Cassazione Penale, Sez. 4, 11 maggio 2017, n. 23090 - Infortunio di un preposto: nessun comportamento abnorme se il metodo di trasporto delle pesanti lastre marmoree è palesemente scorretto


 

La Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato la conferma dell'affermazione di responsabilità del datore di lavoro in ordine al reato di lesioni colpose cagionate al dipendente, fondandosi su quanto pacificamente accertato nel corso dell'istruttoria dibattimentale: la scelta metodologica di trasporto delle pesantissime lastre marmoree, effettuata mediante la combinazione di lavoratori a piedi e su attrezzature semoventi (muletti), con i primi chiamati a seguire i muletti al fine di direzionare manualmente le lastre, o tramite contatto diretto del lavoratore con l'oggetto o mediante un "distanziatore" di legno o di metallo.

La circostanza che il lavoratore infortunato avesse la qualifica di preposto è elemento in nessun modo rappresentativo dell'abnormità del comportamento del dipendente, essendo pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 - dep. 2015, Ottino, Rv. 263200).


Presidente: PICCIALLI PATRIZIA Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 01/02/2017

 

 

 

 

 

 

Fatto

 

 

 

1. Con sentenza del 23.6.2016 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sondrio, ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione in ordine al reato di cui al capo C, per il resto confermando la penale responsabilità di L.S. in ordine al reato di lesioni colpose cagionate all'operaio dipendente G.R. all'interno dell'insediamento produttivo della S.n.c. CENTRO CERAMICA, avente ad oggetto la lavorazione di materiali lapidei.
1.1. In punto di fatto veniva accertato che il 25.11.2008 Dalio Mainetti, dipendente della società, guidava un carrello elevatore che trasportava una lastra di quarzite del peso di Kg. 140 all'interno dell'area di manovra. Davanti al muletto camminava il G.R., il quale accompagnava con le mani la lastra durante il tragitto che conduce all'uscita del capannone; improvvisamente la lastra di quarzite si spostava direzionandosi verso il muletto; G.R. restava incastrato tra questo e la lastra, ed era investito da una ruota del mezzo; dall'infortunio derivavano lesioni personali gravissime quali lo schiacciamento del bacino e di un arto inferiore.
1.2. All'imputato veniva rimproverata l'improvvida scelta della metodologia di trasporto delle pesantissime lastre marmoree, tale da esporre i dipendenti a elevato rischio di ferimento: le lastre venivano quotidianamente movimentate tramite muletto, non poggiate in modo stabile ma precariamente sospese. Era quindi certa una loro oscillazione, tanto che nell'azienda era stata istituita la figura dei c.d. "movieri": persone che seguivano il trasporto, direzionando manualmente le lastre medesime, o tramite contatto diretto del lavoratore con l'oggetto (come nel caso riferito dal lavoratore e dal teste D.) o mediante un "distanziatore" di legno o di metallo (come sostenuto dalla difesa dell'imputato).
Ma era prevedibile che il lavoratore a piedi potesse trovarsi nel perimetro di oscillazione, di spostamento o di caduta delle pesantissime lastre; era prevedibile che a fronte di simili masse in movimento, nulla avrebbe potuto fare alcun operaio, né con le mani né con un ipotetico "distanziatore"; era prevedibile il fatto che un trasporto all'aperto fosse soggetto alla forza del vento.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, lamentando vizi motivazionali in ordine ai seguenti profili:
I) la Corte territoriale, nel valutare la responsabilità dell'imputato, è andata oltre le stesse norme tecniche emanate dagli enti preposti ai controlli ed al contributo delle Associazioni di categoria, aventi ad oggetto la movimentazione in sicurezza dei materiali lapidei sui piazzali, che prevedono che i carichi di materiale lapideo sono trattenuti direttamente dagli accessori di sollevamento oppure imballati, e sono quindi appesi al mezzo e sottoposti ad oscillazione e movimenti; le Linee Guida raccomandano all'operatore a terra di tenersi sempre lontano dal mezzo in movimento e di non frapporsi mai, per nessun motivo, tra il mezzo ed il carico;
II) l'imputato ha correttamente adempiuto agli obblighi previsti dal d.lgs. 81/2008, avendo adottato un adeguato Documento di Valutazione dei Rischi, in cui fra l'altro è previsto che quando il muletto è in movimento, l'operatore deve sempre allontanarsi, e se fosse necessario tenere in posizione la lastra, occorre utilizzare un paletto o altro attrezzo per rimanere a distanza di sicurezza, con divieto di utilizzare le mani;
III) Il lavoratore si è frapposto incautamente, in un gesto d'istinto, tra la lastra e il muletto, al fine di raddrizzarne lo spostamento causato dalla folata di vento, in tal modo adottando un comportamento abnorme non adeguatamente valutato dalla Corte di appello;
IV) La qualifica di preposto del lavoratore è elemento autonomamente rappresentativo dell'abnormità del comportamento del dipendente che, nonostante l'ampia esperienza lavorativa, ha posto in essere un comportamento improvvido e non prevedibile dal Datore.
 

