Cassazione Penale, Sez. 4, 31 ottobre 2017, n. 50023 - Caduta di due Rocproc e di una putrella durante l'operazione di costruzione di un'armatura metallica in un tratto di galleria. Responsabilità del direttore della miniera


 

"In tema di prevenzione degli infortuni, il "sorvegliante di cava", la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione, sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Sez. 4, n. 24764 del 17/4/2013, Bondielli, Rv. 255400 in un caso in cui è stata ritenuta la responsabilità di un "sorvegliante di cava" per aver consentito ad un dipendente inesperto di movimentare blocchi di marmo, la cui caduta provocava a quest'ultimo lo schiacciamento e la successiva amputazione di una gamba).
Sin da epoca risalente questa Corte di legittimità aveva inoltre precisato che, ai sensi dell'art. 6 ultimo comma del DPR 9 aprile 1959 n 128, l'imprenditore-datore di lavoro è destinatario dei precetti relativi alle misure di sicurezza e di prevenzione degli infortuni nelle miniere o cave solo quando, essendo in possesso dei prescritti requisiti, abbia assunto personalmente la direzione dei lavori. Al di fuori di questo caso, della inosservanza delle stesse norme rispondono penalmente i direttori, i capi servizio, i sorveglianti, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze."


Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO Relatore: PEZZELLA VINCENZO Data Udienza: 04/10/2017

 

Fatto

 

1. La Corte di Appello di Torino, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente M.M., con sentenza del 14.1.2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, emessa in data 1.4.2014, rideterminava la pena inflitta in € 200,00 di multa ed eliminava il beneficio della sospensione condizionale della pena, confermando nel resto.
Il Tribunale di Torino, all'esito di giudizio ordinario, aveva assolto il coimputato D.J.P. perché il fatto non costituisce reato, mentre aveva dichiarato M.M. responsabile del reato di cui agli articoli 113, 590, commi 2 e 3, C.P., perché, nelle rispettive qualità, il D.J.P., di datore di lavoro della LUZENAC s.p.a. e il M.M., di direttore della miniera "NUOVE FONTANE" della stessa LUZENAC s.p.a, per colpa, generica e specifica, segnatamente per negligenza e per violazione della disciplina di settore (quanto al D.J.P., degli artt. 9, 17, 26, 36 e 37 D.L.vo 81/08, 9, 10, 14, 22 D.L.vo 624/96, 7, 148, 152, 167 D.P.R. 128/59 e, quanto al M.M., degli artt. 20 d.l.vo 624/96, 148, 152 e 167 D.P.R. 128/59) in particolare, per l'effetto, mentre i lavoratori B. e T. effettuavano un'operazione di costruzione di un'armatura metallica in un tratto di galleria, tramite installazione di dispositivo Rocprop e quindi delle putrelle (in assenza di tavolame sulle pareti), in conseguenza proprio dell'effettuazione di tali operazioni non a regola d'arte e della carenza di adeguate procedure ed informazioni nonché di controllo in modo tale da garantire la totale sicurezza dell'attività in prossimità dell'armatura di sostegno, nonché della presenza di una manopola della pompa non idonea, si verificava che, mentre il lavoratore B. saliva sulla piattaforma per effettuare l'installazione delle putrelle e il T. era a terra per stabilizzare i Rocproc, portati a contatto putrella e Rocproc sinistro, la putrella si destabilizzava senza che il T. riuscisse a chiudere il rubinetto dell'aria compressa, con successiva caduta dei due Rocproc (uno dei quali investiva il B.) e della putrella (che colpiva il T.), cagionando così al B. la frattura della tibia destra, con una conseguente malattia giudicata guaribile in gg. 90 ed al T. la frattura della clavicola destra con una conseguente malattia giudicata guaribile in giorni trenta. Con l'aggravante di essere la lesione patita dal B. grave, in quanto comportante una malattia superiore ai quaranta giorni. Fatto commesso in Perrero il 14.12.2010.
Il M.M. veniva condannato in primo grado, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. con riferimento alle lesioni cagionate a B. Piergiorgio e riconosciute dette attenuanti prevalenti sulle contestate aggravanti, alla pena di giorni 20 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna. La pena, come visto, veniva poi ridotta in appello. 
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, M.M., deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, ex art. 606, comma I, lett. b) cod. proc. pen. per, con riferimento agli artt. 113, 590, commi 1 e 2, cod. pen., 6 e 7 D.P.R. 128/1959, 6, 9, 20 e 32 d.lgs. 624/1996, 174 71 d.lgs. 81/2008, in relazione alla sussistenza di una posizione dì garanzia del medesimo con riferimento alla valutazione del rischio di caduta dei puntelli idraulici nel DSSC, con sua trasposizione nelle istruzioni operative.
Il ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe operato un'erronea commistione tra le funzioni del datore di lavoro e quelle del direttore della miniera. Ciò in quanto il compito di valutazione dei rischi appartiene al datore di lavoro e non sarebbe delegabile, ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. a) d.lgs. 81/2008, non derogabile dalla specifica normativa in materia mineraria. Sempre sul datore di lavoro incombe, ai sensi dell'art. 71 d.lgs. 81/2008, l'obbligo di fornire ai lavoratori attrezzature idonee e conformi.
