Cassazione Penale, Sez. 4, 21 settembre 2017, n. 43500 - Incendio colposo all'interno di un condominio. Responsabilità dell'impresa esecutrice dei lavori per la mancanza di misure antincendio e dell'amministratore di condominio/committente


Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: MENICHETTI CARLA Data Udienza: 30/06/2017

 

Fatto

 

1. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 29 giugno 2016, confermava la condanna resa dal Tribunale cittadino nei confronti di M.G.A., titolare dell'omonima impresa artigiana, e C.P., amministratore del Condominio di via San Benigno 26, responsabili, con condotte colpose indipendenti, del delitto di incendio colposo che il 21 giugno 2016 aveva interessato il piano mansardato ed il tetto dell'edificio condominiale e da cui erano derivati imponenti danni anche a diverse unità abitative poste ai piano sottostanti; confermava altresì le statuizioni civili.
In particolare, al M.G.A. era stata addebitata la mancata adozione di cautele in tema di sicurezza antincendio nel corso dei lavori di impermeabilizzazione di alcuni lucernai posti sul tetto, a lui commissionati e da lui personalmente eseguiti, avendo egli effettuato la posa della guaina catramata con cannello collegato a bombola di gas propano, creando così surriscaldamento, in assenza di mezzi antincendio (quali estintori od altro).
Al C.P. invece, amministratore del Condominio e committente delle opere di impermeabilizzazione, era stato addebitato di aver conferito l'incarico senza verificare l'idoneità tecnico-professionale del M.G.A., in violazione dell'art.90, comma 9 lett.a) e All.XVII del D.Lgs.n.81/2008, non avendo acquisito documentazione relativa alla conformità alle normativa antinfortunistica delle attrezzature usate e dei dispositivi di protezione in dotazione, né attestati inerenti la formazione del M.G.A. e neppure il documento di regolarità contributiva (c.d. DURC).
2. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, pur se non era stato possibile individuare le cause che avevano determinato l'evento, dalla relazione di intervento dei VV.FF., dalle dichiarazioni rese dalla condomina MU. - proprietaria dell'appartamento collegato con la mansarda i cui lucernai richiedevano l'intervento del M.G.A. - dall'Arch. A., funzionario dei VV.FF., e dalla teste P.Z., anch'essa condomina, era emerso: che il M.G.A. stava lavorando fin dalla mattina sul tetto, utilizzando un cannello GPL che sprigionava fiamma libera e disponeva anche di una bombola di gas, che aveva portato sul tetto e poi spostato con l'aiuto di un familiare della P.Z.; che nell'area interessata dall'incendio non era stato rinvenuto alcun mezzo di estinzione, non erano state trovate tracce di liquidi infiammabili né riscontrati odori particolari; che non era ipotizzabile un corto circuito dall'appartamento sottostante della MU., poiché lo stesso M.G.A. aveva bussato al campanello per chiedere aiuto e la condomina aveva usato il cordless per chiamare i Vigili del Fuoco, a dimostrazione che vi era corrente elettrica. La documentazione fotografica in atti aveva portato poi a ritenere, conformemente a quanto evidenziato dall'Ing. G., consulente tecnico delle parti civili, che le fiamme si erano sviluppate sulla parte alta dell'edifico, tanto che il più elevato tasso distruttivo aveva riguardato prevalentemente le nervature orizzontali e verticali del locale di sgombero comune, posto nelle vicinanze del vano motore dell'ascensore, e le nervature orizzontali dell'area corrispondente alla mansarda della MU., mentre minore era stato il tasso distruttivo verificatosi nella zona corrispondente alla mansarda della P.Z., così da escludere che l'incendio si fosse sviluppato da tale alloggio.
Di qui la logica conclusione che le fiamme fossero state causate da un uso maldestro del cannello a fiamma libera, che il M.G.A. stava adoperando sul tetto fin dal mattino, unitamente a materiale infiammabile quali sono le guaine bituminose. A riprova di ciò, la condotta del M.G.A. e della figlia che avevano chiesto alla MU. di non dire che stava lui sul tetto e di "non rovinarlo". Esclusa poi, logicamente e tecnicamente, ogni causa alternativa dell'evento, e pacifico che il M.G.A. non avesse con sé mezzi di spegnimento dell'incendio, i giudici di merito hanno ritenuto che la semplice cautela della disponibilità di un estintore avrebbe potuto impedire la propagazione del fenomeno distruttivo.
