Cassazione Penale, Sez. 4, 31 ottobre 2017, n. 50025 - Caduta al suolo durante i lavori di disarmo della casseratura del cordolo di un fabbricato. Ruolo di un capocantiere e di un caposquadra: annullamento della sentenza impugnata


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 04/10/2017

 

 

 

Fatto

 

1. P.S. e D.F. ricorrono, a mezzo del comune difensore di fiducia, avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari che ha confermato, nei loro confronti, la sentenza con cui il giudice di primo grado li aveva condannati per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. per violazione delle normative antinfortunistiche, in quanto il P.S. quale capocantiere e responsabile della sicurezza per la società F.Ili C. snc, il D.F. quale caposquadra della stessa società, cagionavano per colpa - consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e, secondo le rispettive competenze e attribuzioni, nella violazione delle norme di prevenzione sottoindicate - lesioni gravi dalle quali derivava una malattia/incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni, al lavoratore P.M., dipendente della ditta F.Ili C., il quale, mentre effettuava lavori di disarmo della casseratura del cordolo di un fabbricato, precipitava al suolo da un'altezza di circa metri 3,30, essendo il solaio privo in tutto il suo perimetro di protezioni contro le cadute.
Colpa specifica consistita nella violazione delle seguenti norme di prevenzione: art. 16 DPR 164/56 perché, nell'esecuzione di opere a un'altezza superiore a due metri omettevano di adottare adeguate impalcature e ponteggi o comunque opere provvisionali idonee a evitare pericoli di caduta alle persone; fatto commesso il 15/2/2007.
Gli imputati venivano condannati alla pena di mesi 3 di reclusione ed € 400,00 di multa ciascuno, oltre al risarcimento alle parti civili da liquidarsi separatamente ed alla rifusione delle spese da questa sostenute, con sospensione condizionale della pena.
2. I ricorrenti deducono vizio motivazionale in quanto la corte di appello avrebbe valutato, in modo inesatto e illogico soltanto uno dei motivi di impugnazione proposti, omettendo di valutare i restanti motivi.
Ci si duole che la sentenza impugnata nulla dica in relazione alla dedotta mancanza di collegamento in ambito lavorativo tra gli imputati e la persona offesa. Il cantiere, nel quale si infortunava il P.M., era stato aperto in Carbonia il 6.12.2005, mentre D.F. e P.S. venivano assunti il 29.1.2007, 17 giorni prima dell'incidente dalla F.Ili C. snc che sarebbe dovuta subentrare alla consortile Carbonia 60, nelle opere di sola cantierizzazione, il P.M. era sempre stato dipendente della Carbonia 60 srl.
Gli imputati non avrebbero mai avuto relazioni lavorative con il P.M. che, appunto, rispondeva al capocantiere della Carbonia 60.
Stranamente nel libro matricola della F.Ili C., P.M. risulterebbe assunto il giorno stesso dell'incidente, che avveniva tra le 7.30 e le 8.00 del mattino. Pertanto, ritengono i ricorrenti, il nominativo sarebbe stato inserito tra i dipendenti della F.Ili C. successivamente per modificare il quadro delle responsabilità.
Ancora, si lamenta che l'impugnata sentenza nulla dica in relazione alla posteriorità del conferimento delle deleghe in materia di sicurezza rispetto all'infortunio.
