Cassazione Civile, Sez. Lav., 07 agosto 2017, n. 19653 - Appalto, subappalto ed infortunio. Perchè sussiste la responsabilità del solo datore di lavoro e non delle altre società


 

Presidente: DI CERBO VINCENZO Relatore: DE GREGORIO FEDERICO Data pubblicazione: 07/08/2017

 

Fatto

 


La Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 213 / 27 marzo - 3 luglio 2014, notificata il 12 settembre 2014, rigettava il gravame interposto da P.F. avverso la pronuncia impugnata con ricorso della 19 novembre 2010, per cui era stata accolta soltanto in parte la domanda del medesimo in ordine alle pretese risarcitorie da costui azionate relativamente all'infortunio sul lavoro occorsogli il 23 novembre 1999, allorché si trovava alle dipendenze della ditta B.R., per l'esecuzione di opere subappaltate dalla società A.E., presso la centrale termoelettrica ENEL di Monfalcone, infortunio da cui erano derivate lesioni personali in pregiudizio dell'attore. Il giudice di primo grado aveva accolto la domanda esclusivamente nei confronti del datore di lavoro B.R., escludendo quindi la responsabilità in ordine all'accaduto delle altre parti convenute, e con esse delle società assicuratrici chiamate in causa.
Ad avviso della Corte d'Appello, la decisione impugnata era corretta, perché non erano state riscontrate altre responsabilità (non era dimostrato che il sinistro si fosse verificato da un'impalcatura ovvero da un ponteggio realizzati da R. & M. GROUP S.p.A., D. S.r.l. non faceva parte dell'associazione di imprese cui partecipava anche la B.R. - La società A.E. non si era inserita nell'esecuzione dei lavori affidati alla ditta da cui dipendeva il lavoratore).
Avverso la pronuncia d'Appello ha proposto ricorso per cassazione P.F. con atto notificato il 6 novembre 2014, per la parte in cui era stata esclusa la responsabilità, in ordine al dedotto accaduto, delle altre società convenute, con tre motivi (l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360 n. 5 c.p.c., non essendo stato considerato che soltanto a seguito del primo accertamento, eseguito dai C.C. presenti sul posto, il punto da cui era caduto l'operaio era stato posto in sicurezza, mentre successivamente era intervenuto altro verbalizzante, che non aveva rilevato il mutamento dello stato dei luoghi; 2°. omessa applicazione dell'articolo 374 c.p., nonché dell'articolo 331 c.p.p., relativamente al fatto della mancata rilevazione dell'intervenuto mutamento stato dei luoghi, per cui nemmeno vi era stata denuncia da parte della Corte giudicante al competente Pubblico Ministero - art. 360 n. 3 c.p.c.; 3°. violazione o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c. delle norme di diritto in relazione alle violazioni delle norme in materia di sicurezza, citando tra l'altro nell'illustrazione del motivo gli artt. 2087 c.c. e 7 del decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626, poi sostituito dal testo unico sulla sicurezza n. 81 dell'anno 2008, in seguito modificato dal decreto legislativo 106 del 2009).
Hanno resistito all'impugnazione avversaria, mediante distinti controricorsi, D. S.r.l., R. & M. GROUP S.p.A., A.E. S.p.A. , nonché ALLIANZ S.p.A. (già S.p.A. Riunione Adriatica di Sicurtà).
Hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. le controricorrenti R. & M., D., A.E. - FINCANTIERI e ALLIANZ. Non vi ha invece provveduto parte ricorrente, sebbene ritualmente e tempestivamente avvisata della pubblica udienza fissata al 18-01-2017, alla quale infatti è anche comparso il delegato del difensore avv. N. C., cui il P.F. ha conferito procura speciale per il ricorso de quo.
 

 

Diritto

 