Il d.lgs. 624/1996, in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nelle industrie estrattive -si ricorda in ricorso- prevede che la predisposizione del DSS spetti al datore di lavoro e nel caso di lavori svolti da appaltatori e lavoratori autonomi lo stesso deve redigere un DSS coordinato, mentre l'ispezione, la manutenzione e la prova delle attrezzature deve essere affidata a personale competente sempre su incarico del datore di lavoro, secondo l'art. 32 d.lgs. 624/1996.
Il direttore responsabile ha, invece, solo specifici compiti operativi, senza funzioni di carattere generale, occupandosi di osservare e far osservare le disposizioni normative e regolamentari in materia di tutela e salute dei lavoratori nella miniera (art. 20, comma 1 d.lgs. 624/1996).
Pertanto, non può, secondo il ricorrente, imputarsi al direttore la mancata valutazione del rischio di caduta dei puntelli idraulici, con mancata previsione dell'obbligo di ancoraggio degli stessi alle pareti delle gallerie, tanto più che, nel caso di specie era stato designato un autonomo Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP), figura con compiti di carattere generale di monitoraggio della sicurezza per la riduzione dei rischi.
Il ricorrente ribadisce quanto già evidenziato nei motivi di appello, che l'art. 6 D.P.R. 128/1959 non può superare l'art. 17 d.lgs. 81/2008.
La sentenza impugnata avrebbe erroneamente interpretato l'art. 6, sopra richiamato, come norma limitatrice o addirittura derogatoria delle disposizioni ge-nerali sugli obblighi del datore di lavoro, attribuendo al direttore responsabile compiti spettanti al datore di lavoro sia secondo la disciplina generale che secondo la normativa speciale prevista per l'industria estrattiva.
b. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 9 D.P.R. 128/1959 e 20 d.lgs. 81/2008, in relazione agli artt. 113, 590, commi 2 e 3, cod. pen., nonché vizio di motivazione, ex art. 606, comma I, lett. b) ed e) cod. proc. pen. per avere la sentenza della Corte d'Appello affermato la penale responsabilità del ricorrente in relazione al malfunzionamento della valvola di erogazione del puntello idraulico, dalla medesima riconosciuto come concausa dell'incidente, nonostante il dubbio espresso in merito alle cause del malfunzionamento e senza tener conto dell'obbligo giuridico gravante sui lavoratori di non manomettere l'attrezzatura in uso.
Il ricorrente rileva che la sentenza impugnata avrebbe affermato che il mal-funzionamento della valvola abbia costituito una concausa delle lesioni, mentre dall'esame testimoniale del B. sarebbe emerso il dubbio sull'effettiva rilevanza causale del malfunzionamento della pompa nella caduta del Rocpop.
Ancora, la sentenza impugnata pur ritenendo incerta la causa del malfunzio-namento del rubinetto di alimentazione del puntello idraulico, ritenuto fattore determinante, unitamente al mancato ancoraggio dei puntelli, dell'incidente, attribuisce la responsabilità colposa al ricorrente, compiendo un arbitrario salto logico. Prima afferma la mancanza di chiarezza sulla causa del malfunzionamento del rubinetto esprimendo il dubbio che l'attrezzatura non fosse usurata ma fosse stata manomessa dagli operai, poi, contraddittoriamente, ritiene la responsabilità del direttore della miniera per non aver regolato l'attività di manutenzione periodica dell'attrezzatura.
Ulteriore profilo di illogicità del provvedimento impugnato risiederebbe, secondo il ricorrente, nell'apodittica affermazione che vi sarebbe stata una sorta di prassi aziendale della possibilità per i lavoratori di manomettere l'attrezzatura in uso, in palese contrasto con le affermazioni del teste T. che dava atto dell'esistenza di un'officina meccanica in grado di intervenire tempestivamente per problemi con l'uso di qualsiasi attrezzatura.
Il ricorrente rileva, poi, la violazione dell'art. 20 d.lgs. 81/2008 e dell'art.9 DPR 128/1959, che prevedono il divieto per i lavoratori di modificare o rimuovere i dispositivi di sicurezza e di compiere operazioni che possano compromettere la sicurezza, perché la sentenza pur ritenendo probabile che qualche minatore avesse apportato modifiche al rubinetto della pompa avrebbe omesso di trarne le logiche conseguenze.
c. Violazione dell'art. 7 D.P.R. 128/1959 e dell'art. 2, lett.. c), d.lgs. 624/1996, e per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, ex art. 606, comma I, lett b) ed e) cod. proc. pen. per, nella parte in cui la sentenza impugnata, trascurando l'esame della posizione del sorvegliante, ha affermato che i lavoratori non erano formati e informati in merito alle procedure da seguire in relazione all'installazione delle armature di sostegno delle gallerie, ricollegando tale carenza alle lesioni riportate e facendone derivare l'affermazione di penale responsabilità del ricorrente.
