SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)
19 ottobre 2017 (*)
 

 

«Rinvio pregiudiziale - Direttiva 92/85/CEE - Articolo 4, paragrafo 1 - Protezione della sicurezza e
della salute dei lavoratori - Lavoratrice in periodo di allattamento - Valutazione dei rischi associati
al posto di lavoro - Contestazione da parte della lavoratrice interessata - Direttiva 2006/54/CE -
Articolo 19 - Parità di trattamento - Discriminazione basata sul sesso - Onere della prova»

 

 

Fonte: Sito web Eur-Lex

 

© Unione europea, http://eur-lex.europa.eu/


 

Testo provvisorio

 

Nella causa C-531/15,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna), con decisione del 17 luglio 2015, pervenuta in cancelleria l’8 ottobre 2015, nel procedimento
E.O.R.
contro
Servicio Galego de Saude,
Instituto Nacional de la Seguridad Social,

 


LA CORTE (Quinta Sezione),
composta da J. L. da Cruz Vila9a, presidente di sezione, A. Tizzano, vicepresidente, A. Borg Barthet, M. Berger e F. Biltgen (relatore), giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 19 ottobre 2016, considerate le osservazioni presentate:
- per E.O.R., da F. Lopez Lopez, abogado;
- per il Servicio Galego de Saude, da S. Carballo Marcote, letrada;
- per l’Instituto Nacional de la Seguridad Social, da A. Lozano Mostazo e P. Garcia Perea, letradas;
- per il governo spagnolo, da A. Gavela Llopis e V. Ester Casas, in qualità di agenti;
- per la Commissione europea, da J. Guillem Carrau, C. Valero, A. Szmytkowska e I. Galindo Martin, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 aprile 2017, ha pronunciato la seguente
 

 

Sentenza

 


1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 19 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006, L 204, pag. 23), nonché dell’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (GU 1992, L 348, pag. 1).
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la sig.ra E.O.R. e, dall’altro, l’Instituto Nacional de la Seguridad Social (INSS) (Istituto nazionale di Previdenza sociale, Spagna; in prosieguo: l’«INSS») e il Servicio Galego de Saude (servizio sanitario della Comunità autonoma della Galizia, Spagna), relativamente al diniego di rilascio di un certificato attestante che l’esecuzione da parte dell’interessata degli incarichi inerenti al suo posto di lavoro presentava un rischio per l’allattamento del figlio, al fine di ottenere la concessione di una prestazione economica per i rischi durante l’allattamento.

 


Contesto normativo
Diritto dell'Unione
La direttiva 92/85

3 I considerando 1, da 8 a 11 e 14 della direttiva 92/85 enunciano quanto segue:
«considerando che l’articolo 118 A del trattato [CE] prevede che il Consiglio adotti mediante direttive prescrizioni minime per promuovere il miglioramento in particolare dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori;
(...)
considerando che le lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento devono essere considerate sotto molti punti di vista come un gruppo esposto a rischi specifici e che devono essere adottati provvedimenti per quanto riguarda la protezione della loro sicurezza e salute;
considerando che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non deve svantaggiare le donne sul mercato del lavoro e non pregiudica le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra uomini e donne;
considerando che talune attività possono presentare un rischio specifico di esposizione delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento ad agenti, processi o condizioni di lavoro pericolosi e che pertanto questi rischi devono essere valutati ed il risultato di questa valutazione deve essere comunicato alle lavoratrici e/o ai loro rappresentanti;
considerando d’altronde che, qualora da detta valutazione risultasse un rischio per la sicurezza o la salute delle lavoratrici, occorre prevedere un dispositivo per la loro protezione;
(...)
considerando che la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rende
necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto;
(...)».
4 L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 92/85 così dispone:
«1. La presente direttiva, che è la decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE [del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro (GU 1989, L 183, pag. 1)], ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
2. Le disposizioni della [direttiva 89/391], fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2, si applicano interamente al settore di cui al paragrafo 1 nel suo insieme, fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche contenute nella presente direttiva».
5 L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(...)
c) lavoratrice in periodo di allattamento, ogni lavoratrice in periodo di allattamento ai sensi delle legislazioni e/o prassi nazionali, che informi del suo stato il proprio datore di lavoro, conformemente a dette legislazioni e/o prassi».
6 L’articolo 3 di tale direttiva prevede quanto segue:
«1. La Commissione, in concertazione con gli Stati membri, e con l’assistenza del comitato consultivo per la sicurezza, l’igiene e la protezione della salute sul luogo di lavoro, elabora le linee direttrici concernenti la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici di cui all’articolo 2.
Le linee direttrici di cui al primo comma riguardano anche i movimenti e le posizioni di lavoro, la fatica mentale e fisica e gli altri disagi fisici e mentali connessi con l’attività svolta dalle lavoratrici di cui all’articolo 2.
2. Le linee direttrici di cui al paragrafo 1 sono intese a servire come base per la valutazione prevista all’articolo 4, paragrafo 1.
A tal fine, gli Stati membri portano tali linee direttrici a conoscenza dei datori di lavoro, delle lavoratrici e/o dei loro rappresentanti nel rispettivo Stato membro».
7 Le linee direttrici menzionate nell’articolo 3 della direttiva 92/85, nella versione pertinente ai fini della presente controversia, figurano nella comunicazione della Commissione, del 20 novembre 2000, sulle linee direttrici per la valutazione degli agenti chimici, fisici e biologici, nonché dei processi industriali ritenuti pericolosi per la sicurezza o la salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento [COM(2000) 466 definitivo/2; in prosieguo: le «linee direttrici»].
8 Per quanto concerne la valutazione dei rischi e l’informazione dei lavoratori su tale valutazione, l’articolo 4 della direttiva 92/85 dispone quanto segue:
Per tutte le attività che possono presentare un rischio particolare di esposizioni ad agenti, 
processi o condizioni di lavoro, di cui un elenco non esauriente figura nell’allegato I, la natura, il grado e la durata dell’esposizione, nell’impresa e/o nello stabilimento interessato, delle lavoratrici di cui all’articolo 2 dovranno essere valutati dal datore di lavoro, direttamente o per il tramite dei servizi di protezione e di prevenzione di cui all’articolo 7 della [direttiva 89/391], al fine di poter:
- valutare tutti i rischi per la sicurezza o la salute nonché tutte le ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento delle lavoratrici di cui all’articolo 2;
- definire le misure da adottare.
2. Fatto salvo l’articolo 10 della [direttiva 89/391], nell’impresa e/o nello stabilimento interessato le lavoratrici di cui all’articolo 2 e le lavoratrici che potrebbero trovarsi in una delle situazioni di cui all’articolo 2 e/o i loro rappresentanti sono informati dei risultati della valutazione prevista al paragrafo 1 e di tutte le misure da adottare per quanto riguarda la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro».
9 Riguardo alle conseguenze della valutazione dei rischi, l’articolo 5, paragrafi da 1 a 3, di tale direttiva stabilisce quanto segue:
«1. Fatto salvo l’articolo 6 della [direttiva 89/391], qualora i risultati della valutazione ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1 rivelino un rischio per la sicurezza o la salute di una lavoratrice di cui all’articolo 2, nonché ripercussioni sulla gravidanza o l’allattamento, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché l’esposizione di detta lavoratrice al rischio sia evitata modificando temporaneamente le sue condizioni di lavoro e/o il suo orario di lavoro.
2. Se la modifica delle condizioni di lavoro e/o dell’orario di lavoro non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché la lavoratrice in questione sia assegnata ad altre mansioni.
3. Se l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati, la lavoratrice in questione è dispensata dal lavoro durante tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».
10 L’articolo 12 di detta direttiva, intitolato «Difesa dei diritti», prevede quanto segue:
«Gli Stati membri introducono nel loro ordinamento giuridico interno le misure necessarie per consentire a qualsiasi lavoratrice che si ritenga lesa dalla mancata osservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva di difendere i propri diritti per via legale e/o, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali, mediante ricorso ad altre istanze competenti».
 

