Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. 6, 06 giugno 2017, n. 14039 - Postumi da infortunio


 

Presidente: CURZIO PIETRO Relatore: FERNANDES GIULIO Data pubblicazione: 06/06/2017

 

 

Rilevato
che, con sentenza del 15 ottobre 2015, la Corte di Appello di Genova confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da L.M.C. nei confronti dell'INAIL (quale successore ex lege dell’IPSEMA) ed intesa ad ottenere l’indennizzo in capitale in misura pari all’11% dei postumi derivati dall’infortunio sul lavoro occorsole il 31 luglio 2009, l’indennità per inabilità temporanea assoluta sino a tutto il 12 giugno 2011, in aggiunta a quella liquidata sino al 31 maggio 2010 dall’istituto, l’indennità per inidoneità alla navigazione per il periodo dal 13 giugno 2010 al 3 novembre 2011 ed il rimborso delle spese mediche e di viaggio;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la L.M.C. affidato a due motivi cui l’INAIL resiste con controricorso;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata;
 

 

Considerato
che con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ.) per avere la Corte di Appello omesso di considerare: che le lesioni cartilaginee acute sono inizialmente misconosciute o scambiate per lesioni meniscali o del corpo di Hoffa e non risultano inizialmente presentì anche all’esito di esami sofisticati, quali la RNM, e ciò spiega perché non furono evidenziate dalla RNM cui venne sottoposta la L.M.C. il 15 dicembre 2009; che dette lesioni non vanno trattate immediatamente, soprattutto nelle persone giovani, ma richiedono di un periodo di osservazione di almeno sei mesi e che il ritardato intervento artroscopico era dipeso “dai noti aspetti traumatici della procedura, nonché dagli elevati costi per il SSN”; che il SASN (Servizio Assistenza Sanitaria Naviganti) di Roma e dalla Commissione medica permanente di I grado avevano riconosciuto la sussistenza del nesso di causalità tra l’infortunio patito dalla ricorrente e la lesione osteocondrale fratturativa post-traumatica del condilo e troclea femorale ginocchio sinistro;
che, con il secondo motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 11, comma 5 bis, del dlgs. 9 aprile 2008 n. 81 e 38 Cost. (in relazione all’art. 360, primo comma , n. 3 , cod. proc. civ.) per avere il giudice del gravame erroneamente rigettato la richiesta di rimborso delle spese mediche sia di quelle anteriori e successive direttamente connesse all’intervento chirurgico (sul rilievo che le medesime non trovavano causa nell’infortunio) che di quelle sostenute nel periodo di inabilità temporanea assoluta trattandosi di prestazioni fornite dal SSN e non ricorrendo le condizioni previste dall’art. 11, comma 5 bis, del d.lgs. n. 81 del 2008 (la necessarietà delle stesse) ragion per cui esse erano la conseguenza della personale decisione della L.M.C. di ricorrere alle cure di uno specialista di sua fiducia; ed infatti, la “necessarietà” di dette spese era stata riconosciuta dal SASN - organo dell’IPSEMA e, quindi, a quest’ultimo opponibile quale successore ex lege dell’IPSEMA — e non era stata mai specificamente contestata dall’INAIL e, comunque, esse andavano riconosciute alla luce della circolare n. 62 emanata dall’INAIL il 13 novembre 2012 con riferimento all’art.11, comma 5 bis, del dlgs. n. 81 del 2008 (per la quale l’istituto doveva tenere indenne gli infortunati ed i tecnopatici dalle spese connesse alle prestazioni curative necessarie al recupero dell’integrità psicofisica se ritenute necessarie dai medici dell’INAIL); che il primo motivo è inammissibile in quanto, pur con una intitolazione conforme al testo di cui all’art. 360 n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione disposta dall'art. 54, comma 1, lett. b) D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, in realtà, finisce con il criticare la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale che, in quanto tale, non è più censurabile (si veda Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatìs, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione); ed infatti, l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) e tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica - e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente - che possa denunciarsi ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori essendo sufficiente che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti; che, invero, nel caso in esame, i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata ed alla quale la Corte territoriale ha aderito sicché non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla ricorrente; peraltro, nell’impugnata sentenza sono state esposte in modo esaustivo le ragioni per le quali la Corte ha ritenuto che le lesioni che avevano richiesto l’intervento chirurgico del giugno 2010 erano conseguenza dei processi degenerativi degli esiti di un intervento artroscopico di meniscectomia parziale cui la L.M.C. era stata sottoposta a seguito di altro infortunio sul lavoro patito nel maggio 2000 (per il quale già godeva di rendita) e non erano conciliabili neppure cronologicamente, per la gravità e diffusività, con l’infortunio del luglio 2009 e , certamente, le valutazioni operate dal SASN non possono essere ritenute vincolanti per il giudice;
che il secondo motivo è infondato in quanto la Corte ha escluso la ripetibilità delle spese ricollegabili all’intervento chirurgico del maggio 2010 come logica conseguenza della affermata non riconducibilità di quest’ultimo, dal punto di vista eziologico, all’infortunio del luglio 2009 e, del pari correttamente, ha ritenuto che le spese sostenute nel periodo di inabilità temporanea assoluta non erano ripetibili perché non ricorreva alcuna delle condizioni previste dall’art. 11, comma 5 bis, d.lgs. n. 81/2008 (e dalla circolare INAIL n. 62/2012) - non essendo state ritenute necessarie dai sanitari dell’INAIL, né integrando cure non erogate dal SSN o prestazioni urgenti ed indifferibili alle quali il SSN non poteva far fronte con la necessaria tempestività — con una valutazione di merito non sindacabile in questa sede e rispettosa delle norme indicate come violate dalla ricorrente (peraltro, il SASN, contrariamente a quanto affermato in ricorso, non era affatto organo dell'IPSEMA ma è, tutt’ora, articolazione del Ministero della Salute);
che, dunque, il ricorso va rigettato;
che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dell'INAIL;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame.
 

 

P.Q.M.

 


La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2017.