Tribunale di Fermo, Sez. Pen., 28 febbraio 2017 - Non basta la mancata adozione del MOG a fondare la responsabilità dell'ente: è necessaria la prova che il reato sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente


 

... Non è sufficiente a fondare la responsabilità dell’ente la sola mancata adozione del modello di organizzazione e gestione, in quanto è necessaria la prova che il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, requisiti che - in ipotesi di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica - ben possono ritenersi sussistenti rispettivamente nel caso in cui l'omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa o qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività (cfr., Cass., Sez. 4, 20.4.2016, n. 24697, Rv. 268066).

Nel caso di specie, non vi è alcuna prova che l’ente abbia tratto un vantaggio dal delitto posto in essere dall’imputato persona fisica, inteso come beneficio/utilità conseguita per effetto del reato, neppure in termini di considerevole risparmio di spesa (euro 244,32).
Da ultimo, considerando che i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d'evento, vanno riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico, nel caso di specie, nessun elemento permette di evidenziare che la condotta colposa ascritta al Omissis sia stata il frutto di una violazione deliberata delle regole cautelari finalizzata al perseguimento dell’interesse della società (nei termini di effettivo risparmio di costi d'impresa a scapito della sicurezza dei lavoratori), quanto più che altro risultato di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie.



TRIBUNALE DI FERMO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE

nella persona del Giudice dott. Giuseppe Molfese, alla pubblica udienza del giorno 28 febbraio 2017, ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA

 


nella causa penale contro:
1) Omissis, nato il 15.07.1935 a Fermo, ivi domiciliato alla via;
libero assente
2) Omissis SRL, in persona del legale rappresentante Omissis, con sede in Fermo;
nessuno è comparso
Del reato di cui al foglio allegato
Della sanzione amministrativa dipendente da reato
Le parti concludevano come da dispositivo in atti;
 

 

FattoDiritto

 