Nell'atto di appello - si legge ancora in ricorso- si era lamentato che i documenti, contenenti le deleghe sulla sicurezza, sarebbero stati fatti sottoscrivere successivamente ai lavoratori approfittando della loro superficialità e danneggiando il P.M. il quale non potrà mai ottenere un risarcimento da due lavoratori in precaria situazione economica. Del resto, non esisterebbe un originale del documento in quanto la riunione non vi sarebbe mai stata e i soggetti apposero le loro firme separatamente.
Si sostiene che i ruoli in tema di sicurezza furono attribuiti solo dopo l'incidente proprio come avvenne per la correzione del libro matricola.
Il P.M. avrebbe affermato di lavorare per la F.Ili C. e di ricevere ordini dal D.F., semplicemente perché, lavorando a nero nell'ultimo periodo per la ditta Carbonia 60, cercava in tal modo di garantirsi una copertura INAIL.
Sul punto, determinante sarebbe la dichiarazione del collega Sp. il quale riferiva che il caposquadra M. gli comunicava che sarebbe stato assunto dalla F.Ili C. dopo aver lavorato a nero per la Carbonia 60 dal 12 al 16 febbraio.
Infine, i ricorrenti deducono che nessuna valutazione sarebbe stata compiuta sulle eccezioni relative alla validità delle deleghe in materia di sicurezza del lavoro.
Secondo quanto sostenuto in ricorso: a) i ricorrenti non avevano alcun potere di spesa e nessuna possibilità di far fronte agli adempimenti in materia di sicurezza del lavoro; b) il P.S. era solo il conducente di alcuni mezzi, tra cui un muletto, il D.F. invece era un operaio specializzato che coordinava un piccolo gruppo di lavoratori, tra cui non vi era il P.M.; 3) nessuno dei due aveva alcuna preparazione in materia di sicurezza, pertanto, le deleghe oltre ad essere fittizie non avrebbero potuto esonerare da responsabilità i deleganti, perché prive dei requisiti essenziali.
Infine, concludono i ricorrenti, il D.F. non veniva nemmeno retribuito.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione alla valutazione che la sentenza impugnata dà in relazione al comportamento del lavoratore come causa sufficiente a determinare l'evento.
I ricorrenti ricostruiscono i fatti, evidenziando l'inesattezza della affermazione contenuta in sentenza relativa all'assenza dello Sp. nel momento dell'incidente, mentre questi era il compagno di lavoro del P.M. e fu colui che lo soccorse.
I ricorrenti evidenziano che non corrisponderebbe al vero il fatto che il D.F. dichiarasse che il P.M. era stato incaricato di rimuovere le tavole.
Ancora, lo Sp. in sede di S.I.T. acquisiste agli atti dichiarava che il P.M. prendeva le istruzioni dal M. e non dal D.F..
A fronte di queste chiare deposizioni la sentenza impugnata preferiva la ricostruzione offerta dalla p.o., nonostante la stessa parte dichiarasse di soffrire di amnesie dal momento dell'incidente. Infine, anche la documentazione fotografica richiamata nulla accerterebbe sull'importante circostanza se il P.M. si fosse avventurato sul solaio per disarmarlo o con un gesto imprevedibile per reperire una tavola necessaria all'allestimento del ponteggio.
Chiedono, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguente provvedimento.
3. In data 19.2.2017, a fronte della comunicazione dell'udienza camerale dinanzi alla VII Sezione Penale di questa Corte, il difensore ricorrente si opponeva alla declaratoria di inammissibilità, chiedendo che la VII Sezione Penale rinviasse la trattazione a questa Quarta Sezione penale, il che avveniva con ordinanza resa all'udienza camerale dell'8/3/2017.
 