 

La direttiva 2006/54
11 L’articolo 1 della direttiva 2006/54, rubricato «Scopo», stabilisce quanto segue:
«Lo scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
A tal fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di trattamento per quanto riguarda:
a) l’accesso al lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;
b) le condizioni di lavoro, compresa la retribuzione;
c) i regimi professionali di sicurezza sociale.
Inoltre, la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate».
12 L’articolo 2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«1. Ai sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
a) “discriminazione diretta”: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga;
b) “discriminazione indiretta”: situazione nella quale una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell’altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari;
(...)
2. Ai fini della presente direttiva, la discriminazione comprende:
(...)
c) qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva [92/85]».
13 L’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva estende il divieto di discriminazione, tra l’altro, alle condizioni di lavoro e prevede quanto segue:
«E vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:
(...)
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto all’articolo 141 del trattato [CE];
(...)».
14 Per quanto concerne l’onere della prova e l’accesso alla giustizia in caso di discriminazione diretta o indiretta, l’articolo 19, paragrafi 1 e 4, della medesima direttiva dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.
(...)
4. I paragrafi 1, 2 e 3 si applicano anche:
a) alle situazioni contemplate dall’articolo 141 del trattato [CE] e, in caso di discriminazione fondata sul sesso, dalle direttive [92/85] e 96/34/CE [del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l’accordo quadro sul congedo parentale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1996, L 145, pag. 4)];
b) a qualsiasi procedimento civile o amministrativo riguardante il settore pubblico o privato che preveda mezzi di ricorso secondo il diritto nazionale in base alle disposizioni di cui alla lettera a), ad eccezione dei procedimenti non giurisdizionali di natura volontaria o previsti dal diritto nazionale.
(...)».
15 L’articolo 28 della direttiva 2006/54 dispone che quest’ultima non pregiudica le misure relative alla protezione della donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità e che la sua applicazione lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34 e della direttiva 92/85.
 

 

