Cassazione Civile, Sez. Lav., 05 giugno 2017, n. 13935 - Illegittimità del licenziamento e risarcimento danni da mobbing


 

 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: CINQUE GUGLIELMO Data pubblicazione: 05/06/2017

 

 

 

Fatto

 


1. Con la sentenza n. 10/2015 la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia n. 468/2012, emessa dal Tribunale di Parma, con la quale era stata respinta la domanda, proposta da C.B., volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli in data 13.6.2008 per superamento del periodo di comporto nonché il risarcimento dei danni patiti a titolo di lesione all'immagine professionale e per essere stato vittima di mobbing.
2. A fondamento della propria decisione i giudici di seconde cure hanno sottolineato che: a) era infondata la eccezione di inammissibilità, ex art. 348 bis cpc, dell'appello perché era stata lamentata l'erroneità della valutazione, da parte del primo giudice, delle risultanze istruttorie con la proposizione di una diversa lettura delle stesse; b) il demansionamento, consistito nell'adibizione al "reparto scelta", trovava la sua spiegazione nel fatto che il C.B. era stato giudicato inidoneo allo svolgimento delle mansioni di macchinista; c) quanto al mobbing, non era stata raggiunta la prova positiva in ordine agli elementi costitutivi fondamentali della condotta vessatoria; d) la natura degli infortuni sul lavoro, asseritamente patiti dal dipendente, era stata esclusa dallo stesso INAIL; e) le spese di lite andavano compensate mentre per l'appellante sussistevano i presupposti per il pagamento del "doppio del contributo".
3. Per la cassazione propone ricorso C.B. affidato a tre motivi.
4. Resiste con controricorso la B.L. spa.
5. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cpc.
 

 

Diritto

 


