Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 01 giugno 2017, n. 27485 - Operaio cade da una scala utilizzata per salire sul tetto di una baracca. Responsabilità del datore di lavoro


 

Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 12/01/2017

 

Fatto

 

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha confermato la pronuncia emessa nei confronti di S.G. dal Tribunale di Belluno, con la quale questi è stato giudicato, quale datore di lavoro, responsabile del reato di lesioni colpose commesse in danno del dipendente A.L. con violazione di norme in materia di infortuni sul lavoro e condannato alla pena di mesi cinque di reclusione nonché al risarcimento dei danni alla parte civile, subordinando la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale.
Secondo i giudici di merito il 30 maggio 2011 il lavoratore era salito sul tetto di una baracca per attendere alle ordinarie occupazioni e poi, mentre scendeva dallo stesso utilizzando una scala cadeva a terra a causa della inidoneità di questa. In particolare la Corte di Appello rigettava la prospettazione difensiva secondo la quale l'operaio era salito di sua iniziativa sulla scala per raccogliere da un albero delle ciliegie raggiungibili dal tetto della baracca.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato a mezzo del difensore di fiducia, avv. P.P..
2.1. Con un primo motivo deduce il vizio motivazionale esponendo che:
- in relazione al tema delle mansioni che il giorno dell'infortunio erano state affidate al lavoratore, la Corte di Appello ha ritenuto che l'A.L. operava sulla tettoia che doveva essere rimossa perché caduto in prossimità dell'angolo dove il nuovo pilastro doveva essere installato; per far ciò ha affermato che l'imputato aveva fatto collocare il pilastro della nuova tettoia in una posizione diversa solo dopo l'infortunio, al fine di indebolire la versione del lavoratore; ma non ha indicato da quali elementi di prova ha tratto questa ricostruzione, che è solo una sua interpretazione;
- la Corte di Appello non si è pronunciata sui rilievi avanzati con l'atto di appello e che avevano ad oggetto la testimonianza del teste C., dalla quale risulta che sino a giugno inoltrato non era disponibile alcun progetto che indicasse l'attività da compiere e quindi era inutile eseguire il 30 maggio il sopralluogo sul tetto, sicché il lavoratore vi era salito per cogliervi le ciliegie, con una scala non facente parte del compendio aziendale (ma comunque idonea). Sicché la corte territoriale non ha esplicato in forza di quale ragionamento la deposizione C. fosse priva di pregio probatorio;
- poiché il punto centrale è quali siano state le mansioni assegnate al lavoratore il giorno dell'infortunio, sono prive di effettiva forza dimostrativa la considerazione concernenti la scala, l'intervento dello Spisal, la natura del comportamento dell'infortunato.
2.2. Con un secondo motivo si deduce vizio motivazionale per aver la Corte di Appello formulato una motivazione priva di valore circa la rilevanza sul piano causale della condotta del lavoratore. Dopo aver esposto ampi stralci delle dichiarazioni rese in dibattimento da taluni testi e dall'imputato, l'esponente asserisce che è sprovvista di forza logica la motivazione quando ritiene non verosimile la tesi difensiva per la quale il giorno dell'infortunio il S.G. ancora non conosceva dove andassero posizionate le travi verticali per sorreggere la tettoia perché il permesso "di soggiorno" (ma dovrebbe trattarsi del permesso di costruire) era stato 'presentato' il 24.5.2011 e sarebbe stato ritirato in giugno, sicché il lavoratore era salito sulla tettoia per una sua scelta volontaria, vietata dal datore di lavoro e inutile. Si aggiunge che la Corte di Appello non ha replicato alle contestazioni mosse dalla difesa al giudizio di attendibilità della persona offesa sulla scorta delle contraddizioni tra prime dichiarazioni e deposizione in dibattimento. Si connette a ciò un ritenuto travisamento della prova, per non aver la Corte di Appello considerato le deposizioni C. e M., nonché la documentazione fotografica attestante la presenza di ciliegie nei pressi del luogo dell'infortunio.
2.3. Con un terzo motivo ci si duole della eccessività della pena con affermazione assertiva.
2.4. Il quarto motivo, sotto la titolazione "istanza di revoca della provvisionale", reitera le doglianze espresse per evidenziare i vizi in precedenza censurati, che vengono quindi nuovamente riproposti, aggiungendo la sottolineatura della contraddizione nella quale è incorsa la Corte di Appello affermando da un canto il concorso di colpa del lavoratore e dall'altro che l'infortunio si era verificato mentre questi attendeva alle sue occupazioni.
2.5. In data 29.12.2016 è pervenuta memoria recante 'Motivi aggiunti', con i quali l'esponente ribadisce la censura di violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla mancata qualificazione del comportamento del lavoratore come esorbitante, richiamando a sostegno talune decisioni di questa Corte e rimarcando, tra le altre puntualizzazioni, l'utilizzo di uno strumento improprio da parte della persona offesa, per l'incidenza del dato nella ricostruzione del concetto di comportamento esorbitante.
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è infondato.
3.1. Nonostante le ripetute puntualizzazioni della esclusione di ogni volontà di sollecitare questa Corte a formulare una sua propria valutazione della prova, il ricorso non si sottrae alla prospettazione di una valutazione alternativa dei materiali di prova. D'altronde, tanto viene espresso anche in termini piuttosto nitidi dal ricorrente: si chiede a questa Corte "l'accertamento empirico che nel processo argomentativo del Collegio veneziano è mancata la valorizzazione, o meglio l'integrale considerazione di prove che esprimevano fatti storici assolutamente opposti a quanto riportato in motivazione ..." Del tutto evidente l'assenza della indicazione di una palese frattura logica o della mancata valutazione di una prova decisiva.