Quadro normativo spagnolo
16 La prestazione sociale connessa ai rischi durante il periodo di allattamento è stata integrata nell’ordinamento giuridico spagnolo dalla Ley Organica 3/2007 para la igualdad efectiva de mujeres y hombres (legge organica 3/2007 sull’effettiva uguaglianza tra donne e uomini), del 22 marzo 2007 (BOE n. 71, pag. 12611, del 23 marzo 2007; in prosieguo: la «legge 3/2007»).
17 L’obiettivo della legge 3/2007 consiste nel favorire l’integrazione delle donne nel mondo del lavoro, consentendo loro di conciliare la vita professionale con la vita privata e familiare.
18 La dodicesima disposizione aggiuntiva di tale legge ha comportato la modifica dell’articolo 26 della Ley 31/1995 de Prevención de Riesgos Laborales (legge 31/1995 in materia di prevenzione dei rischi professionali), dell’8 novembre 1995 (BOE n. 269, del 10 novembre 1995, pag. 32590; in prosieguo: la «legge 31/1995»), nel senso che è stata introdotta la tutela della lavoratrice e del neonato nelle situazioni di rischio che possono presentarsi durante il periodo di allattamento al seno, quando le condizioni di un posto di lavoro sono tali da incidere negativamente sulla salute della lavoratrice o del bambino.
19 L’articolo 26 della legge 31/1995 è formulato nei seguenti termini:
«1. La valutazione dei rischi [per la sicurezza o la salute dei lavoratori] di cui all’articolo 16 della presente legge dovrà includere la determinazione della natura, del grado e della durata dell’esposizione delle lavoratrici gestanti o puerpere ad agenti, procedure o condizioni di lavoro che possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice o del feto, in qualsiasi attività tale da presentare un rischio specifico. Qualora dalla valutazione in parola risultasse un rischio per la sicurezza e la salute o una possibile ripercussione sulle lavoratrici summenzionate, il datore di lavoro adotterà le misure necessarie per evitare l’esposizione al rischio di cui trattasi, adattando le condizioni e l’orario di lavoro della lavoratrice interessata.
Tali misure includeranno, ove necessario, la sospensione del lavoro notturno o del lavoro a turni.
2. Qualora l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro non fosse possibile, oppure, nonostante tale adattamento, le condizioni di un posto di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice in stato di gravidanza o del feto, e siffatto rischio sia certificato dai servizi medici dell’[INSS] o dalle mutue, a seconda dell’ente assicuratore con cui l’impresa abbia stipulato una polizza per la copertura dei rischi professionali, sulla base di una relazione del medico del Servicio Nacional de Salud (servizio sanitario nazionale, Spagna) che assiste la lavoratrice, quest’ultima verrà assegnata ad un posto di lavoro o a una mansione diversi, che sia compatibile con il suo stato. A tal fine, il datore di lavoro, dopo aver consultato i rappresentanti dei lavoratori, dovrà stabilire un elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischi.
L’assegnazione della lavoratrice ad altro posto di lavoro o mansione avviene in conformità alle norme e ai criteri applicabili alle ipotesi di mobilità funzionale e rimane valida fino al momento in cui lo stato di salute della lavoratrice consenta la reintegrazione di quest’ultima nel precedente posto di lavoro.
(...)
3. Se siffatta assegnazione a un altro posto di lavoro non fosse tecnicamente od oggettivamente possibile o non potesse essere ragionevolmente richiesta per motivi giustificati, può essere dichiarato il passaggio della lavoratrice alla situazione di sospensione del contratto di lavoro per rischio durante la gravidanza, contemplata dall’articolo 45, paragrafo 1, lettera d) [del Real Decreto Legislativo 1/1995, por el que se aprueba el texto refundido de la Ley del Estatuto de los Trabajadores (regio decreto legislativo 1/1995, recante approvazione del testo consolidato della legge sullo Statuto dei lavoratori), del 24 marzo 1995 (BOE n. 75, del 29 marzo 1995, pag. 9654)], durante il periodo che risulti necessario per la protezione della sua sicurezza e della sua salute e fintantoché persista l’impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro precedente o in altro posto compatibile con il suo stato.
4. Le disposizioni dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo si applicano parimenti nel corso del periodo di allattamento al seno, qualora le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice o su quella del figlio e tale situazione venga confermata dai servizi medici del[l’INSS] o delle mutue («Mutuas»), a seconda dell’ente assicuratore con cui l’impresa abbia stipulato una polizza per la copertura dei rischi professionali, sulla base di una relazione del medico del servizio sanitario nazionale che assiste la lavoratrice o il figlio. Sarà del pari possibile dichiarare il passaggio della lavoratrice alla situazione di sospensione del contratto di lavoro per rischio durante il periodo di allattamento al seno di figli fino ai nove mesi di età, di cui all’articolo 45, paragrafo 1, lettera d), del [regio decreto legislativo 1/1995], se sussistono le circostanze previste dal precedente paragrafo 3.
(...)».
20 La diciottesima disposizione aggiuntiva della legge 3/2007 ha modificato la normativa spagnola in modo tale che il periodo di allattamento al seno sia espressamente riconosciuto come una delle situazioni contemplate dalla Ley General de la Seguridad Social - Real Decreto Legislativo 1/1994 por el que se aprueba el texto refundido de la Ley General de la Seguridad Social (regio decreto legislativo 1/1994, recante approvazione del testo consolidato della legge generale relativa alla previdenza sociale), del 20 giugno 1994 (BOE n. 154, del 29 giugno 1994, pag. 20658; in prosieguo: la «legge generale relativa alla previdenza sociale»).
21 L’articolo 135 bis della legge generale in materia previdenziale così prevede:
«Situazione protetta. - Ai fini della prestazione economica per rischio durante l’allattamento al seno, si considera situazione protetta il periodo di sospensione del contratto di lavoro nei casi in cui, dovendo la donna lavoratrice cambiare posto di lavoro per occuparne un altro compatibile con la sua situazione, nei termini previsti dall’articolo 26, paragrafo 4, della legge 31/1995, tale cambiamento del posto di lavoro non sia tecnicamente od oggettivamente possibile, o non potesse ragionevolmente richiedersi per motivi giustificati».
22 L’articolo 135 ter della legge generale in materia previdenziale stabilisce quanto segue:
«Prestazione economica: - La prestazione economica per rischio durante l’allattamento al seno viene concessa ad una lavoratrice secondo i termini e le condizioni previsti dalla presente legge per la prestazione economica per rischio durante la gravidanza, e cessa al compimento dei nove mesi di età del figlio, salvo il caso in cui la beneficiaria si sia già reinserita anticipatamente nel posto di lavoro originario o in altro posto compatibile con la sua situazione».
23 Per quanto concerne il diritto processuale, l’articolo 96, paragrafo 2, della Ley 36/2011, reguladora de la jurisdicción social (legge 36/2011, che disciplina la giurisdizione sociale), del 10 ottobre 2011 (BOE n. 245, pag. 106584, dell’11 ottobre 2011), stabilisce quanto segue:
«Onere della prova nei casi di discriminazione e di infortuni sul lavoro
(...)
2. Nei procedimenti relativi a responsabilità derivanti da infortuni sul lavoro e da malattie professionali, spetta ai responsabili della sicurezza e a coloro che contribuiscono alla realizzazione della situazione pregiudizievole dimostrare l’adozione delle misure necessarie per prevenire o evitare il rischio nonché fornire la prova dell’esistenza di qualsiasi altro fattore che escluda o attenui le loro responsabilità. Non è possibile sottrarsi alle responsabilità sulla base di una colpa lieve del lavoratore o di una colpa imputabile all’esercizio abituale del lavoro di cui trattasi o all’affidamento da quest’ultimo generato».