La corte di appello, trascurando le specifiche censure dei motivi di appello, avrebbe omesso, ad avviso del ricorrente, ogni valutazione sulla figura e sulla responsabilità del sorvegliante, che nella gerarchia aziendale, in conformità a quanto disposto dalle norme sopra richiamate, è il soggetto addetto alla sorveglianza dei cantieri e all'assistenza dei minatori, tenuto a fornire specifiche indicazioni ai lavoratori sulle modalità di ancoraggio dei puntelli e sul controllo dell'attrezzatura. Invece la sentenza evidenzierebbe le omissioni del sorvegliante senza valutarne la responsabilità.
Sempre contraddittoriamente, la corte di appello da un lato riconosce che i minatori sapevano di dover ancorare i Rocpop alle pareti, ma poi nega questa circostanza, in evidente contrasto con le dichiarazioni testimoniali della p.o. T. il quale ammetteva di conoscere la necessità di ancoraggio dei puntelli alle pareti.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con le consequenziali provvidenze di legge.
 

Diritto

1. I motivi sopra illustrati sono tutti infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. La sentenza impugnata, con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto - e pertanto immune dalle denunciate censure di legittimità - ha adeguatamente risposto a tutte le doglianze mosse in appello e oggi, in gran parte, riproposte tout court.
Centrale, ai fini dell'odierno decidere, è la considerazione che, nel settore minerario si applica la generale disciplina antinfortunistica, ma la stessa è accompagnata dalle norme specifiche, tuttora vigenti, previste dal DPR 128/1959 che prevede un rafforzamento degli obblighi e dei poteri del direttore della miniera.
Ancora di recente questa Corte di legittimità ha precisato che, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle cave e nelle miniere, esiste un rapporto di integrazione, e non di esclusione, tra le specifiche norme antinfortunistiche contenute nel D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, e la disciplina generale contenuta nel D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, atteso che la peculiarità del lavoro svolto nelle cave e nelle miniere, che giustifica la previsione di specifiche norme antinfortunistiche relative alle modalità di svolgimento di quel particolare lavoro, non esclude l'applicazione della più generale disciplina antinfortunistica (Sez. 4, n. 16620 del 24/03/2016, Depetris, Rv. 266642, fattispecie in cui la Corte, ritenendo immune da vizi la sentenza di condanna dell'imputato per omicidio colposo, ha affermato che il rispetto della disciplina speciale relativa alle operazioni di cd. disgaggio della parete di una cava, secondo quanto previsto dall'art. 129, d.P.R. 128 del 1959, non elimina l'obbligo di adottare le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori previsto dall'art. 4, comma quinto, d. lgs. 626 del 1994).
Si era già in precedenza affermato che, in tema di prevenzione degli infortuni, il "sorvegliante di cava", la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione, sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (Sez. 4, n. 24764 del 17/4/2013, Bondielli, Rv. 255400 in un caso in cui è stata ritenuta la responsabilità di un "sorvegliante di cava" per aver consentito ad un dipendente inesperto di movimentare blocchi di marmo, la cui caduta provocava a quest'ultimo lo schiacciamento e la successiva amputazione di una gamba).
Sin da epoca risalente questa Corte di legittimità aveva inoltre precisato che, ai sensi dell'art. 6 ultimo comma del DPR 9 aprile 1959 n 128, l'imprenditore-datore di lavoro è destinatario dei precetti relativi alle misure di sicurezza e di prevenzione degli infortuni nelle miniere o cave solo quando, essendo in possesso dei prescritti requisiti, abbia assunto personalmente la direzione dei lavori. Al di fuori di questo caso, della inosservanza delle stesse norme rispondono penalmente i direttori, i capi servizio, i sorveglianti, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze. E che a una diversa conclusione non può indurre il richiamo, contenuto nell'art. 2 del citato decreto, alle norme emanate per la prevenzione degli infortuni in esecuzione della legge 12 febbraio 1955 n 51 poiché tale richiamo concerne il campo di applicazione delle misure di prevenzione, considerato sotto il profilo oggettivo, e non già la determinazione dei destinatari dei relativi precetti (Sez. 3, n. 3194 del 06/12/1961 dep. il 1962, Bernardini, Rv. 098781). 
Peraltro, in ambito più generale, costituisce ius receptum di questa Corte di legittimità l'affermazione che, in tema di prevenzione degli infortuni, il capo cantiere, la cui posizione è assimilabile a quella del preposto, assume la qualità di garante dell'obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro, in quanto sovraintende alle attività, impartisce istruzioni, dirige gli operai, attua le direttive ricevute e ne controlla l'esecuzione sicché egli risponde delle lesioni occorse ai dipendenti (così Sez. 4, n. 9491 del 10/1/2013, Ridenti, Rv. 254403 relativamente ad una fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità del capo-cantiere in ordine al reato di omicidio colposo per non aver impedito l'uso di un escavatore ribaltatosi per l'elevata pendenza dei luoghi).
3. Punto nodale del decisum dei giudici del merito, nella doppia conforme pronuncia di responsabilità dell'odierno ricorrente, è che il rischio di malfunzionamento delle pompe idrauliche non solo non era stato cautelato, ma neanche governato in concreto.
Elemento chiave del decidere non è la competenza ad inserire tale rischio nel documento di valutazione della sicurezza, ma il fatto che, anche qualora non lo fosse stato, ciò non esonerava in concreto il direttore della miniera dal governare la situazione rischiosa.