1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 cpc. In particolare deduce, precisando che era stata riconosciuta l'esistenza di un danno biologico da demansionamento ma che al contempo non erano stati ritenuti sussistenti i presupposti per la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni, che la Corte di appello, nel corpo della sentenza, aveva dimostrato di non avere valutato la circostanza che l'idoneità alla mansione di macchinista era basata su due certificati medici falsi, perché non corrispondenti alla realtà dei fatti occorsi, e che comunque erano stati posti a base dell'elaborato del CTU.
2. Con il secondo motivo si censura la gravata sentenza perviolazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360, comma 1 n. 3 cpc e, in particolare, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2103 cc. Si sostiene che, essendo inveritiero il giudizio di idoneità alla mansione di macchinista, avvenuto del resto successivamente al trasferimento al reparto "imballo e scelta", conseguentemente era illecita la condotta della datrice di lavoro anche ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2103 cc. Inoltre, anche con riguardo alla fattispecie di mobbing, il ricorrente obietta che il giudizio della Corte non era stato corretto perché, dalla lettura complessiva della condotta datoriale, emergeva con chiarezza l'intento persecutorio nei suoi confronti consistito nell'adozione di atti posti in essere dall'azienda in una strategia complessiva diretta alla sua emarginazione dal contesto lavorativo.
3. Con il terzo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 nel testo modificato dalla legge 228/2012. Si rileva che erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto sussistenti i presupposti per il versamento di un aggiuntivo importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello, pur essendo stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato come provato dalla relativa delibera di ammissione prodotta quale documento n 3 del fascicolo di parte del giudizio di appello.
4. Il primo motivo è inammissibile.
5. Nella fattispecie in esame si verte in ipotesi di cd. "doppia conforme" in fatto (appello depositato il 13.11.2013 e sentenza di secondo grado pubblicata il 9.3.2015) per cui, ex art. 348 ter commi 4 e 5 cpc, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicché il sindacato di legittimità del provvedimento è possibile soltanto se la motivazione sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni ed argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili: ipotesi, queste, non ravvisabili negli assunti decisionali della gravata sentenza.
6. Parimenti il secondo motivo non può essere accolto.
7. Si eccepisce, infatti, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 cpc, che presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata, mentre il motivo scrutinato è essenzialmente inteso alla sollecitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Css 18.3.2011 n. 6288).
8. Il terzo motivo è, invece, fondato.
9. C.B., come comprovato dalla delibera di ammissione prodotta quale doc. n. 3 del fascicolo di parte del giudizio di appello, è stato ammesso al patrocinio a spese dello stato.
10. Orbene, come affermato in più occasioni da questa Corte (Cass. 2.9.2014 n. 18523; Cass. ord. 18.10.2016 n. 3669; Cass. 15.10.2015 n. 20920), quando la parte è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato non sussistono le condizioni per l'applicazione del disposto dell'art. 13 c. 1 quater DPR n. 115/2002 introdotto dalle legge n. 228 del 2012.
11. Infatti, anche se la disposizione di cui all'art. 13 citato non prevede esenzioni per tale ipotesi, la norma deve essere interpretata, sistematicamente, pur sempre nel contesto del provvedimento legislativo in cui è stata inserita a seguito della modifica di cui all'art. 1 legge n. 228/2012.
12. Ebbene, l'art. 131 DPR 30.5.2002 n. 115 statuisce che: "Per effetto dell'ammissione al patrocinio e relativamente alle spese a carico della parte ammessa, alcune sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall'erario. Tra quelle prenotate a debito rientra il contributo unificato nel processo civile e amministrativo".
13. Sebbene il raddoppio del contributo si muova nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle pur sempre limitate risorse a sua disposizione ed il suo rilevamento non costituisca un capo del provvedimento di definizione dell'impugnazione dotato di contenuto condannatorio né di contenuto declaratorio, tuttavia è indubbio che l'applicazione di tale raddoppio, se sia riferibile ad un soggetto ammesso al patrocinio dello stato ovvero ad una amministrazione pubblica, non sia conforme a legge.
14. Nei suddetti casi, infatti, si ha un esonero istituzionale, per valutazione normativa dello loro qualità soggettiva, del materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito.
15. Nella specifica fattispecie del soggetto ammesso al patrocinio a spese dello stato, pertanto, se il giudice adito -in sede di decisione- può e deve dichiarare che non sussistono le condizioni per la applicazione del disposto di cui all'art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, allo stesso modo non si può privare la parte non abbiente di una eventuale tutela giurisdizionale in sede di legittimità nell'ipotesi in cui vi sia stata una erronea determinazione giurisdizionale sul punto da parte dei giudici di appello.
16. Né può affermarsi che l'eventuale erroneità della indicazione di sussistenza dei presupposti per l'assoggettabilità all'obbligo di un versamento di una somma pari a quella del contributo potrà essere segnalata in sede di riscossione (cfr. Cass. Sez. VI - 3 ord. 9.11.2016 n. 22867) perché tale ricostruzione si porrebbe in contrasto con l'art. 6 della CEDU, con riguardo ai tempi ragionevoli del processo e al principio dell'esame equo della propria controversia, e con l'art. 47 della Carta Fondamentale dell'Unione Europea, che afferma che a coloro che non dispongano di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio dello Stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia, non potendosi, pertanto, ravvisare tale situazione quando il non abbiente debba essere costretto ad azionare più giudizi per ottenere garanzia dei propri diritti.
17. E ciò prescindendo da altri profili processuali di diritto interno, relativi alla circostanza che altre autorità, seppure in sede di riscossione, dovrebbero rivalutare un capo di una pronuncia giurisdizionale definitiva, oppure dal negativo aspetto di politica finanziaria e di bilancio pubblico conseguente al fatto che un altro giudizio (opposizione alla riscossione esattoriale) esporrebbe lo Stato ad un ulteriore esborso per la difesa del non abbiente.
18. Ritenuta, quindi, l'ammissibilità del motivo, avendo il giudizio della Corte di Cassazione per oggetto la conformità o meno all'ordinamento giuridico della decisione adottata (cfr. in motivazione Cass. Sez. Un. 27.10.2016 n. 21691), va rilevato che, nella fattispecie in esame, nel giudizio di appello i giudici di seconde cure non potevano, sebbene l'impugnazione fosse stata rigettata, porre a carico del C.B. l'ulteriore importo a titolo di contributo, essendo stato quest'ultimo ammesso al patrocinio a spese dello Stato, come risultava dalla documentazione in atti.
19. In conclusione, respinti il primo e secondo motivo, la sentenza deve essere cassata in relazione al terzo e, non essendo necessaria attività istruttoria, decidendo nel merito va dichiarato che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte di C.B., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello.
20. L'accoglimento solo in parte del ricorso, che dà luogo ad una situazione di soccombenza reciproca, induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
21. Nulla va disposto in ordine alla liquidazione del compenso al difensore di C.B. (Avv. F.P. che ha depositato apposita istanza) perché, secondo la disciplina di cui al DPR n. 115/2002, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell'art. 83 del suddetto decreto, come modificato dall'art. 3 della legge n. 25 del 2005, al giudice di rinvio oppure a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato a seguito dell'esito del giudizio di cassazione ovvero, nel caso di cassazione e decisione sul merito, a quello che sarebbe stato il giudice di rinvio ove non vi fosse stata decisione nel merito (Cass. ord. 13.5.2009 n. 11028; Cass. ord. 12.11.2010 n. 23007).
 

 

P.Q.M.

 


rigetta il primo e secondo motivo; accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che non sussistono i presupposti per il versamento da parte di B.C. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'appello. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2017