 

Procedimento principale e questioni pregiudiziali
24 Dalla decisione di rinvio risulta che la sig.ra E.O.R. presta servizio come infermiera presso il pronto soccorso del Centro Hospitalario Universitario de A Coruña (Centro ospedaliero universitario di La Coruña, Spagna; in prosieguo: il «CHU»), ospedale pubblico che dipende dal servizio sanitario della Comunità autonoma della Galizia.
25 Il 22 dicembre 2011 la sig.ra E.O.R. ha dato alla luce un bambino che, successivamente, è stato allattato al seno.
26 Il 19 marzo 2012 la sig.ra E.O.R. ha informato il proprio datore di lavoro di siffatto metodo di allattamento e che le mansioni richieste dal suo posto di lavoro erano tali da incidere negativamente su detto allattamento e da esporla a rischi per la sua salute e la sua sicurezza, a causa, in particolare, della complessità del ritmo di lavoro sulla base di turni e rotazione, delle radiazioni ionizzanti, delle infezioni nelle strutture sanitarie e dello stress. Pertanto, ella ha presentato una domanda di modifica delle condizioni di lavoro e di attuazione di misure preventive.
27 Il 10 aprile 2012 la direzione del CHU ha prodotto una relazione attestante che il posto di lavoro della sig.ra E.O.R. non presentava alcun rischio per l’allattamento del suo bambino e ha chiesto il rigetto della domanda della ricorrente.
28 L’8 maggio 2012 la sig.ra E.O.R. ha chiesto alla Dirección Provincial del Instituto Nacional de la Seguridad Social de A Coruña (direzione provinciale dell’INSS di La Coruña, Spagna) il rilascio di un certificato medico che riconoscesse l’esistenza di un rischio per l’allattamento del bambino, ai fini della concessione di una prestazione economica per rischio durante l’allattamento.
29 Per la valutazione di tale domanda, la direzione provinciale dell’INSS di La Coruña ha preso in considerazione, da un lato, una dichiarazione del direttore delle risorse umane del CHU attestante che il posto di lavoro della sig.ra E.O.R., vale a dire quello di infermiera del pronto soccorso, figurava nell’elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischio, redatto dal CHU previa consultazione dei rappresentanti dei lavoratori. Dall’altro, essa ha tenuto conto della relazione di un medico del servizio di medicina preventiva e di prevenzione dei rischi professionali, la quale confermava che la sig.ra E.O.R. era stata esaminata e ne dichiarava l’idoneità a svolgere le mansioni inerenti al suo posto di lavoro.
30 Sulla base di tali documenti, l’INSS, con una decisione del 10 maggio 2012, ha ritenuto che non fosse stato dimostrato che il posto di lavoro della sig.ra E.O.R. presentasse un rischio per l’allattamento del bambino e, di conseguenza, ha respinto la sua domanda.
31 L’11 luglio 2012 la sig.ra E.O.R. ha proposto ricorso avverso detta decisione dinanzi allo Juzgado de lo Social n. 2 de A Coruna (Tribunale del lavoro n. 2 di La Coruna, Spagna), facendo valere che il suo posto di lavoro la esponeva a un rischio per l’allattamento del suo bambino. A sostegno della propria contestazione, ella ha fornito una lettera firmata dal suo superiore gerarchico diretto, vale a dire la caporeparto del pronto soccorso del CHU, secondo cui, in sostanza, il lavoro di infermiera all’interno di tale unità presentava rischi fisici, chimici, biologici e psicosociali per la lavoratrice in periodo di allattamento nonché per il suo bambino.
32 Con decisione del 24 ottobre 2013, detto giudice ha respinto il ricorso proposto dalla sig.ra E.O.R., con la motivazione che non sarebbe stato dimostrato che il posto di lavoro di quest’ultima presentasse il rischio asserito. Inoltre, lo stesso giudice ha considerato che la controversia sottopostagli era simile ad altre cause nelle quali sia il Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna) sia il giudice del rinvio, il Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia, Spagna), avevano adottato un approccio rigoroso in materia di valutazione della prova dell’esistenza di un rischio rilevante ai fini della concessione della prestazione, e che, nel caso di specie, nessun elemento nuovo giustificava il fatto che esso se ne discostasse.
33 La sig.ra E.O.R. ha interposto appello avverso detta decisione dinanzi al giudice del rinvio.
34 Tale giudice si chiede, in sostanza, se sia possibile applicare le norme relative all’onere della prova previste all’articolo 19 della direttiva 2006/54 al fine di dimostrare l’esistenza di una situazione di rischio durante l’allattamento al seno, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 3, della legge 31/1995, che ha trasposto l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85 nel diritto nazionale.
35 Secondo il giudice del rinvio, dette norme si applicano a una questione simile, nella misura in cui la dispensa dal lavoro prevista all’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85 può essere qualificata come «occupazione e condizioni di lavoro», ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54. La circostanza che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), di tale direttiva, la discriminazione comprenda qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per motivi connessi alla gravidanza o al congedo per maternità, ai sensi della direttiva 92/85, deporrebbe, del pari, a favore di un’interpretazione del genere.