Il ricorso va disatteso in forza delle seguenti considerazioni.
In primo luogo, occorre rilevare che in sinistro di cui è processo si verificò il 23 novembre 1999, allorquando il P.F. operava alle dipendenze di B.R., titolare dell'omonima ditta, in seguito ad assunzione risalente al precedente giorno 20. Ne deriva che ratione temporis è applicabile il DECRETO LEGISLATIVO 19 settembre 1994, n. 626 (Attuazione delle direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro), il cui art. 7 (secondo il testo in vigore dal 7-5-1996 al 31-12-2006), in tema di contratto di appalto o contratto d'opera, così recitava: «1. Il datore di lavoro, in caso di affidamento del lavori all'Interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltataci o a lavoratori autonomi: a) verifica, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d'opera; b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività. 2. Nell'ipotesi di cui al comma 1 i datori di lavoro: a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell’opera complessiva. 3. Il datore di lavoro committente promuove la cooperazione ed il coordinamento di cui al comma 2. Tale obbligo non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltataci o dei singoli lavoratori autonomi>>.
Non opera, quindi, nella specie il DECRETO LEGISLATIVO 9 aprile 2008, n. 81 (attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro - G.U. n. 101 del 30-4-2008 - Suppl. Ordinario n. 108, entrato in vigore il 15-5-2008), e con esso l'art. 26, che ha dettato una diversa, almeno in parte, e più dettagliata ed articolata disciplina in tema di obblighi connessi ai contratti d'appalto o d'opera o di somministrazione.
Orbene, in tema di appalto una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso o quando si versi nella ipotesi di "culpa in eligendo", la quale ricorre qualora il compimento dell'opera o del servizio siano stati affidati ad un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi. Tali principi valgono anche in materia di subappalto perché il subcommittente risponde nei confronti dei terzi in luogo del subappaltatore, ovvero in via solidale con lui, quando - esorbitando dalla mera sorveglianza sull'opera oggetto del contratto al fine di pervenire alla corrispondenza tra quanto pattuito e quanto viene ad eseguirsi - abbia esercitato una concreta ingerenza sull'attività del subappaltatore al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore ovvero agendo in modo tale da comprimerne parzialmente l'autonomia organizzativa, incidendo anche sull'utilizzazione dei relativi mezzi (Cass. lav. n. 9065 del 19/04/2006, conforme id. n. 21540 del 15/10/2007. In senso analogo v. altresì Cass. lav. n. 11757 del 27/05/2011).
Non risulta che la Corte distrettuale abbia errato nella decisione impugnata, che appare invece conforme alle succitate regole di diritto vigenti in materia. Ed invero, i giudici di appello hanno motivatamente ricostruito con esattezza la dinamica dell'infortunio, dopo aver dato atto, tra l'altro, che l'appellante aveva dedotto l'errata valutazione, da parte del giudice di primo grado, della deposizione resa dal teste C., da cui emergeva l'insistenza di adeguate passerelle, montate solo dopo l'infortunio. Quindi, tenuto conto pure di quanto riferito dallo stesso infortunato, nonché delle mansioni affidate al P.F., la Corte veneta ha escluso, in primo luogo, qualsiasi responsabilità della D., che aveva partecipato in raggruppamento temporaneo di imprese alla gara indetta dalla A.E. con altre aziende, mentre dalla prova documentale emergeva che la D. non era stata mai in ATI con B.R., datore di lavoro del P.F., avendo invece operato nell'ambito di un diverso appalto nello stesso cantiere, come si evinceva in tal sensi pure dall'interrogatorio reso dal P.F.. Inoltre, anche il piano di sicurezza, per cui la D. era stata incaricata dall'A.E., riguardava soltanto i lavori oggetto dell'appalto, nel cui ambito non operava però il datore di lavoro del ricorrente. Parimenti, secondo la Corte territoriale, era infondata la domanda nei confronti della R. & M. Group, cui era stato dato l'incarico di progettazione, montaggio e smontaggio dei ponteggi, come emergente anche dalla richiamata documentazione. Per contro, nella zona in cui si era verificato il sinistro non vi erano i ponteggi della R. & M., come da inequivoci dati documentali e testimoniali.
Quanto, poi, alla committente A.E., dalle testimonianze raccolte emergeva che la ditta B.R. aveva sempre operato in piena autonomia, organizzando e dirigendo il proprio personale, tra cui il P.F.. Si trattava di impresa appaltatrice fornita della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto e assolutamente autonoma nella gestione del proprio personale.
Inoltre, alla luce della citata giurisprudenza, la Corte di Appello ha ritenuto che nella specie fosse onere esclusivo della B.R. assicurarsi che la passerella, predisposta dalla medesima ditta e sulla quale operava il P.F., fosse dotata di parapetto, o che il lavoratore indossasse la cintura di sicurezza collegata a fine di trattenuta, essendo il solo datore di lavoro obbligato, per ciascuna attività compiuta dai suoi dipendenti nell'ambito dei lavori appaltati, ad adottare e controllare il rispetto delle specifiche misure di sicurezza, conclusione cui erano anche giunti i funzionari dello SPISAL, che avevano ravvisato la responsabilità esclusiva della ditta B.R. per l'infortunio occorso al P.F..
