Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 13 giugno 2017, n. 29249 - Morte in mare: violazioni della normativa antinfortunistica e marittima. Assenza di una seconda persona sull'imbarcazione


Presidente: AMORESANO SILVIO Relatore: GRAZIOSI CHIARA Data Udienza: 03/05/2017

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 22 gennaio 2016 la Corte d'appello di Palermo, a seguito di rinvio disposto dalla sentenza 17 ottobre 2014-27 gennaio 2015 n. 3786 della Quarta Sezione Penale di questa Suprema Corte - che aveva annullato la sentenza pronunciata in sede d'appello dalla stessa corte territoriale il 26 giugno 2013, la quale, in riforma di sentenza del 28 gennaio 2011 del G.u.p. del Tribunale di Trapani, aveva condannato L.L.C. per il reato di cui agli articoli 1589 c.p., 1231 cod. nav.e 39 d.lgs. 171/2005 nei confronti del suo dipendente G.P. e condannato a sanzione amministrativa conseguente ai sensi del d.lgs. 231/2001 Ittica del Golfo S.r.l. -, ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti di L.L.C. e della società suddetta, respingendo gli appelli proposti dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani e dalle parti civili.
2. Hanno presentato ricorso le parti civili, tutti congiunti di G.P.: Omissis, in proprio come convivente more uxorio di G.P. e quale responsabile del figlio minorenne Omissis - figli maggiorenni di G.P. - Omissis, sulla base di un unico motivo, rubricato come violazione degli articoli 39 d.lgs. 171/2005 e 1231 cod. nav.
 

 

Diritto

 


