Categoria: Cassazione penale
Visite: 12322

Cassazione Penale, Sez. 4, 07 settembre 2017, n. 40743 - Lavori in quota senza adeguata protezione e caduta del capocantiere. Responsabilità di DL, direttore di cantiere e CSE. Imprudenza ma nessuna abnormità


 

 

 

 

 

 

Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA Relatore: PICCIALLI PATRIZIA Data Udienza: 12/07/2017

Fatto

 


La Corte di appello di Firenze confermava il giudizio di responsabilità a carico di M.P., T.G. e C.S.per il reato di lesioni colpose aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno del lavoratore B.C., dipendente della COLABETON spa (fatto del 8/6/2011), concedendo, in modifica della prima sentenza, le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata aggravante.
L'addebito era stato contestato al M.P., nella qualità di datore di lavoro, sul rilievo che aveva consentito lo svolgimento delle lavorazioni in quota senza aver adottato adeguate misure di protezioni contro la caduta dall'alto e, nello specifico, nell'aver realizzato il parapetto in legno in modo non conforme alla normativa di settore (i correnti erano stati applicati alla parte esterna dei montanti anziché alla parte interna e l'altezza del parapetto era inferiore a quanto prescritto dalla normativa di settore).
Al T.G., nella qualità di direttore di cantiere e dirigente per la sicurezza, veniva contestato di aver consentito lo svolgimento dei lavori senza far sostituire il parapetto in questione; al C.S., nella qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, era addebitato di non aver adottato nessuno dei provvedimenti di sua competenza in relazione alle inosservanze dell'impresa relative alla manutenzione e al controllo periodico del cantiere al fine di eliminare i difetti sopra indicati.
La Corte di merito ha argomentato l'infondatezza dei motivi di appello diretti ad ottenere l'assoluzione degli imputati- sul rilievo della inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla parte offesa e della abnormità della condotta del lavoratore- evidenziando che la ipotesi alternativa prospettata dalla difesa (secondo la quale il B.C. aveva scavalcato il parapetto agendo sul corrente superiore del parapetto con forza torsionale dal basso verso l'alto) e le limitate difformità tra le dichiarazioni rese dalla parte offesa non valevano a mettere in dubbio il nucleo centrale della ricostruzione dei fatti, che aveva dimostrato la sussistenza del nesso causale tra la errata realizzazione del parapetto e l'infortunio.
I ricorrenti articolano due motivi.
Con il primo motivo lamentano la manifesta illogicità della motivazione, che aveva confermato la ricostruzione della dinamica dell'infortunio operata dal primo giudice, senza tener conto delle censure afferenti l'attendibilità delle dichiarazioni contrastanti rese dalla parte offesa e disattendendo quella fornita dai consulenti della difesa, che avevano evidenziato come la dinamica del fatto fosse incompatibile con una caduta in corsa o in movimento. Si insiste, pertanto, nel rappresentare che la versione del B.C., secondo la quale era il lavoratore era inciampato in un grumo di cemento, risultava smentita dalla documentazione fotografica prodotta, da cui emergeva che il pavimento della rampa non presentava sconnessioni, e dalla inverosimiglianza della ricostruzione secondo la quale la caduta del parapetto era stata determinata dal fatto che il B.C., inciampando, aveva perso l'equilibrio sfondando il parapetto con una gamba. Si deduce, altresì, la manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui affermava l'ulteriore riscontro alla versione del fatto fornita dalla parte offesa nelle dichiarazioni rese dall'altro lavoratore, pur dando atto che lo stesso non aveva assistito alla caduta. Le condotte alternative erano state sviluppate dai consulenti della difesa, i quale, avevano evidenziato come la posizione dei chiodi, ancora presenti sul muro, fossero ricurvi, così confermando l'incompatibilità con la versione fornita dal B.C., come del resto, la tipologia delle lesioni era incompatibile con la descrizione della caduta operata dalla parte offesa.
Con il secondo motivo si lamenta il travisamento della prova sul rilievo che l'area di cantiere non comprendeva la rampa e che il POS non prevedeva lavorazioni da eseguire sulla rampa. Sul punto la Corte territoriale aveva modificato l'impostazione del primo giudice il quale erroneamente aveva richiamato le opere provvisionali previste per la piattaforma della torre di miscelazione situata in altro luogo all'interno del cantiere. In tal senso si evidenzia che l'altro operaio per arrivare alle tramogge sulle quali doveva eseguire dei fori aveva usato la scala, senza accedere alla rampa. Si prospetta in tal senso l'abnormità della condotta del lavoratore infortunato.
 