Per quanto attiene alla posizione del C.P. - il quale nei motivi di appello aveva contestato che il M.G.A. stesse eseguendo lavori commissionati dal Condominio - la Corte di Torino evidenziava che oltre ai lavori descritti nel preventivo del 9 giugno 2010, che prevedevano la sola posa in opera di malta cementizia su parti comuni del tetto, era stato affidato al M.G.A. in modo "non formale" un ulteriore intervento nei pressi del locale ascensore, per rimediare alle copiose infiltrazioni lamentate dal condomino sottostante B.G., consistente nel proseguire nel posizionamento della guaina bituminosa, già effettuato qualche mese prima, guaina che doveva essere meglio sigillata: dal conferimento di tale incarico scaturiva quindi l'obbligo di accertare l'idoneità tecnico-professionale del soggetto incaricato. Dai pregressi rapporti di assidua collaborazione professionale tra il C.P. ed il M.G.A., da anni consolidati, derivava poi secondo i giudici di appello, anche l'affidamento che i singoli condomini avevano riposto sulla buona formazione professionale dell'artigiano segnalato dall'amministratore: dunque il C.P., sia come committente di limitate opere per il condominio, sia quale amministratore, avrebbe dovuto verificare le competenze della persona incaricata e le dotazioni di prevenzione da utilizzare nei lavori, a garanzia della sicurezza e conservazione dei beni comuni, stante la pericolosità dell'attività da svolgere.
3. Gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia, hanno proposto distinti ricorsi.
3.1. Il ricorso di M.G.A. è affidato ad un solo motivo, con'il quale si prospetta contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, e inosservanza o erronea applicazione della legge penale in riferimento all'art.220 c.p.p e all'art.40 c.p.
Lamenta il M.G.A. che la sentenza impugnata aveva recepito in modo apodittico le valutazioni svolte dal consulente tecnico della parte civile in ordine alla causa dell'innesco, senza prendere nella giusta considerazione quanto dichiarato dai Vigili del Fuoco, sentiti in dibattimento, sul fatto che non erano stati rilevati elementi per individuare con esattezza l'origine dell'incendio. Nessuna parola invece era stata spesa per illustrare le ragioni che avevano portato la Corte di Torino a ritenere non condivisibili le osservazioni e valutazioni svolte dal consulente tecnico della difesa. Doveva essere accolta la richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento per l'affidamento di una perizia sulla causa dell'innesco dell'incendio.
3.2. Il ricorso del C.P. è affidato a tre motivi.
3.2.1. Con un primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, travisamento del fatto e delle prove acquisite, violazione ed erronea applicazione dell'art.449 c.p. e degli artt.89 e 90 D.Lgs.n.81/2008. I lavori conferiti dal C.P. al M.G.A. risultavano dal preventivo 9 giugno 2010 e non prevedevano in alcun modo l'uso di cannello a fiamma libera a GPL. Per i diversi lavori aventi ad oggetto l'impermeabilizzazione con guaina di 9 lucernai, il committente doveva essere ricercato tra i singoli condomini proprietari dei lucernari medesimi. I lavori nelle vicinanze del tetto del locale ascensore, che secondo la Corte di merito avevano formato oggetto di un nuovo incarico da parte di un collaboratore del C.P., di spettanza del Condominio, non erano in rapporto causale con l'evento.
3.2.2. Con un secondo motivo il ricorrente deduce analoghe censure in relazione al rapporto di causalità, in quanto il C.P. non aveva mai conferito incarico al M.G.A. di stendere la guaina sul tetto, data la inesistenza di un lucernaio sopra il vano ascensore.
3.2.3. Le doglianze oggetto del terzo motivo attengono agli obblighi del committente. Per i lavori commissionati dall'amministratore non era necessario l'uso di alcuno strumento a fiamma libera ed il M.G.A. era iscritto alla Camera di Commercio come ditta autorizzata a svolgere attività non specializzata in lavori edili. E' vero che il M.G.A. non aveva consegnato l'autocertificazione riguardante il possesso dei requisiti indicati nell'Allegato XVII del D.Lgs.n.81/2008, ma comunque sulla veridicità della stessa l'amministratore non avrebbe potuto effettuare alcuna verifica. Inconferente, infine, il richiamo alla teoria dell'affidamento, in quanto era la condomina MU. che doveva ottemperare agli specifici obblighi del committente.
 