Pertanto, alla stregua dei suddetti motivati accertamenti e delle conseguenti valutazioni e determinazioni da parte della Corte di merito, è preclusa ogni valutazione di merito a questo giudice di legittimità.
Invero, le anzidette doglianze di parte ricorrente (segnatamente il primo motivo, formulato ex art. 360 n. 5 c.p.c., ma anche il terzo ex art. 360 n. 3 riguardo alla pretesa violazione di norme in materia di sicurezza) mirano essenzialmente alla rivalutazione delle acquisite emergenze istruttorie, nel senso che, diversamente da quanto in proposito opinato dalla Corte di Appello, dalle stesse emergerebbero fondati elementi da cui poter desumere la responsabilità pure delle altre società convenute in ordine all'azionata pretesa risarcitoria. Quindi, le critiche del P.F. riguardano in effetti gli accertamenti e le conseguenti valutazioni dei fatti operati dal giudice di merito, come tali però non scrutinabili in sede di legittimità (v. tra le altre Cass. civ. Sez. 6 - 5, ordinanza n. 7921 del 6/4/2011, secondo cui con la proposizione del ricorso per cassazione il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
V. altresì Cass. III civ., sentenza n. 11892 del 10/06/2016, secondo cui pure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non , dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile; nel paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., né in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell'art. 132, n. 4, c.p.c. - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Con la precisazione, inoltre, che nella specie di cui è causa in questo processo, relativo all'impugnazione di sentenza risalente al 27 marzo - tre luglio 2014, opera il nuovo testo dell'art. 360 n. 5 cit., attualmente vigente, che attribuisce rilievo soltanto all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio).
Assolutamente inconferente, infine, si palesa il secondo motivo circa la violazione degli artt. 374 c.p. e 331 c.p.p., norme che non rilevano affatto nell'ambito di questo distinto procedimento, laddove autonomamente ha proceduto il giudice civile in relazione ai fatti di cui all'azionata pretesa risarcitoria. In tale contesto, pertanto, i giudici di merito non hanno rilevato alcuna artificiosa ed intenzionale mutazione dello stato dei luoghi, avendo invece ritenuto l'esclusiva responsabilità dell'infortunio a carico del solo datore di lavoro dell'attore, sicché non avevano alcun obbligo di informare il pubblico ministero ex art. 331, comma quarto, c.p.p., laddove inoltre dagli atti per lo stesso accaduto risulta già esercitata l'azione penale nei confronti di B.R. in base agli accertamenti investigativi compiuti dai Carabinieri e dagli Ispettori del lavoro (cfr. tra l'altro pag. 13 del ricorso, laddove si accenna al processo penale iniziato per le lesioni riportate dall'infortunato, definito con sentenza di patteggiamento a carico del B.R., omettendo però il P.F. di considerare che quale persona offesa dal reato di cui all'art. 590 c.p. ben avrebbe potuto - v. in part. l'art. 90 c.p.p. - rappresentare alla competente a.g. ulteriori responsabilità penalmente rilevanti, a parte quella del suo datore di lavoro, che invece risulta essere stato esclusivamente incriminato. Ne deriva anche la presunzione che dagli atti d'indagine emergeva la sola penale responsabilità del B.R., di conseguenza inquisito dal pubblico ministero per il delitto di lesioni personali colpose).
Va, dunque, appena ricordato il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell'ordinamento processuale vigente, l'unico mezzo preventivo di coordinamento tra il processo civile e quello penale è costituito dall'art. 75 c.p.p., il quale esaurisce ogni possibile ipotesi di sospensione del giudizio civile per pregiudizialità, ponendosi come eccezione al principio generale di autonomia, al quale s'ispirano i rapporti tra i due processi, con il duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e di quello penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e dell'obbligo del giudice civile di accertare autonomamente i fatti. La sospensione necessaria del giudizio civile è pertanto limitata all'ipotesi, qui in atti non emergente e nemmeno adombrata peraltro dal ricorrente - in cui l'azione in sede civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, prevedendosi, nel caso inverso, la facoltà di trasferire l'azione civile nel processo penale, il cui esercizio comporta la rinuncia "ex lege" agli atti del giudizio civile, ovvero la prosecuzione separata dei due giudizi (così da ultimo Cass. VI civ. - 3, ordinanza n. 26863 del 22/12/2016. In senso conforme Cass. Ili civ., ordinanza n. 13544 del 12/06/2006, nonché Cass. nn. 3753 del 2002, 15477 del 2004, 14074 del 2005).
Pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna alle relative spese del soccombente, tenuto altresì come per legge al versamento dell'ulteriore contributo unificato.
 

 

P.Q.M.

 


la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese, che liquida, per ogni ed a favore di ciascuna parte controricorrente, in euro duemila/00 per compensi professionali ed in cento/00 euro per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma I quater d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma l-bis dello stesso articolo 13.