell'annunciata garanzia di “semplicità delle procedure”); aumentando l'intensità dell'attività di consulenza dell'INAIL a favore delle PMI e incentivando l'utilizzo dell'istituto dell'interpello anche su tematiche di interesse per le piccole imprese.
Altra forma di aiuto per le PMI può essere quella, come visto, di sostenere la presenza e l'attività degli organismi paritetici e del RLST sul territorio, incentivando una “contrattazione” dedicata o, meglio, la stipula di protocolli di intesa tra le parti sociali o gli enti bilaterali e le aziende, volti ad affrontare i temi della salute e sicurezza insieme a quelli dell'organizzazione del lavoro in azienda: organizzazione del lavoro e della sicurezza dovrebbero, infatti, procedere di pari passo.
Da ultimo, non per importanza, dovrebbe essere ancor più incentivata e sostenuta l'adozione di SGSSL anche nelle piccole e micro imprese.
Per rendere le imprese, anche le più piccole, consapevoli dei benefici, anche economici, dell'attività di prevenzione in materia di salute e sicurezza, sarebbe importante promuovere l'adozione di un autonomo “bilancio della salute e sicurezza”. Come, infatti, è emerso dallo studio dell'European Agency for Safety and Health at Work⁴⁰, occorre rendere le piccole imprese consapevoli che investire in sicurezza significa investire nel proprio business e mostrare, invece, i rischi della mancanza di salute e sicurezza sul lavoro. Infatti, un grave infortunio potrebbe portare a costi insostenibili per una piccola impresa: i lavoratori chiave non possono essere sostituiti facilmente, nè rapidamente; le interruzioni dell'attività possono portare alla perdita di clienti e di contratti importanti; i costi diretti in seguito all'incidente o alla perdita di contratti e clienti potrebbero rivelarsi insostenibili. Peraltro, anche piccoli incidenti o, in generale, una scarsa attenzione alla salute dei lavoratori possono raddoppiare il livello di assenze per malattia.
A tale scopo si ritiene⁴¹ che i seguenti fattori possano motivare le PMI ad investire in salute e sicurezza: concepire la salute e sicurezza come parte del business; come buon biglietto da visita con gli stakeholders; come strumento per il raggiungimento di una maggiore produttività, in particolare riducendo le assenze per malattia o infortunio; come modo per evitare, attraverso il rispetto della legge, pesanti sanzioni penali, amministrative e civili previste in materia; come strategia per scongiurare i costi degli infortuni e, conseguentemente, per ridurre il peso economico dell'assicurazione; oltre al non ultimo vantaggio dato dal fatto che i lavoratori in un ambiente sicuro e salubre lavorano meglio, riducono le assenze e sono più produttivi.
Nella citata ricerca condotta dall'European Agency for Safety and Health at Work⁴², e negli studi ivi riportati, vengono proposte una serie di interessanti consigli volti a fornire soluzioni per le PMI. Innanzitutto, la raccolta sistematica di informazioni per monitorare meglio i risultati economici in relazione alla salute e sicurezza: gli studi mostrano che le PMI non adottano un bilancio separato relativo ai costi-benefici della salute e sicurezza sul lavoro e ciò rende queste realtà meno consapevoli dei vantaggi economici di un'attività svolta nel rispetto della salute e sicurezza⁴³.
Inoltre, la ricerca suggerisce di inserire il tema della salute e sicurezza nel “contratto psicologico”⁴⁴ tra datore di lavoro e lavoratore. Per contratto psicologico si intende l’insieme delle aspettative, degli impegni, delle credenze che accompagnano il rapporto di lavoro ed esplicitare in esso anche l'impegno del datore di lavoro alla tutela della salute e sicurezza del lavoratore, diventa utile a promuovere una forza lavoro più sana, più felice e più produttiva⁴⁵. Rispetto alla grande impresa, dove ciò che conta è soprattutto la qualità del prodotto, nella piccola, “la prossimità dei clienti ai lavoratori rende molto più importante la qualità della prestazione resa”, pertanto in tali contesti assume “un'importanza non secondaria la soddisfazione del lavoratore”⁴⁶.
In conclusione, sebbene si siano già fatti passi in avanti, la strada da percorrere a favore delle piccole imprese è ancora lunga ed occorre continuare a sostenere incentivi specifici, consulenziali ed economici, per le realtà di minori dimensioni, promuovendo comportamenti virtuosi, in linea, ad esempio, con quanto previsto in materia assicurativa con la riduzione dei premi INAIL non solo in base al tasso di infortuni nell'esperienza passata, ma anche in base all'adozione di attività di prevenzione e, in particolare, “dell'adozione, da parte delle imprese, delle soluzioni tecnologiche o organizzative” avanzate in materia di salute e sicurezza sul lavoro, sulla base di specifici protocolli.