 

Diritto

 


I ricorsi sono infondati in quanto la motivazione fornita dai giudici di merito appare logica e congruamente articolata.
Con riferimento alla posizione del M.P., il giudizio di responsabilità risulta correttamente argomentato sulla posizione di garanzia, nella qualità di datore di lavoro della parte offesa, e sulla violazione del l'obbligo di adozione di adeguate misure di protezione contro la caduta dall'alto. In particolare è rimasto accertato che il parapetto di legno posto su di una parte della rampa prospiciente il vuoto era stato realizzato in violazione delle prescrizioni di cui all'allegato XVIII al d.Lgs 81/2008 ( correnti applicati alla parte esterna, anziché interna e di altezza pari a 83 cm anziché 100 cm). 
Con riferimento alle posizioni del T.G., nella qualità di direttore del cantiere e di C.S., nella qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, è stato correttamente ritenuto che gli stessi fossero venuti meno ai propri doveri, avendo omesso, il primo di sovraintendere alla corretta realizzazione e manutenzione delle opere provvisionale, esercitando il necessario controllo, il secondo, di svolgere le funzioni previste dall'art. 92 d.Lgs 81/2008. Tali omissioni risultano rimarcate dalla circostanza, evidenziata dai giudici di merito, che il parapetto si trovava sulla rampa da molti mesi e dalla scarsa resistenza del medesimo, dimostrata dal fatto che una porzione adiacente del medesimo parapetto era stata sostituita proprio il giorno precedente all'infortunio, attraverso la installazione di un parapetto metallico.
I ricorrenti non contestano l'insicurezza del parapetto ma soffermano l'attenzione essenzialmente sul profilo della condotta abnorme del lavoratore, sia ponendo in discussione l'attendibilità delle dichiarazioni rese in merito alla dinamica del fatto, sia rappresentando che il documento di valutazione dei rischi non prevedeva lavorazioni sulla rampa, tanto che l'altro operaio aveva raggiunto le tramogge usando la scala. Sul punto deducono il travisamento delle prove documentali e testimoniali dalle quali emergeva la non necessità delle lavorazioni sulla rampa.
Nel dedurre la condotta abnorme del lavoratore, propongono una ricostruzione alternativa del fatto secondo la quale il B.C. aveva scavalcato il parapetto agendo sul corrente superiore del parapetto con forza torsionale dal basso verso l'alto.
Sul punto va, innanzitutto, precisato che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del "devolutum" in caso di cosiddetta "doppia conforme" e l'intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio ( Sez. 6, n.5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774).
La motivazione della sentenza impugnata non rivela, invece, la tangibile difformità tra il senso intrinseco delle dichiarazioni assunte (con particolare riferimento a quelle rese dal lavoratore infortunato) e quello che il giudice ne avrebbe inopinatamente tratto, con esclusione pertanto del vizio denunciato. 
E' rimasto, pertanto, accertato che il giorno dell'incidente, il B.C. che si trovava sulla rampa ( verosimilmente diretto a "calare" da sopra il cavo elettrico, ritrovato sotto il corpo dell'infortunato) perdeva l'equilibrio ( il piano di calpestio era bagnato dalla pioggia) e "sfondava" il parapetto mal realizzato.
La censura proposta sulla attendibilità delle dichiarazioni rese, in qualità di teste, dalla parte offesa, è manifestamente infondata, in quanto si sostanzia nel sindacato di merito sulla valutazione dei mezzi di prova, incensurabile in questa sede a fronte di una motivazione analitica, puntuale, che regge ampiamente il vaglio di legittimità.
Sul punto vale precisare che la deposizione della persona offesa può essere assunta, anche da sola, come prova della responsabilità dell'imputato, purché sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192, commi terzo e quarto, cod. proc. pen., che richiedono la presenza di riscontri esterni; tuttavia, qualora la persona offesa si sia anche costituita parte civile e sia, perciò, portatrice di pretese economiche, il controllo di attendibilità deve essere più rigoroso rispetto a quello generico cui si sottopongono le dichiarazioni di qualsiasi testimone e può rendere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi ( Sez. 1, n.29372 del 24/06/2010, Stefanini, Rv. 248016).
