Cassazione Penale, Sez. 4, 20 febbraio 2017, n. 8118 - Infortunio con un tiratrefoli. Nessuna particolare tenuità del fatto se la condotta porta ad esiti lesivi molto gravi. Rischio previsto nel DVR ma non debitamente monitorato


 

 

L’apparecchiatura cui era assegnato il lavoratore (denominata "tiratrefoli") presentava segni di usura eziologicamente determinanti ai fini del prodursi dell’evento. Di tal che l’infortunio occorso alla vittima si pone come concretizzazione del rischio indotto dalla negligente vigilanza sulla manutenzione dell’apparecchiatura in esame: un rischio che, sebbene espressamente considerato nell’apposito documento di valutazione, non è stato poi debitamente monitorato; né dagli atti disponibili risulta che vi sia stata designazione di soggetti deputati a curare la manutenzione del macchinario e a segnalare eventuali necessità d’intervento al riguardo. Ciò rende ancor più evidente la manchevolezza addebitata al datore di lavoro, avendo egli specificamente previsto - nel redigere il D.V.R. - l’espletamento di attività di manutenzione dei macchinari, senza che a ciò sia seguito il controllo sull’effettivo stato di conservazione, di efficienza e di sicurezza dei macchinari stessi: controllo che incombeva allo stesso datore di lavoro.



 Presidente Piccialli – Relatore Pavich
 

Fatto


 
 1. La Corte d’appello di L’Aquila, con pronunzia resa l’11 febbraio 2015, ha parzialmente riformato - limitatamente alle statuizioni civili in punto di quantificazione del danno e della provvisionale - la sentenza con la quale O.V. era stato condannato alla pena di giustizia dal Tribunale di Teramo, in data 30 ottobre 2013, in relazione al reato p. e p. dall’art. 590, commi 2 e 3 cod.pen. (lesioni colpose gravi ai danni di G.A. ), contestato come commesso in (omissis) il (omissis) . Per il resto, le statuizioni adottate in primo grado venivano confermate.
 1.1. Più precisamente, si contesta all’O. - nella sua qualità di presidente del Consiglio d’amministrazione della O. Prefabbricati s.r.l. - di avere omesso di adottare le necessarie manutenzioni degli ancoraggi dei trefoli in acciaio di un macchinario (detto "tiratrefoli") cui il G. , dipendente della ditta, era addetto. L’omessa manutenzione degli ancoraggi, secondo l’assunto accusatorio recepito nel giudizio di merito, aveva cagionato lo sganciamento di un trefolo in pretensione sganciatosi dal cuneo di ancoraggio, a causa dello stato d’usura del medesimo, andando a colpire il G. e provocandogli le gravi lesioni meglio descritte nell’imputazione.
 2. Avverso la prefata sentenza ricorre l’O. , per il tramite del suo difensore di fiducia.
 Il ricorso è in sostanza articolato in tre motivi di doglianza, preceduti dalla richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto o, in subordine, di ammissione alla messa alla prova.
 2.1. Venendo ai motivi di doglianza propriamente detti, con il primo motivo l’esponente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al fatto che l’attribuzione all’O. della penale responsabilità del sinistro si è fondata esclusivamente sulla sua posizione di presidente del Consiglio di amministrazione, pur a fronte del fatto che la verifica dello stato di usura degli ancoraggi esulava dai compiti di detto organo: ciò pone l’addebito a carico del ricorrente ai limiti della responsabilità oggettiva, mentre nessun addebito risulta essere stato mosso agli altri possibili titolari di posizioni di garanzia ai fini dell’organizzazione delle attività lavorative. In realtà, l’O. aveva preso in esame il rischio specifico all’interno del documento di valutazione dei rischi, rischio regolamentato da un’apposita procedura per l’utilizzo in sicurezza della macchina tiratrefoli, comprensivo di previsioni atte ad evitare il rischio di accidentale sganciamento dei cavi.
 2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione di norme processuali: la Corte di merito ha omesso di pronunciarsi in ordine all’ammissibilità dell’acquisizione del cuneo (ritenuto causa del sinistro) e sulla sua utilizzabilità ai fini della decisione: tale prova, secondo l’esponente, è stata acquisita al di fuori di ogni contraddittorio e senza rispettare alcuna delle procedure di possibile acquisizione del pezzo, che non risulta essere stato sequestrato; ed è dunque inutilizzabile.
 2.3. Con il terzo motivo, l’esponente denuncia la medesima circostanza sotto il diverso profilo della mancanza di motivazione.
 