Con decreto del Pubblico Ministero del 27 dicembre 2012, Omissis, in qualità di legale rappresentante della Omissis s.r.l. veniva citato in giudizio per rispondere del reato indicato in epigrafe (art. 590 comma III c.p. ai danni di Omissis).
Con lo stesso decreto veniva formalmente contestata alla Omissis s.r.l la fattispecie prevista all’art.25 septies D.Lvo 231/2001, in quanto dalla prospettazione del pubblico ministero la condotta colposa posta in essere dall’imputato risulterebbe realizzata nell’interesse dell’ente.
In sede dibattimentale, ammessa dinanzi ad altro Giudice la costituzione di parte civile dell’INAIL (poi espressamente revocata), all’udienza del 02.05.2016 si procedeva all’escussione di Omissis (lavoratore danneggiato), Omissis (in servizio presso l’ASUR Fermo), Omissis e Omissis.
Acquisita la documentazione come prodotta dalle parti, si dichiarava chiusa l'istruttoria dibattimentale e il Pubblico Ministero ed i difensori, previo deposito delle memorie difensive, formulavano ed illustravano le rispettive conclusioni. Gli elementi probatori acquisiti risultano sufficienti a fondare, al di là di ogni ragionevole dubbio, una pronuncia di colpevolezza dell’imputato Omissis, in ordine alla condotta colposa con violazione della disciplina antinfortunistica a lui contestata, dovendosi al contrario escludere la responsabilità dell’ente Omissis SRL con riferimento all’illecito di cui all’art. 25 septies D.Lvo 231/2001.
Pur rinviando per esigenze di sinteticità espositiva agli atti regolarmente acquisiti, risulta opportuna una breve ricostruzione di quanto accaduto alla data dell’imputazione.
In data 12 luglio 2011, Omissis, dipendente operaio della Omissis s.r.l., rimaneva vittima di un infortunio sul lavoro mentre, all’interno dell’azienda, operava su una macchina “pressetta PNEUM. X M1”, in funzione per l’assemblaggio di sistemi di sicurezza per serrande.
Dalla certificazione medica in atti, seguita all’infortunio, risulta che la persona offesa in occasione dell’infortunio subì l’amputazione della terza falange del dito indice della mano destra.
Dalle dichiarazioni rese è emerso “azionando le due leve della pressa che fanno da comando manuale quando ho sentito un forte dolore ad un dito della mano destra”.
I successivi accertamenti, come riferiti dall’operante dell’Asur, Omissis, hanno permesso di evidenziare che la pressa oggetto del capo di imputazione era strumento di assemblaggio autoprodotto dalla stessa Omissis s.r.l. (“un'autocostruzione messa a disposizione dei dipendenti’).
La circostanza non esclude l’obbligo di rispettare la disciplina normativa, volta alla prevenzione degli infortuni, che nel caso di specie risulta indubbiamente violata.
In particolare, le due leve potevano essere comandate indipendentemente (in violazione della normativa che al contrario obbliga all’utilizzo contemporaneo), né altresì le stesse risultavano sufficientemente distanziate l’una dall’altra.
Da ultimo, la pressetta in uso al Omissis non era munita dei presidi di protezione delle zone pericolose.
Le dichiarazioni della Omissis e di Omissis nulla aggiungono al quadro delineato, confermato dalla stessa scelta societaria di adeguare tempestivamente, a seguito delle prescrizioni imposte dal Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro, il macchinario autoprodotto e in precedenza lesivo.
La successiva condotta indubbiamente positiva come realizzata dal Omissis - adempimento della prescrizione impartita per regolarizzare la contravvezione elevata in base all’art. 71 co.1 d.lgs 81/2008 e pagamento la sanzione pecuniaria - non esclude l’addebito colposo risultato lesivo dell’integrità fisica del lavoratore Omissis.
Secondo la costante e rigorosa giurisprudenza di legittimità, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori l’osservanza delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile (cfr. Cass. pen.sez. IV, n. 3787/2014).
Se infatti è vero che il datore di lavoro non può essere tenuto a controllare in ogni istante l’esatta osservanza da parte dei lavoratori delle disposizioni antinfortunistiche impartite, non essendo ciò umanamente esigibile, è anche vero che ai sensi del D. lgs. 81/2008 gravano su quest’ultimo una serie di obblighi, che nel caso di specie non risultano essere stati assolti.
Risulta indubbia la violazione della disciplina antinfortunistica (la pressetta in uso non era a norma e solo dopo l’infortunio del Omissis è stata adeguata), come è altresì certo il collegamento causale tra il mancato rispetto della normativa specificata in imputazione e l’evento lesivo.
La condotta alternativa lecita alla quale era tenuto il Omissis, legale rappresentante della società, imponeva di adeguare sin da subito il macchinario con presidi di sicurezza nelle zone pericolose (a rischio per le dita) e permettere il movimento simultaneo delle due leve (non indipendente) imponendo il contestuale utilizzo delle mani.
Dalle considerazioni che precedono discende l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto in rubrica e la condanna alla pena che, nel rispetto dei criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p., si stima equo irrogare la pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Si è ritenuto di potere concedere al Omissis le circostanze attenuanti generiche da considerarsi equivalenti alle contestate aggravanti, non solo al fine di adeguare la pena al fatto ma, anche e soprattutto in considerazione della condotta successiva alla violazione colposa.
Al contrario il precedente specifico, come da casellario in atti, ha imposto l’individuazione di una pena base più alta dei minimi edittali.
Il casellario in atti non osta alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Quanto alla contestata ipotesi di cui all’art. 25 septies D.Lvo 231/2001, la condotta colposa addebitata al Omissis, come provata non permette di ritenere accertata la responsabilità amministrativa dell’ente Omissis s.r.l. Giova considerare che la disciplina dettata dal d.lgs. n. 231 del 2001 non introduce una responsabilità connotata da automatismi (sul modello di quella civilistica), che faccia seguire alla responsabilità penale del legale rappresentante dell’ente quella dell’ente medesimo; conclusione quest’ultima che è dimostrata dalla previsione dell’art. 5 d.lgs. cit., il quale prevede la sussistenza della responsabilità dell’ente nel caso in cui il reato sia stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio (nonché l’esclusione della responsabilità dell’ente ove emerga che l’agente ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi).
Peraltro, non può di certo affermarsi che con la previsione dei criteri di imputazione oggettiva di cui all’art. 5 cit. il legislatore abbia inteso prevedere che la direzione soggettiva dell’azione delittuosa sia recare interesse o vantaggio all’ente, perché ciò renderebbe inoperante la norma rispetto a tutti i reati colposi, nei quali l’agente non ha alcuna finalità specifica.
Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. n. 38343 del 24.4.2014) hanno osservato che i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell'art. 5 del D. Lgs. N. 231 del 2001 all'interesse o al vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell'interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile "ex ante", cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile "ex post", sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito.
Peraltro, la natura oggettiva del vantaggio non vale a trasformare la responsabilità dell’ente in una responsabilità oggettiva poiché l’ente, in realtà, risponde ai sensi del decreto citato solo ove abbia consentito la commissione del reato omettendo di predisporre appositi modelli di gestione, organizzazione e controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Ciò posto, non è sufficiente a fondare la responsabilità dell’ente la sola mancata adozione del modello di organizzazione e gestione, in quanto è necessaria la prova che il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente, requisiti che - in ipotesi di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica - ben possono ritenersi sussistenti rispettivamente nel caso in cui l'omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di spesa o qualora la mancata osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività (cfr., Cass., Sez. 4, 20.4.2016, n. 24697, Rv. 268066).
Tanto premesso, nel caso di specie, non vi è alcuna prova che l’ente abbia tratto un vantaggio dal delitto posto in essere dall’imputato persona fisica, inteso come beneficio/utilità conseguita per effetto del reato, neppure in termini di considerevole risparmio di spesa (euro 244,32).
Da ultimo, considerando che i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi d'evento, vanno riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico, nel caso di specie, nessun elemento permette di evidenziare che la condotta colposa ascritta al Omissis sia stata il frutto di una violazione deliberata delle regole cautelari finalizzata al perseguimento dell’interesse della società (nei termini di effettivo risparmio di costi d'impresa a scapito della sicurezza dei lavoratori), quanto più che altro risultato di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie.
Per tali ragioni, non essendovi prova della sussistenza di alcuno dei criteri di imputazione oggettiva di cui all’art. 5 d.lgs. cit., va esclusa la responsabilità della Omissis s.r.l. perché l’illecito amministrativo contestato non sussiste.
 

 

P.Q.M.

 


Visti gli art.533 e 535 c.p.p., dichiara Omissis colpevole del reato a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Pena sospesa.
Visto l’art. 66 d. Lgs. 231/2001, dichiara non sussistere la responsabilità dell’ente “Omissis s.r.l.,” in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione all’illecito amministrativo contestato.
Fermo, 28 febbraio 2017.