3. Il ricorso è fondato.
3.1 Nell'unico motivo, i ricorrenti segnalano che il giudice di rinvio non avrebbe tenuto conto delle violazioni della normativa antinfortunistica e marittima: pur essendo certa la loro violazione da parte del L.L.C. la corte territoriale "ha parametrato ogni successiva valutazione" sul nesso causale tra la condotta del L.L.C. e l'evento mortale fondando il suo ragionamento su "mera presunzione logica e non anche su dati oggettivi", che sarebbero invece emersi. La corte ha ritenuto che "l'evento si sarebbe comunque verificato a prescindere dal rispetto delle norme" dettate proprio per prevenire simili eventi "sol perché non appare chiara la dinamica dell'incidente". Avrebbe quindi "stravolto le ordinarie norme in materia di nesso di causalità ipotizzando che l'evento sia stato cagionato da una o più circostanze straordinarie ed imprevedibili, il cui verificarsi non sarebbe stato impedito dal rispetto delle più elementari regole di cautela, sia in tema di navigazione sia di infortunistica sul lavoro".
Dalle risultanze processuali emergerebbe poi con certezza soltanto la violazione delle regole di sicurezza da parte del L.L.C., ma non una condizione straordinaria sufficiente a spezzare il nesso causale tra le omissioni del L.L.C. e l'evento mortale. Se fosse stata comunque accertata "una porzione di condotta negligente" di G.P., questa avrebbe potuto soltanto ridurre la percentuale di responsabilità del L.L.C., non rendendolo però del tutto estraneo all'evento. D'altronde le norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti derivanti dalla sua condotta colposa, per cui, perché venga meno al datore di lavoro la responsabilità per l'omissione delle misure protettive, occorrerebbe una imprevedibilità della condotta del lavoratore suo dipendente così elevata da esulare dall'attività che svolge, grado che qui non sarebbe raggiunto. Il giudice di rinvio avrebbe inoltre dovuto tenere conto che G.P., pur in una situazione che la stessa corte ha ritenuto "straordinaria e pericolosa", si trovava "a bordo di un'imbarcazione inadatta per l'uso cui era destinata e privo di titoli abilitativi".
3.2 Il motivo appena riassunto presenta indubbiamente criticità nella conformazione, anche per l'evidente intrusione di elementi direttamente fattuali. Tuttavia, ben potendo il giudicante riqualificarlo nell'ambito tassativo dei mezzi offerti dall'articolo 606 c.p.p., a ben guardare esso appare riconducibile al mezzo di cui all'articolo 606, primo comma, lettera e), c.p.p., nel senso di criticare la motivazione quantomeno per insufficienza laddove ha ricostruito lo sviluppo causale che condusse all'evento morte, soprattutto (anche se non solo) in rapporto alle conseguenze fattuali del mancato rispetto, da parte del datore di lavoro di G.P., della normativa antinfortunistica e marittima, cioè a norme precauzionali la cui violazione ordinariamente si riflette sul nesso causale dell'evento pregiudizievole.
In effetti, la sentenza d'appello aveva accolto le impugnazioni del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani, delle parti civili e dell'Inail precipuamente in base ad un elemento fattuale derivante dalla violazione del codice di navigazione: per l'espletamento delle sue mansioni, il datore di lavoro L.L.C. aveva messo nella disponibilità del G.P. (solo) un'imbarcazione per il cui utilizzo occorreva una patente nautica che il suo dipendente non aveva. Quindi, se egli non poteva, secondo la normativa marittima, utilizzare quel tipo di imbarcazione da solo, sarebbe stato necessario affiancargli durante la navigazione un altro soggetto dotato della necessaria patente; e se così fosse stato il G.P. non sarebbe morto per una sua "imperita manovra di disormeggio" mentre era al largo su quella imbarcazione (ciò si evince dalla motivazione della sentenza qui impugnata, a pagina 5). Su tale elemento, che nella sua ricostruzione della precedente sequenza processuale il giudice di rinvio stesso ha segnalato come fondante nella sentenza d'appello, la sentenza qui impugnata è realmente insufficiente, imperniandosi sull'attribuire al dipendente dell'imputato una "estrema e ingiustificata imprudenza" per essere uscito in mare per effettuare l'ispezione delle vasche dei tonni che costituiva sua mansione, pur non essendo obbligato a ispezionarle dal mare quando il maltempo lo impediva: e ciò pur ammettendo che quando il G.P. uscì sull'imbarcazione, alle ore 1.30 della notte del 6 giugno 2009, nel mare di Castellamare del Golfo, vi era "una temporanea riduzione del vento" e che, nell'uscire, il G.P. aveva informato il custode dei pontili che sarebbe "tornato poco dopo" poiché prevedeva aumento di scirocco. 