 

Diritto

 


1. I denunciati vizi motivazionali in punto di responsabilità appaiono fondati e, pertanto, essendo decorso il termine massimo di prescrizione del reato in contestazione, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio quanto agli effetti penali, mentre, stante la presenza in giudizio delle parti civili, deve disporsi il rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello perché rivaluti la sussistenza di profili di responsabilità civile.
Pur in presenza di numerosi rinvìi su istanza delle difese, che hanno portato ad un periodo complessivo di anni 1, mesi 10 e giorni 23 di sospensione della prescrizione, all'8/7/2016 risulta infatti decorso per il reato in imputazione il termine prescrizionale massimo di cinque anni (trattasi dei rinvìi in primo grado del 6/11/2009 per impedimento degli imputati per motivi di salute, del 29/1/2010 per l'astensione degli avvocati, del 13/10/2010 per impedimento del difensore per concomitante impegno professionale, del 21/1/2011 per impedimento dell'imputato; in secondo grado del 29/5/2012 e del 18/7/2012 per astensione degli avvocati, del 5/10/2012 e del 30/1/2013 per impedimento del difensore, del 15/5/2013, del 20/2/2014 e del 3/4/2014 del 18/7/2012 per astensione degli avvocati; ininfluente, invece, è il rinvio del 25/5/2017 dinanzi a questa Corte per una nuova astensione degli avvocati, essendo a quella data il termine massimo di prescrizione già decorso).
Alla luce delle pronunzie di merito nemmeno si configura, infatti, l'evidenza della prova che consentirebbe l'adozione di una decisione liberatoria nel merito ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen.
2. Va ricordato che secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, allorquando c'è parte civile, la previsione di cui all'art. 578 cod. proc. pen., per la quale il giudice di appello o quello di legittimità, che dichiarino l'estinzione per amnistia o prescrizione del reato per cui sia intervenuta in primo o in secondo grado condanna, sono tenuti a decidere sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi di sentenza che concernono gli interessi civili, comporta come conseguenza che i motivi d'impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi dare conferma alla condanna al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129, comma 2 cod. proc. pen.: con la conseguenza che, laddove la sentenza d'appello non compia un esaustivo apprezzamento sulla responsabilità dell'imputato, s'impone un suo annullamento con rinvio limitatamente alla conferma delle statuizioni civili al giudice civile competente per valore in grado di appello (cfr. ex multis Sez. 5, n. 594 del 16/11/2011 dep. il 2012, Perrone, Rv. 252665). E, ancora di recente, è stato condivisibilmente ribadito che il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell'imputato comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza stessa e, ove questa contenga anche la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, l'annullamento delle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (così questa Sez. 4, n. 29627 del 21/4/2016, Silva ed altri, Rv. 267844).
Orbene, chiarito che l'intervenuta prescrizione non esime questa Corte da una valutazione completa dei motivi che le sono stati proposti, va evidenziato che appare fondata la doglianza secondo cui la Corte territoriale avrebbe dedicato gran parte della propria sintetica motivazione a confutare il motivo di gravame circa l'assunta imprevedibilità ed abnormità del comportamento del lavoratore, mentre avrebbe trascurato di fornire un'adeguata risposta agli altri motivi di appello e, in particolare, a quello imperniato sulla validità delle deleghe in materia di sicurezza, rilasciate al D.F. e al P.S. il medesimo giorno dell'infortunio.
Ciò, ad una lettura comparata dei motivi del proposto gravame del merito e della sentenza oggi impugnata, è vero. Ed è altrettanto vero che nemmeno si offre una motivazione congrua in relazione alla doglianza con cui era stato fatto notare che i due odierni ricorrenti, in un cantiere operante dal 2005, erano stati assunti solo il 29.1.2007 (diciassette giorni prima dell'incidente) e che gli infortunati erano alle dipendenze di altra ditta.
A fronte di tali motivi di gravame la Corte territoriale si è limitata a rispondere che: "Sussiste in realtà indiscutibilmente la responsabilità degli imputati, sia del P.S., che, pacificamente era capocantiere e responsabile per la sicurezza della società F.Ili C., sia del D.F., che altrettanto pacificamente era caposquadra della medesima società, responsabile per la sicurezza per i lavoratori. Le loro qualifiche risultano documentalmente dimostrate, come è incontestato, e non vi è ragione di ritenere che i compiti ricoperti dai medesimi non corrispondessero alla reale situazione di fatto in cui si svolgeva l'attività lavorativa nel cantiere. Sia il P.M. che lo Sp. sono stati precisi al riguardo e hanno specificato che era il D.F. che dava disposizioni agli operai".
3. Il giudice del rinvio, in sede civile, sarà tenuto a colmare tali carenze motivazionali, tenendo presente che le regola di giudizio che sarà tenuto ad applicare saranno quelle del diritto penale e non quelle del diritto civile, essendo in questione, ai sensi dell'art. 185 cod. pen., il danno da reato e non mutando la natura risarcitoria della domanda proposta, ai sensi dell'art. 74 cod. proc. pen., innanzi al giudice penale (cfr. ex multis, Sez. 4, n. 27045 del 4/2/2016, Di Flaviano, Rv. 267730; Sez. 4, n. 11193 del 10/2/2015, Cortesi ed altri, Rv. 262708.
 

 

P.Q.M.

 


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto alle statuizioni penali perché il reato è estinto per prescrizione.
Annulla la stessa sentenza in ordine alle statuizioni civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma il 4 ottobre 2017