Cassazione Penale, Sez. 3, 09 giugno 2017, n. 28724 - Altezza dei locali di lavoro e uscita di sicurezza non conforme alla normativa. Non si applica l'art. 131 bis c.p. quando plurime sono le violazioni
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l'imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima "ratio punendi"), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il "fatto" nella sua dimensione "plurima", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola.
Presidente: SAVANI PIERO Relatore: GALTERIO DONATELLA Data Udienza: 11/05/2017
Fatto
Con sentenza in data 13.10.2016 il Tribunale di Torino ha condannato M.T. alla pena, previo riconoscimento delle circostanze generiche, di € 1.600 di ammenda ritenendolo colpevole del reato di cui all'art. 64 comma 1 lett. a) d. Lgs. 81/2008 in qualità di datore di lavoro e Presidente del Consiglio di Amministrazione della s.r.l. "El pan d'na volta" sia per l'altezza di mt. 2,86 del locale adibito ad esercizio commerciale e laboratorio inferiore ai 3 mt. previsti per i locali destinati al lavoro sia per le ridotte dimensioni del passaggio che conduce all'uscita di sicurezza, largo 36 cm. e pertanto non conforme alla normativa antincendio. Avverso la suddetta pronuncia l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione proponendo un unico motivo con il quale lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 131-bis c.p. e al vizio motivazionale, la carenza assoluta di motivazione per non avere il Tribunale fornito alcuna risposta in ordine alla richiesta di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto formulata dal ricorrente in udienza al momento della precisazione delle conclusioni sul rilievo della assoluta lievità del vulnus arrecato all'interesse tutelato dalla norma incriminatrice, tenuto conto del modestissimo scarto pari ad appena 14 cm. tra l'altezza del locale e quella prevista dalla vigente normativa e della ridottissima area in cui il passaggio verso la porta adibita ad uscita di sicurezza era risultato più angusto di quanto disposto dalla normativa antincendio.
Diritto
Il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato.
Il Tribunale torinese ha motivato il diniego dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 131 bis cod. pen. in ragione della pluralità delle violazioni riscontrate e della sussistenza di plurimi precedenti penali dell'imputato per reati anch'essi legati all'esercizio dell'impresa commerciale. Siffatta motivazione deve ritenersi, contrariamente a quanto lamentato dal ricorrente, congrua e al contempo esaustiva ove si consideri che la speciale causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. applicabile, ai sensi del comma 1, ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta, è configurabile in presenza di una duplice condizione essendo richiesta, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale del citato articolo, la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. Il primo dei due requisiti richiede, a sua volta, la specifica valutazione della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 c.p., cui segue in caso di vaglio positivo e dunque nella sola ipotesi in cui si sia ritenuta la speciale tenuità dell'offesa, la verifica della non abitualità del comportamento che il legislatore, con previsione piuttosto ambigua, esclude nel caso in cui l'autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ciò premesso, mentre con riferimento alla speciale tenuità dell'offesa l'elemento dell'esiguità del danno o del pericolo è sostanzialmente eliso dalla natura degli stessi reati in contestazione, che in quanto configurabili come reati di pericolo presunto correlano la condotta criminosa alla mera lesione potenziale del bene giuridico tutelato dalla norma penale (la sicurezza sul lavoro), occorrendo ai fini del giudizio sulla tenuità del fatto una valutazione complessa che prenda in esame tutte le peculiarità della fattispecie concreta riferite alla condotta in termini di possibile disvalore e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto, con conseguente inconsistenza delle osservazioni svolte dal ricorrente sul punto, è sufficiente in ogni caso aver riguardo ai precedenti penali dell'imputato per reati commessi sempre nell'esercizio dell'impresa, e dunque della stessa indole per escludere, anche sulla base del solo dato letterale della norma, la sussistenza del secondo requisito. A ciò si aggiunge, come correttamente argomentato dal giudice di merito, la condanna riportata nel presente giudizio per due violazioni concernenti la medesima contravvenzione. In conformità ad un recente condivisibile arresto di questa Corte, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131 bis cod. pen. non può essere applicata, ai sensi del terzo comma del predetto articolo, qualora l'imputato abbia commesso più reati della stessa indole (ovvero plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima "ratio punendi"), poiché è la stessa previsione normativa a considerare il "fatto" nella sua dimensione "plurima", secondo una valutazione complessiva in cui perde rilevanza l'eventuale particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso si articola. (Sez. 5, n. 26813 del 10/02/2016 - dep. 28/06/2016, Grosoli, Rv. 26726201).
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art.616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso l'11.5.2017