Con motivazione logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto, la Corte torinese ha confutato tutti i motivi di gravame che le erano stati proposti in punto di responsabilità, che vengono oggi riproposti, in gran parte, tout court, senza confrontarsi in concreto con quelle argomentazioni.
I giudici del gravame del merito ricordano come la ricostruzione della dinamica dell'infortunio e l'individuazione delle relative cause si incentrano sulle caratteristiche strutturali e funzionali del dispositivo rocprop, quello che i due lavoratori infortunati (T., B.) stavano utilizzando al momento dell'incidente.
Viene evidenziato come, secondo l'efficace descrizione del CT C. (di cui viene richiamata pag. 12 della relazione) si tratta di "un puntello a frizione e ad installazione idraulica che contrasta i cedimenti e i carichi verticali della galleria e, dal momento che reagisce a tale tipo di sollecitazioni, il rocprop deve essere posizionato con l'asse del puntello ortogonale alla calotta del tunnel di scavo. Una volta in posizione, il rocprop viene messo in pressione e si estende per un'altezza pari a quella della galleria".
Nel caso di specie - si legge ancora nella sentenza impugnata- i due lavoratori stavano utilizzando due rocprop, meramente adagiati alle pareti della galleria, per comprimere, mediante l'estensione in altezza dei suddetti dispositivi con insuffiaggio di acqua ed aria, contro la volta della galleria una putrella orizzontale pesante alcuni quintali (che avrebbe dovuto posizionarsi in perfetta adiacenza alla superficie soprastante ed in modo ortogonale rispetto all'asse della galleria).
Ebbene, già il giudice di primo grado aveva ricondotto le cause dell'Infortunio, in primo luogo, ad un malfunzionamento del rubinetto dell'aria compressa del dispositivo, in secondo luogo, al mancato ancoraggio del rocprop alle pareti laterali della galleria. E la sentenza impugnata rileva che il primo fattore causale era stato infondatamente contestato dalla difesa atteso che: 1. era stato lo stesso M.M. nella comunicazione di infortunio ex art. 25 comma 3 D.lgs 624/96 inviata in data 23/12/10 all'organo di vigilanza (Regione Piemonte - Direzione Industria - Settore Pianificazione Attività Estrattiva) a riconoscere sia l'esistenza del difetto di funzionamento ("su indicazione di una delle due vittime le pompe per i rocprop sono state controllate ed è stato riscontrato un funzionamento non corretto della valvola dovuto alla sostituzione errata della manopola", p. 9), sia la rilevanza causale di questo malfunzionamento nella dinamica dell'incidente ("le manopole della pompa per rocprop non hanno funzionato correttamente consentendo all'acqua di passare ugualmente aumentando l'altezza del puntello in modo non controllato, fornendo una spinta diagonale verso l'alto e facendo ruotare la putrella attorno alla protuberanza sul soffitto del cantiere, p. 8)"; 2.T. Got (geometra, capo servizio della miniera all'epoca dei fatti, coordinatore dell'attività produttiva in sotterraneo - a detta del quale la piramide gerarchica in azienda vedeva al vertice il datore di lavoro D.J.P., quindi il direttore M.M., ad un livello inferiore il capo servizio, quindi i sorveglianti ed infine i minatori (ud. 12/12/13, p. 99) aveva riferito: "il rubinetto non era più quello originario della pompa, era leggermente modificato (..) perché la valvola a sfera non veniva chiusa. Perché poi abbiamo fatto delle prove e si vedeva che comunque (...) se tu chiudevi impiegava un po' a chiudersi definitivamente perché devi trovare la posizione corretta. Si chiudeva ma non come quello originale che quando chiudevi, ad un certo punto diventava duro e poi dopo il rubinetto aveva il fine corsa. Con questo qui dovevi tu cercare la posizione" (ud. 12/12/13, p. 113-114); 3. Anche il CT della difesa prof. P. aveva ritenuto verosimile il difetto di funzionamento ("T. non è riuscito a bloccare l'aria compressa perché lui dice che la valvola non ha funzionato, ed è verosimile che non abbia funzionato la valvola, altrimenti l'avrebbe chiusa rapidamente", p. 133); 4. Il minatore T. ha descritto con chiarezza la difficoltà di chiusura del rubinetto dovuta ad un'apparente erosione alla base della maniglia: "il tempo che io sono andato a chiudere la saracinesca praticamente mi è scappata di mano ( ... ) perché ha girato a vuoto (...) ha continuato a pompare ( ... ) non sono riuscito a chiudere ( ... ) quando poi mi si sono alzato sono andato a chiudere io e ho constatato che il rubinetto praticamente era un po' mangiato la base della maniglia ( ... ) l'ho chiuso perché praticamente ho pigiato in giù e sono riuscito a chiederlo (...) quando è in pressione forse sarà anche in più duro (...) evidentemente mi ha girato a vuoto" (p. 33 Ss.); 5. Secondo B. la disarticolazione dell'armatura rocprop-putrella è dipesa dall'impossibilità per T. di chiudere immediatamente l'erogazione dell'aria dalla pompa: "praticamente quando si è pompato che è andata su, e praticamente toccava già le assi io ho gridato al mio collega «chiudi tutto» (...) perché praticamente eravamo al limite. Avevamo contro le assi sopra 'e quindi era inutile più pompare. Perché era alla fine ( ... ) però la pompa non si è fermata (...) solo che è logico che pompando sempre e non chiudendo subito e tutto, è logico che la putrella, non essendo i puntelli fissati (...) a forza di pompare, si è inclinato (...) la spinta praticamente mi ha spostato, ho visto inclinarsi il puntello, qui io ho detto «T. chiudi, chiudi» che praticamente alla fine se lui chiudeva subito secondo me non succedeva tutto questo. Però è un'ipotesi mia ( ... ) il puntello si è inclinato e la putrella si è avvitata ( ... ) quando gli ho detto «chiudi chiudi» ho visto che non chiudeva niente che continuava a pompare ed è logico che il puntello si è inclinato solo un po' e poi è partito”.
