Cassazione Civile, Sez. Lav., 01 giugno 2017, n. 13862 - Quantificazione del danno biologico derivante da malattia professionale


 

Presidente: MAMMONE GIOVANNI Relatore: CALAFIORE DANIELA Data pubblicazione: 01/06/2017

 

 

 

Rilevato
che con sentenza del 28.9.2010/23.2.2011 la Corte d'Appello di Bologna ha rigettato l'appello di M.T. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città di rigetto della sua domanda tesa ad ottenere la condanna dell'INAIL al pagamento dell'indennizzo previsto dalla legge in relazione a malattia professionale denunciata il 22 marzo 2005;
che la sentenza impugnata ha condiviso le conclusioni del c.t.u. nominato in grado d'appello che, pur affermando l'origine professionale della malattia, disconosciuta in primo grado, in ragione dell'attività svolta dal M.T. quale addetto alla movimentazione dei carichi all'interno di un supermercato, aveva quantificato il danno biologico dalla stessa derivante in misura non superiore al 6%; che avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.T. affidato a due motivi;
che l'INAIL ha depositato procura in calce alla copia notificata del ricorso;
che il P.G. non ha formulato richieste;
che è stata depositata memoria ex art. 378 c.p.c. da M.T.;
 

 

Considerato
che con il primo motivo il ricorrente censura, senza indicare espressamente alcuno dei motivi contemplati dall'art. 360 cod. proc. civ., la motivazione addotta dalla Corte territoriale laddove avrebbe del tutto omesso di valutare il motivo d'appello specificamente diretto a contestare la consulenza espletata in primo grado anche mediante deposito di consulenza di parte;
che con il secondo motivo, pure privo di riferimento ad alcuno dei motivi di cassazione indicati dall'art. 360 cp.c, ci si riferisce alla violazione dell'art. 13 del d.lgv. 38/2000 poiché l'accertamento di un grado di menomazione pari al sei per cento avrebbe dovuto comportare il riconoscimento del diritto all'indennizzo;
che questa Corte di legittimità ha affermato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall'art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (SS.UU. 17931/2013; 24553/2013);
che, nel caso di specie, il ricorso è ammissibile giacché la formulazione dei motivi consente di ritenere che il primo motivo- incentrato sull'omessa valutazione delle circostanze fattuali di espletamento dell'attività lavorativa morbigena- faccia riferimento al numero 5 dell'art. 360 primo comma cod. proc. civ., mentre il secondo che indica in modo univoco la violazione dell'art. 13 del d.lgs. 38/2000 non può che rientrare nella previsione del n. 3 del medesimo primo comma dell'art. 360 cod. proc.civ.;
che il primo motivo va ritenuto non sorretto da sufficiente interesse giacché la parte ricorrente, che ha trascritto alcuni passi della relazione tecnica di parte allegata in grado d'appello finalizzati a sostenere la tesi della natura professionale della patologia denunciata, non si avvede che la Corte territoriale, dopo aver rinnovato la c.t.u. ed aver dimostrato di condividere le critiche all'operato del c.t.u. di primo grado, ha positivamente accertato la natura professionale della malattia riconoscendo il fondamento della impugnazione sul punto; che, quanto al secondo motivo di ricorso, va riaffermato (Cass. 9956/2011; 21022/2007) che il d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 introduce un nuovo sistema di liquidazione del danno conseguente agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, prevedendo per la prima volta la liquidazione del danno biologico (pertanto indipendentemente da una riduzione della capacità di produzione di un reddito da parte del lavoratore colpito) - in capitale, in caso di menomazioni di grado pari a 6% e inferiore a 16% e mediante una rendita, per le menomazioni di grado superiore -, aggiungendo in quest'ultimo caso una ulteriore quota di rendita per le conseguenze patrimoniali, commisurata al grado di menomazione, alla retribuzione dell'assicurato e sulla base di una apposita nuova tabella dei coefficienti;
che in precedenza, la disciplina relativa alla materia degli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali, stabilita dal D.P.R. n.1124 del 1965, prevedeva viceversa un indennizzo dei postumi permanenti rappresentati da una riduzione della capacità lavorativa del dipendente oltre la soglia del 10%, secondo quanto stabilito dall'art. 74 del decreto presidenziale citato, superata anche solo in caso di aggravamento successivo dipendente dal medesimo infortunio o malattia professionale (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 83, comma 8); che tale diversità di disciplina giustifica la disposizione del d.lgv. n.38 del 2000, art. 13 secondo la quale il nuovo sistema è applicabile unicamente per "i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 5", (poi emanato il 12 luglio 2000), laddove la locuzione "verificatisi o denunciati" si riferisce chiaramente agli infortuni e alle malattie professionali, che sono oggetto della denuncia di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 52 e 53;
che nel caso in esame la malattia professionale era stata originariamente denunciata e quindi si era verificata e manifestata in data 22 marzo 2005, come è incontroverso tra le parti, con conseguente applicazione del sistema introdotto dall'art. 13 del d.lgv. 38/2000 che ha reso rilevante l'accertamento, come è nel caso di specie, di un grado di menomazione pari al 6%; che, dunque, la sentenza impugnata va cassata con rinvio per un nuovo esame, da compiersi alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questa fase di legittimità.
 

 

P.Q.M.

 


rigetta il primo motivo; accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia quanto al motivo accolto alla Corte d'appello di Bologna in diversa composizione cui demanda anche di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso nella Adunanza camerale del 22 febbraio 2017.