Cassazione Penale, Sez. 4, 05 ottobre 2017, n. 45820 - Ribaltamento del trabattello e caduta del lavoratore. Responsabilità del datore di lavoro subappaltatore


 

Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: DI SALVO EMANUELE Data Udienza: 30/06/2017

 

Fatto

 

1. Z.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata, in punto di responsabilità, la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all'art. 590 cod. pen., perché, in qualità di subappaltatore e di datore di lavoro di F.M., per negligenza imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, non adottando le misure necessarie affinché il "ponte su ruote", utilizzato dal lavoratore, venisse installato e adoperato in conformità alle istruzioni d'uso mentre esso era privo di ganasce sulle ruote, al fine di impedire movimenti intempestivi, con il lavoratore in quota; non era ancorato alla costruzione ogni due piani e poteva essere spostato con il lavoratore in quota, cagionava lesioni personali, giudicate guaribili in giorni 273, al F.M., il quale, mentre montava alcune lampade, cadeva da un'altezza di metri 8 circa, a causa del ribaltamento dell'attrezzatura.
2. Il ricorrente deduce, con il primo motivo, violazione di legge e vizio di motivazione, poiché la movimentazione del trabattello con l'uomo in quota costituiva frutto di un accordo volontario tra il F.M. e il titolare dell'impresa appaltatrice, dovuto alla necessità di spostare il ponte, nell'area del capannone, per installare l'impianto di illuminazione. Dunque le misure precauzionali non erano adottabili perché incompatibili con le esigenze di lavorazione. La vera causa dell'infortunio è consistita, infatti, nello spostamento del trabattello con il lavoratore in quota, da parte del T.M., benché il F.M. gli avesse chiesto di aspettare, avendo notato che il trabattello oscillava, a causa della presenza di innumerevoli cavi elettrici a terra. Si è trattato dunque di un comportamento abnorme che Z.A., al quale non è mai stato addebitato di non aver adeguatamente formato e informato del rischio specifico il F.M., avrebbe potuto impedire soltanto con una costante presenza in cantiere e un costante controllo-condotta operativamente irrealizzabile.
2.1. Il giudice di primo grado aveva poi liquidato integralmente il danno e aveva subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento degli obblighi risarcitori entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza. La Corte d'appello ha eliminato la statuizione relativa alla liquidazione del danno, rinviando le parti al giudice civile. Illegittimamente dunque il giudice di secondo grado ha mantenuto la statuizione inerente alla subordinazione, che avrebbe invece dovuto eliminare, anche perché la provvisionale è stata corrisposta dalla compagnia assicurativa.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.

 

 

 

Diritto

 