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¹ Professore a contratto di Diritto del Lavoro presso l'Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e avvocato del Foro di Ancona.
² La definizione di piccola impresa è contenuta nella Raccomandazione della Commissione Europea n. 361/2003/CE del 6 maggio 2003, recepita dal Governo italiano nel d.m. 18 aprile 2005. Secondo tale definizione la piccola impresa ha meno di 50 dipendenti ed un fatturato annuo o un totale del bilancio annuo non superiori a 10 milioni di euro. Invece la microimpresa ha meno di 10 dipendenti ed un fatturato annuo o un totale del bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.
³ Solari L., Toffanin T., La gestione delle relazioni di lavoro nelle piccole imprese, Dossier Adapt, numero 10 del 22 luglio 2009, pag. 22.
⁴ AA. VV., Occupational safety and health and economic performance in small and medium-sized enterprises: a review, in Working Enviroment Information – Working Paper, n. 9, EU-OSHA - European Agency for Safety and Health at Work, 2009, pag. 11.
⁵ La seconda edizione dell'indagine europea dell'EU-OSHA tra le imprese, ESENER-2, ha raccolto risposte provenienti da quasi 50.000 imprese sulla gestione della salute e sicurezza sul lavoro e sui rischi nei luoghi di lavoro. Cfr. la relazione di sintesi in italiano pubblicata a marzo 2015: https://osha.europa.eu/it/tools-and-publications/publications/reports/esener-ii-summary.pdf/view
⁶ AA. VV., Occupational safety and health and economic performance in small and medium-sized enterprises: a review, in Working Enviroment Information – Working Paper, n. 9, EU-OSHA - European Agency for Safety and Health at Work, 2009 e studi ivi citati. Sul punto, vedi più diffusamente infra § 3.
⁷ Tursi A., La piccola impresa e il diritto del lavoro, in Dossier Adapt, numero 10 del 22 luglio 2009, pag. 5.
⁸ Le attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all'esposizione ad amianto e quelle individuate dall'articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), g), come, ad esempio, quelle in cui sono utilizzate sostanze pericolose, le centrali termoelettriche, gli impianti ed istallazioni nucleari, le aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, le strutture di ricovero e cura pubbliche e private, ecc.
⁹ Nel periodo transitorio in cui tali procedure sono state definite (fino a dicembre 2012 ai sensi del D.L. n. 57/2012), era prevista la mera autocertificazione dell’avvenuta valutazione dei rischi.
¹⁰ Per una ricognizione delle novità: Scarcella A., Il “Decreto del fare”: tutte le novità, in Igiene e sicurezza del lavoro, 2013, p. 481 ss.
¹¹ Pascucci P., Una carrellata sulle modifiche apportate nel 2013 al d.lgs. n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in WPO, n. 24/2013, pag. 9.
¹² Reperibile su: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=16417:2017rel81&catid=6&Itemid=137
¹³ Pascucci P., Una carrellata sulle modifiche apportate nel 2013 al d.lgs. n. 81/2008 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in WPO, n. 24/2013, pag. 5.
¹⁴ Aziende artigiane e industriali fino a 30 lavoratori (escluse, le aziende industriali di cui all'art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica. n. 17 maggio1988, n. 175, e successive modifiche, soggette all'obbligo di dichiarazione o notifica ai sensi degli articoli 4 e 6 del decreto stesso, le centrali termoelettriche, gli impianti ed i laboratori nucleari, le aziende estrattive e altre attività minerarie, le aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, le strutture di ricovero e cura sia pubbliche sia private); aziende agricole e zootecniche fino a 30 lavoratori; aziende della pesca fino a 20 lavoratori; altre aziende fino a 200 lavoratori.
¹⁵ Limitatamente alle imprese che impiegano lavoratori stagionali ciascuno dei quali non superi le cinquanta giornate lavorative e per un numero complessivo di lavoratori compatibile con gli ordinamenti colturali aziendali.
¹⁶ Consultabile su: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8990:2013di27marzo&catid=5:normativa-italiana&Itemid=59
¹⁷ Oltre all'INAIL, la norma prevedeva anche l’Istituto di prevenzione per il settore marittimo (Ipsema) e l’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza nel lavoro (Ispesl), tuttavia, a seguito della soppressione dell'Ispesl e dell'Ipsema, la legge 30 luglio 2010, n. 122 (di conversione con modificazioni del D.L. 78/2010) ha previsto l'attribuzione all'INAIL delle funzioni già svolte dagli altri enti.