36 Supponendo che l’articolo 19 della direttiva 2006/54 sia applicabile in una controversia come quella oggetto del procedimento principale, il giudice del rinvio si chiede in che modo dette norme debbano essere applicate e, in particolare, come dovrebbe essere ripartito tra le parti l’onere della prova. In concreto, detto giudice si interroga sulla questione, da un lato, se una relazione del superiore diretto della lavoratrice di cui trattasi, che dà atto dei rischi per l’allattamento, costituisca un indizio che consente di presumere l’esistenza di una discriminazione basata sul sesso, ai sensi di detta disposizione, e, dall’altro, se un elenco ricapitolativo dei posti di lavoro esenti da rischi, redatto dal datore di lavoro, unitamente ad una relazione preparata dal servizio di prevenzione in cui si dichiara che la lavoratrice in parola è idonea allo svolgimento dell’attività lavorativa, senza fornire spiegazioni, risultino sufficienti per dimostrare l’insussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento.
37 Nell’ipotesi in cui esistessero indizi atti a dimostrare la sussistenza del rischio asserito, si porrebbe altresì la questione di sapere su quale parte - lavoratrice in periodo di allattamento o datore di lavoro - gravi l’onere di provare che l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro della prima non sia possibile o che, nonostante siffatto adattamento, le condizioni di lavoro della lavoratrice in periodo di allattamento siano idonee a influire negativamente sulla sua salute o su quella del suo bambino, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, della legge 31/1995, che traspone l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 92/85, e che l’assegnazione ad altre mansioni non sia tecnicamente od oggettivamente possibile o, ancora, che non possa essere ragionevolmente richiesta al datore di lavoro per motivi debitamente giustificati, a norma dell’articolo 26, paragrafo 3, di tale legge, che traspone l’articolo 5, paragrafo 3, di detta direttiva.
38 In tale contesto, il Tribunal Superior de Justicia de Galicia (Corte superiore di giustizia della Galizia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se le norme sull’onere della prova di cui all’articolo 19 della [direttiva 2006/54] siano applicabili alla situazione di rischio durante l’allattamento al seno contemplata dall’articolo 26, paragrafo 4, [della legge 31/1995], in combinato disposto con il paragrafo 3 di tale articolo, disposizione introdotta nell’ordinamento spagnolo per trasporre l’articolo 5, paragrafo 3, della [direttiva 92/85].
2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se la presenza di rischi per l’allattamento al seno associati all’esercizio della professione di infermiera presso il servizio ospedaliero di pronto soccorso e di accettazione, attestati dalla relazione motivata stilata da un medico che è al tempo stesso il capo del servizio ospedaliero di pronto soccorso e di accettazione presso il quale presta servizio la lavoratrice interessata, si possa considerare un elemento di fatto in base al quale si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2006/54.
3) In caso di risposta affermativa alla seconda questione, se le circostanze che le mansioni svolte dalla lavoratrice siano considerate esenti da rischi nell’elenco ricapitolativo dei posti di lavoro redatto dall’impresa previa consultazione dei rappresentanti del personale, e che il servizio di medicina preventiva e prevenzione dei rischi professionali dell’ospedale di cui trattasi abbia emesso una dichiarazione di idoneità, senza che i menzionati documenti contengano indicazioni più precise riguardo all’iter per giungere a siffatte conclusioni, possano essere considerate sufficienti in tutti i casi e senza ammettere prova contraria, al fine di provare l’insussistenza di una violazione del principio della parità di trattamento ai sensi del citato articolo 19.
4) In caso di risposta affermativa alla seconda questione e negativa alla terza questione, su quale parte - lavoratrice/parte ricorrente o datore di lavoro/parte convenuta - gravi l’onere di provare, ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2006/54, una volta dimostrata l’esistenza di rischi per la madre o per il lattante derivanti dallo svolgimento dell’attività lavorativa in questione, che l’adattamento delle condizioni o dell’orario di lavoro non sia possibile o che, nonostante l’adattamento, le condizioni di lavoro possano influire negativamente sulla salute della lavoratrice gestante o del lattante (articolo 26, paragrafo 2, della [legge 31/1995], in combinato disposto con il paragrafo 4 del medesimo articolo, che traspone l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 92/85), e che l’assegnazione ad altre mansioni non è tecnicamente e/o oggettivamente possibile o che non può essere ragionevolmente richiesta per motivi debitamente giustificati (articolo 26, paragrafo 3, della [legge 31/1995], in combinato disposto con il paragrafo 4 del medesimo articolo, che traspone l’articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 92/85)».