l. Il primo motivo di ricorso è infondato. Costituisce infatti ius receptum, nella giurisprudenza della suprema Corte, il principio secondo il quale, anche alla luce della novella del 2006, il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene pur sempre alla coerenza strutturale della decisione, di cui saggia l'oggettiva "tenuta", sotto il profilo logico-argomentativo, e quindi l'accettabilità razionale, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass., Sez. 3, n. 37006 del 27 -9-2006, Piras, Rv. 235508; Sez. 6 , n. 23528 del 6-6-2006, Bonifazi, Rv. 234155). Ne deriva che il giudice di legittimità, nel momento del controllo della motivazione, non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento, atteso che l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa interpretazione delle prove. In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento probatorio. Questo controllo è riservato al giudice di merito, essendo consentito alla Corte regolatrice esclusivamente l'apprezzamento della logicità della motivazione (ex plurimis, Cass., Sez. 3, n. 8570 del 14-1-2003, Rv. 223469; Sez. fer., n. 36227 del 3-9-2004, Rinaldi; Sez. 5, n. 32688 del 5-7-2004, Scarcella; Sez. 5, n.22771 del 15-4-2004, Antonelll).
2. Nel caso in disamina, il giudice a quo ha evidenziato la valenza probatoria delle risultanze degli accertamenti effettuati dalla ASL, da cui è emerso che il lavoratore F.M., dipendente della "AZ Electric Sistem " di Z.A., dovendo montare delle lampade sulla sommità del capannone, era salito sul "ponte su ruote" e aveva raggiunto la quota di 8 m, mentre T., da terra, seguiva i lavori e, dovendo spostare il trabattello, lo spingeva sulle ruote. Poiché però sul pavimento erano ammassati dei cavi elettrici, il trabattello, durante lo spostamento, ondeggiò e si ribaltò a terra, facendo cadere dall'alto il F.M.. Dal contratto di subappalto risulta che T.M. aveva subappaltato a " AZ Electric System" di Z.A. la parte dei lavori riguardante l'installazione dell'illuminazione, impegnandosi a fornire a Z.A. le proprie attrezzature per l'accesso in quota (scale, ponti mobili). I lavori dovevano quindi essere effettuati con le attrezzature contrattualmente ed effettivamente messe a disposizione dal T.M. ma all'esecuzione delle opere doveva attendere Z.A., il quale, infatti, si recava spesso in cantiere. L'imputato, dunque, datore di lavoro del F.M., aveva il dovere di controllare le attrezzature messe a disposizione dei propri lavoranti; l'utilizzo effettivo dei dispositivi individuali di protezione e, in generale, la corretta esecuzione del lavoro, in tutte le sue fasi. Essendo evidente che i dipendenti dell'imputato avrebbero dovuto salire in quota, per fissare le linee di adduzione elettrica e gli elementi illuminanti al soffitto, l'ipotesi di caduta dall'alto avrebbe dovuto essere attentamente considerata da Z.A., il quale aveva il dovere di verificare la corretta installazione del "ponte su ruote", con cunei o ganasce di fermo; l'ancoraggio a punto inamovibile, almeno ogni due piani; la presenza di barre stabilizzatrici; l'assenza di movimentazione con i lavoratori in quota. Né si può parlare di comportamento abnorme del dipendente, che si trovava regolarmente al proprio posto di lavoro, nell'orario di attività, e che attendeva alle mansioni a lui demandate dal proprio datore di lavoro.
L'impianto argomentativo a sostegno del decisum è dunque puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
3. Fondato è invece il secondo motivo di ricorso. La subordinazione della sospensione condizionale della pena all'adempimento degli obblighi risarcitori può essere disposta solo con riferimento a prestazioni certe e determinate, in modo da assicurare - e da consentire di verificare- l'esatta corrispondenza tra obbligo imposto e corretto adempimento di esso. Non si può dunque ancorare la subordinazione ad una condanna generica al risarcimento del danno, che sarebbe di impossibile adempimento senza un'ulteriore pronuncia (Cass., 13-5-1998, Cimolai). E' dunque illegittima la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'adempimento dell'obbligo di risarcire il danno, ove il giudice penale abbia pronunciato condanna generica e demandato al giudice civile la liquidazione del predetto danno, giacché la disposizione di cui all'art. 165 cod. pen. attribuisce al giudice di merito l'esercizio di tale facoltà solo qualora egli abbia proceduto direttamente alla quantificazione dell'obbligo risarcitorio del condannato (Cass., Sez. 5, n. 48517 del 6-10-2011, Rv. 251708).
Nel caso in esame, la Corte d'appello, avendo revocato la liquidazione definitiva del risarcimento dei danni, stabilita dal Tribunale, e demandato il relativo giudizio al giudice civile, avrebbe dovuto revocare la statuizione relativa alla subordinazione della sospensione condizionale della pena all'adempimento dell'obbligo dell'integrale risarcimento del danno, emessa dal Tribunale. Né il giudice di secondo grado, pur avendo confermato la condanna al pagamento della provvisionale di euro 200.000, ha subordinato a quest'ultimo la sospensione condizionale della pena, come pur sarebbe stato legittimo (Sez. 1, n. 7516 del 27-1-2011, Rv. 249806; Sez 2, n. 35351 del 17-9-2010, Rv. 248545). La Corte d'appello, infatti, sebbene abbia revocato la statuizione relativa alla liquidazione definitiva del risarcimento dei danni, ha confermato, per il resto, la sentenza di primo grado, così subordinando il beneficio della sospensione condizionale della pena a una condanna divenuta generica: ciò che, sulla base delle considerazioni appena esposte, le era precluso.
4. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio, limitatamente alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento degli obblighi risarcitori. Il ricorso va rigettato nel resto.
 

 

PQM

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento degli obblighi risarcitori. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 30-6-2017.