A sua volta l'ing. B., investito del ruolo di RSSP in miniera (ing. B.) ha escluso che il rubinetto in questione venisse, prima dell'Infortunio, sottoposto a manutenzione periodica ed è emerso significativamente che solo dopo l'infortunio è stato istituito un servizio di controllo periodico (mensile) e manutenzione delle pompe dei rocprop.
4. Come si diceva in precedenza, tutto ruota intorno a tale malfunzionamento del rubinetto che è stato provato essere effettivamente esistente e noto ai più, pur non essendo chiaro se la causa dello stesso fosse da attribuirsi ad usura strutturale del pezzo (come ipotizzato da T.) ovvero ad una pregressa sostituzione non conforme all'originale (come prospettato da T. Got).
Logicamente rilevano i giudici del gravame del merito essere anche ragionevole che tale malfunzionamento, impedendo o comunque ritardando la chiusura dell'erogazione dell'aria compressa da parte di T. (a ciò sollecitato con impellenza da B.), abbia quantomeno favorito od aggravato il meccanismo di disarticolazione dell'armatura perché l'abnorme insufflaggio, facendo aumentare l'altezza del puntello, ha innescato una spinta diagonale incontrollata verso l'alto provocando l'inclinazione dei rocprop e la rotazione della putrella. Il tutto reso possibile dal mancato ancoraggio dei dispositivi alle pareti laterali che costituisce comunque la causa principale dell'incidente.
La Corte territoriale confuta argomentatamente anche la tesi difensiva secondo cui il malfunzionamento della pompa idraulica non sarebbe comunque imputabile al M.M., posto che tutti gli addetti alla Miniera Nuove Fontane (minatori e sorveglianti) avevano ricevuto una approfondita formazione in materia di sicurezza che li obbligava, in adempimento della procedura "Take Five - Pensa prima di agire", a verificare se le attrezzature messe loro a disposizione fossero efficienti e rispondenti alle esigenze di sicurezza.
Secondo la logica motivazione dei giudici di appello l'assunto non può essere condiviso, in quanto tale procedura, volta a responsabilizzare i lavoratori sui problemi di sicurezza, non può certo esonerare i titolari della posizione di garanzia all'interno dell'azienda dall'adempimento degli obblighi posti a loro carico dalla legge in materia di sicurezza sul lavoro: valutazione del rischio, organizzazione, vigilanza, formazione ed informazione dei dipendenti etc.
E' di tutta evidenza, in altri termini, secondo il condivisibile dictum della sentenza oggi impugnata, che le prassi comportamentali disciplinate dalla procedura «Take Five» non possono imporre al singolo lavoratore l'obbligo di farsi garante della propria sicurezza, per il semplice motivo che egli non ne ha la competenza professionale specifica e può essere condizionato (nel corretto adempimento delle procedure) da situazioni contingenti (stanchezza, distrazione, osservanza di tempi di lavoro etc.) che lo rendono chiaramente inidoneo a farsi carico di problematiche estremamente delicate perché inerenti la salvaguardia della propria incolumità e di quella dei colleghi.
Peraltro i giudici di merito hanno rilevato nelle loro pronunce che dalle deposizioni assunte è emerso che la procedura in questione era di fatto disattesa nella prassi, quanto meno con riguardo alla verifica della idoneità delle attrezzature, ed in particolare della pompa acqua-aria del rocprop, messe a disposizione della maestranze. In particolare, è risultato essere certo che né il T. né il B. vi avevano provveduto prima di procedere all'installazione dell'armatura il giorno dell'Infortunio, né alcuna istruzione in tal senso fosse stata loro impartita dal sorvegliante D. (presente all'inizio del lavoro e poi spostatosi in altra zona del cantiere). Del resto la sentenza oggi impugnata dà atto che non sono state acquisite schede di verifica della procedura «Take Five» sottoscritte dai lavoratori e/o dal sorvegliante (attestanti in particolare che in altre occasioni era stata effettuato il doveroso controllo preventivo della pompa) e che il capo servizio T. Got ha riferito che mai in precedenza erano state segnalate disfunzioni delle saracinesche della pompa, il che, considerato che nel caso di specie vi era stata, con tutta probabilità, la sostituzione di un componente usurato o danneggiato con altro non conforme o non idoneo, non può che significare che il controllo di manutenzione non era adeguatamente organizzato e disciplinato, ma veniva lasciato alle valutazioni improvvisate od occasionali del personale che evidentemente poteva assumere anche l'iniziativa di sostituire a sua discrezione (disattendendo specifiche prescrizioni normative, oltre che le previsioni della procedura «Take Five» destinata a rimanere di fatto «sulla carta») i componenti delle attrezzature.
