Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 2001, n. 14093 - Rifiuto di incarico di RSPP. Licenziamento e scelte economico-organizzative del datore di lavoro


 

 

Fatto

 


Con ricorso al Pretore del lavoro di Teramo depositato l'8-8- 1995, P.G. esponeva di aver lavorato alle dipendenze della s.p.a. Alfagomma Sud dal 15-1-1975 con qualifica di assistente di reparto e di essere stato comandato, con mansioni di responsabile della installazione e della manutenzione, presso la consociata s.p.a. T.P.R.; lamentava di essere stato licenziato in data 28- 3-1995 e riferiva che il provvedimento di recesso era stato motivato dalla soppressione delle funzioni di assistente di reparto svolte dal ricorrente, in conseguenza dell'assunzione diretta da parte della Alfagomma Sud del servizio di manutenzione ed officina della T.P.R. e dell'affidamento di tale servizio al responsabile della manutenzione della società. Tutto ciò premesso, il ricorrente chiedeva al giudice adito di accertare la carenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, attesa la pretestuosità delle ragioni addotte dall'azienda, di dichiarare illegittimo il licenziamento e di ordinare la sua reintegrazione nel posto di lavoro, con condanna del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni dal giorno del recesso a quello della reintegra.

La soc. Alfagomma Sud si costituiva in giudizio e si opponeva alla domanda.

Il Pretore, con sentenza del 6-2-1997, accoglieva il ricorso. L'appello proposto dalla società veniva a sua volta respinto dal Tribunale di Teramo con la sentenza qui impugnata.

A sostegno della decisione il Tribunale osservava che nel caso di licenziamento individuale per soppressione del posto di lavoro, dovuto alla riorganizzazione dell'azienda al fine di ridurre i costi di produzione, è preclusa al giudice la valutazione delle scelte aziendali, ma il datore di lavoro è tuttavia gravato dell'onere di provare la reale sussistenza dei motivi che hanno portato alla predetta soppressione; rilevava che nel caso di specie la società non aveva provato il grave squilibrio dei costi aziendali, né la necessità di sopprimere il posto di lavoro; osservava che l'assunzione di altri operai nel periodo del licenziamento contrastava con l'assenta necessità di ridurre il personale indiretto in relazione al dedotto squilibrio costi-ricavi; rilevava che la società non aveva neppure provato l'impossibilità di collocazione del lavoratore in altre mansioni compatibili all'interno dell'azienda; riteneva, in proposito, che l'offerta di " responsabile della sicurezza ", rifiutata dal F. in quanto non consona alle mansioni precedentemente svolte, non costituiva di per sé prova della insussistenza di altri posti disponibili.

Avverso questa sentenza la s.p.a. Alfagomma Sud ha proposto ricorso per cassazione sostenuto da un unico articolato motivo e illustrato da memoria. Il lavoratore ha resistito con controricorso.
 

 

Diritto

 



Con l'unico motivo di ricorso la società, denunciando violazione dell'art. 3 legge 15 luglio 1966 n. 604 e dell'art. 2102 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene in primo luogo che in caso di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo a seguito della soppressione della posizione lavorativa, compito del giudice è soltanto quello di accertare l'effettiva soppressione della posizione lavorativa occupata dal lavoratore licenziato e non quello di verificare se la scelta compiuta dall'imprenditore sia stata o meno opportuna e conveniente; rileva, altresì, che non è assoggettabile a sindacato di merito la scelta organizzativa imprenditoriale comportante la soppressione del posto, potendo essere oggetto di controllo solo l'effettività della soppressione e l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti. Per quanto concerne poi quest'ultimo aspetto, la ricorrente rileva che l'onere della prova dell'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza deve essere mantenuto entro limiti ragionevoli, sicché esso può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze probatorie di natura presuntiva ed indiziaria, specie quando il lavoratore non ha neppure allegato l'esistenza in seno alla società di altri posti equivalenti a quello soppresso ai quali poter essere adibito.

