Categoria: Cassazione civile
Visite: 5420

Cassazione Civile, Sez. Lav., 09 novembre 2017, n. 26577 - Infortunio sul lavoro e risarcimento danni. Respinto il ricorso del datore di lavoro


 

Presidente: NOBILE VITTORIO Relatore: LEO GIUSEPPINA Data pubblicazione: 09/11/2017

 

Fatto


La Corte di Appello di Ancona, con sentenza depositata il 13 settembre 2011. in accoglimento del gravame interposto da N.C. avverso la sentenza resa dal Tribunale di Pesaro il 14 gennaio 2010. accertava il diritto della N.C. al risarcimento dei danni conseguenti all'infortunio sul lavoro del 24 ottobre 2003 e condannava il datore di lavoro B.P., titolare dell'omonima ditta individuale, al pagamento, in favore della lavoratrice, della somma complessiva di Euro 75.841.62 comprensiva della rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat e degli interessi legali sulle somme via via rivalutate sino alla data della pronunzia di secondo grado.
Per la cassazione della sentenza il B.P. propone ricorso articolando sei motivi e depositando memoria.
La N.C. resiste con controricorso.
 

Diritto


1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in riferimento all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5. del codice di rito, un "errore di giudizio per violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c.". nonché “errore in procedendo per viziata motivazione sul giudizio di fatto decisivo della controversia: vecchia o nuova macchina segaossa in uso nell'occorso infortunio". In particolare, assume che la Corte territoriale avrebbe attribuito alle dichiarazioni della teste P.S. la valenza di deposizione "disinteressata e circostanziata”, qualificandola "testimone de visu sulla base dell’affermazione che l’attiguo laboratorio era visibile -pacificamente- anche dal vano negozio ove trovavasi la teste e che la sua visione dell'infortunio sarebbe coerente con la particolareggiata descrizione delle modalità dell’infortunio capitato alla N.C."; lamenta, inoltre, il ricorrente, al riguardo, che l'impianto decisionale della Corte d'Appello non risponderebbe al criterio del prudente apprezzamento del giudice nella valutazione delle prove, con conseguente violazione dell'art. 116 c.p.c. e dei principi della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale.
2. Con il secondo motivo il B.P.. deducendo, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 445 c.p.p. e dell'orientamento giurisprudenziale consolidato in punto di riflessi civilistici della sentenza di patteggiamento, lamenta che la Corte distrettuale abbia attribuito espressamente al patteggiamento effettuato dal ricorrente la valenza di "ammissione (in sede penale) di colpevolezza del B.P. il quale ha pacificamente richiesto l'applicazione della pena", senza tener conto del fatto che la sentenza di patteggiamento non ha efficacia nel giudizio civile o amministrativo e non deve essere considerata come elemento unico ed imprescindibile atto a determinare le sorti del processo civile.
3. Con il terzo motivo viene denunciato, in riferimento all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 445 c.p.p. e dell'orientamento giurisprudenziale consolidato in punto di riflessi civilistici della sentenza di patteggiamento nonché dell'art. 116 c.p.c.; ed altresì "errore in procedendo per viziata motivazione sul giudizio di fatto decisivo della controversia. Al riguardo, in particolare, ci si duole dell'"evidente errore di giudizio“ in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale censurando l'operato del Giudice di primo grado, il quale, invece, giustamente, aveva valutato il compendio probatorio penale prima di riconoscere che lo stesso non conteneva alcun elemento idoneo a supportare la responsabilità penale del datore di lavoro.
4. Con il quarto motivo il B.P. deduce, in riferimento all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.. la violazione e falsa applicazione delle norme di legge relativamente all'onere della prova; nonché "errore in procedendo per omessa motivazione sostanziale e motivazione contraddittoria", avendo i Giudici di seconda istanza affermato che il lavoratore infortunato non deve dare dimostrazione "anche della c.d. nocività dell'ambiente di lavoro poiché la normativa di riferimento pone, in tale ipotesi, una chiara inversione legale dell'onere della prova".
5. Con il quinto mezzo di impugnazione il ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5. c.p.c., "errore in procedendo per contraddittorietà e vizio logico di motivazione", poiché la Corte di merito avrebbe errato nella valutazione delle prove, dal momento che la C.t.u. ha escluso l'incapacità lavorativa specifica e risultando, peraltro che la N.C., per tutto il periodo di inabilità temporanea, ha regolarmente percepito il proprio stipendio con conseguente esclusione di ogni danno patrimoniale.
6. Con il sesto mezzo di impugnazione viene dedotto, sempre in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5. c.p.c.. "errore in procedendo per vizio logico di motivazione, contraddittoria, insufficiente ed omessa", non avendo la Corte territoriale motivato le ragioni della propria adesione alle conclusioni del C.t.u..
7. I primi quattro motivi, da trattare congiuntamente, stante l'evidente connessione, non possono essere accolti, in quanto presentano evidenti profili di inammissibilità e mancano della localizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure in essi formulate, dell’accertamento concreto operato dalla Corte di merito all’esito delle emersioni probatorie (cfr., ex plurimis, Cass. n. 24374 del 2015; Cass. n. 80 del 2011).
Ed invero, allegando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 116 c.p.c., la parte ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia errato nella valutazione delle dichiarazioni rese da un teste, in merito all’avvenuto infortunio.