Diritto


 
 1. Conviene preliminarmente esaminare le due richieste formulate dal ricorrente a premessa del suo ricorso.
 1.1. Sebbene la richiesta di applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto sia stata correttamente avanzata in questa sede, non essendo l’istituto ancora previsto al momento dell’emissione della sentenza impugnata, tuttavia una disamina complessiva della fattispecie concreta induce a ritenere che la richiesta stessa sia infondata e non possa essere accolta.
 Invero, secondo la giurisprudenza apicale di legittimità, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Orbene, è soprattutto sotto quest’ultimo, dirimente profilo che il fatto storico non può definirsi come caratterizzato da particolare tenuità, ove si considerino gli esiti lesivi (la cui gravità è stata riconosciuta nel giudizio di merito) della condotta colposa ascritta all’O. .
 1.2. È poi inammissibile, perché manifestamente infondata, la richiesta di ammissione del ricorrente alla messa alla prova: è ormai ius receptum che, nel giudizio di impugnazione davanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione, l’imputato non può chiedere la sospensione del procedimento con la messa alla prova di cui all’art. 168-bis cod. pen., né può a tal fine sollecitare l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, perché il beneficio dell’estinzione del reato, connesso all’esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter processuale alternativo alla celebrazione del giudizio (Sez. 3, n. 22104 del 14/04/2015, Zheng, Rv. 263666; Sez. 5, n. 35721 del 09/06/2015, Gasparini e altri, Rv. 264259).
 2. Venendo più specificamente ai motivi di doglianza, il primo motivo è infondato.
 Deve premettersi che il datore di lavoro è soggetto garante dell’attività di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore, e che la corretta redazione del documento di valutazione del rischio non lo esime dalle connesse responsabilità di prevenzione, assicurazione e sorveglianza ex art. 17, D.Lgs. 81/2008, eventualmente congiunte a quelle di altri garanti.
 Si premette ulteriormente che, nelle società di capitali, gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro possono gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo il caso di delega validamente conferita della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 49402 del 13/11/2013, Bruni e altri, Rv. 257673).
 2.1. Nella specie, risulta dall’impugnata sentenza che l’apparecchiatura cui era assegnato il lavoratore (denominata "tiratrefoli") presentava segni di usura eziologicamente determinanti ai fini del prodursi dell’evento. Di tal che l’infortunio occorso al G. si pone come concretizzazione del rischio indotto dalla negligente vigilanza sulla manutenzione dell’apparecchiatura in esame: un rischio che, sebbene espressamente considerato nell’apposito documento di valutazione, non è stato poi debitamente monitorato; né dagli atti disponibili risulta che vi sia stata designazione di soggetti deputati a curare la manutenzione del macchinario e a segnalare eventuali necessità d’intervento al riguardo. Ciò rende ancor più evidente la manchevolezza addebitata all’O. , avendo egli specificamente previsto - nel redigere il D.V.R. - l’espletamento di attività di manutenzione dei macchinari, senza che a ciò sia seguito il controllo sull’effettivo stato di conservazione, di efficienza e di sicurezza dei macchinari stessi: controllo che incombeva allo stesso O. nella sua qualità datoriale.
 3. Quanto al secondo e al terzo motivo, essi possono congiuntamente trattarsi per essere gli stessi attinenti all’unico profilo della dedotta inutilizzabilità della prova costituita dall’acquisizione del cuneo reggitrefolo che ha causato l’infortunio.
 Si tratta di motivi privi di fondamento.
 3.1. Se, infatti, è vero che per l’acquisizione delle cose pertinenti al reato appartenenti a terzi è necessario procedere al relativo sequestro (cfr. Sez. 1, n. 6252 del 04/05/1994, Ferraro, Rv. 198878), tuttavia emerge dalla motivazione della sentenza impugnata che la riferibilità eziologica dell’evento lesivo al logoramento del cuneo reggitrefolo è stata ravvisata sulla base di elementi ulteriori e diversi, ed in specie degli accertamenti espletati in loco dalla polizia giudiziaria (dei quali ha riferito il teste B. ) e dei rilievi fotografici acquisiti agli atti.
 Invero, la Corte di merito ha argomentato il proprio convincimento esclusivamente in base a questi ultimi elementi probatori, ritenuti autonomamente idonei a comprovare che lo sganciamento del trefolo che colpì il G. fu determinato dalle condizioni di usura della dentatura interna del cuneo reggitrefolo; per tale ragione, nel ragionamento enunciato dalla Corte territoriale non si tiene conto delle modalità formali di acquisizione del cuneo stesso, nell’evidente assunto che la materiale disponibilità del pezzo non rileva ai fini dell’accertamento probatorio.
 3.2. Sul punto, vale il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il giudice dell’impugnazione non è tenuto a dichiarare preventivamente l’inutilizzabilità della prova contestata qualora ritenga di poterne prescindere per la decisione, ricorrendo al cosiddetto "criterio di resistenza", applicabile anche nel giudizio di legittimità (Sez. 2, n. 41396 del 16/09/2014, Arena, Rv. 260678).
 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 

 P.Q.M.


 
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.