Rileva, infine, la società che, proprio per la mancanza di altri posti liberi con identiche mansioni, era stato offerto al F. un posto di lavoro del tutto nuovo, e cioè quello di responsabile dei problemi della sicurezza sul lavoro, di maggior rilievo rispetto ai compiti in passato svolti dal dipendente.

Una tale offerta, gravosa per la società, non avrebbe avuto senso se fosse stato possibile offrire al F. un posto di lavoro con identiche mansioni rispetto a quelle svolte precedentemente.

Il ricorso è fondato per le seguenti considerazioni.

Sostiene il Tribunale che, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dovuto a riorganizzazione aziendale e soppressione del posto di lavoro, il datore di lavoro non deve limitarsi a provare l'effettiva soppressione del posto di lavoro, ma deve provare la sussistenza dei motivi del licenziamento e, nel caso specifico, il grave squilibrio dei costi aziendali da sanare con la riduzione del personale. Le affermazioni del Tribunale non sono condivisibili. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva (art. 3 legge n. 604 del 1966) deve essere valutato dal datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, poiché tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Costituzione. Al giudice spetta invece il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, attraverso un apprezzamento delle prove che è incensurabile in sede di legittimità se effettuato con motivazione coerente e completa. Di conseguenza non insindacabile nei suoi profili di congruità e opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto di lavoro cui era addetto il dipendente licenziato, sempreché risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato (Cass. n. 9715 del 1995, Cass. n. 6222 del 1998, Cass. n. 3128 del 1994), fermo restando che nella nozione di giustificato motivo oggettivo rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa (Cass. n. 3030 del 1999, Cass. n. 8057 del 1998).

Di conseguenza, ha precisato la Corte, in caso di licenziamento per soppressione del posto di lavoro, il sindacato del giudice di merito deve limitarsi all'accertamento dell'avvenuta ristrutturazione ed alla verifica della effettiva soppressione del posto di lavoro, ma non può estendersi alla valutazione delle scelte economico-organizzative che hanno determinato l'imprenditore alla ristrutturazione aziendale (Cass. n. 6450 del 1984, Cass. n. 9715 del 1995, Cass. n. 3128 del 1994).

Le ragioni che inducono l'imprenditore alla riorganizzazione dell'azienda possono essere le più varie (riduzione dell'attività produttiva, riduzione dei costi, aumento del profitto mediante utilizzazione di macchinari e riduzione del personale, ecc.), così come le previsioni di mercato che le sorreggono possono rivelarsi di fatto errate. Queste decisioni attengono comunque alla libera iniziativa dell'imprenditore, su cui in definitiva ricadono le conseguenze negative di un eventuale errore delle scelte organizzative, e sfuggono al sindacato del giudice in caso di impugnazione del licenziamento, dovendo quest'ultimo limitarsi a controllare l'effettiva attuazione della riorganizzazione e la reale soppressione del posto di lavoro e ad accertare che esse non costituiscano un semplice pretesto per l'espulsione di lavoratori non graditi.

Va altresì ricordato che, in caso di licenziamento per soppressione del posto, ai fini della configurabilità del giustificato motivo oggettivo, non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite, secondo insindacabili scelte imprenditoriali, senza che con ciò venga meno l'effettività di tale soppressione (Cass. n. 11241 del 1993, S.U. n. 7295 del 1986, in motivazione). Nel caso di specie la soppressione del posto di lavoro ed il conseguente licenziamento del lavoratore è stato motivato dall'azienda con la necessità di ristrutturazione degli uffici al fine di ridurre i costi del personale indiretto.

In presenza di tale motivazione del licenziamento, il Tribunale avrebbe dovuto verificare se le risultanze istruttorie erano tali da indurre a ritenere che la ristrutturazione aziendale era stata effettivamente operata e che il posto di assistente di reparto comandato presso la soc. T.P.R., ricoperto dal F., era stato veramente soppresso, ovvero se tali operazioni erano state un semplice pretesto per liberarsi di un lavoratore non gradito.

