Cassazione Civile, Sez. 1, 01 giugno 2017, n. 13885 - Nessun risarcimento all'operaio modellista che mette in atto un comportamento estraneo ed eccentrico rispetto alle proprie ordinarie mansioni


 

 

Il risarcimento non è dovuto, da parte del datore di lavoro, allorché il lavoratore abbia tenuto egli stesso un comportamento anomalo, idoneo ad interromperne il nesso di causalità, in quanto, in tal modo, viene meno la cd. occasione di lavoro, che afferisce ad ogni fatto ricollegabile al rischio specifico connesso all’attività lavorativa cui il soggetto è preposto.


Dunque, il requisito dell’occasione di lavoro viene meno, in presenza di un rischio estraneo e generato da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa.


 

Presidente Nappi – Relatore Nazzicone
 

 


Fatto

 



Viene proposto ricorso, sulla base di due motivi, contro la sentenza della Corte d’appello di Venezia, che ha respinto l’impugnazione avverso la pronuncia, resa dal Tribunale di Treviso, di rigetto della domanda di ammissione allo stato passivo del Fallimento (…) s.p.a., proposta da D.T. con riguardo al risarcimento del danno cd. differenziale da infortunio sul lavoro, occorsogli allorché egli fu incaricato di ricevere i dipendenti di un’impresa appaltatrice di lavori.
Ha ritenuto la corte del merito che il giudice del primo grado abbia fatto corretta applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e bene valutato le risultanze istruttorie, raggiungendo il condiviso convincimento dell’assenza di qualsiasi prova di un ordine impartito al D. , per il quale egli avesse dovuto tenere il comportamento altamente pericoloso, da cui gli era derivato il danno alla salute lamentato (scavalcamento del parapetto del tetto sovrastante il reparto produttivo aziendale), dal momento che ciò era del tutto estraneo alle sue mansioni ed eccentrico rispetto ad esse.
Resistono con controricorsi la procedura e la B.B.C. Assicurazioni s.p.a..
La sezione Sesta-1, cui la causa era pervenuta, ha rimesso la stessa alla presente sezione semplice.
Il Fallimento (…) s.p.a. ha depositato la memoria di cui all’art. 378 c.p.c.

 

 

Diritto

 



1. - Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione o falsa applicazione di "legge" (senza altre specificazioni), per avere la sentenza impugnata ritenuto decisiva, al fine di fondare il diritto al risarcimento, la prova dell’esistenza di una direttiva o un ordine del datore di lavoro a tenere la condotta pericolosa predetta, mentre è onere di quest’ultimo provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., lamenta l’omesso esame del fatto consistente nella prevedibilità del comportamento del ricorrente, da cui derivava l’obbligo del datore di porre in essere tutte le cautele necessarie a tutelarne la salute, non trattandosi affatto di comportamento eccentrico.
2. - I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto intimamente connessi, sono infondati.
Costituisce principio costante, in tema onere della prova negli infortuni sul lavoro, che il lavoratore il quale lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, ha l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, e il nesso di causalità tra l’uno e l’altro; e solo quando tali circostanze egli abbia provato incombe, al datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, rimanendo altrimenti quest’ultimo esonerato dall’onere di fornire la prova liberatoria a suo carico (Cass. 20 febbraio 2006, n. 3650).
Quanto al nesso causale, è parimenti consolidato il principio secondo cui il risarcimento non è dovuto, da parte del datore di lavoro, allorché il lavoratore abbia tenuto egli stesso un comportamento anomalo, idoneo ad interromperne il nesso di causalità, in quanto, in tal modo, viene meno la cd. occasione di lavoro, che afferisce ad ogni fatto ricollegabile al rischio specifico connesso all’attività lavorativa cui il soggetto è preposto (v., con riguardo all’indennizzo per infortunio sul lavoro, Cass. 8 luglio 2015, n. 14251; 5 gennaio 2015, n. 6; 28 luglio 2004, n. 14270).
Dunque, il requisito dell’occasione di lavoro viene meno, in presenza di un rischio estraneo e generato da una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente all’attività lavorativa (Cass. 18 marzo 2013, n. 6725; 10 settembre 2009, n. 19496).
In applicazione di tali principi, la corte del merito ha concluso, all’esito della istruttoria espletata e di tutte le risultanze probatorie in atti, che lo scavalcamento del parapetto del tetto sovrastante il reparto produttivo aziendale, con la relativa griglia, fosse estraneo ed eccentrico rispetto alle mansioni del ricorrente, accertate essere quelle di operaio modellista, nonché incaricato della apertura dei cancelli, del sistema di allarme, del controllo di porte e uffici, e che nessun ordine fu impartito di compiere quella azione pericolosa.
Né coglie nel segno il motivo formulato ai sensi del nuovo art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., posto che la sentenza impugnata ha ricostruito approfonditamente i fatti ed esaminato, in particolare, la condotta atipica del D. , e non è censurabile ai sensi di tale norma l’accertamento compiuto dal giudice del merito circa l’estraneità dell’ispezione del tetto dalle mansioni, come dagli ordini ricevuti dal lavoratore; mentre ogni altra questione dedotta nel ricorso attiene al giudizio di fatto, estraneo alla sede di legittimità e riservato ai giudici del merito, i quali hanno, in entrambi i gradi di giudizio, concluso nel senso anzidetto.
3. - Le spese di lite seguono la soccombenza. Non vi è luogo alla dichiarazione ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, essendo il ricorso esente.

 

 

P.Q.M.

 



La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate, a favore di ciascun controricorrente, in Euro 2.900,00 complessive, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori di legge.