 


Sulle questioni pregiudiziali
Osservazioni preliminari
39 Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. In effetti, la Corte ha il compito di interpretare tutte le norme del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie di cui sono investiti, anche qualora tali norme non siano espressamente indicate nelle questioni a essa sottoposte da detti giudici (sentenze del 19 settembre 2013, Betriu Montull, C-5/12, EU:C:2013:571, punto 40 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 13 febbraio 2014, TSN e YTN, C-512/11 e C-513/11, EU:C:2014:73, punto 32).
40 Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato le sue questioni all’interpretazione dell’articolo 19 della direttiva 2006/54 e dell’articolo 5, paragrafi 2 e 3, della direttiva 92/85, la Corte può nondimeno fornirgli tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che il detto giudice vi abbia fatto riferimento o meno nel formulare le proprie questioni. A tal proposito, la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (v., in tal senso, sentenze del 19 settembre 2013, Betriu Montull, C-5/12, EU:C:2013:571, punto 41 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 13 febbraio 2014, TSN e YTN, C-512/11 e C-513/11, EU:C:2014:73, punto 33).
41 Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio e dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che la sig.ra E.O.R. contesta, dinanzi al giudice del rinvio, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro su cui si basa la decisione dell’INSS, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85.
42 Tenuto conto di tali considerazioni, occorre riformulare le questioni sollevate nel senso che, con la prima questione, il giudice del rinvio si propone, in sostanza, di accertare se l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 si applichi ad una situazione come quella in discussione nel procedimento principale, in cui una lavoratrice contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85.
43 In caso affermativo, il giudice del rinvio chiede, con la seconda, la terza e la quarta questione, quali siano le modalità di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale.