A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l'individuazione dell'iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata; mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l'esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa.
Tale sequenza logica è stata seguita dalla Corte di appello che ha sottoposto ad attenta verifica le asserite discordanze nelle dichiarazioni rese in due occasioni dall'infortunato e ha esaminato l'ipotesi alternativa prospettata dalla difesa arrivando alla logica conclusione che le divergenze tra le differenti versioni rese dal B.C., determinate da incertezze mnemoniche, non intaccavano il nucleo centrale del racconto e non minavano la credibilità della persona offesa. Nello stesso senso la versione del fatto prospettata dalla difesa non risultava supportata da idonei riscontri, venendo così ad essere implicitamente disattesa la ricostruzione operata dai consulenti della difesa. 
Ciò che rileva è che il B.C. era precipitato dalla piattaforma a causa della cattiva realizzazione, mai contestata, del parapetto che delimitava la struttura verso il vuoto.
In questa prospettiva, all'evidenza, non si pone qui il tema della negligenza del lavoratore.
Basta ricordare, con riflessi qui di immediato rilievo, che, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne discendere l'interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, cod.pen.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l'evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo (ciò che qui è indiscutibile, quanto meno in ragione della omessa predisposizione di un parapetto conforme ai criteri di sicurezza imposti dalla normativa di settore).
Con l'ulteriore rilievo secondo il quale non è configurabile la responsabilità ovvero la corresponsabilità del lavoratore per l'infortunio occorsogli allorquando il sistema della sicurezza approntato dal datore di lavoro presenti delle evidenti criticità, atteso che le disposizioni antinfortunistiche perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, dovendo il datore di lavoro dominare ed evitare l'instaurarsi da parte degli stessi destinatari delle direttive di sicurezza di prassi di lavoro non corrette e, per tale ragione, foriere di pericoli (cfr. da ultimo, Sez.4, n.10265 del 17/01/2017, Meda, Rv.269255).
La incontestata imprudenza del B.C., che, come evidenziata dal giudice, nella qualità di capocantiere era certamente a conoscenza della scarsa resistenza del parapetto (come del resto dimostrato dalla sua partecipazione, il giorno precedente, alla sostituzione di parte del parapetto) non vale, pertanto, ad escludere la responsabilità degli imputati.
E' infondato anche il secondo motivo con il quale si prospetta, sotto altro profilo, l'abnormità della condotta del lavoratore, che si sarebbe recato sulla rampa per scopi estranei alle mansioni lavorative, trattandosi di area esterna al cantiere.
Va ricordato sul punto che le opere provvisionali- come tale intendendosi ogni manufatto che venga realizzato in un cantiere a servizio dei lavori da effettuare- devono essere conservate in efficienza sino allo smobilizzo del cantiere in modo tale da non costituire pericolo per la incolumità degli addetti
( Sez. 4, n.3504 del 13/12/2007, Leta, Rv. 239029).
Nel caso in esame l'impianto di betonaggio era ancora in fase di costruzione e, come rilevato dal giudice di merito, era necessario a questo fine accedere alla rampa anche a piedi, se non altro al fine di eseguire i lavori nelle tramogge.
E' stato, pertanto, correttamente escluso che la condotta del B.C. esulasse dall'ambito del normale svolgimento delle sue mansioni.
Tale valutazione è assolutamente condivisibile.
I ricorsi vanno, pertanto, rigettati.
Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
 

 

P. Q. M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Cosi deciso in data 12/07/ 2017