Il giudice del gravame, invece, ha respinto l'appello della società sul presupposto che questa non aveva provato la necessità della ristrutturazione degli uffici, ed ha dedotto che, poiché i costi di produzione della Alfagomma Sud non presentavano alcuno squilibrio e la società, anzi, aveva provveduto ad assumere muovi lavoratori, il riassetto organizzativo e la soppressione del posto di lavoro ricoperto dal F. si erano rivelati non necessari.

Così motivando, però, il Tribunale non ha buon governo dei principi di diritto sopra nati ed è andato al di là dei compiti assegnatigli, pretendendo di sindacare le scelte economico-organizzative dell'imprenditore, ma omettendo del tutto di motivare sulla veridicità riassetto organizzativo dedotto dalla società sulla pretestuosità o meno dell'operazione e in relazione al licenziamento del lavoratore.

La sentenza impugnata, peraltro, è censurabile anche laddove afferma che il datore di lavoro non ha assolto all'onere di provare la incollocabilità del lavoratore licenziato all'interno dell'azienda in mansioni equivalenti a quelle in precedenza espletate e laddove sostiene che l'offerta al F. di assumere la responsabilità del servizio di prevenzione e protezione "non era consona al contenuto professionale dell'attività alla quale il lavoratore era stato in precedenza addetto" e quindi non costituiva prova dell'insussistenza di altri posti disponibili. Costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l'onere della prova relativo all'impossibilità di impiego del dipendente licenziato nell'ambito dell'organizzazione aziendale - concernendo un fatto negativo - deve essere assolto mediante la dimostrazione di correlativi fatti positivi, come il fatto che i residui posti di lavoro relativi a mansioni equivalenti fossero, al tempo del recesso, stabilmente occupati, o il fatto che dopo il licenziamento - e per un congruo periodo - non sia stata effettuata alcuna assunzione nella stessa qualifica (Cass. n. 10527 del 1996, Cass. n. 3030 del 1999); detto onere, ha precisato la Corte, deve essere comunque mantenuto entro limiti di ragionevolezza, sicché esso può considerarsi assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria (Cass. n. 3198 del 1987, Cass. n. 8254 del 1992). Quanto poi alla prova dell'impossibilità di adibire il licenziato allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, la Corte ha ulteriormente precisato che il lavoratore, pur non avendo il relativo onere probatorio, che grava interamente sul datore di lavoro, ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità tra gli elementi posti a fondamento dell'azione e tra i presupposti della domanda, sicché ove il lavoratore non prospetti nel ricorso tale possibilità, non insorge per il datore di lavoro l'onere di offrire la prova della concreta insussistenza di tale possibilità di diverso e conveniente utilizzo del dipendente licenziato (Cass. n. 10559 del 1998, Cass. n. 8254 del 1992). Nella specie è pacifico che la società aveva offerto al F. il posto di responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di nuova istituzione, implicante lo svolgimento di mansioni di pari importanza, se non di importanza superiore, rispetto a quelle svolte in precedenza, e che il lavoratore rifiutò tale offerta ritenendo di non possedere la competenza necessaria. A fronte di questo dato di fatto, la motivazione del Tribunale si rivela insufficiente in quanto, da un lato, non ha valutato se la mancata produzione di prove da parte della società, circa la mancanza di altri posti scoperti di assistente di reparto, non fosse dipesa dalla mancata allegazione in ricorso da parte del lavoratore di tale indicazione; dall'altro, non ha valutato se l'offerta della società, implicante la volontà di avvalersi della collaborazione del lavoratore in un settore di grande responsabilità, non costituisce univoco indizio della insussistenza allo stato di altri posti disponibili di assistente di reparto o equivalenti.

Per tutte le considerazioni sopra svolte, dunque, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata per un nuovo esame ad altro giudice, designato in dispositivo, che provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

 

 

P.Q.M.

 


La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di L'Aquila.