Sulla prima questione
44 Per fornire una risposta utile alla questione in parola, come riformulata al punto 42 della presente sentenza, occorre, in primo luogo, ricordare i requisiti cui la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento è soggetta conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85.
45 In tale ambito, si deve rilevare che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 impone al datore di lavoro, direttamente o per il tramite dei servizi di protezione e di prevenzione, di valutare la natura, il grado e la durata dell’esposizione delle lavoratrici, ai sensi dell’articolo 2 della menzionata direttiva, agli agenti, ai processi o alle condizioni di lavoro, di cui un elenco non esauriente figura nell’allegato I di detta direttiva, per tutte le attività che possono presentare un rischio particolare al riguardo. Detta valutazione è effettuata al fine di poter valutare tutti i rischi per la sicurezza o la salute nonché tutte le ripercussioni sulla gravidanza o sull’allattamento e per determinare le misure da adottare.
46 Ai fini dell’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, occorre prendere in considerazione le linee direttrici, giacché queste ultime, conformemente all’articolo 3, paragrafo 2, della stessa direttiva, sono intese a servire come base per la valutazione prevista nel suddetto articolo 4, paragrafo 1.
47 Orbene, dalle pagine 6 e 7 delle linee direttrici risulta che la valutazione dei rischi consiste in un «esame sistematico di tutti gli aspetti dell’attività lavorativa» che comprende almeno tre fasi.
48 La prima fase consiste nell’identificazione dei pericoli (agenti fisici e biologici, processi industriali, movimenti e posture, fatica psicofisica, altri carichi fisici e mentali). La seconda fase prevede l’identificazione delle categorie di lavoratrici (lavoratrici gestanti, lavoratrici che hanno partorito di recente o lavoratrici che allattano) che si trovano esposte a uno o a più dei suddetti pericoli. La terza fase, vale a dire la valutazione dei rischi in termini sia qualitativi che quantitativi, rappresenta «la fase più delicata del processo in quanto la persona che esegue la valutazione deve essere competente e tener conto di informazioni pertinenti (...) applicando metodi appropriati al fine di stabilire se il pericolo identificato comporti o meno una situazione di rischio per le lavoratrici».
49 Le linee direttrici precisano, alle pagine 11 e 12, che «i rischi possono essere diversi a seconda che le lavoratrici siano gestanti, puerpere o stiano allattando». Per quanto concerne, in particolare, le donne in allattamento, i datori di lavoro, per tutto il periodo dell’allattamento, dovranno riesaminare regolarmente i rischi per evitare o ridurre al minimo l’esposizione di tali lavoratrici ai rischi per la salute o la sicurezza, segnatamente, l’esposizione a determinate sostanze quali piombo, solventi organici, pesticidi e antimitotici. Un certo numero di queste ultime, infatti, arrivano, tramite il latte materno, al bambino che può essere particolarmente sensibile. Dette linee direttrici indicano altresì che in casi particolari può essere necessario ricorrere alla consulenza professionale di specialisti di igiene del lavoro.
50 Inoltre, le stesse linee direttrici contengono, alle pagine da 13 a 35, due tabelle dettagliate. La prima riguarda la valutazione dei pericoli generici e delle situazioni correlate cui è esposta la maggior parte delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. La seconda, intitolata «Pericoli specifici», indica, nell’introduzione, che, a causa della condizione dinamica della gravidanza, che comporta continui cambiamenti e sviluppi, le stesse condizioni di lavoro possono sollevare diversi problemi sul piano della salute e della sicurezza per diverse donne in diverse fasi della gravidanza come anche al momento di riprendere il lavoro dopo il parto o durante l’allattamento. Alcuni di questi problemi sono prevedibili e hanno carattere generale, altri sono legati alle circostanze individuali e all’anamnesi individuale.
51 Pertanto, dalle linee direttrici risulta che, per essere conforme ai requisiti dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, la valutazione dei rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento deve includere un esame specifico che tenga conto della situazione individuale della lavoratrice interessata, al fine di determinare se la salute o la sicurezza di quest’ultima o quelle del suo bambino siano esposte a un rischio.
52 In secondo luogo, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, gli Stati membri, secondo i loro sistemi giudiziari, adottano i provvedimenti necessari affinché spetti alla parte convenuta provare l’insussistenza della violazione del principio della parità di trattamento ove chi si ritiene leso dalla mancata osservanza nei propri confronti di tale principio abbia prodotto dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi ad un altro organo competente, elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta.
53 L’articolo 19, paragrafo 4, lettera a), di tale direttiva precisa, in particolare, che le norme che determinano l’inversione dell’onere della prova previste al paragrafo 1 del medesimo articolo si applicano altresì alle situazioni contemplate dalla direttiva 92/85, nella misura in cui sussiste una discriminazione fondata sul sesso.
54 Occorre quindi determinare se una situazione come quella oggetto del procedimento principale costituisca una discriminazione fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54.
55 In proposito, si deve sottolineare che, in base all’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54, la discriminazione comprende, in particolare, «qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità ai sensi della direttiva [92/85]».
56 Come prevede espressamente l’articolo 1 della direttiva 92/85, quest’ultima ha per oggetto l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
57 Come già dichiarato dalla Corte, lo scopo perseguito dalle norme del diritto dell’Unione sul principio di parità tra i sessi nel settore dei diritti delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento è quello di tutelare le lavoratrici prima e dopo il parto (sentenza dell’11 novembre 2010, Danosa, C-232/09, EU:C:2010:674, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).
58 Inoltre, dal quattordicesimo considerando e dall’articolo 8 della direttiva 92/85 risulta che «la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di allattamento rende necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il parto». Pertanto, il congedo di maternità tende a proteggere le lavoratrici gestanti, puerpere e in periodo di allattamento.
59 Ne consegue che, poiché la condizione di donna in periodo di allattamento è strettamente legata alla maternità, e in particolare «alla gravidanza o al congedo di maternità», le lavoratrici in periodo di allattamento devono essere tutelate al pari delle lavoratrici gestanti o puerpere.
60 Di conseguenza, qualsiasi trattamento meno favorevole di una lavoratrice a causa della sua condizione di donna in periodo di allattamento dev’essere considerato compreso nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54 e costituisce, pertanto, una discriminazione diretta fondata sul sesso.
61 In tale contesto, si deve rilevare che, per quanto riguarda la protezione della gravidanza e della maternità, la Corte ha ripetutamente affermato che, riservando agli Stati membri il diritto di mantenere in vigore o di istituire norme destinate ad assicurare tale protezione, l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2006/54 riconosce la legittimità, in relazione al principio della parità di trattamento tra i sessi, in primo luogo, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza, e, in secondo luogo, della protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino, durante il periodo successivo al parto (sentenza del 30 settembre 2010, Roca Àlvarez, C-104/09, EU:C:2010:561, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).
62 Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, qualora i rischi associati al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento non siano stati valutati conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, la lavoratrice interessata e il suo bambino vengono privati della protezione di cui devono beneficiare in forza della menzionata direttiva, giacché possono essere esposti ai rischi potenziali la cui sussistenza non sia stata correttamente accertata nel corso della valutazione dei rischi associati al posto di lavoro della lavoratrice interessata. A tal proposito, una lavoratrice in periodo di allattamento non può essere trattata alla stessa stregua di qualsiasi altro lavoratore, poiché la sua situazione specifica richiede necessariamente, da parte del datore di lavoro, un trattamento particolare.
63 Di conseguenza, il fatto di non valutare il rischio associato al posto di lavoro di una lavoratrice in periodo di allattamento, conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85, dev’essere considerato come un trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo per maternità, ai sensi di tale direttiva, e costituisce, come risulta dal punto 60 della presente sentenza, una discriminazione diretta fondata sul sesso, a norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 2006/54.
64 Orbene, in base all’articolo 14 della direttiva 2006/54, siffatta discriminazione rientra nell’ambito del divieto previsto da quest’ultima, nella misura in cui fa riferimento alle condizioni di occupazione e di lavoro della lavoratrice interessata, ai sensi del paragrafo 1, lettera c), di tale articolo. Dall’articolo 5 della direttiva 92/85 risulta infatti che la constatazione, in esito alla valutazione prevista all’articolo 4 di quest’ultima, di un rischio per la salute o la sicurezza di tale lavoratrice o di ripercussioni sull’allattamento comporterà un adattamento delle sue condizioni di lavoro e/o del suo orario di lavoro, l’assegnazione ad altre mansioni, o, ancora, una dispensa dal lavoro durante tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute.
65 Tenuto conto di tali considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale, in cui una lavoratrice in periodo di allattamento contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85.
 