 

Diritto

 


1. I ricorsi non sono fondati.
2. L'esame dei motivi del M.G.A. impone alcune preliminari puntualizzazioni in diritto. 
La prima attiene alla contestata adesione, da parte dei giudici di merito, alle valutazioni del consulente tecnico delle parti civili ed all'asserito omesso esame delle osservazioni del consulente della difesa.
Giova allora rimarcare, in tema di prova, che in virtù del principio del libero convincimento, il giudice di merito, pur in assenza di una perizia d'ufficio, può scegliere, tra le diverse tesi prospettate dai consulenti delle parti, quella che ritiene condivisibile, purché dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni della scelta, nonché del contenuto della tesi disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti e, ove tale valutazione sia effettuata in modo congruo, è inibito al giudice di legittimità procedere ad una differente valutazione, trattandosi di accertamento di fatto, come tale insindacabile in sede di legittimità (Sez.4, n.8527 del 13/2/2015, Rv.263435).
La seconda considerazione attiene al determinismo causale tra la condotta del M.G.A. e l'evento.
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, qualora siano prospettabili diverse ipotesi alternative in ordine alla ricostruzione del processo causale dell'evento, non è censurabile la sentenza che affermi la sussistenza del nesso causale tra la condotta e l'evento e con essa la responsabilità dell'imputato, senza precisare quale tra esse si sia realmente verificata, qualora identiche siano le conseguenze giuridiche dall'una e dall'altra derivanti (Sez.4, n.2650 del 30/1/1995, Rv.201422).
Sempre in tema di rapporto di causalità, si è poi precisato che la responsabilità dell'imputato per la determinazione di un dato evento naturalistico deve essere affermata anche nei casi in cui le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio della concatenazione causale, ovvero l'innesco della serie causale possa essere attribuito a più condotte colpose alternative, purché ciascuna di esse sia riferibile allo stesso imputato, e debba essere esclusa l'incidenza di meccanismi eziologici indipendenti (Sez.4, n.22147 del 11/2/2016, Rv.266858; Sez.4, n.14358 del 6/2/2002, Rv.222247).
4. La Corte di Torino è pervenuta all'affermazione di responsabilità del M.G.A. all'esito di un'attenta e ragionata lettura delle risultanze processuali e facendo corretta applicazione dei su esposti principi di diritto.
Questi gli elementi di fatto valorizzati in sentenza:
- i Vigili del Fuoco, nella relazione di intervento del 21 giugno 2010 avevano affermato che dagli elementi rinvenuti non era stato possibile risalire alle cause che avevano determinato l'incendio, ma che dalla testimonianza resa dalla condomina MU., proprietaria dell'appartamento sottostante, era desumibile che tale evento fosse stato originato da un cannello durante i lavori di impermeabilizzazione del tetto;
- nell'area interessata dall'incendio non era stato trovato alcun mezzo di estinzione;
- sentito in dibattimento, l'arch. A., funzionario dei VV.FF., aveva poi precisato che in occasione di eventi simili si ricercavano liquidi infiammabili oppure odori particolari da cui trarre spunto per individuare la causa dell'incendio: nel caso in esame nulla era stato rilevato, né era stato riscontrato un corto circuito nell'appartamento della MU. - appartamento collegato con la mansarda i cui lucernai richiedevano l'intervento del M.G.A. - in quanto l'impianto elettrico funzionava regolarmente e non era stato staccato dal c.d. salvavita;