Orbene, il nodo intorno al quale il ricorrente ritiene si stringa l'affermazione di responsabilità è rappresentato dalle mansioni che il giorno dell'infortunio sarebbero state assegnate all'infortunato: pulizia del cantiere per il ricorrente, operazioni sulla tettoia della baracca, per i giudici di merito. Dalla prima ricostruzione discenderebbe, per il ricorrente, il carattere abnorme o esorbitante della condotta della persona offesa, con l'impossibilità di ricondurre l'infortunio alla condotta del S.G..
Appare opportuno rammentare, quindi, che il Tribunale aveva ritenuto che il lavoratore fosse salito sulla baracca per verificare le modalità di fissaggio di una copertura in lamiera della baracca, che avrebbe dovuto rimuovere. Ciò sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, ritenute riscontrate dall'esistenza di un permesso a costruire che, rilasciato il 24.5.2011, autorizzava l'esecuzione di "opere di demolizione di un accessorio fatiscente e la realizzazione di nuova tettoia ..."; dalla documentazione fotografica che mostrava "come fin dal 9 maggio 2011 fosse chiaro il programma del S.G. di realizzare la nuova tettoia"; dal fatto che la persona offesa aveva potuto indicare la collocazione della colonna sul vertice dell'angolo della platea in cemento, nonostante questa non fosse più tornata in cantiere dopo dell'Infortunio.
A fronte di tale quadro ricostruttivo, la Corte di Appello si è soffermata sulla valutazione della deposizione C., per l'appellante eversiva della narrazione accolta dal Tribunale, e di quella del teste M., nonché sulla valenza delle circostanze indicate dall'Imputato per dimostrare l'inattendibilità della persona offesa.
Orbene, poiché le dichiarazioni della persona offesa - cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. - possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015 - dep. 27/10/2015, Manzini, Rv. 255104), compito di questa Corte è quello di accertare che tale verifica sia stata compiuta, tenendo presente che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 - dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
Sotto tal profilo va rilevato come la Corte di Appello abbia sottoposto a controllo le dichiarazioni della persona offesa sia alla luce di quanto dichiarato dal C. (sicché è manifestamente infondata la censura che lamenta l'omessa motivazione sulla rilevanza di tale testimonianza, come indicata dalla difesa), sia in relazione all'interesse alla condanna derivante dalla richiesta di risarcimento dei danni. Per il primo profilo la corte distrettuale ha reso una motivazione non manifestamente illogica; l'esponente asserisce che lo ha fatto sulla scorta di un'interpretazione soggettiva non confortata da elementi oggettivi. In realtà si tratta dell'uso di un argomento logico: poiché il permesso prevedeva la demolizione della tettoia, la scelta di non rimuoverla ma di tagliarne un pezzo per farvi passare il pilastro era stata dovuta al sopravvenuto incidente, per dimostrare l'inutilità di smontare la tettoia preesistente. La deduzione non è illogica ed il fatto che sia possibile che anche altra sia stata la causa del mutamento di programma non inficia la correttezza giuridica del giudizio al quale essa è asservita. Peraltro, siffatta deduzione si accompagna all'evidenziazione di ulteriori profili conducenti al complessivo giudizio di inattendibilità del C. (versioni discordanti sull'autore della fondazione in calcestruzzo; sulla conoscenza del progetto già prima della data di collocazione del pilastro); sicché va certamente escluso che la motivazione sul carattere recessivo della prova in parola sia mancante; e, si ripete, essa non appare manifestamente illogica.
Quanto al secondo aspetto, la Corte di Appello ha esplicitato per quali ragioni le circostanze che l'imputato aveva segnalato a dimostrazione dell'inattendibilità della persona offesa non trovino concreto riscontro all'esito dell'accertamento processuale. Ed ha anche posto in luce le discrepanze emerse nella deposizione della persona offesa, motivatamente ritenute non incidenti sulla complessiva narrazione perché attinenti unicamente al posizionamento della scala utilizzata, in sede di indagini dall'infortunato ricondotto a sé e poi attribuito al datore di lavoro.
Sono state considerate anche le dichiarazioni del M. e la esistenza di ciliegie sul tetto della baracca; per le prime si è rilevato che la difesa ne aveva operato una lettura limitata a taluni passi, mentre dall'Insieme emergeva l'esistenza del cantiere e l'avvenuto avvio dei lavori; e anche da ciò - oltre che dal fatto che il S.G. aveva appuntamento con l'A.L. in cantiere alle otto del mattino - ha dedotto che questi non doveva eseguire lavori di pulizia, essendo peraltro operativo nel cantiere già da circa dieci giorni. Quanto alla seconda circostanza, essa è stata ritenuta inidonea a dimostrare che il lavoratore era salito sulla baracca solo per prendere le ciliegie.
Conclusivamente sul punto, la ricostruzione operata dalla Corte di Appello non cede alle censure del ricorrente. Ne deriva che la trattazione del tema della 'esorbitanza' del comportamento del lavoratore, poggiata su una ricostruzione antagonista rispetto a quella adottata dai giudici di merito, si mostra immediatamente inconferente, proprio perché si connette a presupposti fattuali non convalidati dall'accertamento processuale. Il relativo motivo è quindi aspecifico.
3.2. Il motivo concernente la pena non è neppure articolato in argomentazioni; sicché esso risulta aspecifico perché non evidenzia il vizio che inficierebbe la decisione impugnata.
3.3. In relazione al quarto motivo è sufficiente rammentare la consolidata giurisprudenza di questa Corte per la quale non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015 - dep. 06/05/2015, D. G., Rv. 263486).
4. In conclusione, il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12/1/2017.