 

Sulle questioni dalla seconda alla quarta
66 Con la seconda, la terza e la quarta questione, come riformulate al punto 43 della presente sentenza, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente quali sono le modalità di applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale.
67 Va precisato, al riguardo, che le norme in materia di prova contemplate in tale disposizione non si applicano al momento in cui la lavoratrice interessata chiede una modifica delle condizioni di lavoro o, come nel procedimento principale, una prestazione economica per rischio durante l’allattamento
al seno, che richiede una valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85. E solo in una fase successiva, in cui una decisione relativa a tale valutazione dei rischi è contestata dalla lavoratrice interessata dinanzi ad un organo giurisdizionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente, che le suddette norme sono applicabili.
68 Ciò premesso, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54, spetta alla lavoratrice che si ritenga lesa dall’inosservanza nei propri confronti del principio della parità di trattamento dimostrare, dinanzi ad un organo giurisdizionale, ovvero dinanzi a qualsiasi altro organo competente, fatti od elementi di prova in base ai quali si possa presumere che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 29).
69 In una situazione come quella oggetto del procedimento principale, ciò implica che la lavoratrice interessata deve produrre, dinanzi al giudice del rinvio o a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro di cui trattasi, fatti od elementi di prova atti a dimostrare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 e che ella, pertanto, ha subito una discriminazione.
70 E solo nel caso in cui la lavoratrice interessata abbia provato tali fatti od elementi di prova che si verifica un’inversione dell’onere della prova e che spetta alla controparte dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione (v., in tal senso, sentenza del 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506, punto 30).
71 Nel caso di specie occorre rilevare che la lettera fornita dalla sig.ra E.O.R., firmata dal suo superiore gerarchico diretto, vale a dire la caporeparto del pronto soccorso del CHU, sembra indicare, specificandone i motivi, che il posto di lavoro di quest’ultima presenti rischi fisici, chimici, biologici e psicosociali per l’allattamento, e sembra quindi contraddire i risultati della valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro su cui si basa la decisione dell’INSS e che detta lavoratrice contesta.
72 Orbene, come sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi 46 e 47 delle sue conclusioni, i documenti su cui si basa tale valutazione non forniscono alcuna indicazione motivata riguardo all’iter per giungere a siffatte conclusioni.
73 Ciò osservato, occorre rilevare che, a priori, la lettera prodotta dalla sig.ra E.O.R. costituisce un elemento di prova atto a dimostrare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non comprendeva un esame specifico che prendesse in considerazione la sua situazione individuale e che quindi, come risulta dal punto 51 della presente sentenza, una simile valutazione non era conforme ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85. Spetterà, tuttavia, al giudice del rinvio - il solo competente a valutare conformemente alle norme di procedura nazionali i fatti e gli elementi di prova rilevanti - verificare se tale sia l’ipotesi che ricorre.
74 Spetterà, pertanto, alla parte convenuta dimostrare che la valutazione dei rischi prevista all’articolo 4 della direttiva 92/85 sia stata effettuata conformemente ai requisiti stabiliti dalla menzionata disposizione, fermo restando che documenti quali una dichiarazione del datore di lavoro secondo cui determinate mansioni sono considerate «esenti da rischi», unitamente a una dichiarazione in base alla quale la lavoratrice interessata è «idonea» al lavoro, senza indicazioni atte ad avvalorare siffatte conclusioni, non possono, di per sé, comportare una presunzione assoluta che tale ipotesi ricorra. In mancanza, tanto detta disposizione quanto le norme in materia di prova di cui all’articolo 19 della direttiva 2006/54 sarebbero private di qualsiasi effetto utile.
75 Va rilevato, inoltre, che le stesse norme in materia di prova sono applicabili nell’ambito dell’articolo 5 della direttiva 92/85. In particolare, nella misura in cui una lavoratrice in periodo di allattamento chiede una dispensa dal lavoro per tutto il periodo necessario per la protezione della sua sicurezza o della sua salute e fornisce elementi atti ad indicare che le misure di tutela previste ai paragrafi 1 e 2 di detto articolo, vale a dire un adattamento delle condizioni di lavoro della lavoratrice interessata o un’assegnazione ad altre mansioni, non erano applicabili, spetta al datore di lavoro dimostrare che tali misure fossero tecnicamente od oggettivamente possibili e che potessero essere ragionevolmente richieste.
76 Dalle suesposte considerazioni risulta che occorre rispondere alla seconda, alla terza e alla quarta questione dichiarando che l’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, spetta alla lavoratrice interessata dimostrare fatti idonei ad indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 e in base ai quali si possa in tal modo presumere la sussistenza di una discriminazione diretta fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Incomberà, pertanto, alla parte convenuta dimostrare che detta valutazione dei rischi è stata effettuata conformemente ai requisiti previsti dalla menzionata disposizione e che, pertanto, non vi è stata alcuna violazione del principio di non discriminazione.
 

 

Sulle spese
77 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:


1) L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, dev’essere interpretato nel senso che esso si applica ad una situazione come quella oggetto del procedimento principale, in cui una lavoratrice in periodo di allattamento contesta, dinanzi ad un organo giurisdizionale nazionale o dinanzi a qualsiasi altro organo competente dello Stato membro interessato, la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro, in quanto non sarebbe stata effettuata conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
2) L’articolo 19, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 dev’essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, spetta alla lavoratrice interessata dimostrare fatti idonei ad indicare che la valutazione dei rischi associati al suo posto di lavoro non è stata effettuata conformemente ai requisiti di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 92/85 e in base ai quali si possa in tal modo presumere la sussistenza di una discriminazione diretta fondata sul sesso, ai sensi della direttiva 2006/54, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Incomberà, pertanto, alla parte convenuta dimostrare che detta valutazione dei rischi è stata effettuata conformemente ai requisiti previsti dalla menzionata disposizione e che, pertanto, non vi è stata alcuna violazione del principio di non discriminazione.

 

 

Firme


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