¹⁸ Definiti dall'art. 2, comma 1, lett. ee) come: “organismi costituiti a iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, quali sedi privilegiate per: la programmazione di attività formative e l'elaborazione e la raccolta di buone prassi a fini prevenzionistici; lo sviluppo di azioni inerenti alla salute e alla sicurezza sul lavoro; l'assistenza alle imprese finalizzata all'attuazione degli adempimenti in materia; ogni altra attività o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento”.
¹⁹ Sul punto, cfr. i chiarimenti di Lazzari C., Gli organismi paritetici nel decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in WPO n. 21/2013. Crf. Circ. del Ministero del Lavoro n. 20 del 29 luglio 2011, Reperibile su: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5576:circ2011&catid=6:prassi-amministrativa&Itemid=59; Nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dell'8 giugno 2015, Reperibile su: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13492:minlav94832015op; la Conferenza Stato Regioni, il giorno 25 luglio 2012, ha approvato le Linee guida sulla Formazione di Dirigenti, Preposti e Lavoratori e Datore di Lavoro/RSPP (art. 34 e 37 del D.Lgs. n. 81/2008), ad interpretazione degli Accordi Stato-Regioni approvati il 21.12.2011 (Gazzetta Ufficiale n. 192 del 18 agosto 2012). Giurisprudenza Collegata: T.A.R. Lazio n. 8765/2015. Testi e sentenza consultabili su: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=7420:conferenza-stato-regioni-25-luglio-2012-approvazione-delle-linee-guida-sulla-formazione&catid=7:contratti-e-relazioni-sindacali&Itemid=59
²⁰ Ai sensi dell'art. 37, comma 12, “la formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti” che deve “avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici, ove presenti nel settore e nel territorio in cui si svolge l'attività del datore di lavoro”, nonché la formazione di dirigenti e preposti (ai sensi del comma 7 bis dell'art. 37) che “può essere effettuata anche presso gli organismi paritetici di cui all'articolo 51 o le scuole edili, ove esistenti, o presso le associazioni sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori”.
²¹ La Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12, comma 2, del TU è stata istituita con Decreto Direttoriale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 28 settembre 2011.
²² Sul punto è intervenuta una modifica legislativa con il d.lgs. n. 151/2015 e relativo Decreto del Segretario Generale dell’8 giugno 2015. Cfr. per un commento: Menduto T., Il D.Lgs. 151/2015 e le modifiche alla Commissione Interpelli, 28 dicembre 2015; https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-contenuto-C-6/normativa-C-65/il-d.lgs.-151/2015-le-modifiche-alla-commissione-interpelli-AR-15341/
²³ Guardavilla A., Interpelli sulla sicurezza sul lavoro: valore giuridico e vincolatività, 7 maggio 2015; https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-contenuto-C-6/interpelli-C-114/interpelli-sulla-sicurezza-sul-lavoro-valore-giuridico-vincolativita-AR-14829/
²⁴ Il computo dei lavoratori è effettuato in base all'articolo 4 e la giornata lavorativa convenzionale è stabilita in 8 ore.
²⁵ Cfr., più diffusamente: Campanella P., (2010), I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, in Zoppoli L., Pascucci P., Natullo G. (a cura di), Le nuove regole per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Commentario al D. lgs. 9 aprile 2008, n. 81. Aggiornato al D. lgs. 3 agosto 2009, n. 106, II ed., Milano, 471; Tampieri A., (2009), La disciplina del rappresentante per la sicurezza dal d. lgs. n. 626/1994 al testo unico: tra diritto dell’alternanza e incertezza del diritto, in Massimario di giurisprudenza del lavoro, n. 4, 227.
²⁶ Natullo G., 2012, (2009), “Nuovi” contenuti della contrattazione collettiva, organizzazione del lavoro e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, in I Working Papers di Olympus, n. 5/2012.
²⁷ Angelini L., (2013), Discipline vecchie e nuove in tema di rappresentanze dei lavoratori per la sicurezza, in I Working Papers di Olympus, n. 20/2013.
²⁸ Precisamente, ai sensi dell'art. 48, comma 2, le modalità di elezione o designazione del RLST “sono individuate dagli accordi collettivi nazionali, interconfederali o di categoria, stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza dei predetti accordi, le modalità di elezione o designazione sono individuate con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sentite le associazioni di cui al presente comma”. Agli organismi paritetici spetta (ai sensi dell'art. 48, comma 6) la comunicazione dei nominativi degli RLST alle imprese e ai lavoratori interessati, oltre che agli organismi di vigilanza territoriale e all'INAIL (ai sensi dell'art. 51, commi 8 e 8 bis).