- erano state invece trovate dai VV.FF. due bombole di GPL sul pianerottolo del piano mansardato, nel passaggio vicino al vano motore dell'ascensore, cioè nei pressi del varco utilizzato dal M.G.A. per accedere al tetto: la MU. e l'altra condomina P.Z. avevano testimoniato nel senso che l'imputato, fin dal mattino, stava lavorando sul tetto utilizzando appunto un cannello a GPL che sprigionava fiamma libera e disponeva anche di una bombola di gas che aveva portato sul tetto.
L'esame della documentazione fotografica in atti aveva poi indotto i giudici di merito a ritenere - così come evidenziato dal consulente tecnico delle parti civili, Ing. G. - che le fiamme si fossero sviluppate partendo dall'alto dell'edificio, ovvero dal tetto ove stava pacificamente lavorando il M.G.A.: i maggiori distacchi di intonaco risultavano infatti presenti nella parte alta delle pareti di mattoni della mansarda MU., circostanza coerente con la maggiore esposizione al calore partendo dall'alto, mentre il fatto che la mobilia apposta all'interno dell'alloggio del quarto piano non risultasse bruciata, faceva escludere l'innesco dell'incendio dal basso e poi la sua propagazione alla mansarda ed al tetto. A riprova, anche le modalità distruttive, interessanti prevalentemente le nervature orizzontali e verticali in aree identificate, nella pianta redatta dal consulente Ing. G., come locali di sgombero comune, nelle vicinanze del locale ascensore, in corrispondenza della mansarda MU., escludevano che l'incendio fosse divampato dall'alloggio della P.Z., poiché la zona corrispondente alla sua mansarda presentava un tasso distruttivo minore.
Per tali obiettivi riscontri, e considerato che l'incendio si era sviluppato in una giornata soleggiata, la Corte di Torino ha escluso - con ragionamento logico immune da censure - che l'incendio potesse essere stato causato da fenomeni atmosferici, da liquidi infiammabili presenti nei singoli appartamenti o da fughe di gas non rilevate, o infine da corto circuiti, il cui concreto verificarsi era contraddetto dalla circostanze sopra richiamate, e di conseguenza è pervenuta alla conclusione che le fiamme fossero state causate da un uso maldestro del cannello a fiamma libera, utilizzato dall'artigiano sul tetto sin dal mattino, unitamente a materiale infiammabile, come sono le guaine bituminose, e senza avere a disposizione alcun sistema di spegnimento dell'incendio, quale un semplice estintore.
Lo svolgimento di un'attività lavorativa con modalità pericolose senza l'adozione di alcuna cautela e senza la dotazione di uno strumento di estinzione idoneo ad evitare almeno la propagazione del fenomeno distruttivo - tanto che il M.G.A. era stato costretto a chiedere alla MU. dei secchi d'acqua - aveva costituito quindi causa dell'evento, rimanendo irrilevante, in forza dell'insegnamento giurisprudenziale più sopra ricordato, se l'incendio fosse stato innescato da un improprio e non corretto utilizzo del cannello a fiamma libera, con un fenomeno di infiammazione diretta delle tegole, ovvero per incubazione, per essersi cioè infiltrati fra le tegole frammenti incandescenti di cui l'operaio non si avvedeva immediatamente, per non aver prestato adeguata attenzione al lavoro, così da produrre un incendio c.d. "covante" che aveva attaccato poi l'orditura lignea sottostante.
A fronte di tali preciso e completo sviluppo motivazionale, il ricorrente solleva generiche censure, prive di fondamento.