 

Diritto

 

1. Il ricorso è inammissibile in quanto svolge essenzialmente censure in fatto, pretendendo che la Corte di cassazione rivaluti nel merito la responsabilità del datore di lavoro, asseritamente insussistente per abnormità del comportamento del lavoratore infortunato.
2. Giova qui ribadire che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità «deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali» (in tal senso, ex plurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite, le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945). La Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Rv. 201177; Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).
3. Nel caso in disamina la Corte territoriale ha congruamente e logicamente motivato la conferma dell'affermazione di responsabilità del L.S. in ordine al reato di lesioni colpose cagionate al dipendente G.R., fondandosi su quanto pacificamente accertato nel corso dell'istruttoria dibattimentale: la scelta metodologica di trasporto delle pesantissime lastre marmoree, effettuata mediante la combinazione di lavoratori a piedi e su attrezzature semoventi (muletti), con i primi chiamati a seguire i muletti al fine di direzionare manualmente le lastre, o tramite contatto diretto del lavoratore con l'oggetto (come nella specie dichiarato dalla parte lesa e dal teste D.) o mediante un "distanziatore" di legno o di metallo (come sostenuto dalla difesa). La Corte territoriale ha logicamente e condivisibilmente affermato come l'attività fisica diretta di un lavoratore nulla avrebbe potuto fare di fronte a movimenti imprevisti di oggetti del peso di ben oltre un quintale, ritenendo quindi tale scelta organizzativa assolutamente errata ed in contrasto con la vigente normativa prevenzionale ed antinfortunistica. E' stato insomma accertato in fatto che il trasporto delle lastre assistite da un "moviere" a piedi, non sempre dotato di un'asta di stanziatrice, fosse una "prassi aziendale", come tale conosciuta (o che doveva essere conosciuta) e tollerata colposamente dal datore di lavoro. 
In tale motivazione sono esplicitamente disattese le doglianze svolte nei motivi di appello ed in essa non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv. 215745; Sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955).
4. E' manifestamente infondata anche la doglianza che pretende di attribuire al lavoratore infortunato un comportamento abnorme, come tale interruttivo del nesso di causalità fra la condotta colposa addebitata all'imputato e l'infortunio.
La costante giurisprudenza della Corte di cassazione definisce abnorme il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed Imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e tale non ritiene che sia il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011, Millo e altri, Rv. 250710). Nella sostanza è abnorme il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (Sez. 4, n. 7267 del 10/11/2009 - dep. 2010, Iglina e altri, Rv. 246695). Si è anche affermato che deve trattarsi di un contegno eccezionale od abnorme del lavoratore medesimo, esorbitante cioè rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute e come tale, dunque, del tutto imprevedibile (Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali e altro, Rv. 243208).
Si tratta di un orientamento ormai consolidato, che delinea l'abnormità del comportamento in presenza dell’imprevedibilità della condotta tenuta dal lavoratore; imprevedibilità che non può mai ritenersi - e mai è stata ritenuta - quando la condotta del lavoratore è tenuta nell'espletamento, sia pure imperito, imprudente o negligente, delle mansioni assegnategli. E ciò perché lo scostamento del lavoratore dagli standard di piena prudenza, diligenza e perizia nelle mansioni a lui affidate è ordinariamente presente, in quanto evenienza immanente nella stessa organizzazione del lavoro. La normativa antinfortunistica è preposta a tutela anche (e soprattutto) dei comportamenti colposi dei lavoratori. Ciò rende necessario che vengano portate alla luce quelle circostanze peculiari del processo di lavoro che connotano la condotta dell'infortunato, in modo che, per dirla con una più recente ricostruzione, "essa si collochi in qualche guisa al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso. Tale comportamento è 'interruttivo' (per restare al lessico tradizionale) non perché 'eccezionale' ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare" (Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison e altri, Rv. 254094).
Tanto premesso, risulta palese nel caso in disamina che per quanto "incauto" possa considerarsi il gesto istintivo del dipendente di frapporsi tra la lastra e il muletto, esso risulta certamente compiuto nello svolgimento dei compiti assegnatigli e, ove pure errato - come assume il ricorrente -, in ogni caso attiene alle migliori modalità di assolvimento del compito.
Correttamente quindi la Corte di appello ha escluso che il comportamento del lavoratore fosse in grado di elidere il nesso eziologico tra le accertate violazioni prevenzionistiche del datore di lavoro e l'infortunio verificatosi.
5. Infine, la circostanza che il lavoratore infortunato avesse la qualifica di preposto è elemento in nessun modo rappresentativo dell'abnormità del comportamento del dipendente, essendo pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all'art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014 - dep. 2015, Ottino, Rv. 263200)
6. Stante l'inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, nella misura indicata in dispositivo. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile G.R. in questo giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Cosi deciso il 1 febbraio 2017