Cassazione Civile, Sez. 6, 11 maggio 2017, n. 11595 - Rendita al superstite. Incidenza causale della malattia professionale nel determinismo dell'exitus


 

 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: GHINOY PAOLA Data pubblicazione: 11/05/2017

 

 

Rilevato che:
1. R.V. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta che, in riforma della sentenza del Tribunale di Gela, aveva rigettato la domanda proposta per ottenere la rendita quale superstite di F.D.D., deceduto il 26 giugno 2011, recependo le conclusioni della consulenza tecnica disposta in secondo grado che aveva escluso l'incidenza causale o concausale della malattia professionale (bronco-pneumopatia da polveri di metalli, con sindrome disventilatoria restrittiva di modesta entità del 20%) nel determinismo dell'exitus, dovuto ad infarto al miocardio in soggetto affetto da cardiopatia ischemica trattata con plurimi interventi di rivascolarizzazione.
2. Sostiene che la Corte avrebbe errato recependo le conclusioni del c.t.u. nominato in grado d’appello, e sostiene che non sarebbe possibile escludere l'influenza della broncopatia sul determinismo del decesso, quantomeno come concausa, considerata la notoria incidenza della malattia polmonare sull'attività cardiaca ed il fatto che il sistema respiratorio del de cuius non era integro, come si evince sia dal riconoscimento della malattia professionale sia dalle certificazioni mediche agli atti. Come secondo motivo, lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui non è stato disposto il rinnovo della c.t.u. omettendo qualunque comparazione tra le consulenze di primo e secondo grado e non sono stati esaminati i rilievi svolti dal c.t.p. avverso la c.t.u. di secondo grado.
3. L’Inail ha resistito con controricorso. 
4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
 

 

Considerato che:
1. il primo motivo di ricorso è inammissibile, considerato che non è allegata al ricorso la documentazione medica dalla quale risulterebbe la gravità dell’affezione polmonare del de cuius che sarebbe stata sottovalutata dal c.t.u., né se ne indica la collocazione in atti, in violazione del principio di specificità del ricorso che risulta ora tradotto nelle puntuali e definitive disposizioni contenute negli artt. 366, co.l, n.6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. Deve poi ribadirsi che il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell'omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un'inammissibile critica del convincimento del giudice (v. ex plurimis da ultimo Cass. ord. n. 1652 del 2012, Cass. ord. 23/12/2014 n. 27378).
2. Il secondo motivo è infondato, considerato che rientra nel potere del giudice di merito rinnovare in tutto o in parte le attività peritali, disporre la sostituzione del consulente o richiedere a quest'ultimo chiarimenti sulla relazione già depositata, disporre un supplemento ovvero un'integrazione delle indagini e che l'esercizio di tale potere (come il mancato esercizio di esso) è ampiamente discrezionale (v., ex multis, Cass. 19/07/2013 n. 17693, Cass. 2 marzo 2006, n. 4660). Nel caso, peraltro, risulta che il c.t.u. ha risposto con puntuali e circostanziate argomentazioni ai rilievi critici del consulente di parte, che sono state espressamente recepite nella motivazione della Corte d’appello, così risultando ben esplicitate le ragioni dell’ adesione alle conclusioni dell’ausiliare nominato in secondo grado.
3. Segue il rigetto del ricorso.
4. Le spese del presente giudizio vanno dichiarate non ripetibili, in virtù della dichiarazione in calce al ricorso sottoscritta dalla ricorrente ai sensi dell'art. 152 disp. att. cod. proc. civ..
5. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, considerato che 1’ insorgenza di detto obbligo non è collegata alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, del gravame (v. da ultimo ex multis Cass. ord. 16/02/2017 n. 4159).
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso. Non assoggetta la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23.3.2017