Orbene in ordine alla valutazione degli elementi probatori, posto che la stessa è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte, qualora il ricorrente denunci, in sede di legittimità, l'omessa o errata valutazione di prove testimoniali, ha l'onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi al fine di consentire il vaglio di decisività che avrebbe eventualmente dovuto condurre il giudice ad una diversa pronunzia, con l'attribuzione di una diversa valutazione alle dichiarazioni testimoniali relativamente alle quali si denunzia il vizio (Cass. n. 6023 del 2009).
Nel caso di specie, invero, la contestazione, peraltro del tutto generica, sulle dichiarazioni rese da un testimone, senza che le stesse siano state puntualmente trascritte, si risolve in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto di una deposizione testimoniale e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o sarebbe stata illogica (cfr. Cass. n. 4056 del 2009), finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr.. ex plurimis, Cass.. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014). 
Inoltre, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica con precisione il fatto storico (Cass. n. 10551 del 2016), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare o rispetto al quale sussisterebbe insufficienza e contraddittorietà della motivazione, posto che l'art. 360, primo comma, n, 5, c.p.c., nella formulazione che risulta dalle modifiche apportate dal d. lgvo n. 40/2006, applicabile alla fattispecie ratione temporis, prevede l‘''omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione" con riferimento ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio", laddove il testo previgente riferiva il medesimo vizio ad un “punto decisivo della controversia". Ed i “fatti” relativamente ai quali assume rilievo il vizio di motivazione sono “i fatti principali", ossia i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso come individuati all’art. 2967 c.c., ovvero i fatti secondari” (Cass. n. 10551 del 2016. cit.); ma, in ogni caso, non può ritenersi che il “fatto” sia equivalente ad una questione o argomentazione, perché queste ultime non attengono ad un preciso accadimento o ad una circostanza precisa “da intendersi in senso storico-naturalistico" e, dunque, appaiono irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate al riguardo.
Infine, occorre rilevare che tutti i motivi di censura contengono la contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, sostanziale e processuale, nonché vizi di motivazione, oltre all'invocazione di norme e principi di diritto, senza la specificazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile al n. 3,4 o 5 dell’art. 360 del codice di rito, impedendo, in tal modo, di identificare con precisione il devolutum. E come, in più occasioni, sottolineato da questa Suprema Corte, il rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione comporta, tra l'altro, l'esposizione di argomentazioni chiare ed esaurienti illustrative delle dedotte inosservanze di norme o principi di diritto, in grado di precisare come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronunzia di merito, poiché è solo l'esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (cfr., tra le molte, Cass. nn. 25044/2013. 23675/2013. 17739/2011, 7891/2007. 7882/2006, 3941/2002). Al riguardo, le S.U. di questa Corte, relativamente ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell'art. 360 c.p.c.. hanno, ancora una volta, censurato tale tecnica di redazione del ricorso, ponendo in evidenza “la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da ...irredimibile eterogeneità" (Cass.. S.U.. nn. 26242/2014, 17931/2013).
8. Il quinto motivo presenta, nella prima parte, profili di inammissibilità, in quanto, ancora una volta, la formulazione non risulta rispettosa del canone della specificità del motivo, poiché viene confuso l'error in procedendo con il vizio di motivazione, rendendo, in tal modo, impossibile scindere le ragioni poste a sostegno delfinio o dell'altro vizio, in una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l'operazione di interpretazione delle censure (cfr., ex multis, Cass. nn. 7394/2010, 20355/2008. 9470/2008).
La seconda parte del motivo è infondata, poiché, con motivazione coerente e priva di vizi logici, nonché basata sulle risultanze istruttorie, ha riconosciuto la risarcibilità del danno patrimoniale quantificandola in ragione del reddito annuale percepito dalla lavoratrice e rapportandolo al periodo di inabilità temporanea.
9. Il sesto motivo è inammissibile, poiché, oltre al mancato rispetto del canone della specificità dei motivi, non riporta la c.t.u. oggetto della censura. E, per costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed a consentire la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio a fonti esterne al ricorso e, quindi, ad elementi o atti concernenti il pregresso grado di giudizio di merito (cfr.. tra le molte. Cass. n. 1435/2013; Cass. n. 23675/2013; Cass. n. 10551/2016). Il motivo è quindi inammissibile anche per difetto di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti su cui si fonda, in violazione dell'art. 366, n. 6, c.p.c... in quanto, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Corte, perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell'art. 112 c.p.c.. fattispecie riconducibile ad una ipotesi di errar in procedendo ex art. 360. n. 4, c.p.c.. per la quale la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto processuale, il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali è condizionato, a pena di inammissibilità. all’adempimento. da parte del ricorrente, dell’onere di indicare compiutamente, e non già per riassunto del loro contenuto, gli atti processuali dai quali emerga il vizio denunciato (Cass. n. 6361/2007; Cass. n. 21226/2010).
Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
 

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.