²⁹ Ricci M., (2008), Sicurezza sul lavoro: controllo e partecipazione sindacale tra iure condito e de iure condendo, in Rivista critica di diritto del lavoro, 113.
³⁰ Un punto di riferimento internazionale sono le ILO-OSH 2001 Linee guida sui sistemi di gestione della salute e sicurezza sul luogo di lavoro dell'ILO.
³¹ La norma OHSAS 18001 è stata emessa in Gran Bretagna dall'ente di normazione BS-OHSAS (British Standard – occupational Health and Safety Series) allo scopo di regolamentare l'applicazione di SGSSL e renderli certificabili. Lo standard è stato emesso armonizzando la norma al fine di renderla omogenea alle ISO 14001 e ISO 9001.
³² Linee guida pubblicate dall'INAIL in accordo con le Parti sociali e l'UNI - Ente Nazionale Italiano di Unificazione, volte alla progettazione, implementazione e attuazione di SGSSL (rivolto soprattutto alle PMI), in sintonia con il ciclo di Deming e sovrapponibile e integrabile con altri sistemi gestionali (ISO9000 per la qualità; ISO 14001 per l'ambiente, ecc.).
³³ Nella circolare del Ministero del lavoro dell'11 luglio 2011, n. 15816 sono pubblicati i chiarimenti della Commissione consultiva permanente in merito ai criteri di correlazione e confronto tra la norma cogente del TU (art. 30) ed i SGSL adottati in base alle Line guida Uni-INAIL o OHSAS 18001.
³⁴ Monea A., Il MOG semplificato per le piccole realtà organizzative, in Cooperative e enti non profit, 2015, n. 7, pag. 33 e ss.
³⁵ Monea A., Il MOG semplificato per le piccole realtà organizzative, in Cooperative e enti non profit, 2015, n. 7, pag. 44.
³⁶ Rotella A., Procedure semplificate per l’adozione dei MOG nelle PMI, in ISL, 2014, n. 4, pag. 173 e ss. Ugualmente critico anche in: Rotella A., Le procedure standardizzate per la VDR: criticità, in ISL, n. 3, 2013, pag. 129.
³⁷ Rotella A., Procedure semplificate per l’adozione dei MOG nelle PMI, in ISL, 2014, n. 4, pag. 176.
³⁸ Putrignano V., Il lavoro nella piccola e media impresa: modelli di regolazione, bilateralismo e sussidiarietà, in DRI, fasc. 4, 2010, pag. 1087.
³⁹ Consultabile al link: http://olympus.uniurb.it/index.php?option=com_content&view=article&id=16417:2017rel81&catid=6&Itemid=137
⁴⁰ AA. VV., Occupational safety and health and economic performance in small and medium-sized enterprises: a review, in Working Enviroment Information – Working Paper, n. 9, EU-OSHA - European Agency for Safety and Health at Work, 2009, pag. 13.
⁴¹ Antonelli A., Baker M., McMahon A., Wright M., Six SME case studies that demonstrate the business benefit of effective management of occupational health and safety. Research Report 504. Health and Safety Executive, 2006; http://www.hse.gov.uk/research/rrpdf/rr504.pdf. Autori citati nella ricerca EU-OSHA (vedi nota precedente).
⁴² AA. VV., Occupational safety and health and economic performance in small and medium-sized enterprises: a review, op. cit., pag. 31.
⁴³ Gervais R. L., Wiliamson J., Sanders V., Hopkinson J., Evaluation of the Success in Britain of the Directive on Minimum Safety and Health Requirements for Work with Display Screen Equipment (90/270/EEC), HSL Report RSU/07/12, Buxton, Health & Safety Laboratory, 2007. Autori citati nella ricerca EU-OSHA (vedi nota 40).
⁴⁴ Solari L., Toffanin T., La gestione delle relazioni di lavoro nelle piccole imprese, Dossier Adapt, numero 10 del 22 luglio 2009, pag. 22.
⁴⁵ Sparrow P. R., Cooper C. L., The Employment Relationship: Key Challenges for HR, Oxford, Butterworth-Heinemann, 2003; Rousseau D. M., Tijoriwala S. A., ‘What's a Good Reason to Change? Motivated Reasoning and Social Accounts in Promoting Organizational Change’, Journal of Applied Psychology, Vol. 84, No. 4, August 1999, pp.514-528. Autori citati nella ricerca EU-OSHA (vedi nota 40).
⁴⁶ Putrignano V., Il lavoro nella piccola e media impresa: modelli di regolazione, bilateralismo e sussidiarietà, in DRI, fasc. 4, 2010, pag. 1087.