Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 27 settembre 2017, n. 44614 - Prassi lavorativa pericolosa e responsabilità del procuratore speciale per omessa vigilanza. Prescrizione


Presidente: DI SALVO EMANUELE Relatore: RANALDI ALESSANDRO Data Udienza: 08/06/2017

 

 

FattoDiritto

 

1. Con sentenza del 7.6.2016 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ritenuta la prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante contestata, ha rideterminato la pena inflitta a M.C. per il reato ex art. 590, comma terzo, cod. pen. in giorni 20 di reclusione, sostituita con € 5.000 di multa.
La Corte territoriale ha confermato il giudizio di responsabilità del M.C. in ordine all'infortunio sul lavoro avvenuto nello stabilimento della ditta Albea 90 Srl, ai danni di F.T., capoturno addetto all'impianto "Bauletto", che si procurava lesioni personali gravi alla mano destra, introducendosi ad impianto funzionante, nella zona di impasto della farina, nel tentativo di rimuovere con la spatola i residui di pasta dai rulli in movimento.
All'imputato, quale procuratore speciale della ditta e responsabile della sicurezza, è stato addebitato di non aver rispettato gli obblighi di vigilanza posti a suo carico dall'art. 18, lett. f), d.lgs. 81/08, stante l'esistenza di una prassi lavorativa con cui veniva disattesa la regolare procedura per la pulizia occasionale o estemporanea della macchina impastatrice in costanza di produzione.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, articolando quattro motivi, di seguito sinteticamente illustrati.
I) Carenza e illogicità della motivazione, nonché travisamento della prova, laddove ha ritenuto comprovata la sussistenza di una prassi aziendale contra legem ed una tolleranza della stessa da parte dell'imputato.
II) Violazione di legge in punto di nesso causale, non sussistendo più per il datore di lavoro un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, in relazione ad una condotta imprevedibilmente colposa di quest'ultimo, come nel caso.
Ili) Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio, non essendo stata fornita alcuna giustificazione circa l'iter seguito dal Giudice, sia in ordine al bilanciamento delle circostanze sia in ordine alla conversione della pena detentiva.
IV) Violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della disciplina sulla tenuità del fatto ex art. 131 bis cod. pen.
3. Con memoria depositata il 24.5.2017 il difensore del ricorrente ha dedotto i seguenti ulteriori motivi.
V) Vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della violazione dell'obbligo di vigilanza da parte del prevenuto, senza argomentare sull'esatto contenuto dello stesso, tenuto conto della necessità di commisurare tale obbligo con il parametro dell'autoresponsabilità del lavoratore, non potendo l'obbligo di vigilanza spingersi fino a ricomprendere comportamenti volontari o scientemente occultati del prestatore di lavoro.
VI) Vizio di motivazione per erronea applicazione della normativa in materia di imputazione della colpa.
Deduce la contraddittorietà dell'argomentazione della Corte di appello secondo cui se l'imputato effettivamente non conosceva l'esistenza di una procedura contra legem, in ogni caso sussisterebbe da parte sua la colpevole ignoranza di detta pratica. Ma se tale pratica era occulta, essa non poteva che essere sconosciuta incolpevolmente dal prevenuto, non comprendendosi per quale motivo l'ignoranza del prevenuto sarebbe colposa.
Rileva, inoltre, l'inconsistenza delle considerazioni sviluppate nella sentenza impugnata in relazione alla necessità, per elidere la colpa, della apposizione di cartellonistica, di una procedura scritta o di una sorveglianza costante, misure che non avrebbero ridimensionato un comportamento contrario alle regole aziendali esistenti.
4. Preliminarmente sussistono i presupposti per rilevare d'ufficio l'intervenuta causa estintiva del reato per cui si procede, essendo spirato il relativo termine di prescrizione massimo pari ad anni sette e mesi sei. Deve rilevarsi che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per la manifesta infondatezza delle doglianze ovvero perché basato su censure non deducibili in sede di legittimità. Pertanto, sussistono i presupposti, discendenti dalla intervenuta instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione, per rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. maturate, come nel caso di specie, successivamente rispetto alla sentenza impugnata (la sentenza di secondo grado è stata resa in data 7.6.2016, mentre il termine di prescrizione risulta spirato, pur considerando le sospensioni, il 13.3.2017).
Si osserva, infine, che non ricorrono le condizioni per una pronuncia assolutoria di merito, ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen., non potendosi constatare con evidenza dagli atti l'insussistenza del fatto-reato.
5. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato estinto per prescrizione.

 

 

 

P.Q.M.

 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 8 giugno 2017