Ora, dalla stessa motivazione della sentenza del giudice di rinvio emerge che, uscendo il G.P. nel Golfo "in coincidenza di una temporanea riduzione del vento", con l'intenzione di rientro "poco dopo" e dando informazione comunque della sua uscita al custode dei pontili (motivazione, pagina 9), logicamente non è sostenibile che tale sua condotta fosse "estrema e ingiustificata imprudenza", da sola sufficiente a cagionare i presupposti dell'incidente e a elidere quindi ogni responsabilità altrui (come invece ritiene la corte territoriale: motivazione, pagina 10 s.). D'altronde, sul punto il giudice di rinvio incorre in ulteriori "sdruciture" logiche. A pagina 10, subito dopo avere qualificato addirittura "estrema", oltre che ingiustificata, l'imprudenza del G.P., indica come riscontro quello che definisce, peraltro, soltanto "una certa sorpresa e lieve disapprovazione", quanto alla decisione del G.P., di due suoi colleghi: se si fosse trattato davvero di imprudenza "estrema" oltre che priva di giustificazione, sarebbe stato ragionevole ipotizzare una disapprovazione non "lieve", bensì spiccata da parte dei colleghi e anche un tentativo di trattenere il G.P., tentativo che nessuno dei colleghi invece ha dichiarato di aver mai fatto. E - incorrendo in una illogicità ancor più gravosa - sempre a pagina 10 il giudice di rinvio lascia intendere che la tempesta arrivò oltre due ore e mezzo dopo l'uscita dal porto del G.P. (questi si sarebbe "trattenuto fuori dal porto per oltre due ore e mezza, nonostante le constatate condizioni instabili del meteo, che lasciavano presagire un rapido peggioramento": dunque, durante quelle due ore e mezzo la tempesta fu soltanto un presagio; e, poco dopo, il giudice di rinvio, che aveva dato atto che il G.P. era uscito dal porto alle ore 1:30, afferma che il G.P. era rimasto in mare, ormeggiato alla boa predisposta a sud delle vasche - tale asserto è peraltro, palesemente, una mera ipotesi: che l'imbarcazione fosse lì ormeggiata quando fu ritrovata non significa affatto che vi fosse sempre stata -, "sino a poco prima delle quattro" quando sarebbero "peggiorate le condizioni meteo"). Non è dato comprendere, allora, come si possa sostenere estrema l'imprudenza di chi esce in mare in una condizione meteorologica tale che per oltre due ore e mezzo non vi è nessuna tempesta.
3.3 Ma, come già si accennava, il precipuo punctum dolens ravvisabile nell'apparato motivazionale della sentenza impugnata non può non ravvisarsi nella questione dell'assenza di un'altra persona sull'imbarcazione, persona che avrebbe invece dovuto esservi non avendo il G.P. il necessario titolo abilitativo imposto dal codice della navigazione. Invero, il giudice di rinvio si limita a riesumare le argomentazioni del giudice di prime cure sul fatto che, tra l'altro, la patente nautica non si consegue anche con un esame che valuti le capacità di ormeggio e disormeggio, e che l'aggrovigliamento attorno all'elica della cima di ormeggio legata a un corpo morto è un incidente frequente, che non sempre l'esperienza marinara può evitare. Non è discusso che alle 4:00 di notte il G.P. chiedeva, con una telefonata al collega N.D., di essere soccorso perché "la cima di ormeggio, legata al gavitello predisposto a circa 20 metri dalle vasche, si era aggrovigliata all'elica del natante, impedendo qualsiasi movimento dello scafo", e che dopo 15 minuti circa vi era un altro contatto in cui il G.P. chiedeva tempestivo soccorso perché stava imbarcando acqua (motivazione, pagine 3-4). Questi dati sono gli unici oggettivi - oltre alla presenza sull'imbarcazione soltanto del G.P. - evincibili dalla motivazione della sentenza impugnata, che, pur spendendosi a definire estremamente imprudente (oltre che non "funzionale all'ordinario svolgimento delle mansioni lavorative": asserto, questo, argomentato a pagina 12 e carente però di consistenza, poiché il G.P. era uscito proprio per andare a controllare le vasche dei tonni) e imprevedibile la condotta del G.P., giunge poi anche ad imputargli di non avere "indossato il salvagente che gli avrebbe salvato la vita" (motivazione, pagina 10), subito dopo implicitamente contraddicendosi affermando che "le cause della sua caduta in acqua rimangono incerte" (quindi, per esempio, il G.P. avrebbe potuto cadere in acqua nel suo tentativo di effettuare il disormeggio; e magari per muoversi meglio allo scopo di effettuarlo avrebbe potuto decidere, nella sua situazione di agitazione attestata dalle telefonate, di togliersi un attimo il salvagente, attimo poi divenuto fatale). Quel che il giudice di rinvio, invece, appunto non considera sono gli effetti ai fini di quel necessario disormeggio dell'assenza sull'imbarcazione di un'altra persona, quella dotata di patente: eppure, è evidente dal punto di vista logico presumere che, quantomeno, se quest'ultima fosse stata presente, sarebbero state due le persone che avrebbero affrontato il problema prima dell'ormeggio e poi del disormeggio, con ben immaginabile maggiore congruità ed efficacia dell'operato di due naviganti (di cui uno - proprio quello mancante - presumibilmente più esperto nella navigazione, in quanto patentato) rispetto alle manovre di uno solo.
Pure sotto questo profilo, dunque, la motivazione del giudice di rinvio rimane del tutto insufficiente, e ciò ha ancor più incidenza se si tiene conto anche di quanto è emerso - e più sopra evidenziato - a proposito delle ulteriori "falle", tra l’illogicità e l'apoditticità, rinvenibili agevolmente nella esternazione motivazionale da parte del giudice di rinvio del suo percorso accertatorio.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza deve essere annullata agli effetti civili ex articolo 622 c.p.p., con conseguente rinvio al giudice civile competente per valore in grado d'appello, cui si rimette anche la decisione sulle spese del presente grado.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado d'appello.
Così deciso in Roma il 3 maggio 2017