4. Passando ad esaminare il ricorso del C.P., si osserva che questi ripropone, come primo motivo, la questione già prospettata nell'atto di appello, della inesistenza di una sua posizione di garanzia, sostenendo che al momento in cui insorse l'incendio il M.G.A. stava eseguendo lavori commissionatigli dai singoli condomini e non dal Condominio, per il quale doveva limitarsi alla posa in opera di malta cementizia, come documentato dal preventivo del 9 giugno 2010, lavoro che non comportava l'utilizzo di materiale bituminoso infiammabile né l'uso del cannello a GPL.
Anche in questo caso, la motivazione fornita dalla Corte di Torino nella parte in cui ha respinto la doglianza del C.P., è corretta e congrua.
La Corte territoriale ha infatti osservato, in base alle dichiarazioni dei condomini e dello stesso M.G.A., che in relazione ai lavori da eseguire sul tetto dell'edificio in questione, dopo la stesura del ricordato preventivo, era stato fatto un secondo sopralluogo in una mansarda non abitata ed adibita a locale di sgombero, soprastante l'appartamento del quarto piano del condomino B.G., che lamentava copiose infiltrazioni: tale soffitta, adiacente al locale ascensore, era risultata piena di acqua proveniente da una canna fumaria e quella mattina era stata riparata con l'apposizione di guaina bituminosa. Dunque, anche se in modo non formale, al M.G.A. era stato affidato l'incarico di risolvere il problema di natura condominiale, e ciò l'operaio aveva fatto con le stesse modalità con cui stava procedendo alla impermeabilizzazione del tetto in corrispondenza delle mansarde di proprietà privata. Inoltre, stante anni di pregressa ed assidua collaborazione professionale tra il C.P. ed il M.G.A., ed il fatto che questi avesse appaltato nel 2009 lavori di rifacimento della guaina bituminosa del locale ascensore, era evidente che i condomini si sarebbero rivolti a lui per lavori nelle proprietà esclusive, facendo affidamento sulla sua competenza.
Di qui la conclusione che il C.P., consapevole che il M.G.A. era chiamato ad eseguire, sia per conto del Condominio sia per conto dei singoli condomini, opere che richiedevano l'uso di un cannello a fiamma libera a GPL, avrebbe dovuto - in qualità di amministratore e di committente - verificare che il soggetto da lui stesso individuato fosse effettivamente dotato della necessaria capacità di realizzare i lavori affidati e munito delle attrezzature idonee, anche in relazione ai dispositivi di sicurezza e prevenzione incendi, data la infiammabilità del materiale utilizzato: il C.P. aveva invece omesso di verificare la idoneità professionale del M.G.A., verifica che, ove compiuta, gli avrebbe consentito di acclararne la inadeguatezza professionale oltre che l'assenza degli opportuni sistemi e presidi di prevenzione ed antincendio, e di effettuare quindi una differente scelta in ordine all'artigiano da incaricare dei lavori condominiali e da indicare ai condomini.
Già questa Corte si è pronunciata nel senso che l'amministratore che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nell'interesse del Condominio è tenuto, quale committente, all'osservanza degli obblighi di verifica della idoneità tecnico professionale dell'Impresa appaltatrice (Sez.3, n.42347 del 18/9/2013, Rv.257276), essendo titolare di un obbligo di garanzia, quanto alla conservazione e manutenzione delle parti comuni dell'edificio condominiale, ai sensi dell'art.1130 cod.civ. (Sez.4, n.39959 del 23/9/2009, Rv.245317): non rileva pertanto - per quanto concerne l'incendio riconducibile a colpa del M.G.A. - che lo stesso si sia sviluppato su una parte comune dell'edificio condominiale ovvero su un bene appartenente al singolo condomino, accessibile dalla parte comune. Egli, come già detto, ben consapevole che i lavori da eseguire comportavano l'utilizzo di materiale infiammabile, avrebbe dovuto attivarsi a tutela delle parti comuni esposte a pericolo, assicurandosi della capacità della persona incaricata: la sua colpevole inerzia ebbe perciò un ruolo causalmente incidente sulla produzione dell'evento.
Appare allora infondato anche il ricorso del C.P..
5. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché in solido alla rifusione dei quelle sostenute dalle parti civili, liquidate come da dispositivo.
 

 

P.Q.M.

 


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché in solido alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Condominio di via S. Benigno n.25 di Torino, che liquida in complessivi € 2.500,00, oltre accessori come per legge; nonché delle parti civili OMISSIS, che liquida in complessivi € 3.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 30 giugno 2017