5. I giudici del gravame del merito danno atto di condividere la doglianza difensiva secondo cui, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza di primo grado, non era necessario che l'azienda stabilisse un espresso divieto di manomissione delle attrezzature da parte dei lavoratori, essendo tale divieto già sancito a livello normativo (art. 20 lett. f, g D.lgs 81/08).
Tuttavia la sentenza impugnata fa corretta applicazione della costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità laddove rileva che gravava indubbiamente sul responsabile della sicurezza in miniera l'obbligo di vigilare ed attivarsi affinché non venissero ad instaurarsi prassi lavorative contra legem, perché contrarie a basilari principi in materia di sicurezza sul lavoro (conferente, in tal senso, è il richiamo al dictum di questa Sez. 4, n. 13858 del 24/2/2015 n. 13858, Rota e altro, Rv. 263287 : "in tema di infortuni sul lavoro è configurabile la responsabilità del direttore di stabilimento per l'infortunio occorso al lavoratore in esecuzione di prassi lavorative pericolose non conformi alle regole della sicurezza venute in essere a causa di carenze organizzative di ordine generale ascrivibili al citato direttore").
Coerente con quanto sin qui ricordato, dunque, è la conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito secondo cui, con riguardo al controllo di efficienza e manutenzione della pompa, sussisteva, all'epoca del fatto, una situazione di carenza di adeguate procedure organizzative ed informative, finalizzate alla prevenzione del rischio di malfunzionamento della pompa, con la conseguenza di rimettere alla diligenza ed alla capacità di lavoratori e sorveglianti compiti di controllo e prevenzione facenti invece capo al responsabile della sicurezza in miniera.
E non pare esservi dubbio alcuno che tale figura dovesse necessariamente essere identificata nel direttore della miniera M.M. ai sensi degli artt. 6 e 7 DPR 128/59 ove si prevede che nel settore minerario è obbligatoria la nomina di "un direttore responsabile in possesso delle capacità e delle competenze necessarie all'esercizio di tale incarico sotto la cui responsabilità ricadono costantemente i luoghi di lavoro".
Peraltro, se ce ne fosse stato bisogno, la circostanza che sia stato proprio il M.M., con comunicazione del 23/12/2010, ad assumere, a seguito dell'infortunio, l'iniziativa di stabilire un vincolante obbligo di manutenzione periodica delle pompe dei rocprop dimostra vieppiù come di questi adempimenti procedurali ed organizzativi dovesse farsi carico l'odierno ricorrente. 
6. Con riguardo all'altro fattore determinante della causazione dell'infortunio, vale a dire il mancato ancoraggio dei rocprop alle pareti della galleria, i giudici del merito rilevano come vi sia unanimità di vedute tra accusa e difesa, non essendo contestato che la disarticolazione dell'armatura dipese proprio dalla scorretta posa in opera dei rocprop destinati a sorreggere la putrella. Ciò in quanto tali puntelli, per la loro intrinseca instabilità (specie nella fase dell'estensione in altezza mediante insufflaggio di acqua e aria compressa), come ricordato dal CT C., comportano la necessità che vengano "utilizzati alcuni sistemi ausiliari quali un ancoraggio al tavolame presente sulla parete laterale e/o un appoggio supplementare su apposito treppiede e/o un ancoraggio direttamente alla roccia".
Nel caso di specie i rocprop vennero dai due lavoratori semplicemente appoggiati alle pareti della galleria, senza ancoraggi atti a garantirne la stabilità, cosicché durante la fase di estensione in altezza ebbe a determinarsi il già descritto disallineamento che provocò la rotazione della putrella, con conseguente caduta della stessa nonché dei puntelli sui due operai addetti alla posa in opera dell'armatura.
Corretto appare, dunque, l'operato giudizio controfattuale dei giudici di merito: se l'ancoraggio fosse stato correttamente effettuato la disarticolazione della struttura non sarebbe avvenuta e l'infortunio non si sarebbe verificato.
Anche in relazione a tale circostanza la sentenza impugnata confuta con motivazione logica e congrua la tesi difensiva tendente a mettere in discussione la colpa dell'imputato in base all'assunto secondo cui i lavoratori sarebbero stati adeguatamente resi edotti (sia in sede di formazione aziendale sulla normativa di sicurezza, sia con istruzioni specifiche) della necessità di stabilizzare i rocprop prima di procedere alla elevazione della putrella, e se avessero avuti dubbi al riguardo avrebbero dovuto, in base alla procedura «Take Five», interpellare il sorvegliante D. sollecitando precise istruzioni in merito. In sostanza, per la difesa, non sarebbe stato esigibile dal direttore della miniera un comportamento diverso da quello asseritamente tenuto (formazione-istruzione) per valutare e prevenire il rischio di disarticolazione della struttura e di precipitazione di attrezzature pesanti sui lavoratori.
