Categoria: Cassazione penale
Visite: 4461

Cassazione Penale, Sez. 7, 19 maggio 2017, n. 25253 - Contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Ricorso inammissibile


 

Presidente: SAVANI PIERO Relatore: SCARCELLA ALESSIO Data Udienza: 10/03/2017

 

 

 

Fatto

 

1. Con sentenza emessa in data 17.05.2016, il tribunale di Campobasso dichiarava il P. colpevole di alcune contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste dal d. Lgs. n. 81 del 2008 (capi da a) ad e) della rubrica), condannandolo alla pena di 1600 euro di ammenda per il capo a), di 1000 euro di ammenda per ciascuno dei capi d) ed e) della rubrica nonché di 2000 euro di ammenda per ciascuno dei capi d) ed e) della rubrica, in relazione a fatti accertati in data 29.11.2011.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo di difensore iscritto nell'albo speciale ex art. 613 c.p.p., deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari perla motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
In particolare, si evoca: a) con il primo ed il secondo motivo - che, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza, meritano congiunta illustrazione -, il vizio di cui all'art. 606, lett. c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 191 e 512 c.p.p. quanto all'acquisizione per lettura dei verbali delle dichiarazioni predibattimentali rese dal teste T. nonché in relazione agli artt. 111 Cost., 192, co. 3, e 195 c.p.p. nonché art. 6 Convenzione e.d.u. per avere ritenuto i giudici di merito le dichiarazioni del T. sufficienti a fondare la responsabilità del ricorrente in ordine alle contravvenzioni contestate (in sintesi, si sostiene che il giudice avrebbe deciso di dare lettura delle dichiarazioni predibattimentali del T. con motivazione apparente, avendo solo dato atto dell'esistenza di patologie sopravvenute senza spiegare come tali patologie potessero rendere irripetibile la sua escussione in dibattimento; in ogni caso, ove le si ritenessero utilizzabili, le stesse non sarebbero comunque idonee da sole a provare la responsabilità del ricorrente per i fatti contestati, non potendo fondarsi la condanna solo sulle dichiarazioni in questione); b) con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all'art. 81, co. 2, c.p. (in sintesi, si sostiene che erroneamente il giudice avrebbe omesso di applicare la disciplina della continuazione; alcune delle contravvenzioni erano dolose o comunque contraddistinte da colpa "con previsione" ed erano quindi espressione di un medesimo disegno criminoso); c) con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all'art. 163 c.p. sotto il profilo della mancanza della motivazione (in sintesi, si sostiene che nonostante in sede di discussione fosse stato richiesto il beneficio della sospensione condizionale della pena, il giudice non avrebbe motivato sul punto). 

Diritto


3. Il ricorso è inammissibile.
4. Quanto alla doglianza relativa alla presunta violazione degli artt. 191 e 512 c.p.p., il motivo è privo di pregio, essendo evidente dalla motivazione della sentenza impugnata che il riferimento alle patologie sopraggiunte rendeva sufficiente e motivata la decisione di acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali per lettura. Trova dunque applicazione il principio secondo cui la valutazione della non ripetibilità dell'atto o delle dichiarazioni, che ne legittima la lettura ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen., anche se non assoluta e demandata in via esclusiva al libero convincimento del giudice di merito, deve essere adeguatamente motivata e ispirata a criteri di rigore e di logicità, in quanto rappresenta una eccezione al principio di oralità del dibattimento (Sez. 2, n. 44570 del 10/10/2014 - dep. 27/10/2014, Zappoli, Rv. 260862).
5. Quanto, poi, alla censura relativa alla idoneità delle dichiarazioni del T. a fondare la responsabilità dell'imputato, se è ben vero che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono - conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell'art. 6 della CEDU - fondare in modo esclusivo o significativo l'affermazione della responsabilità penale (Sez. 1, n. 14243 del 26/11/2015 - dep. 08/04/2016, INI, Rv. 266602), tuttavia nel caso in esame la sentenza motiva precisando che le dichiarazioni del T. erano riscontrate da attività di indagine svolte dai funzionari ASREM che non avevano trovato alcuna smentita nelle dichiarazioni dei testi della difesa, i quali avevano peraltro confermato di non aver frequentato corsi di formazione.
6. Quanto, poi, al terzo motivo afferente la mancata applicazione della continuazione tra i reati contravvenzionali ascritti, sebbene possa in astratto trovare applicazione il principio secondo cui la continuazione è da escludere tra reati contravvenzionali colposi, ma quando però è dimostrato che le più violazioni hanno assunto tutte forma dolosa, l'istituto in questione è applicabile anche ai reati contravvenzionali (Sez. 3, n. 2702 del 22/01/1991 - dep. 01/03/1991, Borello, Rv. 186518), deve tuttavia rilevarsi come, nel caso di specie, è rimasto del tutto sprovvisto di prova che i fatti fossero espressione di un atteggiamento unitario di indole dolosa, laddove si tratta invece di illeciti rispetto ai quali non è stata fornita alcuna prova (né emerge alcun elemento oggettivo in tal senso) tale da poterli ritenere come espressione di un'ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche pro-grammate nelle loro linee essenziali. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è nel senso che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l'elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali (Sez. 3, n. 10235 del 24/01/2013 - dep. 05/03/2013, Vitale, Rv. 254423). Né, peraltro, è consentito confondere l'unicità di ordine intellettivo che giustifica l'applicazione della continuazione, con il vantaggio derivante dal mancato rispetto della normativa prevenzionistica in termini di risparmio di costi, trattandosi di valutazione utilitaristica "generica", non espressiva ex se di quell'unicità del disegno criminoso che sola può giustificare l'applicazione dell'istituto della continuazione.
7. Infine, quanto al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena, è ben vero che sul punto non è rinvenibile nella sentenza impugnata alcuna motivazione, ma il motivo è attinto da inammissibilità in quanto l'istanza di riconoscimento dei benefici richiesta in sede di discussione risulta del tutto immotivata. Deve qui essere infatti ribadito che il giudice non è tenuto a motivare il mancato accoglimento dell'istanza, formulata dal difensore in sede di conclusioni orali, per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena quando non siano state specificate le ragioni poste a fondamento della richiesta (Sez. 6, n. 4922 del 27/10/1975 - dep. 14/04/1976, LAIERNO, Rv. 133288).
6. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare in euro 2000,00 (duemila/00).
 

 

P.Q.M.

 


La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di duemila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 10 marzo 2017