Tuttavia, come aveva già rilevato il giudice di prime cure, andava tenuto presente che nel DSSC (che nel settore minerario rappresenta il documento generale di valutazione dei rischi) vigente all'epoca dei fatti non vi era una previsione espressa dell’obbligo di ancoraggio dei rocprop alle pareti della galleria. Al capitolo 11.10 ("Stabilità dei fronti, armature di sostegno"), p. 119 era contenuta solamente una previsione generica secondo cui "tutte le tipologie di armatura utilizzate in sotterraneo sono contemplate dai documenti progettuali della miniera e la scelta e modalità d'uso sono compilo del personale tecnico di miniera e del personale addetto allo scavo opportunamente formato; tutti gli operatori miniera addetti alla coltivazione fanno altresì costante riferimento oltre che ai documenti progettuali ed alla formazione ricevuta, all'esperienza acquisita sul campo e riferita alle specifiche fasi di coltivazione e/o avanzamento in miniera" (v. estratto DSSC, all. 3 alla relazione sull' infortunio datata 28/09/12 ed inviata dalla Regione Piemonte alla Procura della Repubblica).
Rileva ancora la sentenza impugnata come, inoltre, l'istruzione operativa a firma del direttore della miniera (il capitolo 11.10 del DSCC inizia con queste parole: "le armature per il sostegno delle gallerie, dei cantieri e di ogni latro scavo, devono essere realizzate in conformità a specifiche istruzioni del direttore responsabile") dedicata alla "Installazione dei puntelli rocprop" aggiornata al 22/2/10 (IOP 56.00), e dunque vigente all'epoca del fatto (allegata alla relazione CTP P.-Rostagnotto), contenesse numerose direttive di comportamento per gli addetti alla installazione di tali dispositivi (necessità di presenza di due minatori, di allontanamento dal puntello durante la fase di pompaggio, di accurata ispezione delle superfici della roccia per individuare eventuali distacchi di materiale etc.), ma al di là dell'enunciazione di una generica esigenza di stabilità e di mantenimento della posizione verticale, non contemplasse una espressa prescrizione di ancoraggio alle pareti, fossero queste rivestite o meno di pannelli di legno stabilizzanti (l'armatura in legno dei cantieri in talco era disciplinata dalla JOP 54.00, all.ta alla cit. relazione Regione Piemonte). In particolare il disegno esplicativo delle varie fasi di installazione a p. 6 delle istruzioni operative ("Come installare un rocprop") nulla dice in ordine all'ancoraggio-fissaggio dei dispositivi alle pareti;
Logica appare la deduzione secondo cui che le istruzioni operative vigenti alla data dell'infortunio fossero carente sotto il profilo della valutazione-prevenzione del rischio di disallineamento dei rocprop si deduce univocamente dalla nuova versione delle stessa istruzioni introdotte dopo l'infortunio (il richiamo è all'aggiornamento 15/1/11, di cui all'allegato 1 alla CT C.) ove, oltre ad una minuziosa e puntuale descrizione di tutta la sequenza delle fasi di lavorazione, si enuncia espressamente l'obbligo di ancoraggio alle pareti della galleria con utilizzo di catene e di un treppiede atto a mantenere il rocprop in posizione verticale (p. 7). Del resto - viene ancora evidenziato dai giudici del gravame del merito - già nella citata relazione 23/12/2010 all'organo di vigilanza regionale il M.M. aveva indicato le «azioni correttive» dirette a supplire alle carenze previsionali e prescrizionali della precedente versione della IOP 56.00: "progettare e realizzare «cavallletto» per bloccare il rocprop durante l'installazione (...) aggiornare istruzione operativa IOP 56.00 dettagliando meglio la spiegazione della sequenza da seguire ed i rischi a cui si è esposti tenendo conto anche dei possibili rischi presente nei cantieri - creare nuova istruzione operativa sull'installazione dell'armatura in ferro composta da rocprop e putrella orizzontale valutando in maniera approfondita i rischi a cui il personale è esposto durante tale attività" .
La Corte territoriale evidenzia che i lavoratori T. e B. (soprattutto quest'ultimo che operava in miniera da 25 anni), grazie all'esperienza acquisita e ai consigli del sorvegliante D., avevano capito che prima di estendere i rocprop era necessario ancorarli alle pareti, ed a questa prassi lavorativa essi si erano attenuti, quando le pareti erano rivestire di pannelli di legno. Non avevano, invece, assimilato il concetto di stabilizzazione nella maniera corretta con riferimento alla situazione presente in miniera il giorno dell'infortunio allorquando non esisteva rivestimento in legno della pareti perché non sussisteva pericolo di instabilità della roccia. In questo caso (come riferito da T. Got e dal CT P.) sarebbe stato necessario mettere in opera i pannelli in legno ed agganciare (con catena o fu di ferro) al tavolato i puntelli, ovvero assicurare questi ultimi direttamente alla roccia tramite chiodi o bulloni. Il sorvegliante invece si era limitato a raccomandare ai due minatori di procedere come d'abitudine e di fare attenzione, senza ordinare loro di predisporre il tavolato e di agganciare i rocprop alle pareti.
In sostanza la conclusione cui sono pervenuti i giudici del merito è che i due infortunati, per carenza di formazione ed istruzioni operative sul campo, non avevano acquisito la nozione precisa di come procedere nell'installazione dei rocprop in assenza del tavolato di legno alle pareti, e si erano limitati ad appoggiarli (in modo precario ed instabile) a queste ultime. Peraltro il RSSP B. aveva riconosciuto che nei corsi di formazione in materia di sicurezza, cui avevano partecipato anche T. e B., non si era mai affrontata la problematica specifica dell'ancoraggio dei puntelli alla nuda roccia anche perché lo stesso RSSP non aveva mai avuto notizia del fatto che tale situazione si fosse presentata in concreto, fermo restando che in base alla procedura «Take Five» i lavoratori avrebbero dovuto rendersi conto della rischiosità di una tale evenienza ed attivarsi di conseguenza, quanto meno sollecitando l'intervento del sorvegliante.
Richiamando quanto già sopra esposto in merito alla ritenuta inidoneità della procedura «Take Five» a costituire un valido sistema (inopportunamente ed indebitamente fondato sull'intelligenza, sulla capacità e sulla iniziativa dei singoli lavoratori) di valutazione e prevenzione dei rischi in materia di sicurezza sul lavoro la Corte territoriale ha ritenuto dunque, con motivazione logica e congrua, piena-mente condivisibile la valutazione conclusiva del primo giudice secondo cui questo secondo e prevalente fattore causale dell'infortunio, e cioè il mancato ancoraggio dei rocprop, fosse imputabile non già ad una condotta colposa dei lavoratori infortunati, responsabili di non aver osservato prescrizioni aziendali in materia di sicurezza effettivamente esistenti e che loro conoscevano od avrebbero dovuto conoscere, bensì al fatto che le istruzioni precauzionali dirette ad evitare infortuni del tipo di quello oggetto del presente procedimento, erano largamente carenti ed inadeguate (viene richiamato il confronto tra la versione della IOP 56.00 ante infortunio e la versione post infortunio) per un difetto di informazione/formazione ascrivibile all'azienda.
7. Per completezza, va evidenziato che la Corte territoriale ha argomentatamente disatteso anche l'ultima doglianza difensiva in punto responsabilità, oggi riproposta tout court, secondo cui non sarebbe ascrivibile al M.M. l'addebito di omessa valutazione del rischio nella procedura lavorativa in oggetto.
Condivisibile, sul punto, è l'affermazione che, anche ad ammettere che l'art. 17 lett. a) D.lgs 81/08, in punto non delegabilità da parte del datore di lavoro dell'obbligo di valutazione del rischio, non possa essere derogato dalla disciplina speciale concernente il settore minerario (art. 6 DPR 128/59), resta il fatto che nella specie ciò che si contesta più specificamente al M.M., nella sua veste di direttore della miniera, è di non aver approntato, con riguardo alle operazione di posa in opera dei rocprop in gallerie sprovviste di tavolato alle pareti, appropriate e dettagliate istruzioni operative (quell'aggiornamento della IOP 56.00 che c'è stato solo dopo l'infortunio) volte a prescrivere la necessità di ancoraggio, anche in tale situazione, dei puntelli alle pareti laterali.
Indipendentemente, dunque, dall'individuazione di chi avesse dovuto cautelare il rischio, lo stesso, come si diceva in precedenza, non era stato governato in concreto. E tale compito è espressamente assegnato al direttore della miniera non solo dall'art. 6 comma 1 DPR cit. (secondo cui i luoghi di lavoro ricadono costantemente sotto la responsabilità di tale figura apicale aziendale), ma anche dallo stesso documento di valutazione del rischio della Luzenac spa il cui art. 11.01 stabilisce espressamente che "le armature per il sostegno delle gallerie, dei cantieri e di ogni altro scavo, devono essere realizzate in conformità a specifiche istruzioni del direttore responsabile". Come pure è pacifico - rilevano correttamente i giudici di appello- che compete al direttore responsabile l'organizzazione e la programmazione della formazione dei lavoratori in merito alle tematiche della sicurezza in cantiere. La riprova della fondatezza di siffatte attribuzioni di competenze e responsabilità si ricava dal fatto che la sopra esaminata IOP 56.00 - versione ante sinistro e versione post sinistro - proprio da M.M. risulta essere stata approvata e resa operativa (testo redatto dal RSSP B.), come pure è lo stesso odierno ricorrente ad impegnarsi personalmente (evidentemente perché si ritiene investito della relativa responsabilità) nella relazione 23/12/2010 inviata all'organo di vigilanza mineraria regionale ad alcune «azioni correttive» delle carenze organizzative e procedurali evidenziate dalla verificazione dell'incidente. E tra queste azioni correttive vi sono, in particolare, quelle dirette all'aggiornamento della IOP 56.00 con l'inserimento della previsione dell'uso del «cavalletto» (diventato «treppiede» nel testo della istruzione) nell'operazione di installazione dell'armatura con rocprop e putrella, e quelle finalizzate all'aggiornamento-integrazione della formazione dei minatori su tali aspetti dell'attività lavorativa implicante il rischio di verificazione di incidenti della stessa tipologia di quello di cui sono stati vittime B. e T..
8. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.
 

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 4 ottobre 2017